CLAVICORDO
. È senza dubbio il più antico o uno dei più antichi strumenti a corda e tastiera. Tutti gli strumenti di questa specie trovano la loro comune origine nell'antichissimo monocordo o sonometro che era passato per aggiunta di un numero maggiore di corde e per variazioni di meccanica e di forma nell'uso della pratica musicale del Medioevo. La derivazione diretta del clavicordo dal monocordo è dimostrata, oltre che dalla permanenza di cavalletti fissi, anche dal vocabolo manicordo o manicordio, con cui volgarmente lo si designava, vocabolo che è evidente corruzione del primo. Il clavicordo è costituito da una cassa di risonanza rettangolare sulla quale era teso un certo numero di corde di rame sorrette da cavalletti fissi; queste corde - poste in senso orizzontale - venivano fatte vibrare da una specie di uncino metallico chiamato tangente (clavis), collocato all'estremità interna d'ogni tasto. Si sa che il monocordo antico aveva un ponticello mobile (magadis) che serviva a variare la lunghezza della corda. Ora quando per renderne più agevole il maneggio e per evitare che le corde si logorassero per il continuo sfregamento del ponticello sulla corda, si pensò alla possibilità di aumentare il numero dei ponticelli in posizione fissa e con un sistema semplice di leve si trovò il modo di elevarli a piacimento per sezionare la corda stessa, si trovarono già riuniti i principali elementi che costituiscono il clavicordo.
È molto difficile poter precisare l'epoca in cui il clavicordo comparve. Il vocabolo manicordo (o manicordio) con cui lo si designò, si riscontra spesse volte in diversi passi di poemi e di scritture dei secoli xII-XIV, ma non è possibile asserire se quivi si volesse indicare uno strumento con tastiera o non piuttosto un monocordo policordo trattato direttamente col plettro. Dal fatto che Giovanni De Muris (Speculum musicae, prima metà del 1300) non ne parla, l'Ambros dedusse che in quell'epoca lo strumento non fosse conosciuto. D'altronde il Virdung nel suo trattato Musica getuscht, pubblicato nel 1511, confessa di non essere riuscito mai a sapere "chi avesse per primo messo la chiave a un monocordo". Sarà bene quindi attenersi alla comune opinione degli organologi che vedono l'apparizione del clavicordo vero e proprio nel sec. XV.
I clavicordi primitivi avevano soltanto poche corde e, naturalmente, un limitato numero di suoni; queste corde non erano doppie o triple come nei clavicordi più recenti, e la loro scarsa sonorità li aveva fatti denominare ariche "spinette sorde".
La tangente, elevandosi per la pressione del dito sul tasto, aveva un duplice ufficio: metteva in vibrazione la corda nel tempo stesso che determinava la porzione di essa che doveva risuonare. A seconda del punto in cui la corda veniva toccata, il suono mutava, così che una sola corda poteva rendere diversi suoni; questo spiega perché nei clavicordi il numero dei tasti superava quello delle corde. Con tale sistema di meccanismo la tangente divideva la corda in due parti: la parte che doveva dare il suono desiderato - che era alla destra del suonatore - e quella residua la cui vibrazione raggiungeva lo stesso risultato a mezzo di uno smorzo fisso consistente in una striscia di panno intrecciata fra le corde stesse o incollata in un regolo sovrastante. Col continuo perfezionarsi del clavicordi furono collocati poi sotto le corde ponticelli fissi nei cui limiti era determinata la porzione della corda che doveva risuonare.
I più antichi esemplari che possediamo di tali strumenti risalgono al terzo e quarto decennio del Cinquecento: uno esistente al Museo metropolitano di Nuova York porta la data del 1537 e l'altro, che faceva parte della collezione Heyer, porta quella del 1543, in più, il nome dell'autore: Domenico da Pesaro. Del resto anche l'esemplare del 1537 sembra debba ritenersi d'origine italiana. Questi due esemplari mostrano già uno stato di notevole progresso. Lo strumento di Domenico da Pesaro, per es., ha un'estensione di quattro ottave, possiede quarantacinque tasti e ventidue corde doppie unisone. Anche gli esemplari descritti nei trattati del Prätorius e del Mersenne, presentano poche varianti da quelli precedenti. Quasi uguale il numero delle corde in proporzione di quello dei tasti, uguale modalità del meccanismo. Nel Settecento invece il clavicordo subisce notevoli modificazioni.
Mentre dapprima esso è uno strumento maneggevole di piccolo formato, lo vediamo poi accrescere notevolmente le sue proporzioni, munirsi di sostegni fissi prendendo forme analoghe a quelle dei clavicembali a tavolino. Ed è forse nell'intento di fare concorrenza al clavicembalo stesso - quando questo aveva acquistato tanto maggiore divisione - che il clavicordo perdette una delle sue caratteristiche, quella di far rendere da una sola corda o da un gruppo di più corde unisone suoni diversi. Al clavicordo "legato" (gebundenes Clavichord) succede quello "libero" (bundfreies Clavichord) nel quale ad ogni corda o ad ogni gruppo di corde unisone corrisponde un tasto. Ma, così modificato, il clavicordo non acquistò nulla nei riguardi delle sue risorse sonore, che rimasero sempre scarse ed esili, e non fu capace di vincere la concorrenza degli strumenti a penna. Ciò nonostante il clavicordo trovò cultori appassionati fra i musicisti di grande fama. Essi vi trovavano la possibilità di un'espressione che mancava negli strumenti a penna e migliore rispondenza alle esigenze dell'insegnamento; agevolmente vi si otteneva l'effetto "vibrato" o di "tremolo" (conosciuto dai tedeschi sotto il nome di Bebung) segnatamente efficace e patetico, come, ad esempio, attesta il Burney quando racconta che Filippo Emanuele Bach suonò in sua presenza pagine d'indole largamente espressiva: "Quando s'incontrava in note d'una certa durata, riusciva a trarre dal suo strumento un grido doloroso che solo il clavicordo è capace di rendere". Il difetto principale del clavicordo stava invece nella poco precisa intonazione e in una certa asprezza fonica. Sul finire del Settecento il clavicordo scomparve definitivamente dalla pratica musicale.
Bibl.: C. Sachs, Handbuch der Musikinstrumentenkunde, Lipsia 1920; F. A. Goehlinger, Geschichte des Klavichords, Basilea 1910; E. F. Rimbault, The Pianoforte, its Origin, ecc., Londra 1860; A. J. Hipkins, Old Keyboard Instruments, Londra 1887; O. Paul, Geschichte des Claviers, Lipsia 1868.