LEIGHEB, Claudio
Nacque a Fano il 20 ag. 1848 da Giovanni e da Gabriella M. Leonardi, entrambi attori.
Il padre (nato a Venezia nel 1812, morto a Sebenico nel 1866), probabilmente figlio di un attore comico viennese, italianizzò il cognome Leitgeb. Abbandonati Padova e gli studi per dedicarsi al teatro, si specializzò in ruoli comici: il critico R. Simoni dava notizia nel 1832 della sua presenza accanto alla moglie nella compagnia di F. Perini. Al principio degli anni Quaranta fece probabilmente parte della compagnia di G. Vivarelli, che recitava commedie goldoniane al teatro Malibran di Venezia. Alla nascita del L. era "brillante" nella compagnia ducale di Parma, diretta da R. Mascherpa, primadonna Adelaide Ristori e, nel triennio 1849-51, "brillante" e amministratore della compagnia di L. Rossi. Fra il 1852 e il 1854 fu in compagnia con A. Colomberti; formò poi una compagnia propria, con la quale si esibì nei teatri dell'Istria e della Dalmazia. Contemporaneo di L. Bellotti Bon e di G. Pieri, fu ricordato da S. Manca come uno dei primi ad aver dato al ruolo una connotazione umana. La moglie (nata a Venezia nel 1815, morta a Roma nel 1894), fu probabilmente attrice generica al fianco del marito.
Nato nel corso di una tournée (come i suoi quattro fratelli, tutti attori), il L. mosse i primi passi nella compagnia del padre, recitando ancora bambino nell'Edipo re di Sofocle, La satira eParini di P. Ferrari, e I due sergenti di T. d'Aubigny. Nel 1860 conquistò il ruolo di "secondo brillante". Alla morte del padre ebbe scritture in complessi minori: lavorò dapprima nella compagnia di F. Sterni, poi nella Rosaspina-Bonivento. Dopo una scrittura nel 1867 con R. Lambertini, nel 1868 entrò a far parte della prima compagnia modello di L. Bellotti Bon, alla cui scuola completò la sua educazione d'attore. La sua definitiva affermazione presso pubblico e critica avvenne nel 1869, ne Le smanie per la villeggiatura di C. Goldoni. Negli anni 1871-73 fu scritturato come "primo attore di parrucca, caratterista e promiscuo", nella compagnia Fanny Sadowsky, diretta da C. Rossi. Conobbe Teresa Migliotti, "seconda amorosa" della compagnia, che sposò nel 1873; insieme, nel triennio seguente, fecero parte della terza formazione di L. Bellotti Bon, con i ruoli rispettivamente di "primo brillante assoluto" e di "prima attrice giovane". Fra il 1877 e il 1882 fu, ancora con C. Rossi, "primo brillante" nella compagnia Città di Torino. Alla scadenza del contratto, fece la sua prima tournée nella penisola iberica al seguito di Virginia e G.B. Marini. Dal 1883 lavorò nella compagnia Nazionale di Roma diretta da L. Pilotto. Nel 1884 fu insignito del titolo di cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia per meriti artistici. Dopo un'altra scrittura nel 1888 con i coniugi Marini, divenne capocomico nel 1890 in società con E. Novelli: la fortunata collaborazione riscosse grande successo di pubblico e durò fino al 1893, con una tournée anche a Barcellona e a Madrid. Nel 1894 formò compagnia con F. Andò, con competenza per le parti di "brillante" e di "primo attore comico", e portò i suoi successi anche a Berlino, a Vienna e in America latina. Nel 1897 affiancò il suo nome a quello di Virginia Reiter. Venuta meno un'occasione di collaborazione con Dina Galli, nel 1900 fu costretto dalle precarie condizioni di salute a un periodo di riposo forzato, interrotto da una sola serata, nella quale fu il capocomico Giocadio nel prologo de Le maschere di P. Mascagni diretta da A. Toscanini al teatro alla Scala. Tornò alle scene nel 1901 in compagnia con P.C. Tovagliari; a testimonianza dei tempi già mutati, la sua rentrée fu occasione di valutazione critica del suo lavoro.
Dal "viso un poco triangolare, calante su un mento aguzzo, intensissimo di espressione, ma preciso e sobrio nell'uso di essa" (R. Simoni, Cronache di un grande teatro. Il teatro Manzoni di Milano, Milano 1952, p. 168), il L. ebbe una particolare estensione vocale, che usò per connotare anche foneticamente i suoi tipi umani. Osservatore scrupoloso del dettato dell'autore (amò definirsi collaboratore e non soverchiatore del testo), fu osservatore altrettanto attento della realtà. Aborrì l'uso tradizionale dei "soggetti" e delle buffonerie di facile effetto e si affidò, per la costruzione dei suoi caratteri, alla sicura padronanza della pantomima e della mimica facciale, all'uso di contrasti e controscene, al gusto sapiente della dizione, usata spesso in chiave umoristica, e apportò un contributo significativo all'evoluzione moderna del ruolo del "brillante". Di temperamento malinconico, scelse una comicità riflessiva. La naturalezza e la misura che gli derivavano dallo studio metodico segnarono la sua cifra stilistica, tanto da renderlo fra gli interpreti maschili più apprezzati dalla critica e più in sintonia con il gusto del suo tempo, anticipatore in tal senso del personaggio-ragionatore che fu del teatro di L. Pirandello.
Attivo in anni di rapido sviluppo della drammaturgia borghese e di trasformazione della struttura delle compagnie, nel corso della sua carriera esperì l'intera gamma delle possibilità che il ruolo comico gli offriva. Per trent'anni vestì i panni di Arlecchino: Laserva amorosa e Il bugiardo di C. Goldoni furono i suoi cavalli di battaglia. Recitò nella Bisbetica domata di W. Shakespeare e nell'Avaro di Molière. Il suo repertorio era legato tuttavia prevalentemente alla produzione contemporanea: fu interprete di commedie brillanti, farse, monologhi - eccelse in particolare in quelli di A. Salsilli -, nonché di molte pochades di importazione francese, la cui invasione sulle scene italiane non gli impedì, sul finire del secolo, di provarsi anche in parti di tono drammatico o patetico.
I suoi maggiori successi si legarono all'interpretazione dell'abate Pio in Nessuno va al campo di P. Ferrari, di Enrico Duval ne Le sorprese del divorzio di A. Bisson e A. Mars, di Gevaudan ne Il maritodi Babette di P. Gill e H. Meilhac, di lord Fancourd Babberley ne La zia di Carlo di B. Thomas. Oltre che in opere di V. Sardou, E.-M. Labiche, G. Feydeau, H. Sudermann, H. Ibsen, A.W. Pinero, recitò in drammi di L. Illica, R. Bracco, C. e G. Antona Traversi, A. Torelli, G. Rovetta, M. Praga.
Il L. morì a Quarto dei Mille, frazione di Genova, il 14 nov. 1903.
Fonti e Bibl.: P. Viola, C. L. nella vitaenell'arte, tesi di laurea, Università di Urbino, a.a. 1967-68 (depositata in Roma, presso la Biblioteca teatrale del Burcardo); E. De Pasquale, Il brillante si fa ragionatore. C. L. e il teatro dei ruoli, Roma 2001 (con bibl. ragionata ed elenco dei materiali nell'archivio privato del L.); Enc. dello spettacolo, VI, col. 1357; Enc. Italiana, XX, p. 816.