CLEMENTIA
Dea romana, accolta nel culto pubblico dopo l'uccisione di Cesare di cui si voleva esaltare appunto la clemenza, virtù che si considerava in lui preminente (Vell. Pat., 2, 56; Plin., Nat. hist., vii, 93) e che era ritenuta una delle cause principali della sua morte (Cic., Ad Atr., 14, 22). Il senato decretò di innalzare al divus Iulius ed alla deificata C. Caesaris un tempio nel quale Cesare e la C. erano raffigurati nell'atto di porgersi la mano (Plut., Caes., 57, 3; Appian., Beh. civ., 2, 106; Cass. Dio, xliv, 6); monete di Sepullius Macer (Colien, Giulio Cesare, 18) raffigurano il tempio con la leggenda Clementia Caesaris. La C. di Cesare in seguito significò la C. dell'imperatore; a Tiberio il senato decretò un altare della C. (Tac., Ann., 4, 74) e sulle monete pose, insieme alla leggenda Clementiae, la raffigurazione di uno scudo con una testa femminile da interpretarsi come personificazione della C. stessa. La C. Augusta appare su monete di Vitellio sotto l'aspetto di figura femminile seduta, che tiene un ramo ed uno scettro, simile a quella che poi rappresenterà la Iustitia; come figura femminile stante con patera e scettro, simile a Giunone Capitolina, si trova su monete di Traiano, Adriano, Antonino Pio; la C. con patera nella destra e in atto di reggere un lembo del chitone con la sinistra come una Spes in monete di Antonino Pio e di Marco Aurelio; alcune monete di quest'ultimo presentano varianti: su una moneta, la C. regge una doppia patera, su altre invece ha nella destra una patera e nella sinistra una cornucopia con un'ara vicina. Più tardi, al posto della C. Caesaris subentrò la C. temporum che appare con uno scettro e appoggiata ad una colonna in monete di Gallieno, Tacito, Floriano, Probo.
Bibl.: Monete: H. Cohen, Tibère, 23; Vitellius, i, 60, Suppl. i; Traian, 327; Hadrien, 100, 686, 762, 1165; Antonin., 36; M. Aur., 5, 412, 549. Suppl. 59, 60; inoltre: Antonin., 37; M. Aur., 5, 8, Suppl. 59. Varianti: M. Aur., V, 413, 656, 412. Monete di Gallieno: H. Cohen, Gall., 76; Tacite, 36; Florien, 17; Probus, 152. In generale, v. R. Peter, in Roscher, I, cc. 910-912, s. v.