MERLOTTI, Claudio (Claudio Merulo, Claudio da Correggio). – Nacque a Correggio (Reggio Emilia) da Antonio e da Giovanna Govi, bresciana; fu battezzato nella chiesa di S. Quirino l’8 apr. 1533, forse insieme con un fratello gemello, Quirino (nell’atto battesimale sono nominati «Claudius et Quirinus»; Bastian, p. 8)
, del quale non sembra rimasta traccia.
La famiglia Merlotti godeva di un certo prestigio economico e sociale, aveva sepoltura nella chiesa di S. Francesco e un proprio stemma (un monte stilizzato formato da tre rocce su cui si erge un albero con un merlo appollaiato), talvolta usato dal M. come sigillo. Il M., che usava il nome Claudio da Correggio, in una lettera del 1566 a Guglielmo Gonzaga cominciò ad adottare la versione latineggiante Merulus-Merulo, che allude al torrione piuttosto che all’uccello.
Poco è noto sulla formazione musicale del M.: secondo Francesco Bordini (Quaesitorum et responsorum mathematicae disciplinae, Bononiae 1573, c. 85v), ripreso da tutti i primi biografi, ebbe come maestri Tugdual (Tuttovale) Menon e Girolamo Donati.
Su Donati, prevosto di S. Quirino, «vir ingegnosissimus, et in musica scientia […] maxime excellens» (ibid.), si sa soltanto che coltivava la musica, forse per diletto personale. Menon era conosciuto a Correggio, dove possedeva una casa, sua residenza stabile nonostante i numerosi spostamenti per ragioni professionali. Un ruolo nell’educazione musicale del M. potrebbe averlo avuto anche il fratello maggiore, Bartolomeo (1517-81), organista titolare della collegiata di S. Quirino (la nomina fu formalizzata solo l’anno prima della sua morte) ma i documenti sono troppo scarsi per trarre delle conclusioni su questo.
Con Bartolomeo il M. ebbe un contenzioso per l’eredità paterna dal 1571 al 1575.
Rimangono dunque aperti i problemi sulla formazione musicale del M. che potrebbe essere avvenuta anche lontano dalla città natale. Il 27 nov. 1555 si trovava a Venezia, testimone di un rogito del nobiluomo veneziano Antonio Zantani, uomo d’affari amante delle scienze e delle arti, in particolare della musica; nel suo palazzo Zantani ospitava i migliori musicisti veneziani, tra cui Girolamo Parabosco, Annibale Padovano, Baldassare Donato, Perissone Cambio, tutti impiegati in S. Marco. Più tardi, secondo la testimonianza di Orazio Toscanella, anche il M. entrò a far parte di quella cerchia (Edwards, 1990, pp. 214 s.).
Nel settembre 1556 il M. fu nominato organista del duomo di Brescia al posto del defunto Vincenzo Parabosco, padre di Girolamo. Nella convenzione, stipulata il 21 ottobre, gli fu assegnato il salario di 200 lire, cifra superiore rispetto a quella del suo predecessore (Guerrini, 1926, pp. 250s.), segno che la sua preparazione di strumentista doveva essere già reputata eccellente. Nonostante il contratto quinquennale, a Brescia rimase solo nove mesi, durante i quali, secondo Costanzo Antegnati (L’arte organica, Brescia 1608, c. 5r), ebbe come allievo Fiorenzo Maschera, organista in S. Spirito a Venezia e poi successore del M. all’organo del duomo di Brescia.
Ciò potrebbe essere indizio di una precedente presenza del M. a Brescia, centro musicale di primo piano e tale da collocarsi in maniera autonoma rispetto a Venezia; le origini bresciane della madre potrebbero inoltre aver facilitato tale trasferimento e i contatti con l’ambiente.
Il 2 luglio 1557 il M. partecipò alla pubblica prova di concorso nella basilica marciana a Venezia per la successione all’organista G. Parabosco, morto improvvisamente il 21 aprile (Caffi, p. 84), e risultò vincitore all’unanimità (Benvenuti, p.XLIV). Prese servizio non prima del 1° agosto con il salario di 80 ducati, portati a 100 nel 1563, ed ebbe come collega al primo organo Annibale Padovano. A S. Marco il M. diede subito prova della sua competenza nell’arte organaria (appresa forse a Brescia dagli Antegnati), consigliando l’aggiunta di un piccolo somiere e di una fila di flauti all’ottava all’organo a lui affidato.
Creatasi una fama come organista, a partire dagli anni Sessanta, forse grazie anche alle frequentazioni di diversi ambienti musicali e letterari – G. Zarlino nelle Dimostrationi harmoniche (Venezia 1571) lo immagina partecipare a un colto dialogo su problemi di teoria musicale, avvenuto nel 1562, insieme con Adrian Willaert e Francesco Dalla Viola –, il M. cominciò a dar prova della sua abilità di compositore, come mostrano i suoi madrigali inseriti in celebri sillogi dell’epoca. Nel 1564, per esempio, fu coinvolto, insieme con Willaert, C. de Rore, Annibale Padovano, Andrea Gabrieli, J. de Wert, nell’intonazione musicale di alcuni testi poetici di Antonio Molino (meglio noto con lo pseudonimo Manoli Blessi), scritti in una sorta di veneziano contaminato con inflessioni dialettali provenienti dalle isole dell’Egeo e pertanto chiamati «greghesche».
L’intensa attività compositiva di quegli anni lo spinse forse a trascurare i suoi obblighi in S. Marco: il 28 nov. 1564 i procuratori della basilica mossero un rimprovero ufficiale ai due organisti, che troppo spesso si facevano sostituire da inesperti per andare a suonare altrove (Benvenuti, p. LXIX). Ai primi di agosto del 1565, in seguito alla partenza da Venezia di Annibale Padovano, il M. fu nominato suo sostituto, dapprima in via provvisoria, poi definitiva; per il nuovo incarico ebbe, dal 2 luglio 1566, un ulteriore aumento di 10 ducati. Secondo Girolamo Diruta, il sodalizio artistico con il secondo organista A. Gabrieli fu particolarmente apprezzato, soprattutto per la loro bravura nel dialogare con i due strumenti, che ricordava «un duello di due organi rispondersi con tanto artifizio, et leggiadria» (Il Transilvano, Venetia 1593, p. 36).
Sempre nel 1565 il M. si lanciò in una nuova rilevante impresa: dopo aver ottenuto un anticipo di 100 ducati dai procuratori marciani (l’equivalente di un anno di stipendio), si accordò con Bolognino Zaltieri, don Pellegrini Stellini e Fausto Betanio, di origine bresciana, per aprire una stamperia musicale, che esordì ufficialmente il 1° apr. 1566 con un libro di madrigali a cinque voci di Guglielmo Textoris. Il 21 novembre la società si sciolse (la ratifica è del 3 maggio 1567) e il M. proseguì da solo fino al dicembre del 1570, quando abbandonò l’impresa per le difficoltà sorte in conseguenza della crisi economica del 1569 per le ingenti spese sostenute dalla Repubblica nella guerra contro i Turchi, ma anche per la concorrenza soprattutto di A. Gardano (che peraltro fu l’editore di quasi tutta la produzione musicale del M. stesso). I materiali della tipografia furono venduti a Giorgio Angelieri, con il quale il M. collaborò occasionalmente fino al 1575.
Nel corso della sua attività di editore, da solo o con Betanio, il M. pubblicò almeno 36 titoli, con alcune prime edizioni assolute e ristampe di autori celebri come C. Morales e O. di Lasso, o anche vere e proprie riedizioni, come quella, assai famosa, dei madrigali di Ph. Verdelot, in cui operò diversi cambiamenti anche nelle parti. Il progetto più ambizioso fu la progettazione di dodici libri di intavolature d’organo sotto l’egida di un privilegio di stampa quindicennale elargito da Pio V e di uno ventennale concesso dal Senato veneziano nel 1569. Del piano originario rimangono il primo volume (Ricercari, 1567) e il quarto (Messe, 1568), e il settimo e l’ottavo, ovvero le Toccate e le Canzoni, che furono editi successivamente (il primo a Roma, il secondo a Venezia); per la gran parte degli studiosi sono questi i soli volumi effettivamente pubblicati, ma sulla base di solide motivazioni Collarile (2007) sostiene che gli altri volumi, usciti dalla stamperia del M., possono essere scomparsi.
I tre libri di madrigali del M., pubblicati nel 1566 (a cinque voci), 1579 (a quattro voci), 1580 (a tre voci) evidenziano il contesto culturale delle riunioni accademiche e dei «ridotti» in cui erano stati concepiti; come pure gli intermedi che compose per alcuni drammi del letterato Lodovico Dolce, conosciuto tramite Molino: forse per la Marianna (1578), ma sicuramente per la tragedia Le Troiane, rappresentata nel 1579 in Ca’ Erizzo, la musica della quale è andata perduta.
Negli anni Settanta il M. fu definitivamente consacrato nella vita musicale veneziana. Con A. Gabrieli partecipò alle fastose cerimonie organizzate per la vittoria nella battaglia di Lepanto, avvenuta il 7 ott. 1571; nel Ragguaglio di R. Benedetti, pur senza menzione esplicita degli esecutori, si descrive ancora una volta il gioco dei due organi che si rispondono. In occasione delle solenni celebrazioni per il passaggio a Venezia di Enrico di Valois, in viaggio verso Parigi per essere incoronato re di Francia (Enrico III), si rappresentò nel 1574 la Tragedia di Cornelio Frangipane, per la quale il M. scrisse le musiche di scena; in occasione di una funzione in S. Marco il M. si esibì inoltre all’organo insieme con A. Gabrieli davanti al futuro re di Francia. Nel 1579, per il matrimonio di Bianca Capello (Cappello) con Francesco I de’ Medici a Firenze (14 ottobre), fu inviata una delegazione veneziana in cui il solo musicista era il M., segno del prestigio di cui godeva, ma anche dei forti legami con le autorità cittadine (Antonio, fratello di Bianca, era procuratore di S. Marco). Per questo evento scrisse il madrigale Vede Nettuno le sue dee marine, su testo di Maffio Venier, che a quanto pare non fu eseguito; il madrigale, non pervenuto, potrebbe essere stato riutilizzato con altro testo, come Tra pure nevi alme purpuree rose apparso nell’antologia Trionfo di musica (Venezia, Erede di G. Scotto, 1579), dedicata proprio a Bianca Capello (Edwards, 1990, p. 232).
Dagli anni Settanta il M. diede alle stampe anche libri di musica sacra: un libro di messe a cinque voci (1573) e quattro di mottetti, di cui due a cinque voci ordinati secondo il calendario liturgico (1576 e 1578), uno a sei voci (1583) e uno a quattro voci pari (1584); la scelta gli consentì di mostrare un versante nuovo della sua produzione, non legato all’organo o alla musica profana. Quando si era ormai perfettamente inserito nella vita cittadina e sembrava destinato a succedere all’anziano G. Zarlino come maestro di cappella in S. Marco, nell’autunno 1584 il M. lasciò improvvisamente il suo incarico di organista a S. Marco per andare al servizio del duca Ottavio Farnese, che fin dal 1567 chiedeva di averlo alla sua corte; analogo interesse avevano manifestato anche il duca di Urbino GuidubaldoII Della Rovere e il granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici. Nulla si sa sui motivi che lo spinsero a tale scelta; è noto solo che il 10 ott. 1584 il M. nominò l’organaro Vincenzo Colonna e l’organista di S. Pietro in Castello, Paolo Giusto, procuratori per i suoi affari veneziani; il 26 ottobre A. Gabrieli fu spostato al primo organo mentre il secondo, messo a concorso, fu assegnato a Giovanni Gabrieli.
La testimonianza del carmelitano Alberto Draghi, che nei Dialoghi tre della poesia scenica (Brescia 1624) ricorda come il M. «pur dianzi [del servizio a Parma] fu appresso i Serenissimi di Mantoa», ha lasciato supporre che il M. avesse trascorso un periodo a Mantova, presso il duca Guglielmo Gonzaga, con cui aveva avuto diversi scambi epistolari dal 1566: al duca il M. aveva raccomandato, nel 1570, Antonio, figlio naturale del fratello Bartolomeo e impiegato nella sua bottega tipografica ormai in fase di chiusura (Martini, p. 434); inoltre, su richiesta del duca, dava lezioni a Francesco Rovigo, poi organista in S. Barbara (Fenlon, p. 145). Non si hanno invece prove di un suo servizio a Mantova, anche se ebbe modo di esibirsi in quella corte, forse durante il viaggio da Venezia a Parma. È certo, invece, che il 31 dic. 1584 il M. fu pagato per il lavoro prestato in quel mese ai Farnese (Martini, p. 422), per cui l’eventuale tappa a Mantova deve collocarsi tra la partenza da Venezia (settembre-ottobre) e l’arrivo a Parma (novembre).
A Parma il M. non fu inserito nell’organico della cappella di corte, ma fu stipendiato come esecutore e accompagnatore alle tastiere; il fatto gli consentì di rimanere in servizio quando, in seguito alla morte del duca (5 sett. 1586), il figlio Alessandro Farnese sciolse la cappella e licenziò tutti i musicisti; la gratitudine per la conferma è evidente nella lettera di condoglianze e ringraziamento scritta dal M. ad A. Farnese il 20 dic. 1586 (Martini, p. 435). Forse in attesa di tempi migliori a corte (A. Farnese, governatore delle Fiandre, aveva delegato il primogenito Ranuccio a rappresentarlo negli affari cittadini), forse per l’ormai acquisita consuetudine con la professione di musicista di chiesa, il M. fu, dal 7 maggio 1587 e fino alla morte, organista del duomo di Parma al posto di Gottfried Palmartz (già maestro di cappella di corte e licenziato l’anno precedente), sotto l’episcopato di Ferdinando Farnese, rivestendo spesso di fatto il ruolo di maestro di cappella; tale ruolo era di istituzione piuttosto recente e non ancora del tutto stabilizzato, soprattutto prima dell’arrivo di Guillem Dillen (1601). Dal 5 apr. 1591 e fino alla morte fu organista di S. Maria della Steccata, altro posto assai prestigioso; anche in questo preferì il proprio strumento all’incarico di maestro di cappella, possibilità che certamente nell’ambito parmense non gli mancava.
Nonostante la quantità di impegni e di cariche, il M. si allontanò frequentemente da Parma. Partecipò a un vasto progetto che prevedeva l’intonazione da parte di numerosi musicisti (tra cui molti di Brescia e zone limitrofe come L. Marenzio, L. Bertani, M.A. Ingegneri, G.B. Morsolino, G. Cavaccio, L. Luzzaschi) del testo Ero così dicea del conte bresciano Marcantonio Martinengo di Villachiara, buon dilettante di musica e valente soldato (si era fatto onore nella battaglia di Lepanto), nonché già dedicatario dei Ricercari del 1567 e dei madrigali a tre voci (1580); i componimenti furono pubblicati nella celeberrima antologia L’amorosa Ero, edita a Brescia nel 1588.
Nel novembre 1590 fu a Padova ospite di Giacomo Alvise Corner. Nell’estate del 1591 fu a Venezia per la pubblicazione delle Canzoni alla francese, uscite nel 1592 e dedicate a Ranuccio Farnese. Perlomeno dal maggio all’ottobre del 1594 fu a Roma per preparare l’incisione su lastre di rame dei due libri di Toccate, edite da S. Verovio nel 1598 e nel 1604, e provvide a farsi inviare lì i pagamenti di corte (Martini, pp. 427 s.).
Nel 1597 il M. si recò nuovamente a Venezia per curare propri affari conseguenti a un’eredità ricevuta dalla nobildonna Cornelia Canal (ibid., pp. 247 s.) e, all’inizio del 1598, per ribadire la validità del proprio testamento, poi redatto a Parma il 10 maggio in latino e trascritto a Venezia in italiano il 10 settembre; il 13 ag. 1601 ne compilò un altro, più preciso e articolato, che integrava il precedente. Nel gennaio del 1600 tornò a Roma con Orazio Bassano (Orazio della Viola), incontrò Emilio de’ Cavalieri e forse assistette alla Rappresentazione di Anima e Corpo, che fu recitata durante il carnevale (febbraio 1600). Infine, nel 1603, fu a Cremona per il collaudo dell’organo di S. Bartolomeo, mettendo così fine a una lunga controversia tra i frati e l’organaro Lorenzo Stanga.
La sua produzione vocale di quegli anni fu rivolta soprattutto alla musica sacra: diede alle stampe un libro di mottetti a sei voci (1593) e i Sacri concentus da otto a sedici voci (1594), un ambizioso atto di omaggio alla tradizione policorale veneziana e, in particolare, ai Concerti (1587) di A. Gabrieli.
Il M. morì a Parma il 4 maggio 1604; secondo la testimonianza di Girolamo Borsieri, la causa fu un avvelenamento accidentale durante un esperimento alchemico, un interesse che il M. aveva coltivato forse già a Venezia, quando era in contatto con il noto alchimista Marco Bragadin (Edwards, 2006, p. 24).
Le esequie furono organizzate dal duca Ranuccio Farnese che, contravvenendo alle ultime volontà del M., il 10 maggio 1604, dopo una solenne cerimonia in cui fu eseguita una messa a due cori, lo fece seppellire in duomo di fronte alla tomba di de Rore.
Pochi mesi dopo uscì un altro libro di madrigali a cinque voci, la cui dedica è firmata dallo stesso M.; la raccolta contiene diverse composizioni appartenenti al genere del madrigale spirituale su testi di F. Petrarca, di Guarini e anonimi.
Tra i beni testamentari menzionati successivamente dal nipote Antonio, figura un piccolo organo positivo a quattro registri, parzialmente costruito dal M., conservato nel conservatorio di Parma e recentemente restaurato.
Il M. ebbe almeno tre mogli: Barbara Pellizoni (o Pellizzori), che sposò forse intorno al 1571, anno in cui chiese ai procuratori di S. Marco la concessione delle medesime facilitazioni date ad A. Gabrieli per l’affitto della casa; Barbara ebbe gravi problemi di salute, testimoniati da una supplica del M. ai procuratori per un aiuto economico, e morì nel settembre 1583. Una non meglio identificata Anzola, vedova dell’organaro Francesco Bressan, fu sposata dal M. il 4 febbr. 1584. Il 15 maggio 1588, infine, a Parma sposò Amabilia Banzola. Il M. ebbe solo una figlia, Antonia: sposatasi a Parma nel 1588 (Martini, p. 234), potrebbe essere nata da Barbara Pellizoni, se non addirittura da un precedente matrimonio di cui non si hanno notizie.
La musica che il M. lasciò manoscritta (un libro di mottetti a sei voci, uno di messe a due e tre cori, due di canzoni per tastiera, due di ricercari a quattro voci) fu pubblicata dal 1605 al 1611 a cura del pronipote Giacinto Merlotti, figlio di Antonio; in quegli anni Giacinto era poco più che un fanciullo (era nato nel 1595), ed è dunque probabile che la responsabilità dell’impresa non sia da attribuire a lui ma al padre. Giacinto Merlotti fu organista della cattedrale di Parma dal 1630 al 1650, anno in cui morì. Pubblicò un libro di madrigali a quattro voci «in stile moderno» (Venezia 1623), dedicato al duca Ferdinando Gonzaga, che ci è pervenuto incompleto.
Personalità poliedrica, figura perfettamente calata nelle diverse realtà in cui si trovò a operare, percorso da una sorta di irrequietezza interiore che lo spinse a una costante frenesia lavorativa (nonché all’interesse per l’alchimia), il M. è stato considerato fin dai suoi contemporanei soprattutto come l’inarrivabile esecutore, il grande didatta di organo e di composizione (tra i suoi allievi sono da annoverare F. Rovigo, G. Arnone, forse F. Maschera, G. Diruta, C. Angleria, che si appella spesso all’autorità del maestro nella sua Regola del contraponto e della musical compositione, Milano 1622) e il codificatore delle principali forme strumentali della seconda metà del Cinquecento, principalmente della toccata. Meno attenzione si è posta alla produzione del M. nel suo complesso, all’accorta pianificazione delle pubblicazioni, coincidente con le varie fasi della sua attività professionale e degli ambienti in cui si trovava a operare, nonché al suo essere costantemente in bilico fra tradizione e innovazione, tra soluzioni consolidate e sperimentazioni inedite, accortamente calcolate e impiegate nei generi più idonei. L’eccezionale importanza della sua produzione strumentale ha messo un po’ in ombra la musica vocale, sacra e profana, nonostante i molti motivi di interesse che offre. Rimane comunque da indagare a fondo la natura del linguaggio contrappuntistico del M. e delle sue radici originarie, dei diversi influssi e contaminazioni, delle stratificazioni avvenute nel corso degli anni per le continue sperimentazioni, e dei legami con tradizioni diverse da quelle veneziane, a cui troppo spesso si rimanda soprattutto nella definizione della musica sacra. Analogamente la produzione madrigalistica deve essere ancora adeguatamente inserita nel più vasto quadro del madrigale tardocinquecentesco per la presenza di pressoché tutti i principali aspetti della sua epoca, variamente elaborati e mescolati secondo i casi.
Per il catalogo complete delle opere si rimanda alla voce Merulo C. in The New Grove Dictionary of music and musicians, e Martini, pp. 381-410.
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R. Tibaldi