Claudio Tolomeo e la formalizzazione del cosmo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Personaggio enigmatico quanto all’aspetto biografico, Claudio Tolomeo è il grande artefice del cosmo geocentrico. In quattro opere – la Mathematiké syntaxis, le Tavole pratiche, l’Ipotesi sui pianeti e il Tetrabiblos – egli tratta tutti gli aspetti dell’astronomia antica. In particolare, le grandi potenzialità di calcolo rendono i modelli planetari esposti nella Mathematiké syntaxis difficili da sostituire per alcuni secoli, mentre l’Ipotesi sui pianeti dà un nuovo senso al vecchio cosmo aristotelico.
I modelli a epiciclo-concentrico, a eccentrico mobile o a eccentrico fisso elaborati da Apollonio di Perga e Ipparco di Nicea offrono notevoli vantaggi rispetto ai modelli a sfere omocentriche di Eudosso di Cnido e Callippo di Cizico, soprattutto nel calcolo delle posizioni planetarie. Lo studio e la soluzione di problemi attinenti le curve generate da due circonferenze in rotazione nel piano è enormemente più agevole dello studio di curve generate da quattro o cinque sfere in rotazione nello spazio. Quanto all’idea eliocentrica di Aristarco di Samo, i modelli di Apollonio e di Ipparco, rigorosamente geocentrici, evitano di dover spiegare perché nessuno riesce a percepire i moti vertiginosi della Terra sul proprio asse e intorno al Sole. La teoria degli epicicli e degli eccentrici non richiede perciò di modificare le concezioni tradizionali sul moto naturale dei corpi concepite da Aristotele.
Più delicato è il rapporto fra i modelli a epicicli e la macchina del cosmo. Se le sfere omocentriche si prestano a comporre una unità meccanica plausibile e rispettosa del dettato di Platone sul moto circolare uniforme dei corpi celesti, altrettanto non si può dire per i modelli composti da circonferenze. Epicicli, concentrici ed eccentrici rispondono anch’essi al dettato platonico; ma a cosa corrispondono nella realtà? Che cosa obbliga l’epiciclo a muoversi lungo il concentrico e il pianeta a muoversi lungo l’epiciclo? Come fanno il Sole e la Luna ad avanzare con velocità uniforme lungo circonferenze eccentriche rispetto alla Terra e alla sfera delle stelle fisse? In che modo il moto si propaga alle diverse circonferenze a partire dal primo motore esterno alla sfera delle fisse introdotto da Aristotele?
Tutte queste domande poste dai filosofi rimangono senza risposta da parte dei matematici. Questi ultimi si preoccupano di dare una spiegazione geometrica dei fenomeni celesti il più possibile fedele ai risultati di osservazioni accurate compiute con vari tipi di strumenti graduati, piuttosto che di definire la struttura fisica del cosmo. Questo atteggiamento è in parte condiviso da Claudio Tolomeo, un personaggio che, come suggerisce il nome, si situa a cavallo fra la tradizione scientifica greca e il mondo romano. Della sua vita non si conosce quasi nulla, eccetto che compie osservazioni astronomiche ad Alessandria d’Egitto fra il 127 e il 141, e che fra il 146 e il 147 colloca una stele a Canopo. La scarsità di informazioni giustifica alcuni errori biografici del passato, fra cui spicca, in periodo medievale, l’erronea identificazione del personaggio con un membro della dinastia reale dei Tolomei.
Sebbene sia autore di trattati generali (la Geografia e l’Ottica) o dedicati a problemi specialistici (l’Analemma e il Planisfero), Tolomeo deve la grande fama a quattro opere astronomiche fra loro complementari: la Mathematiké syntaxis, successivamente nota in Occidente come Almagesto (dal greco megisté e poi dall’arabo al megisti = la grande), le Tavole pratiche (o Tavole manuali), l’Ipotesi sui pianeti e il Tetrabiblos (“Opera in quattro libri”). Queste opere espongono nell’ordine l’astronomia matematica, le tavole per il calcolo dei moti planetari, l’idea di un sistema cosmologico in parte alternativo a quello di Aristotele e le basi dell’astronomia giudiziaria (astrologia).
L’apparente contraddittorietà degli argomenti discussi, e in modo speciale l’abbinamento fra astronomia e astrologia, è all’origine di ipotesi storiografiche anche fortemente discordi. Il variegato panorama che si presenta allo studioso mostra su opposte roccaforti i fautori della totale mancanza di originalità o, viceversa, i fautori dell’estrema originalità dell’opera di Tolomeo. Per i primi, che riconoscono come loro più radicale avvocato Robert R. Newton (The crime of Claudius Ptolemy, 1977), Tolomeo sarebbe soltanto un compilatore che non si vergogna di attingere a piene mani alle scoperte di Apollonio e di Ipparco, e di spacciarle come proprie. Per i secondi, recentemente capeggiati da Bernard R. Goldstein (What’s new in Ptolemy’s Almagest?, 2007), Tolomeo sarebbe un matematico assolutamente originale che avrebbe da solo scoperto anche tutto quanto la storiografia tradizionale attribuisce ad Apollonio e a Ipparco.
Entrambe le posizioni estreme trascurano le caratteristiche della scienza antica. Questa si delinea come un’impresa culturale dove non esiste il concetto di plagio e dove i matematici sono sempre fortemente indebitati con l’opera dei predecessori. L’antichità stessa di una teoria costituisce una forma di attendibilità dei risultati raggiunti dalla ricerca corrente. Il compito del matematico consiste, là dove è possibile, proprio nel raffinare le teorie esistenti. Il matematico ricorre a qualcosa di diverso solo quando le teorie esistenti discordano palesemente con i fenomeni osservati. Non ci si deve perciò meravigliare che l’attività scientifica di Tolomeo, indubbiamente uno dei più grandi matematici antichi, sia fortemente contesa fra tradizione e innovazione.
Il capolavoro di Tolomeo, la Mathematiké syntaxis, è un compendio sistematico di astronomia matematica. Nell’avvicinarsi a questo testo, strutturato in 13 libri, il lettore parte dalle concezioni di base dell’astronomia geocentrica e, assimilati pochi teoremi di trigonometria piana e sferica, è condotto per gradi fino a contemplare gli aspetti più raffinati dei moti planetari, sia in longitudine che in latitudine.
Il carattere sistematico è dichiarato da Tolomeo in apertura del primo libro della Mathematiké syntaxis, in un apposito capitolo “Sull’ordine dei teoremi”. A esso seguono brevi capitoli discorsivi su questioni generali: la sfericità dei cieli, la sfericità della Terra contro quanti la vorrebbero cilindrica o d’altra forma, la centralità e la ridottissima dimensione della Terra rispetto ai cieli, l’immobilità assoluta della Terra contro quanti la vorrebbero in movimento, e la presenza nei cieli di due principali moti circolari uniformi, uno secondo l’equatore celeste, l’altro secondo l’eclittica.
Il capitolo sull’immobilità della Terra mostra la dipendenza di Tolomeo dalla fisica aristotelica. Da un punto di vista puramente cinematico non c’è modo di distinguere fra la mobilità o l’immobilità della Terra. Tale modo esiste invece dal punto di vista dinamico. Tutti i corpi sublunari ai quali non è applicata una forza motrice tendono a muoversi in verticale verso il basso o verso l’alto. Se la Terra si muovesse, tutti i corpi che si trovano in aria temporaneamente (gli oggetti lanciati) o stabilmente (le nuvole e gli uccelli) dovrebbero rimanere indietro e presentare un moto velocissimo in direzione opposta. Tanto per intendersi, in unità moderne, il moto riscontrabile alla latitudine di Alessandria dovrebbe essere dell’ordine di 1000 km orari! Poiché l’aria stessa dovrebbe rimanere indietro, da est dovrebbe soffiare un vento costante e violentissimo. Se, d’altro canto, l’aria fosse per qualche ragione partecipe del moto terrestre e anche responsabile di fornire la forza motrice necessaria a mantenere i corpi volanti in moto violentissimo verso ovest, l’aria stessa dovrebbe essere così densa da impedire anche ogni altro movimento meno violento (per esempio camminare).
Alle premesse generali Tolomeo fa seguire le nozioni matematiche utili per affrontare i teoremi sul moto dei pianeti. Le prime nozioni riguardano come si prepara una tavola degli angoli e delle corde di circonferenza da essi sottese. La tavola, calcolata a partire da una circonferenza di raggio 60, è necessaria per svolgere i calcoli astronomici, ma anche per preparare le scale graduate degli strumenti d’osservazione. Fra le varie nozioni risalta subito la costruzione, con soli riga e compasso, del pentagono regolare. Per quanto possa sembrare curioso, questo poligono ha un ruolo chiave in astronomia; esso è indispensabile per dividere la circonferenza in 360 parti uguali nel modo più esatto possibile.
Con riga e compasso si possono bisecare gli archi di circonferenza fino a individuare gli angoli di 60°, 30° e 15°. La costruzione del pentagono regolare permette però di individuare anche l’angolo di 72°. Se a questo si toglie l’angolo di 60°, si ottiene l’angolo di 12° e, con bisezioni successive, si individuano gli angoli di 6° e 3°. La divisione di 3° è la più fine raggiungibile con soli riga e compasso. Per procedere oltre occorre confidare in un lemma, dimostrato da Tolomeo, sulla trascurabilità dell’errore che si commette trisecando l’angolo di 3° lungo la corda anziché lungo l’arco di circonferenza.
La spiegazione del moto dei pianeti richiede specifici strumenti di misura dei quali Tolomeo dà descrizioni ora più, ora meno accurate. Gli strumenti e i risultati che se ne ricavano sono sempre presentati prima di mostrare come i dati osservativi permettono di definire un determinato modello planetario. La Mathematiké syntaxis presenta innanzitutto gli strumenti per osservare il corso del Sole. È sul moto diurno e annuo di questo astro che si fonda l’astronomia di posizione. Il Sole opera infatti da elemento tracciante: descrive l’eclittica in un anno, descrive l’equatore celeste nel giorno dell’equinozio di primavera o d’autunno, e descrive i tropici del Cancro e del Capricorno rispettivamente nei giorni del solstizio d’estate e del solstizio d’inverno. Se si segue il corso del Sole con idonei strumenti si ricavano i parametri necessari per individuare ognuna di queste circonferenze celesti e, in seguito, per eseguire ogni altra misura.
L’armilla meridiana è il primo strumento con una scala graduata circolare documentato nell’astronomia occidentale. Come denota il nome, (il latino armilla significa “bracciale”) lo strumento è formato da un anello di bronzo a sezione quadra diviso in 360° e relative frazioni. L’anello è posto nel piano del meridiano del luogo d’osservazione e contiene un anello più piccolo, in tutto simile, che vi scorre dentro. Una faccia laterale dell’anello interno reca in punti diametralmente opposti due piastrine uguali munite di indici. Lo strumento, fissato all’aperto su una colonna e su un pavimento orizzontale, è posto in verticale con un filo a piombo calato dalla sommità dell’anello graduato. La collocazione nel piano del meridiano è invece ottenuta muovendo l’anello graduato fino a renderlo parallelo a una linea meridiana (la direttrice nord-sud) tracciata sul pavimento. Fatto ciò, si trova la posizione del Sole in transito al meridiano ruotando l’anello interno dello strumento fino a quando l’ombra della piastrina superiore cade al centro di quella inferiore. La misura è letta sulla scala graduata in corrispondenza degli indici.
Tolomeo presenta anche uno strumento equivalente di più agevole costruzione: il plinto (= quadrello, piastrella). Esso è formato da una piastra di pietra o di legno su una cui faccia liscia e squadrata è tracciato un quarto di circonferenza (quadrante) diviso in 90° e relative frazioni. Agli estremi del raggio verticale del quadrante rivolto a sud sono fissati due pioli cilindrici uguali e perpendicolari alla faccia dello strumento. Un piolo sporge dal centro usato per tracciare il quadrante, l’altro dall’estremo inferiore della scala graduata. Lo strumento è collocato all’aperto su un pavimento orizzontale con la faccia graduata disposta nel piano del meridiano. Per realizzare tale condizione, il lato inferiore della faccia graduata è sovrapposto alla linea meridiana tracciata sul pavimento. La verticalità rispetto all’orizzonte è invece ottenuta regolando dei cunei sottili finché il filo a piombo calato dall’estremità del piolo superiore tocca l’estremità del piolo inferiore. Si può a questo punto trovare la posizione del Sole al meridiano annotando la divisione che meglio corrisponde al centro dell’ombra proiettata a mezzogiorno dal piolo superiore.
Con entrambi gli strumenti si misura la distanza zenitale del Sole al meridiano, cioè l’angolo fra il punto della sfera celeste posto sulla verticale dell’osservatore e il centro del disco solare. La serie delle distanze zenitali meridiane ottenute in un anno è sempre compresa fra un massimo (al solstizio d’inverno) e un minimo (al solstizio d’estate) che portano a tre importanti risultati. La differenza fra il massimo e il minimo dà l’angolo di separazione fra i punti in cui i tropici del Cancro e del Capricorno tagliano il meridiano; la metà di questo angolo è la cosiddetta obliquità dell’eclittica. La media fra il valore massimo e quello minimo corrisponde alla distanza zenitale del punto in cui l’equatore celeste taglia il meridiano e permette così di conoscere la latitudine del luogo d’osservazione. L’individuazione dei giorni in cui il Sole raggiunge il valore massimo e quello minimo permette infine di misurare il tempo impiegato dal Sole a percorrere la metà inverno-primavera e la metà estate-autunno dell’eclittica.
Il terzo strumento necessario per studiare il corso del Sole è l’armilla equatoriale. Ideato alcuni secoli prima della Mathematiké syntaxis, lo strumento appare collocato in luoghi pubblici. Oltre a citare un passo del trattato di Ipparco Sullo spostamento dei punti solstiziali e equinoziali che ne menziona uno posto nella Stoa quadrata di Alessandria, Tolomeo nota la presenza di due strumenti simili nella Palestra di Alessandria. Il cuore dello strumento è costituito da un anello di bronzo non graduato e di sezione quadrangolare posto nel piano dell’equatore celeste. In altri termini, il diametro est-ovest dell’anello deve essere parallelo all’orizzonte, mentre il diametro nord-sud deve formare con la verticale un angolo pari alla latitudine del luogo. La particolare orientazione lascia supporre che l’anello sia fissato a una base in muratura mediante alcuni supporti.
L’istante dell’equinozio è colto esaminando l’ombra proiettata dall’armilla equatoriale in se stessa. Quando passa all’equinozio, il Sole giace nel piano dell’equatore celeste e nel piano dell’armilla equatoriale. L’ombra proiettata dalla metà dell’armilla rivolta verso il Sole appare dunque al centro della superficie concava dell’altra metà dell’armilla. Protraendo le osservazioni per almeno un anno si ottengono due importanti risultati. Il ritorno del Sole all’equinozio di primavera permette di stimare la durata dell’anno solare. Il tempo che intercorre fra gli equinozi di primavera e d’autunno permette invece di misurare il tempo impiegato dal Sole a percorrere la metà primavera-estate e la metà autunno-inverno dell’eclittica. Questo secondo risultato, combinato con i dati ottenuti con l’armilla meridiana o con il plinto, permette di stimare la durata delle singole stagioni.
Una buona teoria solare permette di ubicare le principali circonferenze celesti fino al tramonto; un risultato curioso per una materia, l’astronomia, che in massima parte riguarda l’osservazione notturna degli astri. Per risolvere il problema Tolomeo passa a studiare il moto lunare. La Luna è l’unico astro visibile sia prima che dopo il tramonto. Se si conosce la posizione della Luna rispetto al Sole, si può trasferire alla notte l’informazione sulle circonferenze celesti acquisita per il giorno.
Per trovare la longitudine e la latitudine della Luna rispetto all’eclittica Tolomeo introduce l’astrolabio armillare. Il nucleo dello strumento è costituito da due anelli uguali a sezione quadrata uniti ad angolo retto lungo un diametro comune. Un anello rappresenta l’eclittica, divisa in 360° e relative frazioni, e l’altro la circonferenza passante per i solstizi, i poli celesti e i poli eclittici. In coincidenza di questi ultimi il secondo anello reca due perni sporgenti. I perni sorreggono all’esterno un anello girevole che sfiora la superficie convessa degli anelli uniti e all’interno un altro anello girevole che sfiora la superficie concava degli anelli uniti. Anche questo anello interno è diviso in 360° e relative frazioni, in più contiene un ulteriore anello sottile, scorrevole e munito di due mire forate diametralmente opposte. L’anello che rappresenta la circonferenza passante per i solstizi e per i poli celesti reca in coincidenza di questi ultimi altri due perni che si inseriscono in un anello verticale fisso. Attraverso un rinvio all’armilla meridiana Tolomeo lascia intendere che l’astrolabio armillare va messo all’aperto, su una colonna posta su un pavimento orizzontale, e che per la corretta collocazione servono sia un filo a piombo, sia una linea meridiana.
L’astrolabio armillare materializza alcune circonferenze celesti e permette di orientarle seguendo i due principali movimenti celesti: da est verso ovest intorno ai poli celesti e da ovest verso est intorno ai poli dell’eclittica. Quando il Sole e la Luna appaiono entrambi sopra l’orizzonte, si ferma l’anello girevole esterno sull’anello dell’eclittica in corrispondenza della longitudine del Sole calcolata per il giorno d’osservazione. Si ruota quindi lo strumento intorno ai poli celesti e lo si rivolge verso il Sole, facendo sì che l’anello girevole esterno proietti la propria ombra in se stesso. Mantenendo questo primo allineamento, si ruota l’anello girevole interno finché si scorge la Luna attraverso le mire forate dell’anello ancora più interno. La longitudine della Luna è data dal grado in cui l’anello girevole interno tocca l’anello dell’eclittica, la latitudine dal grado dell’anello girevole interno corrispondente all’angolo fra la direzione delle mire e l’anello dell’eclittica.
Una volta elaborata una teoria della Luna, l’astrolabio armillare permette di determinare anche le longitudini e le latitudini di pianeti e stelle. Per procedere, si imposta l’anello girevole esterno rispetto all’anello dell’eclittica in modo da marcare la longitudine della Luna. Lo strumento va quindi ruotato in solido intorno ai poli celesti finché il centro della Luna appare nel piano dell’anello girevole. A questo punto si può puntare la stella attraverso le mire forate della coppia di anelli più interni per trovarne longitudine e latitudine. In questo modo si determinano le posizioni di alcune stelle luminose vicine all’eclittica, che diventano le depositarie ultime dell’informazione sulla posizione delle principali circonferenze celesti già trasferita dal Sole alla Luna. Riferendosi a queste stelle si può compiere ogni altra osservazione; basta predisporre l’anello girevole esterno dell’astrolabio armillare rispetto all’anello dell’eclittica secondo la longitudine di una stella di riferimento, ruotare in solido lo strumento intorno ai poli celesti finché la stella appare nel piano dell’anello girevole e, infine, misurare le coordinate eclittiche dell’astro desiderato con la coppia di anelli più interni.
Tuttavia, prima di puntare l’astrolabio armillare su pianeti e stelle occorre definire completamente la teoria lunare. La vicinanza alla Terra fa sì che la posizione apparente della Luna – quella che l’osservatore misura dal luogo dove si trova – e la posizione vera della Luna – quella che l’osservatore misurerebbe se potesse trovarsi al centro della Terra – coincidono solo se la Luna è allo zenit. In tutti gli altri casi l’astronomo deve conoscere la parallasse lunare, cioè la differenza angolare fra le due posizioni. Si tratta di un compito impegnativo che richiede un dispositivo in grado di rilevare minime differenze angolari.
Tolomeo costruisce perciò uno strumento parallattico grande e sensibile formato da due regoli rettangolari lunghi quattro cubiti (2 metri circa) e abbastanza spessi, per evitare distorsioni. I regoli sono imperniati su una estremità delle rispettive linee mediane. Il primo è inserito in una base, mentre il secondo, libero di girare, reca alle estremità due piastre parallele uguali e forate al centro. La piastra per l’occhio ha un foro più piccolo, l’altra ne ha uno più grande in modo che guardando attraverso entrambe appaia l’intero disco lunare. Su ciascun regolo, a partire dal punto di giunzione, sono tracciati due segmenti mediani di uguale lunghezza. Il segmento del regolo con la base è diviso in 60 parti e relative frazioni; esso è inoltre posto in verticale grazie a un filo a piombo sospeso fra due piastre uguali e parallele fissate sul retro del regolo. Lo strumento è quindi collocato all’aperto in modo che il regolo girevole rimanga sempre nel piano del meridiano individuato da una linea meridiana tracciata sul pavimento orizzontale. Un terzo regolo più sottile è imperniato sull’estremità inferiore del segmento graduato del regolo con la base. Esso permette di stabilire la distanza fra le estremità del segmento graduato e del segmento non graduato sul regolo girevole.
Lo strumento parallattico aggira la difficoltà materiale di costruire una scala graduata circolare tanto grande da apprezzare minime frazioni di grado. Del resto lo strumento equivale a una scala graduata circolare più di quanto non sembri: le estremità dei due regoli maggiori delineano un triangolo isoscele la cui base è la corda sottesa dall’angolo compreso fra due raggi di circonferenza. La divisione della scala graduata verticale in 60 parti serve ad abbinare lo strumento alla tavola delle corde di circonferenza già calcolata da Tolomeo. Si può così passare dalla corda, individuata con il regolo sottile, all’angolo al vertice dei due regoli maggiori; cioè alla distanza zenitale meridiana della Luna.
Tolomeo adotta infine la diottra di quattro cubiti per misurare i diametri apparenti del Sole e della Luna. Si tratta di uno strumento antico e di diversa concezione rispetto ai precedenti, pensato per misurare con precisione angoli minori di 1°. Da Tolomeo sappiamo che ne fa uso Ipparco. Dall’Arenario sappiamo invece che lo strumento è noto ad Archimede di Siracusa e forse anche a Aristarco di Samo. La diottra è formata da un regolo lungo quattro cubiti (2 metri circa) posto in orizzontale su un qualche supporto, in modo da osservare il Sole basso sull’orizzonte, per non danneggiare la vista. Messo l’occhio a una estremità del regolo, si sposta avanti e indietro una piastrina rettangolare fino a quando questa copre esattamente il disco solare. L’angolo sotteso dal disco solare si ricava dal rapporto fra la larghezza della piastrina coprente e la distanza di questa dall’occhio.
I sei strumenti d’osservazione introdotti da Tolomeo godranno di un successo più che millenario. Innanzitutto essi compaiono nelle opere dei vari commentatori della Mathematiké syntaxis. Questi autori – Pappo di Alessandria, Teone di Alessandria, Proclo Licio Diadoco – cercano di integrare le sommarie descrizioni di Tolomeo con altre notizie storiche, dimensioni, particolari costruttivi e alcuni perfezionamenti. In seguito, dal periodo medievale al periodo rinascimentale, qualunque astronomo desideroso di aggiornare i parametri celesti o di elaborare nuovi modelli planetari, lo farà con strumenti derivati da quelli della Mathematiké syntaxis.
Tolomeo non esaurisce ovviamente la lista degli strumenti astronomici che circolano in epoca romana. Egli accenna per esempio a strumenti didattici, come le sfere armillari per dimostrare la posizione delle principali circonferenze celesti, e ad alcuni strumenti di rappresentazione e di calcolo, come il globo celeste. Tolomeo evita invece di parlare degli strumenti d’osservazione più comuni o di quelli inaffidabili. Fra gli strumenti più comuni rientra lo gnomone, un’asta piantata verticalmente nel terreno e dalla lunghezza della cui ombra si ricava l’altezza del Sole sopra l’orizzonte. Le funzioni dello gnomone sono meglio svolte dall’armilla meridiana e dal plinto. Fra gli strumenti inaffidabili rientra invece la particolare diottra concepita da Erone di Alessandria per vari impieghi nel rilevamento terrestre e, all’occorrenza, anche per l’osservazione astronomica.
Le osservazioni compiute di persona, unite a quelle degli astronomi più antichi – i mesopotamici, Apollonio, Ipparco ecc. – offrono a Tolomeo una inestimabile banca dati. Le osservazioni coprono l’arco di alcuni secoli e permettono all’autore della Mathematiké syntaxis di definire il moto dei sette pianeti classici con una precisione mai raggiunta prima. In ciascun caso Tolomeo muove dalle teorie già introdotte da Apollonio e da Ipparco per definire modelli planetari perfezionati sia per il moto in longitudine che per il moto in latitudine.
Il pianeta che richiede il minimo sforzo di innovazione è il Sole. Negli ultimi capitoli del II libro e nel III libro della Mathematiké syntaxis, Tolomeo accetta integralmente il modello a eccentrico fisso ideato da Ipparco. L’unica cosa che appare necessario rivedere è il valore dell’eccentricità. Posto il raggio dell’eccentrico fisso pari a 60 parti (unità arbitrarie in sintonia con la tavola delle corde della Mathematiké syntaxis), la distanza del centro dell’eccentrico dalla Terra è di 3 parti. In aggiunta a una opportuna orientazione rispetto allo zodiaco della linea che congiunge l’apogeo e il perigeo del pianeta, il valore dell’eccentricità permette di descrivere adeguatamente la diversa velocità con cui il Sole percorre l’eclittica e, di conseguenza, la diversa lunghezza delle stagioni. Nel muoversi con velocità uniforme lungo l’eccentrico, il Sole è più vicino alla Terra in inverno che non in estate. Esso appare perciò muoversi più velocemente lungo lo zodiaco in inverno e più lentamente in estate. Per questo il periodo autunno-inverno è più corto del periodo primavera-estate.
La trattazione della Luna appare molto più complessa e richiede da sola tutto il V, il V e il VI libro della Mathematiké syntaxis. In questo caso Tolomeo parte ancora dalla teoria di Ipparco assumendo come base un modello a epiciclo concentrico del tipo equivalente a un eccentrico fisso. Egli adotta in più l’inclinazione del piano del modello di circa 5° rispetto all’eclittica, la lenta rotazione retrograda di questo piano da est verso ovest in circa 19 anni (precessione dei nodi) e la lenta rotazione diretta dell’apogeo lunare da ovest verso est in circa 9 anni (avanzamento dell’apogeo).
Tolomeo nota tuttavia che, in aggiunta all’anomalia zodiacale descritta dal modello di Ipparco, la Luna presenta anche una anomalia sinodica. I fenomeni osservati si spiegano con una variazione periodica del diametro angolare dell’epiciclo. Questo sottende un angolo massimo quando la Luna è in quadratura (primo e ultimo quarto) e minimo quando la Luna è in congiunzione e in opposizione (novilunio e plenilunio). Poiché la concezione cosmologica di Aristotele vieta che nei cieli avvengano mutamenti, Tolomeo rifiuta una variazione intrinseca del raggio dell’epiciclo. Egli spiega invece la nuova anomalia con una diminuzione periodica della distanza dell’epiciclo dalla Terra. La cosa migliore è collocare l’epiciclo su un eccentrico mobile. Mentre il centro dell’epiciclo si muove uniformemente da ovest verso est lungo l’eccentrico – ma rispetto alla Terra e non al centro dell’eccentrico – il centro dell’eccentrico ruota uniformemente da est verso ovest intorno alla Terra. L’eccentrico compie due giri ogni volta che l’epiciclo ne compie uno. In tal modo, nell’arco di un mese lunare, la Luna tocca due volte la distanza minima dalla Terra quando è in quadratura e due volte la distanza massima quando è in congiunzione e in opposizione al Sole.
Il caso della Luna rivela molto bene che Tolomeo agisce sempre per approssimazioni successive: per ogni nuova anomalia si aggiunge un correttivo al modello base. Di fatto, una volta corretto il modello lunare per la congiunzione, l’opposizione e le due quadrature, Tolomeo si trova alle prese con una ulteriore anomalia di tipo sinodico che insorge in altri punti della lunazione. Tale anomalia raggiunge il massimo agli ottanti (45° e 135° di elongazione dal Sole) e Tolomeo ne tiene conto introducendo nel modello un ulteriore artificio geometrico. Il moto della Luna lungo l’epiciclo non è uniforme rispetto alla Terra o rispetto al centro dell’eccentrico mobile, ma rispetto a un terzo punto che si trova in posizione sempre opposta al centro dell’eccentrico mobile.
Tutte queste complicazioni rendono il modello lunare di Tolomeo in grado di prevedere le posizioni della Luna con una precisione compatibile con le osservazioni. Esse contengono tuttavia anche evidenti contraddizioni con il dettato di Platone sull’uniformità dei moti celesti. L’ultimo accorgimento, in particolare, apparirà agli astronomi islamici medievali come una aperta violazione del moto circolare uniforme. Ma c’è di peggio! I diametri dei vari cerchi adottati da Tolomeo fanno sì che la Luna raggiunga all’apogeo una distanza dalla Terra doppia rispetto al perigeo. Se la variazione di distanza fosse reale, la Luna dovrebbe apparire grande il doppio al perigeo rispetto all’apogeo. Poiché nulla di ciò si verifica, il modello lunare depone a favore del carattere funzionale delle soluzioni adottate da Tolomeo. Tali soluzioni servono a calcolare le posizioni apparenti degli astri e non ambiscono a spiegare la fisica dei cieli. Dall’altro lato, l’eccessiva variazione di distanza prodotta dal modello di Tolomeo costituisce un elemento di confutazione che nel XIV secolo condurrà l’astronomo islamico Ibn al-Shatir a formulare una nuova teoria lunare.
Dopo la lunga sezione dedicata alla Luna, il VII e l’VIII libro della Mathematiké syntaxis trattano delle stelle fisse e della precessione degli equinozi. Le stelle – “fisse” in quanto le loro distanze reciproche non mutano – sono trattate come un tutto unico. Poiché all’epoca si ritiene che esse siano incastonate su un’unica sfera celeste cristallina, il moto di ciascuna è perfettamente descritto dal moto della sfera che le contiene. Per quanto riguarda la precessione degli equinozi Tolomeo conferma la velocità di rotazione della sfera delle fisse intorno ai poli eclittici già trovata da Ipparco. Come conseguenza di questa lentissima rotazione, le longitudini delle fisse, misurate sull’eclittica a partire dall’equinozio di primavera, aumentano di 1° ogni 100 anni. Quanto alla dislocazione delle fisse in sé, Tolomeo include nella Mathematiké syntaxis un catalogo di 1025 stelle (l’elenco ne conta 1028, ma tre sono ripetute) raggruppate in 48 costellazioni. Stelle e costellazioni di Tolomeo costituiranno un punto di riferimento per molti secoli. Basti pensare che l’esigenza di un nuovo catalogo stellare fondato su nuovi dati osservativi sarà avvertita alla metà del XV secolo dall’astronomo islamico Ulugh Beg e che solo all’inizio del XVII secolo apparirà il primo catalogo alternativo preparato da Tycho Brahe. Fior di altri astronomi, come per esempio Niccolò Copernico si limiteranno ad aggiornare il catalogo di Tolomeo aggiungendo alle longitudini stellari che vi sono riportate l’incremento dovuto alla precessione degli equinozi.
Tolomeo dedica invece i libri dal IX al XII della Mathematiké syntaxis al moto in longitudine dei rimanenti cinque pianeti. Il punto di partenza è in questo caso costituito dal modello a epiciclo concentrico del tipo elaborato da Apollonio. L’esame dei dati osservativi porta però Tolomeo a concludere che in aggiunta a una anomalia sinodica, identificabile nel fenomeno del moto retrogrado e spiegata dall’epiciclo, ciascun pianeta presenta una anomalia zodiacale. Le osservazioni rivelano infatti che l’angolo sotteso dall’epiciclo di ciascun pianeta appare più grande in alcune regioni dello zodiaco e più piccolo in altre. Inoltre la velocità del centro dell’epiciclo è maggiore in quelle regioni dello zodiaco dove l’epiciclo appare più grande e minore dove esso appare più piccolo.
Ancora una volta Tolomeo si attiene al principio di Aristotele sulla immutabilità dei cieli, motivo per cui l’epiciclo di un pianeta non può cambiare dimensione, e anche al principio dei moti celesti di Platone, per cui il centro dell’epiciclo deve muoversi di moto circolare uniforme. Nel perfezionare il modello base di Apollonio, Tolomeo ricorre perciò a due distinti espedienti. In primo luogo il centro dell’epiciclo non scorre su un concentrico, ma su un eccentrico fisso. In secondo luogo, per meglio calibrare il moto dell’epiciclo rispetto ai dati delle osservazioni, il centro dell’epiciclo si muove uniformemente rispetto a una speciale circonferenza equante, il cui centro non coincide né con il centro della Terra, né con il centro dell’eccentrico.
Nonostante le buone intenzioni, l’introduzione della circonferenza equante costituisce un artificio che viola l’uniformità dei moti celesti. Tuttavia, le notevoli potenzialità di previsione dei modelli tolemaici fanno sì che l’equante rappresenti un problema più per i filosofi, interessati a spiegare le cause fisiche dei moti, che per i matematici, interessati a prevedere le posizioni dei pianeti. Tanto più che eccentrici ed epicicli permettono di superare un’altra grave deficienza delle sfere omocentriche di Eudosso e di Callippo. Nel muoversi lungo lo zodiaco, i pianeti non seguono una circonferenza della sfera celeste, come fanno il Sole e la Luna, ma descrivono traiettorie complesse tanto in longitudine che in latitudine. Tali traiettorie – a cappio o a “S” – possono essere egregiamente spiegate dai modelli elaborati da Tolomeo. Basta infatti ipotizzare che i piani dell’eccentrico e dell’epiciclo non siano complanari, ma leggermente inclinati l’uno sull’altro. Alle latitudini dei moti planetari è di fatto dedicato tutto il tredicesimo e ultimo libro della Mathematiké syntaxis.
Necessario complemento a questa opera sono le Tavole pratiche. In questo lavoro, rivolto a quanti non desiderano approfondire gli aspetti geometrici dei moti planetari, Tolomeo raccoglie le tavole di calcolo con cui determinare, attraverso operazioni matematiche non più complesse di somme, sottrazioni e moltiplicazioni, le posizioni dei pianeti e altri fenomeni astronomici. L’opera non ci è tuttavia pervenuta nella forma originale, ma nella versione revisionata dal matematico Teone di Alessandria.
Nonostante dedichi maggiore attenzione alle potenzialità di previsione dei modelli planetari, Tolomeo prova anche a ridefinire la struttura del cosmo. L’uso dello strumento parallattico gli permette di determinare con buona precisione la distanza media della Luna, pari a 60 raggi terrestri. Mediante un procedimento che combina la distanza della Terra dalla Luna, i diametri di entrambe e il diametro dell’ombra proiettata dalla Terra sulla Luna durante una eclisse, Tolomeo ritiene anche di poter stimare la distanza del Sole in 1210 raggi terrestri, un dato grosso modo in linea con quello di Aristarco. Infine, nel primo capitolo del nono libro della Mathematiké syntaxis, Tolomeo avanza una ipotesi estetica sull’ordine dei pianeti. Egli pone al di sopra della Terra la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove e Saturno. “Perché, se si pone il Sole nel mezzo” – spiega Tolomeo – “si è in maggior accordo con la natura separando i pianeti che possono raggiungere tutte le possibili distanze dal Sole [Marte, Giove e Saturno] e quelli che non lo possono, ma sono sempre nelle sue vicinanze [Venere e Mercurio]”.
A questa disposizione – destinata a soppiantare quella di Anassagora di Clazomene – Tolomeo aggiunge in un’altra opera, l’Ipotesi sui pianeti, una teoria aggiornata sulla conformazione della macchina del mondo. Approssimativamente, il cosmo è costituito dalle otto sfere concentriche della tradizione platonica, sette per i pianeti e una per le stelle fisse. Ciascuna sfera planetaria ha però una conformazione particolare che ne fa l’equivalente fisico di un modello a epiciclo ed eccentrico fisso.
La sfera di un dato pianeta (per esempio Giove) è delimitata da due gusci sferici concentrici alla Terra. Il guscio esterno riceve il movimento dal guscio interno del pianeta soprastante (Saturno), mentre il guscio interno lo comunica al guscio esterno del pianeta sottostante (Marte). Fra i due gusci concentrici della sfera planetaria si trovano due gusci sferici eccentrici. Nella intercapedine fra questi ultimi rotola l’epiciclo, concepito come una sfera. Il movimento circolare uniforme è trasmesso in successione dal guscio concentrico più esterno al primo guscio sferico eccentrico, da questo all’epiciclo, dall’epiciclo al secondo guscio eccentrico, e da quest’ultimo al guscio concentrico più interno. In sintesi, Tolomeo trasforma ciascun modello a epiciclo ed eccentrico fisso in un equivalente tridimensionale. Se si taglia questo equivalente secondo il piano dell’eclittica, si ottiene una sezione dove il modello bidimensionale è individuabile senza troppe difficoltà.
Per completare la propria ipotesi cosmologica, Tolomeo impacchetta i gusci concentrici, i gusci eccentrici e gli epicicli l’uno nell’altro in modo che fra di essi non rimanga alcuno spazio vuoto. Lo spessore di una singola sfera planetaria e le dimensioni dei gusci sferici che la compongono sono stabiliti dalla differenza fra la massima e la minima distanza del pianeta dalla Terra. Il risultato è un sistema cosmologico di dimensioni piuttosto ridotte che rappresenta una ingegnosa fusione tra i modelli planetari di Tolomeo e la macchina del cosmo di Aristotele. Questo sistema, correntemente denominato dagli storici della scienza “aristotelico-tolemaico”, ha tuttavia un problema di fondo, che emergerà con forza nel mondo islamico a partire dal X secolo. Nel sistema il moto si propaga di guscio sferico in guscio sferico a partire dalle stelle fisse fino alla Luna. Nei punti di contatto fra gusci sferici adiacenti, un moto circolare uniforme di una certa entità diviene un moto circolare uniforme di un’altra entità. In nessun caso c’è modo di introdurre nel sistema un moto del centro dell’epiciclo che sia uniforme non rispetto ai centri dei gusci sferici eccentrici in cui l’epiciclo stesso è costretto a rotolare, ma rispetto al centro di una qualche altra sfera equante. Ne consegue che il nuovo sistema cosmologico introdotto dall’Ipotesi sui pianeti evidenzia il carattere fisicamente problematico della circonferenza equante introdotta nella Mathematiké syntaxis.
Fino ai primi anni del XVII secolo l’astronomia matematica conosce due fattori propulsivi: la misura del tempo (con l’annessa definizione del calendario) e l’interpretazione astrologica degli eventi astrali. Non deve perciò meravigliare che Tolomeo, oltre a definire aspetti matematici e fisici del cosmo, dedichi un’opera specifica alla lettura dei segni celesti. L’attribuzione agli astri di influssi in grado di agire sul mondo sublunare è presente in tutte le culture antiche. La relativa piccolezza del cosmo alessandrino (non più di 20.000 raggi terrestri) e il fatto che la Terra vi si trovi esattamente al centro predispongono a percepire le posizioni reciproche di stelle e pianeti in chiave antropocentrica. Già in epoca augustea, attraverso il poema Astronomica, in cinque libri, del poeta latino Marco Manilio, appare assodata la credenza nell’abbinamento fra le costellazioni dello zodiaco e le varie parti del corpo: Ariete e testa, Toro e collo, Gemelli e braccia, Cancro e petto, e via dicendo. Fra il cosmo e l’uomo esiste una relazione analogica ed è perciò possibile individuare nel primo le caratteristiche passate, presenti e future del secondo.
L’aspetto originale dell’opera astrologica di Tolomeo, il Tetrabiblos (“Opera in quattro libri”), non consiste nel contenuto, in buona parte composto dalle nozioni già circolanti nelle culture che confluiscono ad Alessandria: mesopotamica, egizia, greca e romana. L’aspetto originale è costituito invece, in perfetta analogia con la Mathematiké syntaxis, dall’esposizione sistematica del sapere astrologico. Dopo alcune premesse generali di ordine astronomico, il Tetrabiblos espone le corrispondenze geometriche fra gli astri e la Terra, e ne ricava conclusioni in merito alle influenze del cielo sopralunare sull’atmosfera, i popoli, le città, gli edifici e gli individui. Da questo punto di vista l’astrologia perde ogni connotazione magica o misterica e si configura come una applicazione pratica dell’astronomia matematica. Basandosi anch’essa sull’analisi di corrispondenze e di regolarità, l’astrologia diviene una scienza perfettamente accessibile a chiunque sia in grado di prevedere le posizioni di stelle e pianeti, e di comprenderne il significato, tutt’altro che occulto.
Nell’esposizione Tolomeo segue una linea di progressione dal grande al piccolo. Nei primi due libri del Tetrabiblos egli esamina le influenze degli astri sulla Terra. Le varie zone del pianeta, ripartite in latitudine e in longitudine, sono in corrispondenza diretta con le costellazioni zodiacali e con i pianeti. Dalle configurazioni celesti – e in modo particolare dalle eclissi – dipendono perciò i mutamenti generali del clima di una data regione, i cataclismi e le catastrofi che vi si verificano, l’indole delle popolazioni, la fortuna dei regni e delle città. Nel caso dell’individuo, oggetto degli ultimi due libri del Tetrabiblos, è invece decisivo conoscere il giorno e l’ora esatta della nascita. Tale conoscenza permette di ricostruire con esattezza le posizioni degli astri che hanno presieduto all’evento. Dalla configurazione iniziale e dall’evoluzione nel tempo degli aspetti planetari dipende una lunga serie di conseguenze nei vari ambiti della vita. Tolomeo ne tratta in modo sistematico in capitoli distinti: i genitori, i fratelli, la durata della vita, le malattie, la ricchezza, il prestigio personale, il matrimonio, i figli, gli amici, i viaggi e via dicendo.
Come per l’astronomia, anche alla base dell’astrologia di Tolomeo risiede la fisica di Aristotele. Alla teoria della materia, che vede in ogni corpo terrestre un composto di quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco), Aristotele accompagna infatti la teoria dei quattro umori (secco, umido, freddo e caldo) che caratterizzano gli elementi stessi. Secondo Tolomeo ogni costellazione zodiacale e ogni pianeta influiscono su un particolare umore. Si spiega così perché gli astri, con l’esaltare o deprimere gli effetti dei singoli umori, influiscono su ciascun corpo terrestre in misura proporzionata alla percentuale degli elementi che lo costituiscono.