LANDI, Claudio
Nacque a Piacenza il 13 ag. 1543 dal principe Agostino e da Giulia Landi, contessa di Compiano. Dopo la morte precoce e improvvisa in Spagna del fratello Manfredo (1563), su consiglio dello zio il conte Giulio Landi, il L. sposò la vedova di Manfredo, Giovanna d'Aragona, dopo aver ottenuto, il 15 apr. 1565, la dispensa da Pio IV.
Durante il suo breve governo, Manfredo, governatore di Lodi, aveva stretto forti legami con il re di Spagna Filippo II e la sua corte, distinguendosi nella battaglia di San Quintino (1557). In questo periodo i Landi, principi di Val di Taro e Val di Ceno, consolidarono l'alleanza con la Spagna, mantenendo un loro rappresentante presso la corte di Madrid e, in seguito alla confisca dei beni subita a Piacenza per ordine del duca Ottavio Farnese, trasferirono la loro residenza nella meno ostile città di Milano, della quale ottennero la cittadinanza.
Il L. attuò una politica poco accorta nel governo del suo Stato, forse anche in conseguenza degli impegni che lo tenevano lontano da quelle terre, ed esasperò la popolazione locale. Nella sequela di denunce da parte dei Borgotaresi in merito agli abusi compiuti ai danni della Comunità, il L. era accusato di scarso rispetto verso le cose sacre e in particolare verso gli ecclesiastici perché imponeva il suo consenso anche nell'attribuzione dei benefici.
Se, grazie allo zio Giulio Landi, a Compiano i focolai di rivolta furono tenuti sotto controllo, a Borgo Val di Taro i paesani da tempo coltivavano risentimento verso i Landi. Quando l'imperatore Rodolfo II confermò al L. tutte le investiture nel suo Stato e l'autorizzazione a imporre nuove gabelle e dazi, legittimandone gli abusi, ciò provocò la reazione ostile dei valligiani contro il Landi. La situazione consentiva dunque al duca Ottavio Farnese di soffiare sul fuoco e di esacerbare gli animi dei Borgotaresi.
Nel 1578, mentre il L. si trovava a Lodi, fu organizzata una sommossa nel tentativo di ristabilire le antiche libertà. Dopo l'assassinio del capitano Antonio Misuracchi, aggredito nella sala del Consiglio e gettato dal balcone del palazzo, gli eventi precipitarono e il castellano di Borgo Val di Taro si accordò con quelli di Bardi e Compiano per reprimere la ribellione. Ottavio Farnese colse l'occasione e sostenne i Borgotaresi con il decisivo apporto di 3000 fanti e quattro pezzi di artiglieria. Nonostante i tentativi di mediazione del conte Giulio Landi - al quale i delegati di Borgo si rivolsero per consiglio o, secondo le parole dello stesso Giulio, "acciò che per loro impetrassi perdono dal principe de li scandali commessi" (Parma, Biblioteca Palatina, Mss., V.9.19565/4: Manifesto del conte Giulio Landi) - fu inevitabile la sconfitta dei Landi, in seguito alla quale Borgo Val di Taro, dopo un periodo di anarchia durante il quale adottò la denominazione di Repubblica di Val di Taro, fu annesso al Ducato di Parma e Piacenza. Il successo rafforzò le pretese dei Farnese, che cercavano di impossessarsi dell'intero Principato di Val di Taro e Val di Ceno, mettendo il L. nella condizione di dover accettare gli aiuti dalla Toscana per difendere i suoi castelli.
Iniziò così la lunga causa che contrappose il L. a Ottavio Farnese, nell'ambito del conflitto tra Impero e Papato. Contemporaneamente il L. fu processato e condannato in contumacia per il tentato omicidio del duca di Parma e Piacenza. Servendosi dell'ostilità della nobiltà piacentina, che tendeva a sottrarsi all'autorità farnesiana, il L. voleva eliminare non solo il duca Ottavio, ma l'immagine stessa del potere della sua famiglia, attaccandolo nella sede in cui si sentiva più forte e radicato, cioè nella fidelis nostra urbs Parmae. Il L. non riuscì a trarre vantaggio dall'insoddisfazione generale, né coinvolgendo la nobiltà né facendo affidamento sul favore e l'approvazione dell'imperatore e di Filippo II, che coltivava nascostamente l'obiettivo di riportare sotto il dominio milanese Piacenza e Parma. Mentre le figure minori, considerate complici nella congiura, furono sottoposte a tortura e sacrificate sul patibolo, il L. stesso fu condannato in contumacia e, nonostante la richiesta parmense, il re di Spagna non concesse l'estradizione. Una prima condanna, pubblicata a Parma il 22 ott. 1578, gli aveva inflitto la confisca di parte dei beni allodiali nel Piacentino e lo aveva dichiarato decaduto da tutti i privilegi e gli onori, tra cui lo status di feudatario. Tuttavia il L., quale principe del Sacro Romano Impero, aveva il diritto di non essere giudicato da tribunali ordinari statali e, forte di questa prerogativa, cercò di fare annullare il processo chiedendone inutilmente l'avocazione a Milano o a Vienna. Il 10 apr. 1580 seguì la condanna alla forca con una sentenza che decretò anche una taglia di 6000 scudi su di lui, alla quale seguì, il 31 genn. 1581, il bando dai territori del Ducato.
Al di là dell'effettiva posizione del L. nella congiura, il processo servì al duca Ottavio per indebolire il potere economico dei Landi nel Piacentino: le confische operate a loro danno favorirono indirettamente la politica filoecclesiastica dei Farnese, che concessero alla Compagnia di Gesù quei beni e quei diritti. Il L. si premurò di rafforzare le difese di Bardi e Compiano contro i tentativi di annessione da parte farnesiana, come testimonia una sua lettera del 14 febbr. 1580, riguardante il pagamento del salario alle truppe che ancora presidiavano le due fortezze.
Durante la vicenda giudiziaria, il L. fece ripetutamente appello al tribunale imperiale, fino a quando, il 27 sett. 1583, l'imperatore Rodolfo II lo assolse, dichiarandolo libero da tutte le imputazioni e prevedendo la restituzione, peraltro mai eseguita, dei beni confiscati. L'ultimo tentativo di creare un fronte antifarnesiano, coinvolgendo il duca di Mantova, il duca di Savoia e la Repubblica di Venezia, fallì. All'appello del L., infatti, rispose soltanto, con una mera lettera di rassicurazione, il duca di Savoia.
Il L. morì a Bardi nell'agosto del 1589 e i possedimenti della famiglia passarono al figlio primogenito, Federico.
Fonti e Bibl.: C. Natale, Libro della descritione in rame de i Stati et feudi imperiali di don Federico Landi…, Cremona 1617; G. Micheli, Le valli del Taro e del Ceno nella descrizione del Piccinelli, Parma 1927; Fondo Landi. Archivio Doria Landi Pamphilj: Carteggio, a cura di R. Vignodelli Rubrichi, Parma 1974, passim; Fondo della famiglia Landi. Archivio Doria Landi Pamphilj: Regesti delle pergamene (865-1625), a cura di R. Vignodelli Rubrichi, Parma 1984, passim; Narratione verissima del risentimento fatto per la Repubblica di Val di Tarro contra il conte C. L. già suo principe (1578), a cura di D. Calcagno, Borgo Val di Taro 1999; P. Squeri, Memorie storiche delle alte valli del Taro e del Ceno, Piacenza 1959, pp. 71-88; A. Credali, Giuseppe Micheli e le carte "Landi" della Biblioteca Palatina da lui raccolte, in Arch. stor. per le provincie parmensi, s. 4, XXX (1978), pp. 257-270; A. Samorè, La signoria Landi, Parma 1978, p. 74; Id., Lo Stato Landi in documenti dell'Archivio segreto Vaticano, in Arch. stor. per le provincie parmensi, s. 4, XXXI (1979), pp. 235-261; G. Tocci, Le terre traverse. Poteri e territori nei Ducati di Parma e Piacenza tra Sei e Settecento, Bologna 1985, pp. 55-65; L. Bellesia, Le monete di Federico Landi principe di Val di Taro, Viadana 1997, p. 7; P. Rizzi Bianchi, "Eccellentissimo Principe". Documenti storici dello Stato Landi del periodo classico (1578-1630) nell'Archivio Cantù di Compiano, Compiano 1999, pp. 12-14; R. De Rosa, La congiura di C. L. contro i Farnese e i suoi riflessi sulla questione di Borgo Val di Taro, in Boll. stor. piacentino, XCVII (2002), I, pp. 131-149.