Tolomeo, Claudio (Tolomeus)
Astronomo, matematico, geografo e cronologo illustre, nato in Egitto e fiorito tra il 120 e il 151 in Alessandria; è considerato l'ultimo epigono della scuola scientifica alessandrina. A lui si deve la più compiuta sintesi astronomica dell'antichità, ovvero l'elaborazione del sistema geocentrico rimasto per ben quattordici secoli imperante nell'insegnamento dell'astronomia e che, dal suo nome, è detto ‛ tolemaico '. In linea generale può dirsi che l'influenza di T. è stata per tutto il Medioevo e fino a Copernico tanto profonda ed estesa, in Oriente come in Europa, da rivelarsi inferiore soltanto a quella di Aristotele.
D., oltre ad annoverare T. tra gli spiriti magni del Limbo (If IV 142), ripetutamente fa appello alla sua autorità, senza però citarne le opere (Vn XXIX 2, Cv II III 5, XIII 25 e 30, XIV 8, Quaestio 72). Verosimilmente D. utilizzò, quale manuale astronomico, la riduzione dell'Almagesto operata da al-Fargānī, o Alfragano (v.), nella versione latina di Gherardo da Cremona nota come Liber de aggregationibus scientiae stellarum et principiis coelestium motuum (cfr. B. Nardi, D. e Alpetragio, p. 146). Ma che D. ignorasse T. è opinione non rispondente a verità, come V. Biagi ha mostrato identificando puntualmente le citazioni dantesche.
La Μαθηματικὴ σύνταξις τῆς ἀστρονομίας, o Almagesto (v.), il capolavoro di T. commentato da Pappo, Teone Alessandrino e Proclo, tradotto da Boezio in una versione latina andata perduta, era ampiamente diffuso nel Medioevo. Una traduzione araba apparve a Bagdad nel sec. IX - poi rivista alla fine del secolo da Thābit ibn Qurra - e al sec. XII risalgono le due versioni latine: la prima, del 1160 circa, tradotta in Sicilia direttamente dall'originale greco da autore anonimo, e l'altra di poco posteriore (1175), opera di Gherardo da Cremona ma condotta sul testo arabo. Benché probabilmente meno corretta, la versione di Gherardo soppiantò quella del 1160 che rimase praticamente ignorata.
In Cv Il XIV 7, D., riferendo l'oppinione di T. circa la natura della Galassia o Via Lattea, ricorda che essa non è altro che moltitudine di stelle fisse in quella parte, tanto picciole che distinguere di qua giù non le potemo, ma di loro apparisce quello albore, lo quale noi chiamiamo Galassia, che è dottrina espressa in Almagesto VIII 2 (ma cfr. Alberto Magno Meteor. I II 5).
L'importanza di un'altra opera di T., il Tetrabiblos od Opus quadripartitum, per lo studio dell'astrologia è pari a quella dell'Almagesto per la scienza astronomica. Introdotto in Europa nel 1138 in una versione latina condotta da Platone di Tivoli sul testo arabo, il Quadripartitum figura alle origini della penetrazione della cultura ellenistica in Occidente e precedette lo stesso Almagesto. La sua grande diffusione durante il Medioevo è altresì documentata dal rinnovarsi delle traduzioni: in particolare nel 1206, nella seconda metà del sec. XIII (a opera di Egidius de Thebaldis) e nel 1305 circa. Una sorta di compendio del Quadripartitum, l'apocrifo Centiloquium (o Fructus), fu tradotto da Giovanni di Siviglia nel 1136. In Cv II XIII 25, D. ricorda che Tolomeo dice, ne lo allegato libro, che Giove è stella di temperata complessione, in mezzo de la freddura di Saturno e de lo calore di Marte, dove per lo allegato libro, benché non espressamente citato, deve intendersi il Quadripartitum I 4 (cfr. V. Biagi, p. 60). Ancora in Cv II XIII 30 si legge: E se difetto in lei [cioè nell'astrologia] si crede per alcuno, non è da la sua parte, ma, sì come dice Tolomeo, è per la negligenza nostra, e a quella si dee imputare, che è tesi enunciata in Quadripartitum I 1-2. Al Centiloquium rimanda invece la citazione di Quaestio 72 (Unde cum vultus inferiores sint similes vultibus superioribus ut Ptolomaeus dicit).
Maggiore attenzione merita l'affermazione di D., due volte ripetuta, circa l'introduzione del nono cielo operata da T. nell'antico sistema del mondo. In Vn XXIX 2, D. dichiara che secondo Tolomeo e secondo la cristiana veritade, nove siano li cieli che si muovono, e ancora più diffusamente, in Cv II III 5, ribadisce che Tolomeo... costretto da li principii di filosofia, che di necessitade vuole uno primo mobile semplicissimo, puose un altro cielo essere fuori de lo Stellato... Sì che secondo lui... sono nove cieli mobili. L'esigenza di postulare una nona sfera oltre la stellata a cui assegnare il moto diurno da oriente verso occidente, era nata dalla scoperta della precessione degli equinozi (v.). Non v'ha dubbio che a T. spetti l'aver introdotto una nona sfera - ancorché nell'Almagesto non ne facesse menzione - da lui denominata " sfera motrice della sfera delle stelle fisse " o primo mobile, e in merito a tale attribuzione concordavano Averroè (" Opinio antiquorum est quod orbis octavus, scilicet stellatus est primus orbis. Ptolomaeus tamen posuit nonum, quia dicebat quod ipse invenit in stellis fixis motum tardum secundum ordinem signorum ", De Coelo II comm. 67) e Maestro Campano di Novara (Tractatus de sphaera, cc. 11-12).
Ma le ragioni che avevano costretto T. ad allargare il numero dei cieli, ben lungi dall'essere - come pretendeva D. - di ordine filosofico, erano rigorosamente astronomiche, mentre quei principii di filosofia, che di necessitade vuole uno primo mobile semplicissimo, erano invece ampiamente enunciati nel Liber de motibus coelorum dell'arabo Alpetragio. Questi, come ha dimostrato B. Nardi (D. e Alpetragio, cit., pp. 155-156), postulava l'esistenza di una nona sfera " per il principio filosofico, d'origine neoplatonica, che pone il semplice prima del complesso, l'uno prima del molteplice. E appunto come l'orbe supremo è richiesto per ridurre il molteplice all'uno, così il cielo stellato colla sua diversità di astri, e i cieli inferiori sono richiesti per spiegare la derivazione del molteplice dall'uno ". Tuttavia non sembra che D., che attribuisce gli argomenti filosofici di Alpetragio a T., avesse diretta conoscenza del Liber de motibus coelorum. Per spiegare il passo del Convivio basta infatti rifarsi al De Coelo di Alberto Magno: " Veniens autem post hos, Alpetragius Abuysac, in Astrologia nova quam induxit, per rationes necessarias probat, plures esse sphaeras quam octo. Quarum rationum fortiores sunt istae: quia ab uno motore primo simplici, in eo quod movetur ab ipso, non est nisi motus unus " (cfr. Alberto Magno Summa de creaturis III XII 3; Summa theol. II XI 52; Pietro d'Abano Conciliator diff. 9 e 10).
In Fiore CLXX 7 il manoscritto legge E tale l mise il giudicie: prendendo le mosse dal Roman de la Rose, " car ausinc le dit Tholomée " (v. 13607 ediz. Lecoy), già il Castets corregge E Tolomeo già dice, correzione sostanzialmente accolta dal Parodi nella forma e Tolomeus già dice in sua leggenda.
Bibl. - V. Biagi, La Quaestio de aqua et terra di D., Modena 1907; C. H. Haskins-D. Putnam Lockwood, The Sicilian Translators of the Twelfth Century and the First Latin Version of Ptolemy's Almagest, in " Harward Studies in Classical Philology " XXI (1910) 75-102; F. Angelitti, in " Bull. " XVIII (1911) 22-47; B. Nardi, D. e Alpetragio, in " Giorn. d. " XXIX (1924) 41-53 (rist. in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 139-166); C.H. Haskins, Studies in the history of mediaeval science, Cambridge 1927²; G. Sarton, Introduction to the history of science, I, Baltimora 1927; II, ibid. 1931; L. Thorndike, A History of magic and experimental Science, I, New York-Londra 1964, 3; P. Duhem, Le système du monde, Parigi 1965.