BEAUREGARD (Bérigard, Berigardo), Claudio Guillermet signore di
Figlio di un medico, Pierre, nacque a Moulins, nel Borbonese, presumibilmente nel 1590, sebbene il Niceron proponga la data del 15 ag. 1578. Si sa ben poco della sua prima attività: sembra abbastanza probabile che si addottorasse in artibus ad Aix nel 1621: ma sulla data non mancano dubbi, mentre lo stesso B., in alcuni luoghi delle sue opere, fa oscuramente cenno ad una sua permanenza presso la Sorbona, non si comprende se in qualità di studente o di insegnante. Incerta è anche la data del suo trasferimento in Italia, che tuttavia non dovette essere di molto anteriore al 1625, allorché lo si trova alla corte di Toscana, insieme con un suo fratello, Giovanni Gughelmo, il quale entrò poi- al servizio di Máttia de' Medici in qualità di cerusico.
Il suo primo ufficio alla corte granducale fu quello di segretario per le lettere francesi di Cristina di Lorena: ma questo modesto incarico, che esercitò per poco più di un anno, era troppo, inferiore alla qualità del B. che i contemporanei ricordano "perito di greco molto et anco di filosofia et buone lettere" (cfr. Favaro, p. 78), nonché matematico e medico di valore. E infatti già nello ottobre del 1627 il provveditore generale dello Studio di Pisa, Girolamo da Sommaia, propose a Ferdinando II di affidare al B. l'insegnamento straordinario di filosofia che in effetti il granduca gli attribuì il 19 nov. 1627, contemporaneamente alla nomina alla cattedra ordinaria di Scipione Chiaramonti, l'eminente peripatetico oggetto poi della polemica galileiana.
Nello Studio pisano il B. rimase per dodici anni, godendo fama "di buon filosofo e di buonissimo humanista", come riferiva a più riprese il Sommaia (ibid., p. 53), speciabnente per le sue letture aristoteliche, che prescindevano, così come gli consentiva la sua non comune conoscenza del greco, dall'usuale mediazione degli interpreti. Grande interesse destava anche la sua ricerca nell'ambito del pensiero antico di riferimenti e richiami ai problenù filosofici attuali per i quali, mostrava una viva sensibilità, dai moti degli astri alla questione delle macchie solari, a quella della rotazione terrestre: temi tutti sul quali il B. riteneva, dissentendo quindi già in questo dal Galilei, che la discussione spettasse assai più ai filosofi che ai m, atematici. Ma egli non esauriva i suoi interessi nella filosofia e nell'insegnamento: doveva avere notevole conoscenza delle scienze naturali, come prova il fatto che gli fu affidata, sia pure per breve tempo, la direzione del Giardino de' semplici; fu anche noto come medico e gli è attribuita la paternità di uno specifico di eccezionale efficacia nella cura dello scorbuto; leggeva infine, nell'Accademia Disunita, certi suoi versi latini che i colleghi accadernici, quasi tutti insegnanti nello Studio, mostravano di apprezzare assai. In definitiva però il fatto saliente del periodo pisano del B. rimane la sua frettolosa presa di posizione nei riguardi del Dialogo dei massimi sistemi.
Nel 1632, a pochi mesi dalla pubblicazione dell'opera, il B. dava alle stampe a Firenze un breve scritto, Dubitationes in dialogum Galilaei Galilaei lyncey, che costituì la prima pubblica manifestazione di dissenso dei mondo accademico nei riguardi del filosofo "novatore". In effetti il Galilei non aveva torto, in una lettera del 23 luglio 1634, di definire languide le obiezioni mossegli dal B., il quale, ben lontano dall'impegnarsi in una ferma difesa della tradizione aristotelica e tolemaica, si limitava a rilevare, sin dal sottotitolo del suo opuscolo, "Simplicii vel praevaricatio vel simplicitas, quod nullum, efficax superesle Peripateticis argumentum ad terrae immobilitatèm probandam tam fitcile concesserit". In realtà, afferma il B., le prove addotte nel dialogo dal Salviati e dal Sagredo in favore dell'ipotesi copernicana possono facilmente essere ritorte contro di questa e a vantaggio di quella, tolemaica così malamente difesa da Simplicio: tutta una serie di questioni, quali l'apparente variazione delle macchie solari, o quelle dei moto dei proietti e del volo degli uccelli che gli interlocutori copernicani del dialogo sollevano in favore della propria tesi, trovano invece in questa una spiegazione assai più macchinosa di quanto non avvenga tenendo fermo alla teoria eliocentrica. È naturalmente, il B. non manca di insistere sul tema del flusso e riflusso del mare, scoprendo facilmente l'errore nell'argomentazione galileiana. Ma più in là di questo egli non si spinge nella sua critica, che rimane perciò ambiguamente marginale al grande discorso gableiano. Per proprio conto il Galilei non mancava - come si è visto - di avvertire la scarsa convinzione della polemica - del francese e forse ne scopriva le vere ragioni quando opinava che il B. si fosse indotto a quell'attacco "contro a sua voglia... per compiacere a persona che lo può favorire nelle sue occorrenze" (Le Opere, XVI, p. 118); la promozione del B. all'insegnamento ordinario di filosofia nello Studio pisano, nel settembre del 1634, seguita alla rinunzia del Chiaramonti, sembra, in effetti convalidare il giudizio del Galilei. Nato quindi probabilmente da un intrigo, accademico, verosimilmente promosso dal Chiaramonti ed appoggiato dal Sommaia, l'attacco dei B. era rafforzato dall'implicita approvazione della corte medicea (le Dubitationes erano dedicate a Ferdinando II, la qual cosa, secondo l'uso, non sarebbe stata possibile senza un preliminare consenso dei granduca); inoltre lo stesso B. accennava, peraltro oscuramente, ad un accademico linceo quale promotore dell'opuscolo. Ma questo non ebbe altro risultato che quello di una debole azione di disturbo, non più che il preannunzio delle violente polemiche che di lì a poco si sarebbero accese intorno all'operà galileiana. Lo stesso Galilei non mostrò di attribuire troppa importanza all'episodio e si limitò a farne qualche accenno ad alcuni corrispondenti, tra i quali - in una lettera perduta - il Gassendi. A questo scriveva in proposito sprezzantemente anche il Peiresc' mentre il Mersenne trovava le Dubitationes indegne "qu'on les nomme à l'égard de ce grand homme" e si proponeva di scrivere contro di esse in difesa del Galilei, progetto dal quale fu poi dissuaso" da Cartesio.
Nel 1639 il B. accettò l'offerta fattagli dai rettori dello Studio di Padova di trasferirsi a quella seconda cattedra di filosofia, in sostituzione di Fortunio Liceti. Da una sua lettera inedita a Paganino Gaudenzi, del 9 luglio 1639 (Bibl. Apostolica Vaticana, Urb. lat.1629, p. 1, ff. 203-204), lettera che i biografi del B. non conobbero, sembra che all'allontanamento del filosofo. francese da Pisa non fosse estranea "facinorosae et praevaricatricis beluae nequitia". Ma chi fosse il personaggio contro cui si scagliava il B. ed in quali circostanze egli ne ricevesse danno non è possibile stabilire. Certo è d'altra parte che dal trasferimento egli trasse cospicui vantaggi economici, ai quali era ben lontano dal mostrarsi insensibile, mentre non dovette, essergli di poca consolazione il grande prestigio di cui allora godeva la tradizione filosofica dell'università padovana "nulli secundam", come lo stesso B. amava dire. E a questa tradizione, recentemente illustrata da Giacomo Zabarella, da Francesco Piccolomini e dallo stesso Liceti, il B., che è personaggio ancora assai poco studiato, non pare si dimostrasse inferiore. Le autorità accademiche padovane, per conto loro, mostrarono di apprezzarne largamente i servigl, confermandogli a più riprese la condotta con sempre nuovi aumenti di soldo e di privilegi e con gli elogi più calorosi del "suo valore così nelle lettioni, come anco nell'avere mandato alle stampe più libri sopra le principali parti della filosofia naturale-con sua molta lode et stima per il frutto che apporta a, medesimi scolari" (cfr. Favaro, p. 83). Gli affettuosi legarni del B. con personaggi come Vincenzo Viviani e Leopoldo de' Medici dimostrano del resto che, anche tra coloro che più vivo conservavano il ricordo del Galilei, l'ambiguo autore delle Dubitationes non mancava di estimatori. Certo la considerazione di cui il B. godeva presso i maggiori esponenti dell'Accademia del Cimento, doveva riposare soprattutto su una sua accentuazione d'interesse per le scienze naturali nel periodo padovano, tale da farlo definire "il vero rappresentante della fisica dopo l'andata di Galileo da Padova" (cfr. Ragnisco, p. 492); ma è questo un giudizio che si vorrebbe poter fondare su una più precisa conoscenza delle attività di ricerca del B., quelle che più propriamente dovettero accostarlo agli accademici fiorentini.In realtà inproposito non si hanno che poche e incerte notizie: si sa soltanto che egli si dedicò allo studio delle malattie veneree e in una lettera del Viviani si parla di certi esperimenti del B. per "vetrificare il piombo e renderlo diafano quanto il cristallo" (ibid., p. 72).Perciò, in sostanza, ogni giudizio sul B. si affida all'opera sua maggiore, cui diede il titolo di Circulus Pisanus in ricordo, come egli stesso scrive, di un "certamen philosophicum Pisis initum", in quelle disputationes para-accademiche, usuali a Pisa come in molte altre università, che si definivano appunto circulares.
L'opera, pubblicata dapprima ad Udine, nel 1643 e ristampata con notevoli accrescimenti a Padova nel 1661, è dedicata a vari principi medicei: in forma di commenti aristotelici, affidati al dialogo tra un Carilao peripatetico ed un Aristeo dietro il quale, con una ambiguità che rinnova la reticenza delle Dubitationes, si nasconde lo stesso autore, il B. ripropone contro la fisica aristotelica la lezione del naturalismo presocratico, mettendola a confronto con i risultati più recenti della nuova scienza. Anche se la vicenda galileiana spesso sconsiglia troppo espliciti riferimenti, l'opera è un innegabile tributo alla fisica nuova, non senza qualche moderata dichiarazione di simpatia per la stessa ipotesi copemicana, la quale, secondo Aristeo, "tollit multa incommoda in coelis": non altro significato ha la negazione del moto in nome degli esperimenti del Torricelli, o l'accettazione esplicita delle conclusioni galileiane contro l'incorruttibilità del cielo (e non manca in proposito una netta presa di posizione del B. contro il Chiaramonti), o l'elogio del telescopio o il commento del de Luna che si riduce ad una esposizione delle dottrine di Copernico e del Galilei. Ma la disgrazia del Galilei è tenuta ben presente dal B., che, ammaestrato datanti philogophi calamitoso exemplo", si guarda bene dal prendere decisamente posizione sulla questione fondamentale: "opinionem de motu térrae impugnare licet, sed non defendere", ricorda Aristeo, e il ricorso eclettico al naturalismo presocratico si chiarisce così soprattutto come un espediente polemico, un comodo schermo per riproporre senza rischi le esigenze della scienza contro quelle dell'ottodossia e della tradizione.
Vero è però che la posizione del B. non può considerarsi esaurita nell'ambito della discussione gallieiana: già l'amicizia pisana con il Gaudenzi, il cui naturalismo atomistico precedeva in Italia ogni influenza gassendiana, suggerisce una diversa motivazione, anche se in realtà, allo stadio della documentazione, non è possibile stabilire quanto il naturalismo del B. dovesse all'influenza dell'umanista grigione; e ancora più sicuro è il suo legame con le tradizioni della filosofia naturalistica padovana, di un Cremonini in particolare; una tradizione che ritorna nettamente nelle conclusioni cui il B. perviene, adombrando, pur con tutte le possibili cautele, il tema dei rapporti fra religione e scienza, conclusioni chiaramente negative sulle possibilità della ragione umana di varcare le soglie delle naturali esperienze e di risalire alle "cause prime", alla nozione di un Dio creatore e ordinatore della realtà sensibile. Così, come è stato osservato" l'opera del B. colpiva a fondo "l'edificio di Telesio e di Galileo, riposante tutto su un Dio razionale e razionalmente giustificabile, capace insieme di regolare i fenomeni e di recare seco la negazione di ogni filosofia della natura" (cfr. Garin, p. 303). Anche se è difficile prescindere dal dubbio insinuato dal Ragnisco, che a questo "pirronismo" e "libertinismo" del B. non fosse estraneo l'ammonimento che derivava dall'infelice esperienza galileiana, certo è che i legami del filosofo francese con la tradizione di eterodossia, e anzi di nùscredenza, dell'università padovana, appaiono largamente confermati da questo approdo del naturalismo beauregardiano. E in proposito sono forse significativi i suoi stretti rapporti con Iacopo Gaddi, che fu membro della veneziana Accademia degli Incogniti, della quale è noto il posto centrale nella storia del libertinismo veneto. Certo è che tra i contemporanei l'accusa dì empietà contro il R. correva largamente e non mancò chi gli attribuì perfino la paternità del leggendario De tribus impostoribus.Ma l'ambiguità era, nelle mani del B., un'arma sapiente, tanto che le autorità ecclesiastiche non ebbero più diffl, coltà ad approvare le due edizioni del Circulus di quanta ne ebbe lo stesso B. a coronare la propria attività di scrittore di così problematica ortodossia con una mediocre ma tranquillizzante Elegia votiva ad D. Mariam Magdaleniam, pubblicata a Padova nel 1651.
Nell'ultima sua ricondotta padovana, dopo la quale, secondo il proposito espresso nell'Elegia votiva, avrebbe voluto fare definitivo ritorno a Firenze, il B. fu promosso, il 26 genn. 1661, alla prima cattedra di filosofia, ma non poté adempiere né a questo incarico triennale, né al suo, antico desiderio: la morte lo colse a Padova il 23 apr. 1663.
Fonti e Bibl.: Nella Bibl. Apost. Vaticana, Urb. lat.1627, ff. 47, 53; 1629, p. 1, ff. 155 s., 203 s., 384-385v, 398, 419-420v, 464, 515- 516v, 537-538v, si conservano nove lettere del B. al Gaudenzi; cfr. inoltre: Les correspondants de Nicolas Claude Fabris de Peiresc.XIX. Le père MarinMersenne..., a cura di Ph. Tamizey de Larroque, Paris 1894, p. 110; R. Descartes, Oeuvres, a cura di Ch. Adam e P. Tannery, Correspondance, I, Paris 1897, p. 234; G. Galilei, Le opere, XV, Firenze 1904, pp. 273, 284; XVI, ibid. 1905, pp. 118, 169; G. F. Tomasini, Gymnasium Patavinum, Utini 1654, p. 458; J. P. Niceron, Mémoires pour servir à l'histoire des hommes illustres dans la république des lettres XXXI, Paris 1725, p. 123; P. Bayle, Dict. histor. et critique, I, Amsterdam 1740, p. 535; J. Brucker, Historia critica Philosophiae..., IV, 1, Lipsiae 1766, pp. 464, 467-486; G. Targioni Tozzetti, Notizie degli aggrandimenti delle scienze fisiche accaduti in Toscana..., I, Firenze 1780, pp. 81, 235; A. Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, III, Pisis 1795, pp. 373, 380-383; A. Heller, Geschichte der Physik von Aristoteles bis auf die neueste Zeit, II, 2, Stuttgart 1884, p. 161; P. Ragnisco, Da Giacomo Zabarella a Claudio Berigardo, ossia prima e dopo Galileo nell'Università di Padova, in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, s. 7, V (1893-1894), 1, pp. 474518; A. Favaro, Oppositori di Galileo.IV. Claudio Berigardo, ibid., LXXIX(1919-1920), II, pp. 39-92; J. R. Charbonnel, La pensée italienne en XVI siècle et le courant libertin, Paris 1919, p. 49; E. Garin, La filosofia, II, Milano 1947, pp. 301-303, 305; G. Spini, Ricerca dei libertini, Roma 1950, pp. 296 ss.