FASCE, Clemente
Nacque a Genova il 1º dic. 1725 da Clemente Placido e Francesca Fasce. Il F. entrò nell'Ordine delle Scuole pie il 1º sett. 1742, Seguito poi, in questa sua scelta religiosa, d ai due fratelli minori, Carlo Giuseppe e Francesco Antonio. Nel 1748, ordinato sacerdote, insegnò grammatica ed umanità ad Albenga, per assumere pochi anni dopo l'insegnamento di retorica presso gli scolopi di Savona e di Genova. Tornato nel capoluogo ligure intorno al 1756, il F. divenne protagonista attivo della cultura letteraria del tempo, frequentando i molti scrittori e poeti della colonia ligustica d'Arcadia (di cui divenne membro con il nome di Postisio Tarense) e partecipando, con orazioni e componimenti lirici, alle sedute e alle pubbUcazioni ufficiali degli arcadi, che avevano luogo in particolare in occasione delle incoronazioni biennali dei nuovi dogi della Repubblica (sovente esponenti, essi stessi, dell'Accademia arcadica).
Data al 1761 un suo Applauso poetico (Genova) ad Agostino Lomellini. Quest'ultimo, nel momento in cui fu eletto alla carica dogale, era un intellettuale di spicco, ben conosciuto, anche al di fuori dei confini liguri, per le sue frequentazioni degli ambienti illuministici di Pisa, Milano e Parigi, per le sue aperture in campo politico, per gli approfondimenti scientificofilosofici con cui sostanziava le sue prove in versi. La canzone del F. ha modo, così, di rapportarsi agli interessi dell'illuminato dedicatario: da un lato essa offre infatti una parafrasi dei componimenti "newtoniani" sulla fisica celeste che Lomellini aveva pubblicato nel 1757 e, dall'altro, tratteggia l'immagine di un "principe" capace finalmente di coniugare un sapere aperto e moderno con la passione e l'impegno civile. Nel 1763 troviamo ancora il F. impegnato ad elogiare il doge Rodolfa Brignole Sale (epigramma Aurene eu Ligures circum laeto agmine Musa, in Tributo d'Elicona reso dagli Arcadi della colonia ligustica... , Genova 1763, p. XV) e, due anni dopo, il doge Francesco Maria Della Rovere (ode Almon vetustis edite regibus, in Gli applausi poetici offerti dagli Arcadi della colonia ligustica..., ibid. 1765, pp. 8-21). Se in questi elogi il poeta sperimenta l'ode e l'epigramma latini, quando omaggia il serenissinio Marcello Durazzo egli torna, invece, alla lingua e ai metri italiani, adottando di nuovo l'ampia misura della canzone pindarico-chiabreresca (Ionon adombro il ver. Se avvenga mai, in Gli omaggi di Parnaso resi dagli Arcadi della colonia ligustica..., ibid. 1767, pp. LIX-LXIV): nella "visione" che articola l'intero componimento, tuttavia, il nuovo doge-eroe si accampa con le sue doti di valore, prudenza, giustizia, secondo i moduli di un'arcadia celebrativa certo più convenzionale di quella espressa al tempo del felice incontro con la personalità del Lomellini.
Espulsi d'improvviso i gesuiti dal collegio dei nobili di Parma, e sostituiti dagli scolopi per volere del duca Ferdinando, al F. venne chiesto di assumere la cattedra di retorica in quell'importante istituto scolastico. Il F. giunse nella città ducale il 1º nov. 1768 e strinse subito importanti legami con gli intellettuali parmensi: l'erudito bibliotecario P. M. Paciaudi, i poeti Carlo Gastone Della Torre di Rezzonico, Luca Antonio Pagnini e, su tutti, il "genovese" Carlo Innocenzo Frugoni, da sempre in contatto, nonostante la lontananza, con gli arcadi liguri. La brevissima, intensa frequentazione con il Frugoni, interrotta per la morte di quest'ultimo, fece si che al F. venisse affidato l'incarico di curare l'edizione delle opere del poeta da poco scomparso. Se l'impegnativo compito non poté essere condotto a termine per la caduta in disgrazia del F. a causa di non chiariti e forse innocenti illeciti contabili (tanto che l'intero materiale frugoniano venne restituito al Rezzonico, così come attesta uno scambio epistolare riportato dal Picanyol), lo stesso infausto evento causò l'allontanamento dello scolopio genovese da Parma. Il ritorno a Genova, tuttavia, coincise con il defnùtivo riconoscimento delle sue qualità letterarie e pedagogiche. Forte di una scrittura poetica che durante il soggiorno parmense s'era venuta affinando per mezzo di leggerezze e preziosità "frugoniane" (ci restano, come esempi, raffinati sonetti su dimostrazioni anatomiche o su miniature di belle dame), e conosciuto come insegnante di valore, che a Parma aveva istruito molti giovani dell'aristocrazia genovese (tra cui il futuro philosophe Niccolò Grillo Cattaneo), il F. ottenne, alla fine del 1773, la cattedra di retorica all'università di Genova. Da quel momento in avanti, dunque, la sua incidenza sulla cultura genovese tornava a farsi sentire.
Si infittì nuovamente la collaborazione del F. alle "radunanze" d'Arcadia, con altri epigrammi (e relative traduzioni italiane in versi), con stanze d'ambientazione pastorale, con canzoni elogiative per tre dogi (epigrammi Dudum inter Proceres patrio diademate dignos, in Gli omaggi delle Muse offerti dagli Arcadi della colonia ligustica al serenissimo Brizio Giustiniani, Genova 1775, pp. VIII s., e Non quod regali praecinctum tempora serto, in Omaggi di Parnaso resi dagli Arcadi della colonia ligustica al serenissimo Giuseppe Lomellini, ibid. 1777, XCVII-XCIX, e canzone Di quale eroe l'auree virtudi, e il merto, in Ossequi di Parnasso... al serenissimo Marco Antonio Gentile, ibid. 1781, pp. 87-89). Il rinnovato impegno civile di cui questi componimenti, sulla linea dell'antico omaggio al doge Lomellini, sono testimonianza trovava un'espressione più completa nelle orazioni che il F. venne, in quegli anni, pronunciando. Già nel discorso in morte dell'aperto e dinamico padre benedettino Raffaello Bontempo (1777) lo scrittore aveva posto in risalto i "socievoli doveri" degli intellettuali (religiosi e no) per il raggiungimento della "pubblica utilità e felicità". Ma quando, nel 1783, tenne l'orazione ufficiale per l'elezione al dogato del "progressista" Giovanbattista Airoli il F. ebbe modo di rapportare i generali principi del buon vivere collettivo al corretto esercizio dei potere: un compito difficile, quest'ultimo, da realizzarsi per mezzo di un "cuore sensibile", in grado dunque di "riguardare i cittadini quali figli e non quali sudditi con dispotica autorità di sovrano" e di indirizzarsi perciò ai diritti della giustizia, ai problemi dell'indigenza, allo sviluppo del commercio, alla protezione di scienze ed arti.
Le tesi espresse negli interventi letterari non si limitavano del resto a riprodurre idee ed immagini di recente, larga fortuna, anche genovese, ma corrispondevano a precise e radicate scelte culturali. L'attività in cui l'adesione del F. al nuovo clima illuministico apparve più che mai convinta ed operante fu l'insegnamento. Il maestro di retorica allevò infatti un'intera generazione di intellettuali che da lì a poco avrebbe attivamente contribuito al traumatico passaggio dalla Repubblica oligarchica alla Repubblica democratica: furono suoi scolari Luigi Corvetto, Niccolò Ardizzoni, Bernardo Laviosa, Niccolò Delle Piane, Benedetto Solari, Celestino Massucco; molti di essi, appartenenti all'Ordine scolopio, sarebbero divenuti protagonisti dell'importante stagione giansenistica ligure. Con alcuni di questi allievi, che non disdegnavano affatto la pratica della poesia, il F. divenne membro, nel 1783, dell'Accademia degli Industriosi, fondata in quell'anno dal doge Airoli ed incoraggiata da Agostino Lomellini, allo scopo di saldare letteratura e scienza. Era un approdo del tutto naturale per chi, come il F., già nel 1759 aveva curato la composizione e la pubblicazione di un volumetto in versi degli scolari delle Scuole pie su La pluralità dei mondi, ovvero I pianeti abitati ed aveva aderito tra i primi alle novità "newtoniane" del Lomellini. Le due sillogi dei "poeti liguri viventi", curate da Ambrogio Balbi e Francesco Giacometti con l'intento di offrire un'antologia della produzione letteraria "industriosa", e pubblicate entrambe nel 1789 a Genova, daranno al F. spazio e rilievo.
Nella raccolta messa a punto da Ambrogio Balbi (Versi scelti de' poeti liguri viventi, Genova 1789, pp. 40-45, e comprendente anche le citate dimostrazioni anatomiche del periodo parmense) uscì a stampa, per la prima volta e senza indicazioni circa la data di composizione, un poemetto del F. sull'Origine della navigazione. Vi si narra come un nume allora ignoto, l'operoso Commercio, fosse sceso dall'Olimpo e si fosse presentato, nelle vesti di giovane pastore, agli antichi abitanti della terra, e come, additando loro la vasta ed inviolata distesa dell'oceano ed insegnando i mezzi per trasformare in veloci navi i "rozzi tronchi", avesse sollecitato all'umanità ancora assopita il desiderio di scoprire mondi e tecnologie: nell'elegante scorrere degli endecasillabi sciolti, la leggera favola mitologica s'apre dunque ad un didascalico invito al progresso, offrendo un sicuro risultato letterario.
Nel 1784, per ragioni di salute, il F. chiese ed ottenne il pensionamento anticipato da professore universitario, pur continuando la sua attività letteraria, che si manifestò in altri contributi arcadici (per i dogi Alerame Pallavicini, nel 1790, e Michelangelo Cambiaso, nel 1792) e nella stesura di un Trattato di poesia italiana ad uso della gioventù, edito a Roma nel 1793 ed oggi irreperibile.
Il F. morì a Genova il 2 ott. 1793.
Fonti e Bibl.: Gli Avvisi di Genova, 5 ott. 1793, n. 40, pp. 313 s.; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, Firenze 1941-42, ad Indicem; G. B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, V, Genova 1858, p. 77; L. Isnardi-E. Celesia, Storia dell'Università di Genova, I, Genova 1864, pp. 49, 64; L. Grillo, Elogio di C. F., in Giornale degli studiosi, II, 2, Genova 1870, p. 94 (ora in L. Grillo, Seconda appendice ai tre volumi della raccolta degli Elogi dei Liguri illustri, Genova 1976, pp. 177 s.); T. Viñas, Index bio-bibliographicus CC.RR.PP. Matris Dei Scholarum Piarum, III, Romae 1911, p. 116; C. Calcaterra, Storia della poesia frugoniana, Genova 1920, pp. 384 n., 408 n.; L. Picanyol, Gli scolopi nell'Università di Genova, Roma 1940, pp. 8-19; S. Nettuno, Raccolte poetiche del Settecento genovese, in La Berio, XIX (1979), 1-2, cfr. Indice p. 95; A. Beniscelli, Il Settecento letterario a Genova, in Studi genuensi, VI (1988), p. 99.