NAPOLEONI, Claudio
– Nacque all’Aquila il 5 marzo 1924, da Alfredo, romano, ingegnere del genio civile, e da Bice Nicoletti, aquilana, insegnante di calligrafia e disegno. Dopo la nascita del secondogenito Mario (1927), venuti meno gli impegni di lavoro del padre, la famiglia si trasferì a Roma.
Studente precoce e brillante (conseguì la maturità classica nel 1942, con un anno di anticipo, al liceo Mamiani di Roma), si iscrisse prima a scienze naturali e poi a filosofia all’Università di Roma, ma interruppe presto gli studi. Rappresenta, pertanto, uno dei rarissimi casi di professore universitario senza laurea. Dopo l’8 settembre 1943, mentre era in clandestinità, iniziò da autodidatta gli studi di economia.
Alla fine della guerra si iscrisse al Partito comunista italiano (PCI), divenne segretario della sezione Mazzini di Roma e animò la commissione economica del partito. Finché il PCI restò al governo, collaborò col Ministero delle Finanze. Successivamente diresse fino al 1950 La realtà economica, quindicinale del Comitato nazionale dei Consigli di gestione, e partecipò alla stesura del Piano del lavoro della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL). Nel 1951 si allontanò senza clamore dal PCI, limitandosi a non rinnovare la tessera, e per alcuni anni si dedicò intensamente agli studi economici.
Per lui, tuttavia, non solo il nesso tra economia e politica rimase sempre molto stretto ma l’economia fu sempre concepita al servizio dell’impegno politico.
Nel 1950 fu incaricato da Adriano Olivetti (su suggerimento di Giorgio Fuà) di curare un Dizionario di economia politica, pubblicato nel 1956 per le Edizioni di Comunità (Milano). Vi collaborarono alcuni dei più brillanti economisti italiani dell’epoca (tra gli altri, Federico Caffè, Siro Lombardini, Sergio Steve e Paolo Sylos Labini), anche se quasi la metà delle voci fu scritta dallo stesso Napoleoni.
Col Dizionario il ventennale ritardo che dai tempi del fascismo affliggeva gli studi economici nel nostro paese veniva colmato d’un colpo. A chi voleva studiare economia veniva messo a disposizione uno strumento che, nella nostra lingua, presentava in maniera rigorosa e completa la ‘frontiera’ della disciplina.
Negli stessi anni collaborò alla preparazione dello Schema Vanoni per lo sviluppo dell’economia italiana. Dal gennaio 1953 fu chiamato da Pasquale Saraceno come ricercatore alla SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), dove inizialmente curò una rassegna di letteratura economica internazionale. Sempre alla SVIMEZ diresse, dal 1958 al 1962, la Scuola di formazione e specializzazione sui problemi della teoria e della politica dello sviluppo economico.
La scuola si rivolgeva ai neolaureati, funzionando di fatto come un dottorato ante litteram. Era un ambiente vivace e ricco di stimoli, in cui si insegnavano le idee di John Maynard Keynes e di Piero Sraffa, nonché le grandi questioni dello sviluppo economico e il dibattito sulla politica economica. Oltre allo stesso Napoleoni, vi insegnarono docenti prestigiosi, tra i quali Gunnar Myrdal e Jan Tinbergen, futuri premi Nobel, e non è un caso che molti allievi siano divenuti in seguito importanti professori di economia nelle università italiane.
Tra la fine del 1960 e l’inizio del 1961 tenne per la RAI un ciclo di conversazioni radiofoniche sulla storia del pensiero economico, poi raccolte nel volume Il pensiero economico del ’900 (Roma 1961; 2a ed., Torino 1963), un testo di piccola mole ma di grande ricchezza e chiarezza, che mostra come Napoleoni fosse un profondo conoscitore e un ineguagliato divulgatore di teoria economica.
La fortuna del libro, dalla cui lettura hanno tratto profitto generazioni di economisti, è testimoniata da una nuova edizione (Torino 1990), uscita postuma a quasi trent’anni di distanza dalla prima (un intervallo di tempo enorme per un libro di economia), per predisporre la quale Napoleoni aveva cercato il contributo di uno studioso più giovane, Fabio Ranchetti. La nuova edizione differiva dalla precedente per l’aggiunta di alcuni capitoli dedicati agli sviluppi successivi del pensiero economico, lasciando inalterato il precedente testo con la sola integrazione, in ogni capitolo, di un’appendice di aggiornamento bibliografico.
All’inizio degli anni Sessanta diede vita, assieme a Franco Rodano, alla Rivista trimestrale, un’influente iniziativa di ricerca teorica finalizzata all’impegno politico, nella quale pubblicò nel corso degli anni (la collaborazione con Rodano si interruppe alla fine del decennio) una serie di importanti saggi su temi di teoria e politica economica. Napoleoni aveva conosciuto Rodano negli anni della guerra (il tramite era stato Felice Balbo che assieme a Rodano animava il Movimento dei cattolici comunisti) e nel 1950, con lui e altri cattolici confluiti nel PCI (tra cui, oltre a Balbo, Mario Motta e Giorgio Ceriani Sebregondi), aveva dato vita a un’altra rivista di ricerca economico-politica, il bimestrale Cultura e realtà. Quella esperienza ebbe vita breve – solo tre numeri – per l’ostilità sia del gruppo dirigente del PCI (che la reputava troppo eterodossa) sia delle gerarchie ecclesiastiche (che la trovavano troppo filocomunista). Anche a seguito di ciò, il gruppo (con l’eccezione di Rodano) lasciò il partito. Ma negli anni Sessanta i tempi erano cambiati e la Rivista trimestrale ebbe vita lunga e notevole influenza sulle future idee del PCI in materia di mercato e democrazia. In quegli anni le opinioni di Napoleoni e Rodano trovavano attento ascolto presso molti esponenti del gruppo dirigente comunista, anche se il partito non sempre seguiva i loro consigli.
Sempre negli anni Sessanta Napoleoni approdò, chiamato da Fuà, all’Università di Ancona, dove insegnò storia del pensiero economico, teoria dell’equilibrio generale e macroeconomia. La sua carriera accademica fu fortemente contrastata dall’establishment accademico (vinse la cattedra solo nel 1965). Gli studiosi più giovani lo apprezzavano e lo sostenevano, ma i cattedratici più anziani lo consideravano un outsider, un autodidatta al di fuori delle scuole e con una ‘eccessiva’ propensione all’impegno politico, anche se naturalmente la loro ostilità si esprimeva attraverso critiche, spesso ingenerose e ingiustificate, alla qualità dei suoi lavori scientifici. Dopo Ancona insegnò per un breve periodo a Roma (su invito di Caffè), poi a Napoli e infine, dal 1970, all’Università di Torino, dove fu chiamato da Siro Lombardini.
Nel 1968 Napoleoni e Rodano fondarono la Scuola italiana di scienze politiche ed economiche (SISPE): aperta a giovani usciti dalla scuola secondaria, forniva loro alcune borse di studio e aveva la finalità di arricchire la cultura e l’impegno politico ed economico delle nuove generazioni. Napoleoni vi insegnava la teoria economica classica, con uno spazio prevalente all’analisi economica di Marx. Dopo l’interruzione dei rapporti con Rodano, continuò da solo, fino al 1974, a gestire la Scuola, mantenendone la sigla ma cambiandone la denominazione (Scuola italiana di storia del pensiero economico).
A detta di quanti ebbero occasione di seguire le sue lezioni alla SISPE e all’università Napoleoni fu un magnifico insegnante. Aveva la capacità di presentare gli argomenti in modo a un tempo semplice e rigoroso. Nella sua esposizione, anche i nodi più difficili e controversi apparivano nitidi e chiari, senza che nulla si perdesse della loro complessità. Alcuni cicli delle sue lezioni sono stati raccolti in volume. Due esempi tra i molti: Smith, Ricardo, Marx, frutto di lezioni tenute alla SISPE (Torino 1970; nuova edizione rivista Torino 1973) e le Lezioni sul capitolo sesto (inedito) di Marx, tenute all’università di Torino all’inizio degli anni Settanta (Torino 1972).
Negli anni Settanta tornò a impegnarsi più direttamente nell’attività politica. In una prima fase tale accresciuto impegno si tradusse in un’intensificazione dei suoi interventi sulla politica economica italiana, dapprima sul settimanale Settegiorni (1970-71), poi su Il manifesto (1973-75), infine, a partire dal 1976, su la Repubblica, di cui divenne apprezzato opinionista. In seguito collaborò episodicamente ai quotidiani l’Unità e Paese Sera e, nel 1980, fondò e diresse il mensile (poi settimanale) Pace e guerra.
Nel 1976 fu eletto alla Camera dei deputati nella lista della Sinistra indipendente, nella quale si raccoglievano intellettuali di formazione laica e cattolica (tra gli altri, i cattolici Raniero La Valle, Adriano Ossicini e Piero Pratesi, il giurista Stefano Rodotà, l’economista Luigi Spaventa, il vecchio europeista Altiero Spinelli) che esprimevano posizioni politiche contigue a quelle del PCI e rappresentavano il punto di riferimento e di coagulo per una platea di intellettuali molto più ampia.
Emblematico al riguardo il Rapporto sull’economia italiana – elaborato presso il Centro studi del partito comunista (CESPE) nell’estate del 1976 – un documento in cui i problemi dell’economia italiana venivano lucidamente analizzati e veniva proposta una serie di interventi di politica economica. Tra gli estensori, oltre a Napoleoni, Spaventa e Spinelli, vi erano economisti come Lucio Izzo, Antonio Pedone e Sylos Labini, giuristi come Giuliano Amato, esponenti del PCI come Luciano Barca e Giorgio Napolitano, e del PSI come Giorgio Ruffolo, un sindacalista di punta come Bruno Trentin: insomma un nutrito gruppo di intellettuali e politici, rappresentativo di tutte le posizioni della sinistra, con l’unica eccezione della frangia estrema. Va aggiunto, tuttavia, che nei primi anni Settanta Napoleoni aveva talvolta simpatizzato con le posizioni politiche (ma, appunto, non con quelle economiche) dell’area politica a sinistra del PCI.
Restò membro del Parlamento italiano, prima alla Camera e poi, dal 1983, al Senato, fino alla morte prematura. Negli ultimi anni, sebbene ammalato di cancro (fu operato nel 1985), non smise di dedicarsi a tempo pieno all’attività politica (quando morì era ancora capogruppo della Sinistra indipendente al Senato) e a quella scientifica. Nel 1985 pubblicò la sua ultima importante monografia di teoria economica, il Discorso sull’economia politica, ed è datata 29 ottobre 1987 la sua Relazione alla XXVIII Riunione scientifica annuale della Società italiana degli economisti su La teoria del valore dopo Sraffa.
Napoleoni fu prima di tutto uno studioso di economia, ma il rapporto intenso con l’impegno politico fu tutt’altro che casuale. Questo ha comportato che egli coltivasse la sua disciplina in modo atipico e originale. La sua riflessione, cioè, non si esauriva mai, o quasi, nella dimensione economica del problema. Per lui un tema della scienza economica oppure il pensiero di uno studioso in tanto erano rilevanti in quanto avevano un’implicazione politica. D’altra parte, anche la politica veniva intesa da lui in senso ‘forte’, come ricerca delle strade per un cambiamento profondo, radicale, dell’assetto sociale storicamente dato. Di conseguenza la sua ricerca sconfinava spesso nei temi e nel linguaggio della riflessione filosofica. Quando ciò avveniva – negli ultimi anni con crescente frequenza – il suo pensiero e la sua prosa, così lucidi e limpidi quando gli argomenti erano quelli della teoria e della politica economica (per non parlare dei testi dedicati alla didattica), si facevano più ardui, difficili da afferrare e da assimilare. Anche per questo motivo il suo pensiero non mancò di suscitare reazioni contrastanti: poteva respingere o affascinare. E talvolta entrambe le reazioni potevano essere compresenti nella stessa persona.
Un altro possibile motivo di sconcerto era legato al fatto che, su molte questioni di teoria, di interpretazione e di policy, Napoleoni cambiò spesso posizione. Talvolta poteva succedere che atteggiamenti contrastanti, addirittura opposti, potessero coesistere in prese di posizione e in scritti quasi contemporanei. Per esempio, alla fine gli anni Settanta, in una serie di articoli comparsi su la Repubblica, Napoleoni si faceva fautore di interventi nell’economia italiana che potevano essere giudicati moderati. Contemporaneamente, in altri articoli e dibattiti pubblici prendeva sugli stessi temi posizioni molto più radicali. Tale modo di comportarsi, però, non va interpretato come un sintomo di incoerenza o di riflessione superficiale e perciò soggetta a frequenti cambiamenti. Al contrario, deve essere visto come il sintomo di una riflessione tormentata, come il continuo interrogarsi di una persona sempre in ricerca e che, proprio per questo, non esitava a mettersi continuamente in discussione. Si potrebbe sostenere che questi frequenti cambiamenti e contrasti fossero la spia di un rovello assillante, tipico di chi non smette mai di cercare risposte e soluzioni sempre allo stesso problema.
Questo problema, questione cruciale di tutta la riflessione scientifica di Napoleoni e di tutto il suo impegno politico, non è altro che il capitalismo, il sistema economico che caratterizza le economie sviluppate del mondo attuale. Contrariamente a quel che avviene per la stragrande maggioranza degli studiosi di economia, che ne analizzano gli aspetti, le caratteristiche e i meccanismi assumendo (o semplicemente dando per scontato) che esso sia la forma normale del funzionamento dell’economia, per Napoleoni il capitalismo è un assetto da superare, da sostituire con una diversa e superiore organizzazione dell’economia e della società. Tutta la sua riflessione di oltre quarant’anni continua a ruotare, in maniera quasi ossessiva, attorno a questo tema.
Se nel corso degli anni le idee di Napoleoni mutarono parecchio, percorrendo una singolare parabola «dalla scienza all’utopia» (come recita il titolo di una raccolta dei suoi ultimi scritti, a cura di G.L. Vaccarino, Torino 1992), quel che non cambiò mai fu il nucleo problematico della riflessione, rimasto sino alla fine quello del funzionamento dell’economia capitalistica, analizzato appunto dal punto di vista di chi si pone il problema politico del suo superamento. Procedendo in forma schematica si possono distinguere quattro periodi (o fasi). Il primo copre buona parte degli anni Cinquanta, il periodo, appunto, del Dizionario e della SVIMEZ. Sono gli anni in cui Napoleoni, da geniale autodidatta, si trasformò in un profondo conoscitore della scienza economica contemporanea e della storia del pensiero economico, tema, quest’ultimo, che avrebbe continuato a coltivare anche in seguito. Già in quegli anni, la sua conoscenza della ‘frontiera’ della disciplina non era fine a se stessa: voleva conoscere l’economia per servirsene a fini politici e perciò la valutava criticamente, in quanto non poneva sufficientemente a tema la questione del superamento del sistema economico dato. Per certi versi cercava di riproporre, nelle mutate condizioni del XX secolo, il nucleo centrale del programma scientifico di Marx, la sua critica dell’economia politica.
Napoleoni aveva cominciato a leggere Marx fin dagli anni Quaranta e non smise mai di farlo. Però diventò il centro della sua ricerca e della sua riflessione nella seconda e nella terza fase della nostra periodizzazione. La seconda fase copre gli anni Sessanta. Nei saggi pubblicati sulla Rivista trimestrale, criticava l’atteggiamento dogmatico dell’ortodossia marxista e cercava di storicizzare e riconsiderare criticamente le idee di Marx, per andare oltre e riprendere l’approccio dell’economia classica superandone le contraddizioni, in particolare quelle, da lui allora considerate insanabili, della teoria del valore lavoro. Di qui, tra l’altro, il suo rapporto controverso con le idee di Sraffa, la cui teoria del valore veniva da lui giudicata logicamente rigorosa ma storicamente muta, al contrario di quella di Marx considerata logicamente insostenibile ma storicamente significante.
L’atteggiamento di Napoleoni nei confronti di Marx cambiò repentinamente nel terzo periodo, che copre, grosso modo, la prima metà degli anni Settanta. In questa fase, le idee di Marx vennero rivalutate, e considerate la chiave interpretativa per impostare, sul terreno della teoria come su quello della policy, la questione del superamento rivoluzionario dell’assetto capitalistico. Per uno studioso in cui le implicazioni ‘politiche’ della ricerca vengono al primo posto, quando si tratta di scegliere tra una coerenza giudicata astratta e una contraddizione feconda, si può capire che quest’ultima venga preferita.
Ma Napoleoni restava uno scienziato, per il quale lo studio è sì animato dalla passione, ma quest’ultima non può fare a meno della ragione. Per lui la teoria economica doveva essere coerente, e quella di Marx non lo era. Per qualche anno lavorò, senza riuscirci, a tentare di sanare questa contraddizione. La sua conclusione fu che il nucleo dell’analisi di Marx, la teoria del valore lavoro, conservava una sua validità solo sul terreno filosofico, ma non poteva avere un riscontro analitico sul terreno scientifico. Ciò spiega perché l’ultimo periodo della ricerca intellettuale di Napoleoni, nel decennio conclusivo della sua vita, sia stato caratterizzato da un progressivo calo di interesse per i temi della teoria economica in senso stretto, e compensato da una crescita di attenzione per le implicazioni filosofiche dei temi economici e da un’intensificazione dell’impegno diretto nell’attività politica.
Morì il 31 luglio 1988 ad Andorno Micca, presso Biella, dove si era trasferito da qualche anno e viveva con la compagna, Annalisa Sala. Lasciava un figlio, Jacopo, di 13 mesi (nel 1962 aveva avuto un’altra figlia, Benedetta, nata da un precedente matrimonio con Jolanda Brignolo).
Opere: l’elenco dei lavori di Napoleoni, tra monografie, raccolte di saggi, articoli scientifici, libri di testo, articoli su quotidiani e periodici, interventi al Parlamento supera i 500 titoli, cui va aggiunto un certo numero di testi inediti. Un catalogo completo e ragionato, corredato da un’eccellente Introduzione di Giancarlo Beltrame (2002), è disponibile presso l’Istituto Gramsci Piemontese, dove sono altresì conservate le sue carte. Il catalogo è consultabile anche all’indirizzo www.gramscitorino.it. Qui ci si limita pertanto a un breve elenco delle pubblicazioni più significative, oltre a quelle già citate: La posizione del consumo nella teoria economica, in La Rivista trimestrale, I (1962), 1, pp. 3-26; Mercato, pianificazione e imprenditività, ibid., 3, pp. 471-489; Sfruttamento, alienazione e capitalismo, ibid.,II (1963), 7-8, pp. 400-29; L’equilibrio economico generale, Torino 1965; Sul significato del problema marxiano della ‘trasformazione’, in La Rivista trimestrale, V (1966), 17-18, pp. 110-119; Su alcuni problemi del marxismo, introd. a P. Sweezy et al., La teoria dello sviluppo capitalistico. Discussione del pensiero economico marxiano, Torino 1970 (pp. XIII-XXXIX); Valore, Milano 1976; Cercate ancora: lettera sulla laicità e ultimi scritti, a cura di R. La Valle, Roma 1990.
Fonti e Bibl.: per una dettagliata bibliografia si rinvia all’ampio elenco disponibile nel citato sito dell’Istituto Gramsci Piemontese; assai sinteticamente si possono qui richiamare almeno i lavori di R. Bellofiore, La passione della ragione: scienza economica e teoria critica in C. N., Milano 1991; La critica in economia. Su C. N., scritti di M. D’Antonio et al., a cura di G.L. Vaccarini, Roma 1992; G. Rodano, Il pensiero economico di C. N., in Rivista di politica economica, LXXXIX (1999), 4-5, pp. 5-28; G. Beltrame, C. N., Istituto Gramsci Piemontese, Torino 2002; D. Cavalieri, Scienza economica e umanesimo positivo. C. N. e la critica della ragione economica, Milano 2006.
Si ringraziano per la collaborazione Giancarlo Beltrame e Riccardo Bellofiore.