MALOPERA, Claudio
Nacque intorno al primo decennio del XVI secolo, settimo figlio di Antonio e di Chiaberge Piossasco di Airasca.
La famiglia risulta presente a Cuneo sin dal XIII secolo (Guglielmo Malopera fu tra i firmatari della pace con Asti l'8 genn. 1278 e lo stesso giorno fu eletto sindaco della città). Nel Quattrocento i Malopera erano uno dei principali lignaggi del ceto dirigente locale e i nomi di diversi esponenti si alternano, quasi senza interruzione, nel Consiglio e nelle magistrature urbane. Nel 1516 il padre del M. era tra i 36 consiglieri "de platea" nominati dal funzionario ducale Angelino Provana e compariva ancora nell'elenco dei consiglieri "de platea" fissato nel 1526 dal presidente Chiaffredo Pasero. Agli anni Trenta del Cinquecento risalgono le prime notizie relative ai suoi due figli maggiori: il primogenito Giorgio, che in un documento del 1532 è citato fra i banchieri che prestavano soldi al duca, e Gaspare, ascritto il 30 marzo 1536 all'Ordine gerosolimitano di S. Giovanni, da poco trasferitosi da Rodi a Malta. Il personaggio di maggior rilievo della famiglia era, però, Giovan Giorgio Malopera, dei marchesi di Ceva (un altro ramo), che nel 1534 acquistò parte del feudo di Briga e nel 1535 fu nominato senatore di Piemonte.
Nel 1536 la Savoia fu invasa dalle truppe del re di Francia Francesco I. Il duca Carlo II mantenne il controllo solo del Ducato d'Aosta, di alcune città del Piemonte (fra cui Asti, Cuneo e Vercelli) e della Contea di Nizza. I Malopera rimasero fedeli al sovrano e il 26 nov. 1541 il duca affidò al M. l'incarico di giudice del Tribunale delle ultime appellazioni del contado di Asti. Nel 1544 Giorgio e il M. furono destinati a Nizza, punto cardine di quanto restava dello Stato. Il 9 giugno 1544 il duca creò il M. giudice maggiore di Nizza e il 7 settembre assegnò a Giorgio l'appalto generale della gabella della città. A confermare la fedeltà della famiglia alla causa spagnola, nel 1545 Carlo Malopera - cugino dei due fratelli e parente (forse figlio) del senatore Giovan Giorgio - fu nominato dal governatore di Milano podestà di Valenza Po e nel 1548 alla stessa carica nella città di Pavia. Tutto ciò avveniva mentre la famiglia manteneva saldo il proprio ruolo nel Consiglio e nelle magistrature di Cuneo. Il 18 luglio 1545 Giorgio e il M. acquistarono il feudo di Tarantasca, una frazione di Busca, nel Cuneese.
Gli incarichi ricoperti rivelarono al duca la competenza del M., cui furono affidate diverse missioni diplomatiche. Tra il 1548 e il 1552 fu inviato insieme con il cugino Carlo e l'agente Montbel di Frossasco a Roma, dove fra l'altro assistette all'insediamento del pontefice Giulio III nel 1550. In più di un'occasione, come si evince dalle lettere al duca, il M. perorò presso il papa la questione della restituzione degli Stati sabaudi, senza peraltro ottenere tangibili risultati. Richiamato in patria dal nuovo duca Emanuele Filiberto, mentre rientrava a Nizza si imbatté in una guarnigione francese; aggredito dai soldati, riuscì a mettersi in salvo, riportando solo lievi ferite. Nel 1555, il duca nominò il M. ambasciatore presso la corte imperiale, per trattare con l'imperatore Ferdinando la reintegrazione del sovrano sabaudo in tutti i suoi domini.
Il M. tenne lunghe trattative con i ministri cesarei, parte a Bruges e parte a Bruxelles, documentate da una cospicua corrispondenza, a volte cifrata, e da lunghe e dettagliate relazioni. A più riprese, dimostrando di possedere doti di buon oratore e abile diplomatico, sostenne la tesi che la restituzione al duca dei suoi Stati fosse un punto ineludibile per la conclusione di una pace generale e durevole tra Francia e Spagna. Suo interlocutore fu soprattutto il cardinale di Lorena, Carlo di Guisa. In numerose lettere al duca il M. sottolineava che a rendere difficile un accordo non erano solo le resistenze della Francia, ma anche l'atteggiamento della Spagna, che osteggiava ogni tentativo di mediazione. I Francesi "non solo sono renitenti e irresoluti, ma durissimi di non voler restituire un palmo degli Stati tolti a Sua Altezza se non tanto come lo imperatore si risolverà darli Milano, volendo inferire che se l'imperatore non rende a loro non vogliono essi render cosa alcuna" (Claretta, p. 140). Vista la situazione di stallo, il congresso fu sciolto agli inizi di giugno. Il M. giocò ancora una carta: contattò nuovamente il duca di Lorena e contemporaneamente il segretario di Stato imperiale Antonio Perrenot di Granvelle, senza ottenere nulla. La tregua di Vauchelles, firmata da Francia, Spagna e Impero il 5 febbr. 1556, sanciva di fatto l'impossibilità di trattative, visto che nessuna delle parti era disposta a cedere.
La responsabilità del fallimento non poteva cadere sul M., che aveva dovuto operare quasi senza margini d'azione. Emanuele Filiberto, anzi, fu assai soddisfatto del suo operato e decise di servirsi nuovamente di lui per riprendere le relazioni diplomatiche con la Repubblica di Venezia, con la quale i rapporti erano stati interrotti alla fine del XV secolo a causa della contesa sul Regno di Cipro. Nelle istruzioni Emanuele Filiberto gli impartì ordini precisi: doveva entrare in contatto con gli inviati veneziani presso la corte imperiale per essere introdotto agevolmente nell'ambiente, intessere rapporti con tutti gli ambasciatori presenti nella Repubblica, in particolar modo con quelli cesarei, tenere continui contatti con i rappresentanti sabaudi presso le corti italiane e straniere, dando costanti ragguagli. Il M. giunse a Venezia agli inizi del 1556; in quell'anno il cugino Carlo, che proseguiva il suo servizio presso gli Spagnoli, fu nominato pretore di Milano dal duca d'Alba e nel 1557 divenne podestà.
Durante i quasi quattro anni della sua permanenza a Venezia, il M. si mostrò all'altezza dell'incarico affidatogli. In più di un'occasione, infatti, il duca si complimentò con lui per la prudenza e la discrezione di cui dava prova. Le sue capacità emersero soprattutto nella delicata vicenda relativa al Ducato di Ferrara. Ercole II, dovendo riabilitarsi agli occhi di Filippo II, cercava tra i principi italiani un alleato che si ponesse come mediatore fra lui e il re di Spagna. Il conte ferrarese Giacomo Montecuccoli, acerrimo nemico dei Francesi, che gli avevano ucciso il fratello con l'accusa di aver avvelenato il delfino, si rivolse al M. chiedendogli d'intercedere presso Emanuele Filiberto affinché accettasse il ruolo di mediatore, assicurando che il suo principe in cambio si sarebbe adoperato per agevolare la reintegrazione degli Stati sabaudi. Non si fece attendere la risposta favorevole del duca, che affermava d'esser desideroso di "veder il duca di Ferrara fuori da quei travaglij ne li quali posso dir io nacqui e son vissuto sino adesso, onde avendo provato quanto siano gravij a sofferire senso anco sopra tutti un mirabil piacer nel vedere liberi gli amici" (Arch. di Stato di Torino, Corte, Lettere ministri, Venezia, m. 1, f. 2, Bruxelles, aprile 1558). Tra la fine del dicembre 1557 e il luglio 1558 il M. cercò in ogni modo di giungere a un accordo. Emanuele Filiberto, infatti, lo sollecitava a "seguir il duca di Ferrara con tutti gli sforzi dell'animo nostro indirizzando tutti i vostri pensieri e le vostre attioni che in niun altro modo, niuna altra via migliore si può tener per dispor gli animi" (ibid.).
Mentre il M. conduceva le trattative, la vittoria di San Quintino, il 10 ag. 1557, mutò radicalmente lo scenario. Ciò nonostante al duca furono necessari altri due anni di trattative per ottenere la restituzione dei suoi Stati, sancita dalla pace di Cateau-Cambrésis (3 apr. 1559).
Al duca di Savoia si presentava il non facile compito di ricostruire lo Stato. A tal fine egli chiamò accanto a sé i principali collaboratori che gli erano stati vicini negli anni dell'esilio. Fra loro era anche il M., che tornò in patria alla fine del 1560. Il 15 marzo 1561 Emanuele Filiberto lo chiamò a far parte del Senato di Piemonte (con uno stipendio di 656 scudi). Per la potente famiglia cuneese era venuto il momento di riscuotere il premio per la fedeltà mostrata negli anni precedenti. L'8 genn. 1562 il duca nominò Giorgio Malopera gabelliere generale (una sorta di ministro delle Finanze) e il 13 aprile chiamò in Senato anche il cugino Carlo.
Il M. ricoprì la carica di senatore solo per pochi mesi. Morì, infatti, il 12 nov. 1562, lasciando beni e feudi al fratello Giorgio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Provvedimenti sovrani, Patenti, Controllo, Finanze, reg. 1543 in 1545, c. 17; Patenti, Piemonte, 1651, regg. 6, c. 7; 9, cc. 62-64; Corte, Lettere di particolari, C, m. 12, 1543-59; Corte, Corti estere, Negoziazioni, Austria, m. 3; ibid., Roma, m. 2; ibid., Venezia, m. 1, f. 1 (1556-57); f. 2 (1557-60); ibid., Paesi, Piemonte, Mondovì, mm. 19, 21; ibid., Cuneo, m. 3; Protocollo dei notai ducali e camerali, prot. 216, c. 120, rosso; prot. 184, cc. 39-40, rosso; ibid., c. 354; prot. 216, c. 120; L. Cibrario, Storia della monarchia di Savoia, Firenze 1869, p. 267; G. Manuel di San Giovanni, Una pagina inedita della storia di Cuneo al secolo XVI col giornale del viaggio fatto da Cuneo a Bruxelles di Giovanni Luigi Lovera, Torino 1879, pp. 69-71; G. Claretta, La successione di Emanuele Filiberto al trono sabaudo, Torino 1884, pp. 138-142, 191-193, 446; A. Manno, Bibliografia storica degli Stati della monarchia di Savoia, I, Torino 1884, p. 105; F.L. Romier, Les origines politiques des guerres de religion, I, Paris 1913, pp. 474 s., 524-526; II, ibid. 1914, p. 376; P. Merlin, Giustizia, amministrazione e politica nel Piemonte di Emanuele Filiberto. La riorganizzazione del Senato di Torino, in Boll. storico-bibliografico subalpino, LXXX (1982), pp. 48, 73; Id., Emanuele Filiberto. Un principe tra il Piemonte e l'Europa, Torino 1995, pp. 61, 203, 215 s., 249; R. Albanese - S. Coates, Araldica cuneese, Cuneo 1996, pp. 19, 21, 118; R. Comba, Lo sviluppo delle attività commerciali, in Storia di Torino, II, Il Basso Medioevo e la prima età moderna, a cura di R. Comba, Torino 1997, p. 511; P. Bianchi, Dall'erezione in città alla seconda Reggenza (1559-1684), in P. Bianchi - A. Merlotti, Cuneo in età moderna. Città e Stato nel Piemonte d'antico regime, Milano 2002, pp. 56, 85, 174, 193; Torino, A. Manno, Il patriziato subalpino, vol. Mac-Man, dattiloscritto, pp. 149 s.