REBORA, Clemente Luigi Antonio
REBORA, Clemente Luigi Antonio. – Quinto di sette figli, nacque a Milano il 6 gennaio 1885 da Enrico, di origine ligure, direttore della ditta di trasporti Gondrand, e da Teresa Rinaldi, di Codogno.
Cresciuto in una famiglia colta e laica, dopo aver frequentato le scuole elementari in via Felice Casati, dal 1896 frequentò il regio liceo-ginnasio Parini, conseguendo il diploma di maturità nel 1904. Nello stesso anno si iscrisse alla facoltà di medicina di Pavia, poco dopo abbandonata a favore dell’Accademia scientifico-letteraria di Milano, dove strinse rapporti con Antonio Banfi, Angelo Monteverdi e Daria Malaguzzi Valeri.
Fu la musica ad attirare dapprima la sua attenzione: nel 1906, infatti, iniziò a studiare armonia, contrappunto e pianoforte con il maestro Carlo Delachi. Presto però si aggiunse anche la passione verso la letteratura e la scrittura poetica. Nel 1909 Rebora sottoscrisse con un gruppo di amici una lettera di adesione al programma della rivista La Voce e, al tempo stesso, diede avvio a un rapporto epistolare con Giuseppe Prezzolini. Il 30 gennaio 1910 discusse con lo storico Gioacchino Volpe la tesi di laurea dal titolo Linee e aspetti dell’insegnamento civile di G.D. Romagnosi. Nello stesso anno conseguì anche il diploma della scuola di magistero per la sezione di filologia, a seguito del quale iniziò le prime esperienze di insegnamento. Nell’anno accademico 1910-11 si iscrisse al corso di perfezionamento in filosofia, poi nell’autunno del 1912 a filosofia.
Il 15 novembre 1911, tratto dalla sua tesi, apparve il saggio G.D. Romagnosi nel pensiero del Risorgimento, in quella stessa Rivista d’Italia (XIV (1911), 11, pp. 808-840) nella quale aveva già pubblicato l’articolo Per un Leopardi mal noto (XIII (1910), 9, pp. 373-439). Tutto intento nella scrittura poetica, negli ultimi mesi del 1911 cominciò a dare forma al progetto di raccogliere in volume le sue poesie, continuato per tutto l’anno successivo. Nel febbraio del 1913 prese avvio la sua collaborazione con La Voce con un articolo su Alfredo Panzini dal titolo La rettorica di un umorista. Dopo un’attenta e continua revisione delle sue poesie, i Frammenti lirici videro la luce a fine giugno presso la Libreria della Voce.
Non è un caso che Rebora decise di dedicare il suo volume «ai primi dieci anni del secolo ventesimo». Spinto da una tensione morale e da una ricerca di verità, il poeta presenta il proprio disagio e la propria inquietudine in particolare al contatto con un mondo cittadino oppressivo ma al tempo stesso fervente di attività (è una «città vorace / che nella fogna ancor tutti affratella»: frammento X, in C. Rebora, Poesie, prose e traduzioni, a cura di A. Dei, 2015, p. 29). Il poeta, come molti altri suoi contemporanei, è spinto da un’esigenza conoscitiva, dall’urgenza di interrogativi sulla sua condizione esistenziale, sulla vita privata delle sue certezze che rivela tutte le proprie contraddizioni: «Dimmi, passante dai tristi occhi belli, / non forse udisti in gravi ritornelli / chieder dall’urto profondo / del sogno e della vita / quello che tu non sai / e profetar dal mondo / ciò che non giunge mai?» (frammento LIX, ibid., p. 107). La poesia diviene allora la voce di una coscienza che mira al riconoscimento della verità delle cose, alla liberazione dalla corruzione del mondo.
Il libro riscosse scarso successo e, il 12 novembre, uscì nella Tribuna una recensione di Emilio Cecchi che tacciava il poeta di «dilettantismo»; tuttavia, nel corso dell’anno successivo ne apparvero due ben più favorevoli a firma l’una dell’amico e attento lettore Angelo Monteverdi e l’altra di Giovanni Boine, rispettivamente su La Voce del 13 aprile e su La Riviera ligure di settembre, rivista con la quale lo stesso Rebora collaborò. Proprio, infatti, per tramite di Boine conobbe nel 1914 il direttore della rivista, Mario Novaro; strinse inoltre rapporti con Sibilla Aleramo e cominciò una relazione con la pianista russa Lidia Natus.
Superato il concorso per l’insegnamento dell’italiano nelle scuole tecniche, a lungo tentato, a settembre venne nominato professore straordinario di italiano presso l’istituto Galileo Ferraris di Novara. Il 15 marzo 1915 fu richiamato alle armi con il grado di sergente in fanteria, dapprima a Gorlago (Bergamo), poi a Mantova e a San Martino del Carso, dove si trovò in prima linea sul fronte goriziano. Alla fine dell’anno riportò in guerra un trauma cranico con il conseguente peggioramento della sua già precaria condizione psichica, e venne così trasferito all’ospedale della Baggina di Milano.
Nel periodo della convalescenza emerse la necessità di dare voce agli orrori visti attraverso la scrittura. Appare la nuda verità della guerra, delle sue atrocità, come in Voce di vedetta morta: «C’è un corpo in poltiglia / Con crespe di faccia, affiorante / sul lezzo dell’aria sbranata. / Frode la terra. / Forsennato non piango […]» (cfr. Poesie sparse e prose liriche 1913-1920 , in C. Rebora, Poesie, prose e traduzioni, cit., p. 174).
Prese così avvio il progetto di un volume di poesie-prose belliche, abbandonato però già alla fine del 1917, mentre i testi furono destinati a essere pubblicati in rivista. Rebora, infatti, aveva ripreso la sua collaborazione con La Riviera ligure, cui seguirono quelle con La Brigata (la rivista di Francesco Meriano e Bino Binazzi), La Tempra, La Diana, La Raccolta di Giuseppe Raimondi.
Nel maggio del 1919, inoltre, uscì da Vallecchi la sua traduzione di Lazzaro e altre novelle di Leonid Andreev, l’anno successivo quella della Felicità domestica di Lev N. Tolstoj per le edizioni della Voce. Nel febbraio del 1921 apparve la traduzione della poesia Italia di Nikolaj V.Gogol′ sulla rivista Russia, diretta da Ettore Lo Gatto.
Intanto nel 1918 aveva ripreso l’insegnamento, mentre nel 1919 aveva concluso il suo rapporto con Lidia Natus.
Nel 1922 uscì il suo secondo volume di versi, i Canti anonimi raccolti da Clemente Rebora, presso il Convegno editoriale (Milano), destinato a passare sotto silenzio.
Nella breve raccolta il senso di attesa della rivelazione diviene sempre più una certezza e prepara la strada all’itinerario spirituale reboriano come appare chiaro dall’ultimo componimento del volume, Dall’imagine tesa: «Dall’imagine tesa / vigilo l’istante / con imminenza di attesa – / e non aspetto nessuno: / […] Ma deve venire, / verrà, se resisto / a sbocciare non visto, / verrà d’improvviso, / quando meno l’avverto». Si è di fronte a una promessa di risoluzione con l’annuncio finale del «bisbiglio»: «verrà, forse già viene / il suo bisbiglio» (Canti anonimi…, in C. Rebora, Poesie, prose e traduzioni, cit., pp. 234 s.).
Sempre nel 1922 apparvero anche la traduzione del Cappotto di Gogol′ e la traduzione dall’inglese della novella anonima di ispirazione indiana Gianardana. Nel 1923 Rebora assunse la direzione di una collana della casa editrice Athena prima, poi Paravia, intitolata Libretti di Vita, per la quale curò gli Ammaestramenti morali di Jacopone da Todi.
Quegli anni di continuo tormento esistenziale e travaglio spirituale furono caratterizzati dal progressivo avvicinamento al cattolicesimo. Nell’ottobre del 1928, durante una lezione del suo ciclo al Lyceum sul tema La religione di Cristo e la donna, accadde un fatto rilevante per il proprio percorso: «Venne il giorno: io avevo da poco iniziato il mio dire e lessi il verbale dei Martiri Scillitani: ed ecco che mi prese una commozione tale che non potei più proseguire e a stento non scoppiai in singhiozzi palesi. […] In fine io mi levai come folgorato di pianto – e pensarono i più ch’io mi fossi sentito male per l’eccessivo lavoro, ecc. Da quel momento Dio mi tolse il dono della parola in pubblico, come già da tempo quello dello scrivere – e me lo concesse soltanto nella carità e nell’insegnamento» (v. Curriculum vitae, a cura di R. Cicala - G. Mussini, Novara 2001, p. 183). Immerso in continue letture religiose e dantesche, Rebora intraprese la strada che lo condusse al sacerdozio. Nel 1930 si dimise dalla scuola Martignoni presso la quale insegnava e a ottobre si preparò a lasciare la sua abitazione di via Tadino. Dal 6 novembre si ritirò per sei mesi a Stresa sotto la guida spirituale di padre Bozzetti e il 23 maggio 1931 iniziò il noviziato di due anni presso il Sacro Monte Calvario di Domodossola.
A eccezione di pochi libri e oggetti consegnati ai familiari, le sue carte e libri finirono nelle mani di uno straccivendolo di passaggio: «E venne il giorno, che in divin furore / la verità di Cristo mi costrinse / a giustiziar e libri e scritti e carte» (ibid., vv. 255-257, p. 294). Dedito allo studio della teologia e concentrato nella meditazione, Rebora rinunciò alla poesia con la volontà di annullare il sé precedente in favore del nuovo, alla ricerca del divino e in modo tale che la letteratura potesse ora ricoprire un valore solo «alla luce della Fede».
Il 6 novembre 1933 si trasferì al collegio Mellerio-Rosmini come insegnante incaricato di italiano in una seconda del ginnasio inferiore, succedendo a Gianfranco Contini. Il 9 agosto 1936 fu ordinato diacono al Calvario di Domodossola, il mese successivo sacerdote: il 20 settembre celebrò la sua prima messa. Trascorse quindi gli anni della guerra assistendo gli ammalati, prodigandosi per i poveri e fornendo di continuo assistenza spirituale.
Nel 1946 Enrico Falqui pubblicò sul quaderno III-IV di Poesia alcuni suoi vecchi componimenti, fatto che angosciò il poeta. Nello stesso anno il fratello Piero gli manifestò l’intenzione di ripubblicare le sue poesie. Rebora, che aveva disconosciuto tutte le sue precedenti opere, fu subito preoccupato di sottoporre la questione ai superiori affinché approvassero la pubblicazione, come di fatto avvenne, e volle aggiungere alcuni nuovi testi sentiti come «sanazione» degli antichi sviamenti. Il volume dal titolo Le poesie (1913-1947), uscito presso Vallecchi (Firenze 1948, riportando però la data 1947), raccoglie i Frammenti lirici, le Poesie varie, uscite in rivista fra il 1913 e il 1918, i Canti anonimi, il componimento Versi, apparso sul Convegno nel 1926, e otto Poesie religiose.
Il fratello, che curò il libro, intervenne con il consenso di Rebora sul testo con correzioni. Il nome di Rebora ritornò così a circolare nell’ambiente culturale italiano. Nel 1952 uscì sulla Fiera letteraria un numero dedicato al poeta con articoli, tra gli altri, di Carlo Betocchi, Giorgio Caproni, Alessandro Parronchi. La rinnovata attenzione reboriana verso la poesia fu d’ora in poi legata strettamente al suo percorso religioso.
Intanto, dal 1951 egli aveva iniziato la sua collaborazione con Charitas, in cui pubblicò una lunga serie di articoli su Antonio Rosmini, gli ultimi dei quali apparvero postumi.
Nel settembre del 1953 divenne direttore spirituale al collegio Rosmini di Stresa, mentre nell’anno successivo socio dell’Accademia roveretana degli Agiati. A luglio del 1954 apparve sulla Fiera letteraria la poesia Il gran grido, scritta per il centenario della morte di Rosmini. Risale allo stesso anno un primo contatto con il giovane Vanni Scheiwiller, cui Rebora aveva inviato alcune poesie, figura poi destinata a divenire fondamentale per la sua riscoperta e per la ripresa della scrittura poetica.
Proprio presso Scheiwiller fu pubblicata la plaquette Via Crucis (Milano 1955), che raccoglie Il gran grido e la riproduzione delle quattordici stazioni modellate da Francesco Messina. Riccardo Bacchelli gli dedicò una trasmissione dell’Approdo, mentre Eugenio Montale, inviato speciale del Corriere della sera al convegno internazionale per il centenario rosminiano, visitandolo per la seconda volta – la prima fu nel 1934 in compagnia di Contini – annunciò per primo la pubblicazione di Curriculum vitae, volume che apparve sul finire dell’anno sempre presso Scheiwiller nel segno della nuova stagione poetica reboriana tutta rivolta a Dio. La plaquette, che contiene il poemetto eponimo, tre poesie e altre tre riunite sotto il titolo Epigrafi, venne recensita da Betocchi, Caproni, Giudici, De Robertis e ottenne il premio Cittadella di Padova.
Nel 1956 fu la volta dei Canti dell’infermità (Milano), volume che raccoglie tre Pensieri e otto poesie, uscito in duecento copie numerate fuori commercio presso Scheiwiller, ricevendo la recensione di Pier Paolo Pasolini, il quale ottenne di ristampare i testi sul numero di novembre di Officina. Nello stesso anno furono pubblicati gli inni Trittico e L’Immacolata su Charitas, mentre Gesù il Fedele. Il Natale da Scheiwiller.
Il 20 settembre 1957 uscirono i nuovi Canti dell’infermità, non una mera riedizione dei precedenti, ma una raccolta complessiva della sua produzione posteriore alle Poesie del 1948, alla cui cura editoriale si dedicò lo stesso Scheiwiller con l’aiuto di Enzo Gritti. Ormai, infatti, Rebora versava in una grave condizione di salute, colpito da ripetuti ictus, che causarono limitazioni alla parola, oltre all’impossibilità di muoversi.
Morì nel collegio Rosmini di Stresa il 1° novembre 1957.
Nel primo anniversario della morte a Milano venne fondata l’associazione degli Amici di don Clemente Maria Rebora, mentre nel 1985 la sua salma fu traslata dal cimitero di Stresa alla chiesa del Santissimo Crocifisso, vicino al collegio Rosmini, di fronte a quella del fondatore.
Partecipe del clima culturale primonovecentesco, e nonostante il suo esordio fosse legato all’ambiente della rivista La Voce, Rebora mantenne sin dagli inizi una salda individualità che non permette di ascriverlo ad alcuna corrente poetica specifica come negli stessi anni avviene per Camillo Sbarbaro o Dino Campana, mentre il Novecento si apriva da una parte con la poesia futurista, dall’altra con quella crepuscolare. Non a caso Montale, ricordandolo il giorno dopo la sua scomparsa nel Corriere della sera con un articolo dal titolo Clemente Rebora si è spento a Stresa. Il maggior poeta religioso dell’Italia d’oggi, lo definì «un lombardo, a dire il vero, con ascendenze liguri, e tale dunque che le sue poesie (quand’egli scriveva ancora versi e accettava di pubblicarli qua e là) ci parvero più a posto sulle colonne della “Riviera Ligure” di Mario Novaro che sulle pagine della “Voce”». La sua iniziale «poesia di sterco e di fiori» (frammento XLIX, in C. Rebora, Poesie, prose e traduzioni, cit., p. 91), unica e inconfondibile, prova evidente dello scardinamento della lingua poetica a favore di una scrittura espressionistica, intraprese negli anni un percorso di conoscenza verso Dio, testimonianza del proprio disagio esistenziale e del necessario viaggio interiore compiuto lungo tutta la vita. I due tempi della sua produzione letteraria celano tuttavia una comune idea di scrittura poetica, quella della ricerca della verità delle cose, dell’indagine dell’uomo e della sua fragilità, dove costante rimane la volontà conoscitiva.
Opere. Per le opere di Clemente Rebora si v., da ultimo, C. Rebora, Poesie, prose e traduzioni, a cura e con un saggio introduttivo di A. Dei, con la collaborazione di P. Maccari, Milano 2015.
Fonti e Bibl.: Il Fondo Clemente Rebora è conservato presso l’Archivio storico dell’Istituto della carità di Stresa; importanti documenti reboriani sono presenti anche nel Fondo Vanni Scheiwiller conservato presso il Centro APICE di Milano. Fra i carteggi pubblicati: Lettere, I (1893-1930), a cura di M. Marchione, prefazione di C. Bo, Roma 1976; II (1931-1957), a cura di M. Marchione, prefazione di C. Riva, Roma 1982; Epistolario 1893-1928. L’anima del poeta, a cura di C. Giovannini, Bologna 2004; Epistolario 1929-1944. La scelta rosminiana, a cura di C. Giovannini, Bologna 2007; Epistolario 1945-1957. Il ritorno alla poesia, a cura di C. Giovannini, Bologna 2010.
Si vedano inoltre: M. Marchione, L’imagine tesa. La vita e l’opera di C. R., prefazione di G. Prezzolini, Roma 1974; C. R. nella cultura italiana ed europea, Atti del Convegno, Rovereto… 1991, a cura di G. Beschin - G. De Santi - E. Grandesso, Roma 1993; Poesia e spiritualità in C. R., a cura di R. Cicala - U. Muratore, Novara 1993; C. R., a cura di P. Giovannetti, Milano 1997; A verità condusse poesie. Per una rilettura di C. R., con appendici di inediti, Atti del Convegno, Milano… 2007, a cura di R. Cicala - G. Langella, Novara 2008; C. R. nel cinquantenario della morte, Atti del Convegno… 2007, a cura di M. Allegri - A. Girardi, Rovereto 2008; L’ultimo R., 1954-1957, Atti del Convegno, Trento… 2004, a cura di G. Colangelo - G. De Santi, Venezia 2008; Cronologia, a cura di A. Dei, in C. Rebora, Poesie, prose e traduzioni, cit., pp. XLIII-CXX.