TREVES, Claudio
– Nacque a Torino il 24 marzo 1869, ottavo figlio di Claudio Graziadio, commerciante in tessuti, e di Susanna Valabrega.
Morto il padre nel 1875, fu cresciuto dalla madre che, pur non essendo un’ebrea ortodossa, gli diede un’educazione religiosa, e dal tutore, l’avvocato Moise Amar. Ancora studente del liceo Cavour, maturò il suo interesse per il teatro e la politica, avvicinandosi dapprima agli ambienti repubblicani e aderendo all’Associazione democratica subalpina. Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino, vi si laureò il 9 luglio 1891, legandosi d’amicizia con Guglielmo Ferrero, che lo spinse prima a iscriversi all’Associazione radicale universitaria e a scrivere per L’Italia dei giovani, poi ad associarsi alla Lega democratico-sociale. La partecipazione alle riunioni della Lega italiana per la pace, di cui divenne segretario, intervenendo al III Congresso internazionale per la pace tenutosi a Roma nel novembre del 1891, ampliò ulteriormente i suoi interessi in senso internazionalista a favore della nazione armata al posto degli eserciti permanenti. Nell’aprile del 1892 pubblicò il suo primo articolo (La teorica delle braccia incrociate) sulla Critica sociale, fortemente influenzato dalle teorie evoluzionistiche e positivistiche, preconizzando l’avvento ineluttabile del socialismo, sia pure con l’ausilio di un’attività di propaganda volta a formare la coscienza popolare. Il 15 novembre dello stesso anno aderì, con altri esponenti della Lega, al Partito dei lavoratori italiani. Ne fondò la sezione torinese, partecipò al congresso di Reggio Emilia e iniziò a collaborare assiduamente con il suo organo di stampa, Il grido del popolo. Fiero oppositore di Francesco Crispi, il 14 novembre 1894 difese se stesso e i propri compagni nel processo intentato dalla pretura di Torino per aver continuato l’attività del disciolto Partito socialista dei lavoratori. Al termine del procedimento fu condannato a due mesi di confino. Nel dicembre dello stesso anno partì con Ferrero verso Berlino, da dove inviò numerose corrispondenze a vari giornali italiani, interessandosi delle condizioni dei lavoratori emigrati e della vita politica tedesca e manifestando tutta la sua ammirazione per la socialdemocrazia tedesca. Dopo il confino trascorso a Ceva, nel Cuneese, ripartì per la Germania alla fine di ottobre, dove collaborò con il Vorwärts, l’organo del partito socialdemocratico, grazie all’amicizia con Adolf Braun, che ne era redattore capo.
Al suo ritorno in Italia, nel giugno del 1896, divenne direttore del Grido del popolo e iniziò la sua collaborazione con l’Avanti!, conducendo una dura lotta contro il governo presieduto da Antonio Starabba di Rudinì. In questa battaglia invocò contro l’introduzione del domicilio coatto anche l’intervento dei «conservatori sinceri, i quali non nella soppressione delle civili libertà, ma nel saggio e prudente governo vedono un argine all’irrompere dell’idea sovvertitrice» (In guardia! La legge sul domicilio coatto, in Il grido del popolo, 3 luglio 1897). Nel settembre del 1897, dopo un viaggio estivo nell’Europa del Nord, partecipò al V Congresso nazionale del Partito socialista italiano (PSI), tenutosi a Bologna, in cui, pur dichiarandosi a favore dell’alleanza con le forze borghesi progressiste, criticò la relazione di Filippo Turati sul ‘programma minimo’, rivendicandone la natura socialista e non semplicemente democratica. Di fronte ai fatti del maggio del 1898 si fece promotore di un Manifesto ai lavoratori e ai socialisti del Piemonte, in cui si invitava alla calma e a dare prova di maturità politica. Ciononostante, ricercato dalla polizia, si recò prima in Svizzera e poi a Parigi, dove fu raggiunto dalla notizia della condanna di Anna Kuliscioff e Turati e dove assistette al montare dell’affaire Dreyfus. Chiamato a Milano per dirigere la Lotta di classe, promosse il Pro amnistia, una pubblicazione periodica che aveva lo scopo di sollecitare l’amnistia per i detenuti politici. Di fronte ai decreti Pelloux, che prevedevano severe limitazioni alla libertà di stampa e al diritto di sciopero, il 1° agosto 1899 pubblicò sulla Critica sociale l’articolo Giolitti in cui invocava la collaborazione tra i socialisti e la Sinistra costituzionale per il ripristino delle libertà statutarie. In vista del congresso socialista che si tenne a Roma dall’8 al 12 settembre 1900 preparò con Carlo Sambucco e Turati una bozza di ‘programma minimo’, di cui fu relatore, destinato poi a diventare negli anni successivi il manifesto programmatico del riformismo italiano.
Il testo contemplava richieste di carattere politico (suffragio universale, rappresentanza proporzionale, indennità parlamentare, controllo della Camera sulle decisioni di politica estera, libertà di opinione e di sciopero), economico (tutela del lavoro dei fanciulli e delle donne, istituzione del ministero del Lavoro, nazionalizzazione dei trasporti), amministrativo (decentramento, riforma giudiziaria, obbligo scolastico fino alla quinta elementare, maggiore equità fiscale).
Treves presentò inoltre, con Giuseppe Emanuele Modigliani e Camillo Prampolini, un ordine del giorno sulla tattica elettorale che prevedeva, nei vari collegi elettorali, la libertà di scegliere alleanze locali con i partiti vicini. In quello stesso periodo pubblicò una serie di articoli sulla Critica sociale in cui sostenne la propria ‘eresia riformista’, affermando la necessità di avere, dentro al PSI, più tecnici che agitatori. Contro le repliche astiose dei vari Enrico Ferri e Giovanni Lerda, dovette intervenire lo stesso Turati che, per difenderlo, così lo descrisse: «Il Treves [...] è una mente poliedrica e critica, naturalmente adattissima alle sane ribellioni non conformiste, e la molteplice sua attività intellettuale, i suoi lunghi soggiorni in ambienti diversi, soprattutto nei centri maggiori del movimento proletario germanico, ne hanno ancora avvalorato la nativa agilità scrutatrice» (Postilla, in Critica sociale, 16 novembre 1900, pp. 341 s.). A testimonianza dell’indirizzo riformista e insieme pragmatico assunto, il 22 dicembre 1900 la Lotta di classe cambiava titolo alla testata divenendo L’Azione socialista, dalla cui direzione Treves si dimise il 22 febbraio 1901 per assumere l’incarico di notista politico del quotidiano milanese Il Tempo, che iniziò a dirigere dall’aprile del 1902. Di fronte al nuovo atteggiamento del governo Zanardelli-Giolitti nel campo delle lotte operaie, Treves difese il ‘ministerialismo’ di Turati, cioè l’appoggio dato dai socialisti al dicastero nel caso in cui agisse secondo gli interessi del proletariato (Una lotta per la sincerità politica. L’opera di Filippo Turati, in Il Tempo, 19 luglio 1901). La federazione socialista milanese bocciò però un ordine del giorno Turati che rendeva esplicito l’appoggio al governo per incalzarlo a fare dell’Italia un Paese moderno, costringendo quindi lo stesso Turati, Kuliscioff e Treves a fondare provvisoriamente un’autonoma Unione socialista milanese. Al settimo congresso nazionale socialista, tenutosi a Imola nel settembre del 1902, Treves fu quindi l’estensore materiale del vittorioso ordine del giorno riformista, presentato da Ivanoe Bonomi, in cui si affermava che non vi era contraddizione tra rivoluzione e riforme e si invitava il gruppo parlamentare ad adottare, di fronte all’azione del governo, la tattica del ‘caso per caso’. La mancata attuazione di alcune riforme, prima tra tutte quella fiscale, e la crisi stessa del ministero costrinsero però i socialisti, fin dalla primavera seguente, all’opposizione; un passaggio questo fortemente auspicato dallo stesso Treves, che non mancò di criticare anche la formazione del nuovo governo Giolitti, visto come un ennesimo esempio di trasformismo (Il voltafaccia, in Il Tempo, 31 ottobre 1903). Nonostante la sconfitta dei riformisti al congresso di Bologna dell’aprile 1904 a opera degli intransigenti di Ferri e dei sindacalisti rivoluzionari di Arturo Labriola, Treves partecipò ugualmente, nell’estate dello stesso anno, al convegno di Amsterdam dell’Internazionale, dove ebbe modo di conoscere i principali leader del socialismo dell’epoca: August Friedrich Bebel, Jean Jaurès, Émile Vandervelde.
Gli scioperi generali nelle campagne della pianura Padana e del Mezzogiorno lo indussero, nei mesi successivi, a una riflessione sui limiti della politica riformista, convincendolo della necessità di introdurre quanto prima il suffragio universale di cui fu, da quel momento, un tenace assertore. Il 3 giugno 1906 fu quindi eletto deputato del VI collegio di Milano, sconfiggendo, con 2068 voti contro 1418, il liberale Cesare Agrati e il candidato ufficiale della Federazione socialista milanese, Costantino Lazzari, che ne raccolse solo 237. Durante il suo primo mandato parlamentare, negli anni del terzo ministero Giolitti (1906-09), Treves sembrò apparentemente non rivestire un ruolo di primo piano all’interno del Partito socialista, dove i riformisti, al congresso di Roma (ottobre 1906), erano tornati in maggioranza, appoggiando l’ordine del giorno ‘integralista’ di Oddino Morgari. Ma, dopo il necessario apprendistato, intervenne con sempre maggiore autorevolezza nei lavori della Camera, in particolare sui temi della difesa e della politica estera, sostenendo, fin dall’inizio, la legittimità dell’esistenza della patria, ma auspicando, al contempo, l’eliminazione della guerra e la democratizzazione dell’esercito. In quel periodo sviluppò anche la rivendicazione, nei confronti delle prime critiche di Gaetano Salvemini, dell’autonomia del Partito socialista rispetto alle organizzazioni economico-sindacali (Il morto Partito socialista e l’Areopago nazionale che lo deve sostituire, in Il Tempo, 17 marzo 1907); il che lo avrebbe portato a polemizzare con il revisionismo espresso da Bonomi nelle Vie nuove del socialismo (Milano-Palermo-Napoli 1907).
Nel frattempo, il 10 gennaio 1907 sposò la veneziana Olga Levi, figlia dell’avvocato Giacomo, direttore delle Assicurazioni generali, e sorella di Alessandro, docente di filosofia del diritto. Con lei ebbe due figli: Paolo (1908-1958, storico delle dottrine politiche, giornalista e politico) e Piero (1911-1992, storico dell’antichità), sui quali si vedano le voci in questo Dizionario.
Rieletto deputato nelle elezioni del 7 marzo 1909, dopo le dimissioni del ministero Sonnino appoggiò, con il gruppo parlamentare socialista, il nuovo governo Luzzatti, parlando in aula il 29 aprile 1910 al momento della presentazione del programma e sostenendo il disegno di legge Daneo-Credaro sull’istruzione elementare, che definì «la più forte conquista politica della democrazia conseguita in questi ultimi anni» (Il risultato, in Il Tempo, 7 luglio 1910). Il 19 giugno 1910 fu eletto come primo della lista socialista alle elezioni comunali di Milano. Giungeva però a conclusione, non riuscendo a reggere la concorrenza dei grandi quotidiani ed essendo fallita l’ipotesi di una fusione con l’Avanti!, l’esperienza del Tempo, che cessò le pubblicazioni il 25 settembre 1910. Il 26 ottobre dello stesso anno il congresso socialista di Milano lo nominò direttore dell’organo ufficiale del partito, l’Avanti!, sulle cui colonne attaccò immediatamente il nascente movimento nazionalista (I nazionalisti, 27 novembre 1910), provocando la dura replica di Luigi Federzoni, con il quale, pochi giorni dopo, giunse a sfidarsi a duello. La campagna di stampa condotta contro la guerra di Libia – che lo portò a sostenere l’espulsione dal PSI di Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi e Angiolo Cabrini – contribuì al rilancio del giornale (che nel frattempo aveva trasferito la propria sede a Milano, in via San Damiano 16), nella convinzione che l’avventura tripolina non potesse «passare sopra un paese senza scuoterne fino alle radici la situazione politica» (Soli! Soli! Soli!, in Avanti!, 5 dicembre 1911).
Lasciata la direzione del giornale, dopo il congresso di Reggio Emilia del luglio del 1912, a Giovanni Bacci, esponente della nuova maggioranza intransigente (che quattro mesi dopo fu sostituito da Benito Mussolini), Treves continuò a occuparsi soprattutto della situazione politica internazionale, di cui intravedeva i rischi: ribadì l’impegno dei socialisti per la pace e per la solidarietà con i popoli oppressi, chiese un’inchiesta parlamentare sulla guerra di Libia e infine presentò al congresso socialista di Ancona del 26-29 aprile 1914, insieme a Silvano Fasulo, una relazione su Il problema degli armamenti e l’azione del movimento operaio internazionale, fortemente influenzata dall’analisi di Rudolf Hilferding sul ruolo del capitalismo finanziario nello sviluppo dell’imperialismo e nella corsa al riarmo. Percepì quindi subito, dopo l’ultimatum austriaco alla Serbia, la portata della guerra che stava per scoppiare: «Non sarà un duello, ma sarà la tragedia, l’ecatombe, il macello, la conflagrazione, di tutti i popoli e di tutte le genti, vasta ed orribile, oltre ogni memoria di stragi nella storia d’Europa» (Il Vice, L’ora tragica, in Critica sociale, 1-15 agosto 1914, p. 225). Di fronte alla defezione di Mussolini e al fallimento dell’Internazionale socialista, Treves mantenne la sua posizione a favore della neutralità italiana, nella convinzione che fosse necessario cercare fino all’ultimo una via d’uscita che, difendendo la coerenza delle posizioni socialiste e la loro agibilità politica, non rinnegasse la nazione. Proprio sul tema della propaganda contro la guerra Treves ebbe uno scontro, indicativo delle differenze nell’impostazione e nella strategia, con il nuovo direttore dell’Avanti!, il massimalista Giacinto Menotti Serrati . La partecipazione del deputato riformista, il 30 novembre 1914, a un convegno per la neutralità indetto a Milano dall’associazione borghese Pro Humanitate fu infatti criticata dal quotidiano del partito; Treves replicò che era assurdo pensare di portare l’agitazione in favore della pace solo tra i socialisti, mentre gli interventisti si muovevano in tutti gli ambienti, appellandosi alle più diverse passioni per convincere il loro uditorio (Una lettera dell’on. Treves a proposito del convegno “Pro Humanitate”, in Avanti!, 2 dicembre 1914). Il 4 dicembre, quando il secondo governo Salandra si presentò alla Camera, Treves, dopo essersi opposto alla proposta di approvare per acclamazione le comunicazioni del presidente del Consiglio, non poté comunque non far rilevare l’abisso che separava la concezione della neutralità socialista da quella del governo: la guerra sarebbe stata, in ogni caso, lunga; ai socialisti non interessava la politica di potenza, ma il possibile ruolo di mediazione dell’Italia, «depositaria di tutte le convenzioni internazionali che la guerra ha potuto lacerare, sospendere, ma non distruggere» (C. Treves, Discorsi parlamentari..., 1995, p. 231). Peraltro, Treves criticava, per la sua inerzia, anche la politica della direzione massimalista: «Da sei mesi noi socialisti discutiamo sulla neutralità, ma non facciamo la propaganda della neutralità», si legge nel resoconto del suo intervento alla riunione della sezione socialista milanese a inizio 1915 (Avanti!, 6 febbraio 1915). La denuncia delle motivazioni di politica interna – «La guerra allo straniero è per il Governo eccellente pretesto per fare la guerra all’interno al proletariato» (La guerra più vera, ibid., 18 marzo 1915) – provocò invece la durissima reazione, anche sul piano personale, di Mussolini (Palanca greca, in Il Popolo d’Italia, 19 marzo 1915), costringendo Treves a un nuovo duello, svoltosi il 29 marzo 1915 a Milano e conclusosi solo all’ottavo assalto. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, Treves, pur riconoscendo che la partecipazione al conflitto poneva anche ai socialisti dei nuovi «doveri politici» (I ‘principii’ e l’‘azione’, in Critica sociale, 16-30 giugno 1915, p. 179), soprattutto nel campo dell’assistenza alle famiglie dei richiamati, continuò a sperare in una ripresa dell’internazionalismo socialista, anche confidando, sulle orme di Karl Kautsky, sull’esistenza di un’ala ‘ultraimperialistica’ del capitalismo, favorevole alla pace. Si comprende quindi che abbia guardato con favore alla Rivoluzione russa del marzo del 1917 e all’intervento americano, come mostrò nel suo discorso alla Camera del 12 luglio 1917, conclusosi, dopo la critica del fallimento della guerra imperialistica, con un appello destinato a diventare celebre: «Il prossimo inverno non più in trincea» (C. Treves, Discorsi parlamentari..., cit., pp. 292-302). La disfatta di Caporetto inflisse un duro colpo alle sue speranze, spingendolo, in un articolo che comparve a firma anche di Turati, ma in realtà solo opera sua, a incitare il proletariato alla difesa del territorio nazionale, pur senza negare tutte le responsabilità della classe dirigente (Proletariato e resistenza, in Critica sociale, 1-15 novembre 1917, p. 256); il che non gli risparmiò, ancora una volta, le invettive di Mussolini (Ed ora ai fatti, in Il Popolo d’Italia, 24 dicembre 1917).
Il giudizio di Treves sulla Rivoluzione d’ottobre fu, anche per questo motivo, inizialmente non negativo, salvo poi rapidamente accentuare tutte le sue riserve ideologiche (Lenin, Martoff e... noi, in Critica sociale, 1-15 gennaio 1918, p. 5), difendendo però la legittimità della rivoluzione. La Pace rivoluzionaria (per utilizzare il titolo di un suo articolo apparso sulla Critica sociale, 16-30 novembre 1918, p. 253) fu, sostanzialmente, l’illusione nutrita dal deputato torinese alla fine della guerra: la netta vittoria massimalista al congresso socialista di Roma (ottobre del 1918) e, sul piano internazionale, gli esiti della conferenza di Versailles, avevano però già mostrato l’impossibilità, nel nuovo clima politico del dopoguerra, di riprendere una collaborazione tra socialismo riformista e liberalismo democratico.
Dopo le elezioni del novembre del 1919 e durante il ‘biennio rosso’ il problema principale per Treves fu quindi quello di elaborare una strategia credibile per il movimento operaio italiano. Una questione di non facile soluzione, come mostrarono la sua avversione a un accordo con i popolari di don Luigi Sturzo e il ritorno all’evoluzionismo della giovinezza, evidente nel discorso parlamentare del 30 marzo 1920, noto come il discorso dell’‘espiazione’, con riferimento alla guerra: «La rivoluzione è un evo, non un giorno, ha gli aspetti di un fenomeno di natura: erosioni lente, dirupamenti rapidi. Ci siamo in pieno e ci resteremo per un bel numero di anni» (Discorsi parlamentari..., cit., pp. 346 s.). Ciò spiega, peraltro, il suo battersi contro la scissione di Livorno, prendendo atto con amarezza della fuoriuscita comunista: «Nella scissione noi non ci sentiamo vincitori, ma vinti nel Partito e col Partito» (Dopo Livorno. La scissione, in Critica sociale, 1-15 febbraio 1921, p. 35). La rapida avanzata dello squadrismo fascista e la consapevolezza del blocco di interessi che si stava creando attorno a esso lo costrinsero a rivalutare la possibilità di un appoggio socialista a qualsiasi governo che difendesse le libertà democratiche, fino a constatare l’inevitabilità della scissione dai massimalisti, avvenuta al congresso di Roma dell’ottobre del 1922. Treves aderì quindi al nuovo Partito socialista unitario, del cui organo di stampa, La Giustizia, fu nominato direttore, denunciando continuamente il carattere antidemocratico del governo Mussolini, ma confidando ancora nella tenuta (e nell’influenza) del sistema internazionale, anche attraverso una revisione degli accordi di Versailles (Da Versailles a Genova, in Critica sociale, 1-15 aprile 1922, pp. 97 s., e prefazione a una raccolta di scritti di John Maynard Keynes, La revisione del Trattato, Roma 1922). Una speranza destinata a cadere con il delitto Matteotti, ma che non gli impedì di illudersi, ancora una volta, sulla possibilità di restaurare le istituzioni democratiche grazie all’azione dell’opposizione aventiniana. Fu questo uno dei motivi principali della dura, anche se amichevole, polemica con Carlo Rosselli (oltre che per le evidenti differenze tra il positivismo evoluzionista del primo e il volontarismo del secondo), destinata a proseguire anche in seguito (Autocritica o demolizione?, in Critica sociale, 1-15 aprile 1926, p. 95).
Emigrato clandestinamente (con Giuseppe Saragat) nel novembre del 1926, grazie all’aiuto di Ferruccio Parri e Rosselli, prima in Svizzera e poi in Francia, Treves si stabilì a Parigi, dove fondò e diresse prima Rinascita socialista e poi La Libertà, settimanale della Concentrazione antifascista. Nel luglio del 1930 fu tra gli estensori della Carta dell’unità con la corrente massimalista guidata da Pietro Nenni, affermando il superamento del contrasto ideologico tra libertà e lotta di classe, democrazia e marxismo, fino a polemizzare quindi nuovamente con Rosselli, che aveva da poco pubblicato il suo Socialismo liberale, sulle colonne del giornale La Libertà del 15 e 22 gennaio 1931.
Gli ultimi mesi della sua vita furono dedicati all’analisi del fascismo e dell’ascesa del nazismo in Germania, invocando contro di essi l’unità delle potenze democratiche. Si recò a Madrid nel giugno del 1931 come relatore al congresso internazionale sindacale e a Vienna nel luglio dello stesso anno come rappresentante della Concentrazione antifascista al congresso internazionale socialista.
Morì a Parigi l’11 giugno 1933, poche ore dopo aver commemorato Giacomo Matteotti.
Il 10 ottobre 1948 le sue ceneri, insieme a quelle di Turati, rientrarono in Italia e furono tumulate al cimitero Monumentale di Milano.
Opere. Note in taccuino, Milano 1907; Come ho veduto la guerra, Roma 1921; Polemica socialista, Bologna 1921; Il fascismo nella letteratura antifascista dell’esilio, a cura di A. Schiavi, Roma 1953; Scritti e discorsi 1897-1933, a cura di A.G. Casanova, Milano 1983; Discorsi parlamentari 1906-1922, Roma 1995.
Fonti e Bibl.: Firenze, Fondazione di studi storici Filippo Turati, Carte Treves; Roma, Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 5210, f. 73459; Polizia politica, Fascicoli personali, s. A, 1927-1944, b. 100 A. Inoltre: P. Treves, Quello che ci ha fatto Mussolini, Roma 1945; L. Valiani, C. T., in Avanti!, 10 ottobre 1948; Critica sociale, 5 dicembre 1969 (numero monografico nel centenario della nascita); A. Garosci, C. T., in Critica sociale, 5 luglio 1973, pp. 289-293; G. Sapelli, T. C., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci - T. Detti, V, Roma 1978, pp. 105-115; M. Baccalini Punzo, Un quotidiano riformista: ‘Il Tempo’, in Il socialismo riformista a Milano agli inizi del secolo, a cura di A. Riosa, Milano 1981, pp. 403-435; A. Riosa, T. e la Grande Guerra, in Ricerche storiche, XIV (1984), 2-3, pp. 575-599; A. Casali, Socialismo e internazionalismo nella storia d’Italia: C. T. 1869-1933, Napoli 1985; A.G. Casanova, C. T., Roma 1986; M. Matteotti, Il duello T.-Mussolini, Milano 1987; A. Casali, C. T. Dalla giovinezza torinese alla guerra di Libia, Milano 1989; Camera dei deputati, Portale storico, https:// storia.camera.it/deputato/claudio-treves-186903 24#nav.