Nerone, Claudio Cesare
Imperatore romano dal 54 al 68 d.C.; conseguì il potere a 17 anni (era nato ad Antium nel 37) e l'esercitò dapprima con moderazione, sotto la saggia guida di Afranio Burro prefetto del pretorio e di Seneca, poi con indirizzo sempre più dispotico, mirando come sembra a trasformare il principato civile in una monarchia assoluta.
Quale che sia il giudizio propriamente storico su una figura che appare di estrema complessità, N. rimane nelle memorie posteriori come tipo del despota dissoluto e crudele, diviso tra il ridicolo delle manie teatrali da cui era affetto e il riverbero sinistro di misfatti veri o presunti. Caratteristica è l'immagine di lui che dall'alto di una torre ammira (cantando in abito di citaredo la distruzione di Troia) l'incendio che nel 64 devastò Roma e di cui gli fu, quasi certamente a torto, attribuita la responsabilità. Su questa linea, giungendo a esiti di grottesca e spietata deformazione, procedono le fantasie medievali su N., raccolte dal Graf (cfr. Roma nella memoria..., Torino 1915, 262 ss.). Né maggior considerazione sembrava in fondo meritare colui che ritorse sui cristiani l'accusa d'incendiari e come tali li fece perseguire, sembra non sistematicamente e solo nella capitale, ma in modo da passare alla tradizione come il primo persecutore, sotto cui subirono il martirio s. Pietro e s. Paolo.
Di questa sorta di goffo e brutale anticristo D., con significativa riserva, non serba alcun tratto nelle sue menzioni del personaggio. In Cv IV IX 16 osserva che non è da credere né da consentire a Nerone imperadore, che disse che giovinezza era bellezza e fortezza del corpo, giacché una tal sorta di definizione rientra fra quelle che non competono all'arte imperiale. La massima è confutata con moderazione, nel quadro di un discorso più generale, e, se pur dichiarata fallace, non mostra particolare relazione con il ritratto morale vulgato di N.; del resto, se ne ignora la fonte. A N. si riferisce poi una triplice citazione degli Atti degli Apostoli, addotta in Mn III XII 5-6.
Infatti per dimostrare che persino le testimonianze scritturali attribuiscono all'imperatore la iudicandi temporalia... auctoritatem, D. ricorda come s. Paolo, tratto dinanzi al tribunale di Festo in Cesarea, si appellasse come cittadino romano alla giustizia di Cesare (Act. A. p. 25, 10-12), confermato in questo proposito dall'angelo di Dio (cfr. 27, 23-24); e come dell'appello a Cesare desse conto ai Giudei di Roma (cfr. 28, 19). Paolo dunque e l'angelo riconobbero la potestà e la competenza a giudicare dell'imperatore. Che in concreto si trattasse di N. (chiamato sempre " Caesar " negli Atti e nel passo corrispondente della Monarchia) è probabile che non sfuggisse a D., perché il nome di lui era saldamente legato dalla tradizione alle ultime vicende e al martirio dell'apostolo. Ma anche in questo caso egli vide confermata ed esaltò la maestà della funzione imperiale, oltre la miseria dell'uomo cui la dignità del titolo valse il silenzio in certo senso pietoso che il poeta mantenne altrimenti su di lui.