Clemente IV
. È il pontefice (1265-1268) che D. cita in Pg III 125 quale ispiratore dello scempio del cadavere di Manfredi operato dal vescovo di Cosenza Bartolomeo Pignatelli: Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia / di me fu messo per Clemente allora, / avesse in Dio ben letta questa faccia... Il poeta sottintende un'assoluta ignoranza, da parte del papa, della legge di Dio, che è amore e misericordia; e aggiunge infatti (vv.133-135): Per lor maladizion sì non si perde, / che non possa tornar, l'etterno amore, / mentre che la speranza ha fior del verde, staccando quindi completamente l'azione dei ministri della Chiesa dai suoi fondamentali precetti.
Guido le Gros (Saint-Gilles, Nîmes, inizi sec. XIII - Viterbo 1268), figlio di un giudice e cancelliere dei conti di Tolosa, fu uomo di legge di chiara fama e consigliere del re Luigi IX. Entrato nella carriera ecclesiastica dopo la morte della moglie, da cui aveva avuto due figlie, seguitò a mettere a frutto le sue qualità di avvocato e diplomatico, a favore della Chiesa, pur continuando il suo servizio presso il re di Francia. Eletto papa alla morte di Urbano IV (5 febbraio 1265), continuò con il maggiore impegno la politica antisveva del suo predecessore, anzi alcuni storici a lui ostili, tra i quali il Davidsohn, lo accusano addirittura di aver fatto scopo del suo pontificato la completa distruzione delle casa sveva, servendosi di tutti i mezzi in suo potere, sia spirituali che temporali, per facilitare la spedizione di Carlo d'Angiò contro Manfredi al fine di assicurarsi la corona di Sicilia. Questa irriducibile avversione verso Manfredi e l'assoluta dedizione di C. alla casa di Francia si spiegano considerando che egli, più politico che sacerdote, aveva ben chiari nella mente i pericoli che minacciavano il papato per l'aumentata potenza dello svevo. Non si trattava più, infatti, di quell'accerchiamento dello stato della Chiesa da parte di un imperatore, per di più re di Sicilia, che aveva tenuto in ansia i papi suoi predecessori, bensì del fatto che Manfredi rappresentava una concreta minaccia per la Chiesa nel suo stesso territorio, in quanto, oltre che re dell'Italia meridionale, era ormai il capo riconosciuto del ghibellinismo (suoi alleati erano moltissimi comuni dell'Italia centro-settentrionale), e inoltre era attivo partecipante e fomentatore delle varie lotte fra fazioni, all'interno degli stessi comuni.
Il suo passato di uomo politico al servizio del re di Francia rese quindi C. il più accanito sostenitore della dinastia angioina in Sicilia. Egli infatti aùspicò e appoggiò la venuta di Carlo d'Angiò con ogni mezzo: garantì presso i banchieri fiorentini e senesi prestiti per il re con i tesori della Chiesa, e finanziò la spedizione con i proventi delle decime di Francia, considerandola una crociata contro l'infedele Manfredi re dei Saraceni di Lucera.
Infine, per tornare all'accusa di D., l'esumazione del corpo di Manfredi e il suo abbandono fuori della terra consacrata sono chiaramente indice del fascino e della paura che aleggiavano intorno al suo nome, anche dopo la morte. Quindi è spiegabile come un abile politico, qual era il papa, volesse annullare qualsiasi traccia del suo avversario (per l'intera questione si vedano le voci CARLO I D'ANGIÒ; MANFREDI).
Bibl. - Davidsohn, Storia II I 748-854 passim; Nicolas, Clemens IV dans le monde et dans l'Eglise, Nîmes 1912.