CLAUDIO
Nato nella seconda metà dell'VIII secolo in Spagna, fu negli anni giovanili in rapporto con Felice, vescovo di Urgel: questo legame, che certo incise sulla sua formazione, fu all'origine delle accuse di adozionismo che gli furono in seguito rivolte dai suoi avversari Giona d'Orléans e Dungal. Intorno all'800 si trasferì insieme con Felice a Lione: qui proseguì gli studi sotto la guida di Leidrado, vescovo di quella città e fino a qualche anno prima bibliotecario di Carlomagno. In particolare si dedicò all'esegesi biblica: primo risultato fu il commento alla Genesi, steso nell'811 e dedicato all'abate Dructeramno. In questi stessi anni dovette passare dalla corte di Carlomagno al seguito di Ludovico il Pio in Aquitania. Il suo legame con Ludovico si fece più stretto nell'814 quando, morto Carlomagno, il nuovo imperatore lo portò con sé ad Aquisgrana con la funzione di maestro di Sacra Scrittura della scuola palatina. Nell'815 sono testimoniati suoi rapporti con l'abate Giusto di Charroux (Poitiers) che gli chiese un commento al Vangelo secondo Matteo. Negli stessi anni incominciò a stendere il commento alle lettere di s. Paolo: il primo, relativo all'Epistola ai Galati, è ancora dedicato all'abate Dructeramno. Da un accenno contenuto nella dedica dei commenti alle Epistole agli Efesini e alle Epistole ai Filippesi e da altre conferme si deduce che intorno all'816 aveva ricevuto la nomina a vescovo di Torino.
Tale nomina giungeva in un periodo particolarmente delicato, che richiedeva un uomo di sicura energia alla guida di quella importante diocesi. Nella zona alpina era sempre presente la minaccia delle invasioni saracene e tutta l'Italia settentrionale era coinvolta nella ribellione di Bernardo, che contava numerosi seguaci anche fra il clero. Il rapporto di particolare fiducia che ancora in quegli anni legava C. a Ludovico il Pio ha fatto pertanto supporre, agli studiosi che il nuovo vescovo di Torino fosse contrario a Bernardo; l'opposizione che C. subì da parte del clero locale sembra buona conferma di tale ipotesi.
C. fu subito preso dalla sua nuova funzione: nella prefazione al commento alla Lettera ai Corinti, composta tra l'819 e l'820, si lamenta infatti con l'amico Teodemiro, abate di Psalmody (Nîmes), che i troppi impegni inerenti al suo incarico gli sottraggano molto del tempo, che normalmente avrebbe dedicato agli studi. Tuttavia appunto un aspetto dell'attività pastorale di C. causò una violenta reazione da parte dello stesso Teodemiro, che denunciò a Ludovico il Pio le deviazioni dottrinali in cui era incorso il vescovo di Torino nello svolgimento del suo ministero. C. infatti aveva condotto e conduceva nella sua diocesi una sistematica lotta contro il culto delle immagini sacre, e dava a questa sua lotta implicazioni particolarmente ampie. Non solo fece togliere dalle chiese le immagini dei santi, ma si oppose anche al culto delle reliquie e della croce, ed aveva proibito di menzionare il nome dei santi nelle preghiere liturgiche. Ebbe inoltre un atteggiamento critico nei confronti dei pellegrinaggi a Roma: in particolare, quest'ultimo orientamento lo condusse a una sostanziale contestazione dei poteri del papa Pasquale I, con conseguenze anche più complessive sul piano dottrinario.
Teodemiro doveva aver già denunciato C. all'imperatore prima dell'823, quando incaricò il vescovo di Torino di un commento ai libri I-IV Re: in quest'opera, infatti, C. si difese vigorosamente dalle accuse di Teodemiro e ricordò l'apprezzamento che per lui si aveva alla corte di Ludovico. Ma la vera summa delle risposte di C. al suo accusatore è nell'Apologeticum atque rescriptum adversus Theodemirum abbatem, composto nell'825 o nell'826, comunque dopo il sinodo di Parigi che, pur essendo giunto a conclusioni complesse sul tema dell'iconoclastia, aveva dichiarato inammissibile ogni attacco al culto della croce. La tenacia di C. nel difendere anche le sue convinzioni estreme non tardò ad alienargli almeno in parte le simpatie del suo stesso protettore, Ludovico il Pio: i Responsa contra perversas Claudii Taurinensis episcopi sententias, redatti da Dungal nell'827, erano stati commissionati appunto da Ludovico; così come ad una esortazione dell'imperatore dovette corrispondere un attacco, questa volta indiretto, al pensiero di C., la Quaestio de adoranda cruce scritta da Eginardo nell'830. Tuttavia gli avversari di C. davano alle loro critiche toni ben più accesi di quanto si desiderasse a corte; quest'ultima non giunse mai alla decisione di rimuovere il vescovo dalla sua sede, dove in effetti rimase fino alla morte, che dovette avvenire nell'827 0 poco dopo: l'ultimo atto di C. a noi noto è una donazione alla Chiesa torinese che, secondo Walafrido Strabone, il vescovo avrebbe compiuto nel maggio 827.
Il pensiero di C. dovette mantenere una certa influenza nel corso del IX secolo: una confutazione delle sue tesi, il De cultu imaginum di Giona d'Orléans, interrotto quando C. era ancora in vita, fu portato a termine dopo l'840. Prima di procedere ad una valutazione complessiva delle dottrine di C. occorre tuttavia accennare partitamente alle singole accuse che gli furono rivolte e collocare l'operato del vescovo nella situazione concreta della diocesi torinese. C. fu accusato di adozionismo, di pelagianesimo, di arianesimo, di manicheismo, di sostanziale complicità con le dottrine ebraiche. L'ultima accusa, una delle esagerazioni di Dungal, è facilmente spiegabile con il rifiuto del culto della croce.
Per quanto riguarda l'adozionismo, non se ne ritrova alcun elemento nell'opera di C.: non solo, ma il commento all'Epistola ai Galati contiene esplicite negazioni di quella dottrina. Un altrettanto chiaro rifiuto del pelagianesimo si trova nel commento alla Epistola aiRomani. L'accusa di arianesimo gli fu rivolta da Giona, ma senza elementi probanti: l'avversario di C. sosteneva che il vescovo torinese nascostamente scrivesse opere ispirate alla dottrina di Ario. Ma come già fece osservare il Simons alla fine del XVII secolo, è probabile che tale accusa avesse lo scopo di intaccare più duramente la figura di C. nella memoria dei fedeli. L'accusa di manicheismo, fu in alcune occasioni respinta in modo deciso da C., anche se la sua lunga consuetudine con le opere di s. Agostino lo aveva reso sensibile ai problemi che le avevano ispirate, e non ultimo a quello del male. Tuttavia, se i critici di C. cercarono di attribuirgli etichette eterodosse di cui fu sempre facile all'interessato dimostrare l'infondatezza, ciò non significa che il pensiero del vescovo di Torino si possa far rientrare senza riserve nell'ambito dell'ortodossia. Si è già ora considerata la simpatia da lui manifestata per quegli aspetti del pensiero agostiniano meno accetti alla dottrina ufficiale; a ciò si deve aggiungere, soprattutto, il suo atteggiamento di dubbio nei confronti del primato dei successori di s. Pietro. Questa sua posizione era la conseguenza sul piano disciplinare della sua avversione per papa Pasquale I; del resto, anche altri suoi atteggiamenti dottrinari sembrano dipendere più dalla volontà di legittimare le sue scelte concrete sul piano pastorale che non da una mera ricerca speculativa.
Il pensiero di C. non può dunque essere considerato separatamente dal suo impegno pastorale: la lotta contro il culto delle immagini sacre fu parte rilevante della sua attività di vescovo e fu al centro delle sue prese di posizione dottrinali. Senza dubbio non si limitò a inviti alla moderazione nel culto delle immagini, ma manifestò precise propensioni per un'iconoclastia radicale - di cui c'è traccia anche in suoi scritti teorici - spiegabili forse con problemi particolari della diocesi torinese, dove alcuni aspetti superstiziosi della religiosità popolare sarebbero apparsi inaccettabili anche ad un ortodosso: non fu difficile infatti per C. citare in più casi le omelie di un suo illustre predecessore nella sede vescovile di Torino, s. Massimo, impegnato anche lui contro le degenerazioni del culto. L'energico impegno che spiegò nel governo della sua Chiesa certamente procurò a C. molti avversari anche nella sua diocesi: egli stesso ammise di avere fra i suoi fedeli seguaci e avversari, e certamente una parte, del clero dovette osteggiarlo. I suoi avversari potevano farsi forti dell'autorità del papa, Pasquale I, che secondo Giona non aveva risparmiato rimproveri per gli eccessi di Claudio.
L'avversione per le esteriorità del culto, l'opposizione al Papato, una certa vena razionalistica del suo pensiero hanno fatto sì che una parte rilevante degli studiosi dell'Ottocento gli abbia attribuito una funzione anticipatrice della Riforma protestante, e che alcuni di essi siano giunti a considerarlo fondatore di una corrente di pensiero destinata a svilupparsi nel valdismo: ma è chiaro che in un siffatto collegamento è stato fondamentale il desiderio di trovare precedenti regionali alla dottrina di Valdo e la volontà di nobilitare quest'ultima proiettandone all'indietro presupposti e spunti dottrinali.
Un giudizio sull'opera di C. deve tener conto del fatto che la sua fu fondamentalmente attività esegetica, con un ricorso continuo alle auctoritates, il che rende ampie parti dei suoi scritti veri e propri centoni di brani tratti da altri commentatori. Ne fu criticato da Giona, anche se il vescovo di Torino si era limitato a seguire un procedimento allora normalmente adottato dagli esegeti della Sacra Scrittura. C. attinse soprattutto a Mario Vittorino, all'Ambrosiaster, a Rabano Mauro, allo Pseudo-Primasio, a Girolamo, a Pelagio; cita pure frequentemente, tuttavia, brani di Ilario, di Origene, di Beda, di Fulgenzio e di altri commentatori. Tutto il suo pensiero e comunque condizionato da quello di s. Agostino, la cui produzione dimostra di conoscere molto bene.
Di C. sono state pubbl. da J.-P. Migne, Patr. Lat., CIV: In libros Informationum litterae et spiritus super Leviticum ad Theodemirum abbatem praefatio (coll. 615-620); XXX Quaestiones super Libros Regum (coll. 623-834); Praefatio in Catenem super s. Matthaeum (coll. 835-838); Praefatio in Commentarios suos ad Epistolas b. Pauli apostoli (coll. 837-840); Praefatio Expositionis in Epistolam ad Ephesios,ad Ludovisum Pium imperatorem (coll. 839-842); Enarratio in Epist. b. Pauli ad Galatas (coll. 841-912); Expositio Epistolae ad Philemonem (coll. 911-918); Brevis Chronica (coll. 917-926); Excerpta quaedam ex Commentariis in Epistolas b. Pauli Apostoli (coll. 925 ss.); Elogium s. Augustini (coll. 927 s.). In J.-P. Migne, Patrol. Lat., CV, coll. 459-464, è stato pubblicato l'Apologeticum atque rescriptum Claudii episcopi adversus Theutmirum abbatem. E. Dümmler, in Mon. Germ. Hist., Epistolarum IV, Berolini 1895, ha dato l'edizione critica delle lettere indirizzate: all'abate Dructeramno, per dedicargli la Expositio Libri Geneseos (pp. 590-593); all'abate Giusto, per dedicargli la Expositio Evangelii Matthaei (pp. 593-596); all'abate Dructeramno, per dedicargli il Commentarium in Pauli Epistulam ad Galatas (pp. 596 s.); all'imperatore Ludovico il Pio per dedicargli la Expositio in Epistolas ad Ephesios et ad Philippen (pp. 597 ss.); all'abate Teodemiro, per accompagnare l'invio del Commentarium in Epistolas Pauli Apostoli ad Corinthios (pp. 600 ss.); all'abate Teodemiro, per dedicargli la Expositio Levitici "iussu cius facta" (pp. 602-605); all'abate Teodemiro, che gli aveva proposto trenta questioni sui Libri del Re (pp. 607 s.); allo stesso per lamentarsi del fatto che avesse inviato ad Aquisgrana, dove avrebbe dovuto essere vagliato dal punto di vista dottrinale, il Commentarium in Epistolas ad Corinthios (pp. 608 s.). Il Dümmler dà inoltre l'edizione critica del proemio al commento delle Lettere di s. Paolo e quelle della prefazione alla Expositio in Librum Iesu Nave et in Libros Iudicum (pp. 609 s.) e dell'Apologeticum atque rescriptum de sacrum imaginum cultu adversus Theodemirum abbatem (pp. 610-613).
Restano inediti i commenti alla Genesi, al Vangelo secondo Matteo, alle lettere di s. Paolo Ad Galatas,Ad Ephesios,Ad Titum,Ad Philippenses,Ad Hebraeos,Ad Philemonem,Ad Corinthios,Ad Romanos; e poi i commenti all'Esodo, al Levitico, al Deuteronomio, al Libro di Ruth, ai Libri del Re, al Libro di Giosuè, ai Numeri, al Pentateuco. Pure inedita è l'opera In Psalmos et concordiam evangelistarum libri tres, ed alcune lettere. Per i manoscritti in cui sono contenute queste opere si vedano il Manitius, lo Stegmüller, e le ottime ricerche dello Ferrari citate in bibliografia.
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