Cleptocrazia
Il termine 'cleptocrazia', derivante dall'unione delle parole greche klépto, rubare, e krátos, governo, indica la gestione del potere politico da parte di un'élite di governo avente quale obiettivo prioritario il furto e la spoliazione sistematica di risorse ai danni della popolazione amministrata. Un governo cleptocratico emerge quale risultato della confusione tra fonti di potere 'interne' ed 'esterne' all'organizzazione statale. Mentre il potere interno è dato dal controllo degli atti dell'autorità politica, sanzionato dalla capacità di disporre in modo tendenzialmente monopolistico dell'impiego della violenza (v. Weber, 1981, p. 53), il potere esterno deriva, in particolare, dal controllo di risorse prodotte dal mercato. Ogni sistema politico definisce tramite norme appropriate la linea di separazione tra potere interno e potere esterno, comandi dell'autorità e risorse private. In ogni organizzazione pubblica possono tuttavia presentarsi opportunità - più o meno redditizie, a seconda della forma di governo - per spostare od oltrepassare tale confine, convertendo il potere politico in ricchezza privata: ciò accade, ad esempio, nel caso della corruzione (v. Pizzorno, 1992, p. 14), del peculato (furto di risorse pubbliche), ma anche dell'appropriazione forzosa e arbitraria dei proventi dell'esazione fiscale. Quando le condizioni per l'impiego del potere politico a fini di arricchimento personale sono particolarmente favorevoli, orientando l'attività di governo e motivando le decisioni dell'intera élite politica, siamo in presenza della così detta 'cleptocrazia' (v. Andreski, 1968; v. Wiles, 1977, pp. 450454). Lo Stato cleptocratico, in altri termini, si presenta come mero strumento per la massimizzazione della ricchezza dei suoi governanti, in genere, un gruppo di piccole dimensioni che può a tale scopo disporre del controllo dell'apparato coercitivo, tassando in modo intimidatorio e selettivo i soggetti privati, indipendentemente dai servizi pubblici forniti in cambio (v. Rose Ackerman, 1999, p. 115). Da questo punto di vista, il concetto di cleptocrazia ha elementi di sovrapposizione con quello di patrimonialismo (la gestione della cosa pubblica come bene privato) e di predazione (l'estrazione di risorse tramite una minaccia di violenza, senza alcuna significativa contropartita). Una rilevante componente cleptocratica era sicuramente presente al momento della formazione degli Stati moderni. L'attività di governo di tutte le principali organizzazioni statali era caratterizzata infatti dall'estrazione di quote elevate di surplus dalle attività agricole o commerciali, a vantaggio esclusivo delle ristrette cerchie di detentori del potere politico. La stessa evoluzione dello Stato moderno è stata interpretata come un processo di progressiva affermazione di 'gruppi criminali organizzati', specializzati nella produzione e nell'impiego della violenza, i quali: a) sono riusciti a eliminare o neutralizzare i loro rivali al di fuori del territorio sul quale praticano in modo continuativo l'uso della forza (tramite conflitti armati); b) hanno eliminato o neutralizzato i loro rivali all'interno di quei territori (istituendo lo Stato); c) hanno fornito servizi di protezione, eliminando o neutralizzando i nemici dei loro 'clienti'; d) si sono appropriati delle risorse necessarie a svolgere i primi tre tipi di attività, tramite il sistema fiscale ed altri tipi di 'estrazione' di risorse (v.Tilly, 1985).
Storicamente, è soltanto negli ultimi tre secoli, con l'affermarsi dei regimi liberali e liberaldemocratici, che i paesi occidentali hanno progressivamente attenuato la loro componente cleptocratica. Ciò è avvenuto, innanzitutto, grazie alla separazione 'burocratica' tra le cariche pubbliche e gli individui che le ricoprono, i quali non posseggono a titolo personale le risorse amministrative, ma hanno potere solo nella misura in cui occupano un ruolo specifico e soggetto a vincoli nell'amministrazione pubblica. Nel contempo, con l'ingresso delle masse nell'arena politica e l'ampliamento delle funzioni dello Stato, la gestione della cosa pubblica ha cominciato a richiedere competenze specifiche e la creazione di risorse autonome di sostentamento: la professionalizzazione della pubblica amministrazione e della classe politica hanno proceduto in parallelo. Altrettanto importante è stato l'assoggettamento del sovrano alla legge e la conseguente trasformazione dei sudditi in cittadini, dotati di diritti garantiti da un apparato giudiziario imparziale rispetto alle diverse istanze. L'espansione della democrazia ha rafforzato ulteriormente gli strumenti di controllo contro i rischi di esercizio cleptocratico dell'autorità pubblica. La periodica competizione elettorale tra gruppi politici contrapposti rappresenta un meccanismo di selezione delle élites e di controllo del loro operato che può scongiurare comportamenti 'predatori' della classe di governo, posta sotto la minaccia della sanzione politica consistente nella mancata conferma in carica. Inoltre, in una democrazia concorrenziale aumenta la probabilità che tali comportamenti, se occultati, siano scoperti e rivelati al pubblico, grazie alla presenza di molteplici organismi indipendenti di controllo 'interni' all'apparato pubblico (magistratura, commissioni di inchiesta, ecc.) ed 'esterni' (avversari politici, mass media, opinione pubblica, organizzazioni internazionali).
Se questi elementi hanno permesso ai moderni Stati liberaldemocratici di scongiurare un palese esercizio cleptocratico dei poteri pubblici, in molti paesi in via di sviluppo, al di là delle fragili architetture costituzionali (solitamente mutuate da paesi occidentali), governi cleptocratici risultano tuttora ampiamente diffusi. In questi casi l'intera struttura statale viene gestita come una proprietà privata, conformemente al modello patrimonialistico di Stato, nel quale il diritto del governante sul gruppo si trasforma in assoluto diritto personale, analogo al diritto su un qualsiasi bene economico suscettibile di possesso e realizzabile nel suo valore (v. Weber, 1981, p. 227). Gli ordinari attributi della sovranità (leggi, esercito, imposte, tribunali, ecc.) diventano quindi strumenti nelle mani dei governanti, che possono impiegarli a loro piacimento per incamerare a titolo privato risorse prodotte dal sistema economico o provenienti dalla vendita di risorse naturali (v. Lundahl, 1997). Episodicamente, in occasione di qualche rivolgimento politico che ha visto la conquista del potere da parte di una nuova élite di cleptocrati, è stato denunciato e documentato il trasferimento all'estero, nei conti personali degli ex governanti, dei loro congiunti e dei membri del loro clan, di enormi quantità di ricchezze sottratte al paese.Anche nell'attività di governo dei paesi democratici di tradizioni più consolidate è stata tuttavia osservata la sopravvivenza, in misura più o meno accentuata, di una componente cleptocratica. Un primo ambito di riflessione al cui interno è emerso il potenziale cleptocratico - o, almeno, 'predatorio' - presente nelle democrazie è quello della teoria delle scelte pubbliche (public choices), che ha evidenziato la tendenza della burocrazia pubblica, nonché della classe politica, ad estendere le proprie funzioni sulla base del proprio tornaconto materiale. Il riconoscimento di una componente cleptocratica quale potenziale movente dell'azione di qualsiasi governo porta allora a riconsiderare la natura, le funzioni e le stesse fonti di legittimazione dello Stato. Sotto un profilo analitico, ci si è interrogati sulla linea di demarcazione tra estorsione e protezione, tra racket e tassazione, tra potere statale e potere criminale (v. Schelling, 1984). Da Machiavelli a Hobbes, la funzione centrale dello Stato è stata individuata nell'organizzazione e, ove possibile, nella gestione monopolistica della coercizione, favorita dalla presenza di 'economie di scala' nella tecnologia militare di produzione della violenza (v. Lane, 1966; v. North, 1981).
In questa prospettiva, i 'mezzi politici' per arricchirsi nella società sono stati distinti dai 'mezzi economici' in quanto caratterizzati da un'espropriazione violenta della ricchezza prodotta da altri, invece che dalla produzione e dallo scambio volontario; lo Stato, in quanto 'organizzazione dei mezzi politici', altro non sarebbe che lo strumento con cui un gruppo ristretto di 'cleptocrati' può procurarsi vantaggi parassitari a spese dei saccheggiati (v. Oppenheimer, 1997, p. 14). D'altra parte, con l'eccezione di un filone anarchico-libertario, che ritiene la tassazione del tutto equivalente a un furto e considera lo Stato indistinguibile da una vasta e potente organizzazione criminale ( v. ad esempio Rothbard, 1982), l'esistenza dell'ente politico - lo Stato - che fa dell'impiego tendenzialmente esclusivo della coercizione il proprio tratto distintivo, è stata legittimata in quanto 'male minore' rispetto a un'ipotetica condizione originaria di anarchia. Mentre, in una situazione di anarchia, l'attività concorrenziale di più 'banditi' che si alternano sul territorio distrugge gli incentivi alla produzione e al consumo, un cleptocrate stabilmente al potere - in quanto 'bandito stazionario' che monopolizza e razionalizza il furto - è incentivato a garantire quelle condizioni minime di ordine e di prevedibilità nei rapporti sociali che, accrescendo la produttività, incrementano anche i suoi introiti personali. Al contrario, quanto più ristretto è l'orizzonte temporale dell'autocrate e più incerta la successione al potere, tanto più si rafforzano gli incentivi alla confisca e alla brutale spoliazione delle risorse private (v. Olson, 1993; v. Grossman e Noh, 1990).
In modo simile, la classica analisi contrattualista vede nel 'Leviatano' statale uno strumento per scongiurare gli altissimi costi della sfiducia reciproca e della mancanza di cooperazione sociale che gli individui si troverebbero ad affrontare in uno 'stato di natura' anarchico. La produzione di qualsiasi 'bene pubblico', incluso lo stesso ordine sociale, richiede infatti la soluzione del dilemma del 'battitore libero' (free rider), legato alla presenza di incentivi individuali a sfruttare l'altrui cooperazione senza contraccambiare con comportamenti ugualmente cooperativi. La funzione dello Stato, in questa prospettiva, diventa quella di fornire ai membri del gruppo sociale uno strumento per sanzionare coattivamente la defezione dai modelli di condotta che definiscono con relativa stabilità una certa struttura di diritti (v. Buchanan, 1975). La disponibilità della risorsa 'violenza', tuttavia, permette a quelli che detengono l'autorità pubblica di fornire una garanzia debole, selettiva e arbitraria dei diritti individuali, riscuotendo in cambio un 'prezzo' esorbitante in termini di entrate fiscali. I governanti, in altri termini, possono finire per proteggere i cittadini da una minaccia che discende dalle stesse attività dello Stato, trasformando la protezione (sia pure precaria e arbitraria) in estorsione vera e propria (v. Olson, 1996). Il costituzionalismo moderno rappresenta essenzialmente il tentativo di garantire ai cittadini un insieme di diritti individuali che i detentori del potere politico non sono in grado di violare e, dunque, una salvaguardia imparziale contro le potenziali degenerazioni autoritarie e cleptocratiche del potere pubblico, in modo da evitare che anche i governanti peggiori possano fare danni eccessivi (v. Popper, 1963). In questo senso, i regimi liberali si distinguono per il grado più elevato di prevedibilità nelle modalità di impiego dei mezzi organizzati della coercizione da parte dello Stato, conseguita tramite la separazione dei poteri, l'introduzione di procedure ed organi imparziali di controllo, l'istituzione dello Stato di diritto. Anche in questo contesto un orientamento predatorio dello Stato sopravvive nella misura in cui gli agenti pubblici incamerano a titolo privato, tramite i meccanismi di esazione fiscale, risorse non reinvestite socialmente per scopi produttivi e protettivi. Data l'ovvia difficoltà di rilevare e quantificare questa componente 'predatoria', all'interno di questo approccio la riflessione sulla cleptocrazia si è sviluppata più in chiave analitica che nella ricerca empirica.In una diversa prospettiva, la sopravvivenza di una componente cleptocratica nei regimi democratici viene associata all'impiego 'occulto' delle funzioni pubbliche (politiche e burocratiche) finalizzato all'arricchimento personale (v. Shleifer e Vishny, 1993). Nei moderni sistemi liberal democratici le pratiche di sistematica spoliazione di beni e ricchezze appartenenti alla collettività possono infatti celarsi nelle pieghe dell'attività statale, là dove un reticolo di scambi corrotti rende possibile l'appropriazione congiunta, da parte degli amministratori pubblici e di soggetti privati, di risorse gestite, regolate o create dall'intervento dello Stato (v. della Porta e Vannucci, 1994). Il tema della cleptocrazia si intreccia quindi in profondità con quello della corruzione politico-amministrativa, e in particolare della corruzione 'sistemica' o 'istituzionalizzata' (v. Charap e Harm, 1999). Si tratta di un approccio relativamente recente, visto che fino alla fine degli anni ottanta la corruzione politica aveva ricevuto un'attenzione sporadica da parte degli studiosi dei sistemi politici democratici, venendo considerata essenzialmente come una patologia circoscritta ai paesi economicamente arretrati e non ancora toccati dai processi di modernizzazione politica (v. ad esempio Huntington, 1968). Con la fine dei regimi socialisti, parallelamente alla sua consacrazione, il modello democratico è stato tuttavia percorso da una serie di linee di tensione, fra i cui sintomi vi sono la caduta della partecipazione politica, la sfiducia nei confronti dei leaders, la crisi dei 'valori' della rappresentanza, la crescente difficoltà di governo dei processi economici. La corruzione politica si inserisce in questo quadro come una delle espressioni più preoccupanti delle contraddizioni cui va incontro il modello trionfante della democrazia: il controllo politico dei cittadini si rivela inefficace, mentre la percezione della diffusione sommersa di pratiche illecite contribuisce ad alimentare sfiducia e malcontento generalizzato nei confronti della politica, delle istituzioni rappresentative e dell'élite dirigente. Non solo i paesi dell'area latina e mediterranea, tradizionalmente considerati come più esposti a certe 'patologie', ma anche sistemi democratici di consolidate tradizioni, dagli Stati Uniti alla Francia, dal Belgio alla Gran Bretagna, hanno conosciuto infatti nel corso degli anni novanta un incremento di scandali o di denuncie di piccole malversazioni (v. della Porta e Mény, 1996; v. Savona e Mezzanotte, 1998).
Anziché estinguersi, sembra dunque che le tendenze cleptocratiche si siano sviluppate in forme originali anche all'interno dei meccanismi decisionali democratici, insinuandosi nei rapporti sempre più complessi tra Stato e mercato, nutrendosi dei bisogni creati dai nuovi meccanismi di formazione del consenso, avvantaggiandosi di tecniche sperimentate di intermediazione e di gestione delle risorse finanziarie impiegate per corrompere, radicandosi nel commercio e negli scambi internazionali. Le crescenti preoccupazioni internazionali sono confermate dal susseguirsi, nel corso degli anni novanta, di iniziative di coordinamento e di guida nella lotta alla corruzione promesse dall'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), dal Parlamento europeo, dalla Banca Mondiale, dalle Nazioni Unite. Nei paesi democratici, nonostante il potenziale controllo esercitato dai mass media, dai cittadini, dai partiti di opposizione e da una magistratura indipendente, la corruzione non è un fenomeno circoscritto: di qui l'importanza di un'analisi delle ragioni del mancato funzionamento di quei vincoli che avrebbero dovuto ostacolare le pratiche cleptocratiche di governo, nella forma specifica di scambio corrotto.
Sotto un profilo teorico, per comprendere la natura dello scambio corrotto occorre risalire al rapporto che sussiste, all'interno di qualsiasi organizzazione, tra il soggetto delegato a prendere certe decisioni, l"agente', e il titolare degli interessi in rappresentanza dei quali egli opera, il 'principale' (è questo il caso, ad esempio, della relazione che sussiste tra amministratori pubblici e cittadini). Dato che ogni agente ha finalità private che non coincidono con quelle del 'principale', al quale può nascondere informazioni rilevanti concernenti la propria attività, uno dei modi di regolare il possibile conflitto di interessi è l'istituzione di procedure fisse e verificabili, che limitino la discrezionalità dell"agente'. Nell'organizzazione pubblica si avrà uno scambio corrotto quando i vincoli posti dalle regole legali (in particolare, il divieto di accettare tangenti) sono aggirati nascostamente a seguito dell'intervento di una 'terza parte', il corruttore, che influenza a proprio vantaggio le decisioni dell"agente', offrendo in cambio risorse in suo possesso.
Nello scambio corrotto i soggetti privati cercano infatti di modificare a proprio vantaggio - grazie a decisioni favorevoli, protezione, informazioni riservate - la struttura dei 'diritti di proprietà' su risorse amministrate o soggette a regolazione dallo Stato, attraverso l'azione di amministratori politici o burocratici. Ad esempio, la gestione della spesa pubblica o il potere d'interdizione e di licenza, cioè la facoltà di consentire o meno l'esercizio di certe attività private, producono condizioni 'artificiali' di scarsità nell'accesso ai benefici pubblici e nel godimento di risorse private. Gli agenti pubblici creano così posizioni di 'rendita politica', i cui diritti di proprietà sono attribuiti in base all'esito di procedure da essi controllate. Ogni settore d'intervento pubblico può dimostrarsi vulnerabile alla corruzione, se in esso viene decisa l'allocazione di rendite politiche mediante criteri non imparziali né trasparenti (v. Rose Ackerman, 1978, pp. 61-63). Corrotto e corruttore si spartiscono clandestinamente, attraverso uno scambio occulto, i diritti di proprietà sulla rendita politica così creata, a danno della collettività. La corruzione può dunque interpretarsi come un accordo tra una piccola minoranza di soggetti per appropriarsi di beni che appartengono alla maggioranza della popolazione, sulla quale ricadono i costi di tali pratiche (v. Comitato di studio per la prevenzione della corruzione, 1996, p. 3). Per questa ragione, la presenza di corruzione è un indicatore di un'inclinazione cleptocratica all'interno dell'élite di governo.
La spiegazione della maggiore o minore diffusione delle pratiche di corruzione, e dunque del radicamento delle tendenze cleptocratiche nel governo, si può ricondurre a due principali filoni di ricerca. Il primo approccio, di matrice economica, considera le scelte che l'individuo 'opera razionalmente', quando il sistema istituzionale di incentivi e opportunità rende la corruzione soggettivamente conveniente. La decisione di partecipare allo scambio corrotto dipende infatti dall'aspettativa di costi (legati alla probabilità di essere scoperto e alla severità della sanzione prevista) e vantaggi attesi (confrontati con quello delle alternative disponibili) (v. Rose Ackerman, 1978). Entrano in gioco, in questo calcolo, le occasioni 'istituzionali' di corruzione, che si riflettono in una pluralità di fattori quali i costi dell'attività di intermediazione politica; la facilità di ingresso di nuovi attori nel mercato politico; la probabilità di insuccesso elettorale per un eventuale 'scandalo' politico; il livello di intervento pubblico in campo economico e sociale; il grado di discrezionalità delle decisioni politico-amministrative; l'intensità della regolazione delle attività private; l'efficienza dei meccanismi di controllo politico e amministrativo; le modalità della competizione politica; le caratteristiche concorrenziali o collusive del sistema economico. Inoltre, quanto più bassa è la probabilità di essere denunciati o 'truffati' dalla controparte, tanto più alto sarà il vantaggio atteso del coinvolgimento nella corruzione.
Una diversa prospettiva teorica, di matrice 'neoistituzionalista', guarda invece ai sistemi di norme, regole, procedure e valori che stanno alla base di ogni organizzazione. Una funzione essenziale delle istituzioni è infatti quella di fornire a coloro che ne fanno parte un insieme di significati, dando senso alle loro azioni. I comportamenti tenuti all'interno delle organizzazioni non sarebbero dunque dettati dal mero interesse individuale, ovvero dall'anticipazione delle loro incerte conseguenze sul soddisfacimento delle preferenze, ma piuttosto da obbligazioni culturali e norme sociali, ossia da una logica del comportamento ispirata a criteri di appropriatezza nel contesto e da concezioni di identità (v. March e Olsen, 1997, p. 42). Questo insieme di norme e valori determina il cosiddetto 'costo morale' della corruzione, che riflette convinzioni interiorizzate, come lo spirito di corpo, il 'senso dello Stato' degli agenti pubblici, la cultura politica prevalente o l'attitudine nei confronti dell'illegalità. Il costo morale tende allora ad aumentare in presenza di sistemi di valori che sostengono il rispetto della legge e dei principî dello Stato di diritto, ossia quando il comportamento corrotto implica una violazione di valori profondamente interiorizzati, connessi alla 'funzione pubblica' o all'attività imprenditoriale. Se i criteri di riconoscimento morale della cerchia sociale cui l'individuo appartiene sono analoghi a quelli che sostengono l'autorità pubblica, l'eventuale 'uscita' da queste cerchie, conseguente al coinvolgimento nella corruzione, risulterà estremamente costosa. Al contrario, si può prevedere che la corruzione sia favorita dall'ingresso nel sistema politico di nuovi attori, con un ridotto capitale iniziale di risorse (in termini monetari, di capacità intellettuali o di prestigio) e un debole riconoscimento sociale dei criteri morali positivi dell'osservanza della legge (v. Pizzorno, 1992, pp. 45-46). Un argomento analogo vale per la burocrazia: dove l'ingresso e la carriera sono condizionati dall'appartenenza e dalla protezione politica (o, nella migliore delle ipotesi, dall'anzianità), e non dal merito e dalle competenze tecniche, possiamo aspettarci che per gli amministratori pubblici si indebolisca anche il così detto 'orgoglio di posizione' o 'senso dello Stato' - che si esprime nel rispetto delle sue procedure - e dunque aumenti la quota di soggetti inclini alla corruzione (v. della Porta e Vannucci, Corrupt exchanges, 1999).Variazioni nei costi morali possono spiegare le differenti risposte individuali alla presenza di occasioni di corruzione ugualmente vantaggiose. È così possibile che, per condizioni istituzionali simili, i livelli di corruzione differiscano a seguito delle diverse 'attitudini morali' di cittadini ed amministratori pubblici (v. Elster, 1989, p. 39).
Combinando questi approcci, alcuni autori hanno cercato di interpretare i fattori che possono favorire lo sviluppo di una corruzione 'sistemica', ovvero pervasiva dell'intero sistema politicoamministrativo. In tale contesto, le modalità cleptocratiche di esercizio del potere si stabilizzano entro un reticolo di scambi corrotti, regolati da norme informali di condotta sanzionate dai centri di potere che beneficiano del flusso di tangenti (v. Vannucci, 1997). Si consolida cioè un equilibrio perverso in cui i comportamenti corrotti vengono premiati e quelli 'onesti' sono invece puniti. Un simile approccio sembra particolarmente adatto all'analisi delle 'dinamiche' della corruzione. Diversi autori hanno mostrato, ad esempio, come la corruzione possa autoalimentarsi, dando luogo ad un effetto-valanga causato, in una società corrotta, dall'atteggiamento di ostilità o di emarginazione nei confronti dei non corrotti (v. Elster, 1989, p. 268). In questa prospettiva, la convenienza delle scelte di corruzione non dipende soltanto dalle preferenze individuali o dall'assetto istituzionale, ma anche dall'interdipendenza strategica con le scelte di altri individui. La stessa diffusione della corruzione riduce infatti i suoi rischi: quanto più la corruzione è praticata, tanto minore il pericolo di essere denunciati o scoperti, e tanto più alto il costo della scelta di onestà (v. Andvig e Moene, 1990). In presenza di corruzione sistemica, per non essere esclusi dal gioco anche i non corrotti sono portati a colludere o a convivere con la corruzione, così che la semplice aspettativa che la corruzione sia ampiamente praticata induce un numero crescente di individui a farvi ricorso. Le competenze e le informazioni sulle tecniche migliori per far circolare tangenti si accumulano nel tempo, mentre i processi di selezione degli individui impegnati nell'attività politica, burocratica o imprenditoriale non premiano il rispetto della legge, ma piuttosto la mancanza di scrupoli, la capacità di far carriera attraverso gli appoggi politici, l'abilità nel procacciare denaro per sé e per il partito. Anche i codici morali di condanna della corruzione tendono a indebolirsi in presenza di corruzione diffusa. Se l'avversione morale alla corruzione è condizionata dal comportamento - più o meno 'onesto' - degli altri attori, la previsione che la corruzione sia ampiamente praticata finisce così per autoavverarsi. Gli stessi vincoli morali si allentano, mano a mano che si diffonde quella che è stata chiamata "cultura della corruzione" (v. Myrdal , 1971, p. 945). La pratica generalizzata della corruzione, inoltre, genera sfiducia e insoddisfazione verso gli affari pubblici, preparando il terreno per una corruzione ancora più estesa (v. Hirschman , 1983, p. 135). Viceversa, se la corruzione è diffusa marginalmente, la ricerca di un partner affidabile diventa più difficile, le sanzioni più facili da applicare, le remore morali più solide.
Tra i possibili vincoli alla corruzione e all'esercizio cleptocratico del potere, così come ad altre forme di crimine, occorre considerare in primo luogo le strategie di repressione dei corrispondenti reati. La punizione di un crimine dovrebbe avere lo scopo di sanzionare i responsabili di comportamenti illegali, ma anche di scoraggiare nuovi atti criminali. A parità di altre condizioni, infatti, una crescita del costo atteso di un'azione illecita dovrebbe ridurre la propensione individuale a porla in atto. Entrano così in gioco tanto l"entità' delle sanzioni (legali e amministrative, formali e informali) previste per la partecipazione ad attività illegali, che la 'probabilità' che queste vengano effettivamente applicate (v. Becker, 1968), a sua volta influenzata dall'efficienza della struttura di controlli giudiziari e amministrativi, ovvero dalla solidità dello Stato di diritto. L'inefficacia della repressione, al contrario, tende ad avviare un circolo vizioso, favorendo una diffusione della corruzione che poi, a sua volta, rende più difficili i controlli.I sistemi democratici, in particolare, prevedono un sistema di vincoli all'esercizio del potere pubblico, la cui efficacia è soggetta a un continuo processo di revisione e di aggiustamento a seconda delle aspettative e delle preferenze dei cittadini, che a loro volta sono influenzate dall'efficacia dei controlli esercitati nei periodi precedenti. Tra i possibili ostacoli 'esterni' alla corruzione, quello derivante dal controllo diffuso dei cittadini risulta in genere assai debole. Il beneficio derivante da una riduzione della corruzione ha infatti le caratteristiche di 'bene pubblico', dato che tutti potranno usufruirne anche senza impegnarsi direttamente in un'azione collettiva finalizzata a questo scopo: la quota dei benefici che va al singolo cittadino, grazie alla denuncia di un funzionario corrotto, è cioè così piccola, rispetto ai costi che egli dovrà personalmente sostenere, da cancellare ogni vantaggio ad agire da solo (v. Benson e Baden, 1985, p. 401). Per quanto riguarda i controlli politici, gli episodi di corruzione dovrebbero essere limitati dalla dinamica dei rapporti tra maggioranza e opposizione: in un contesto di potenziale alternanza al potere, la denuncia della corruzione o dell'appropriazione indebita di risorse da parte della classe di governo accresce le probabilità di successo per le forze di opposizione. Da questo punto di vista, la corruzione politica è favorita dalla lunga permanenza al potere di uno stesso partito o coalizione, così come dalla presenza di accordi consociativi tra maggioranza e minoranza per la spartizione di benefici materiali.Un ulteriore tipo di controlli viene attuato dagli stessi organi investigativi dello Stato, in particolare dalla magistratura, sia amministrativa che penale. Poiché l'appropriazione occulta di risorse da parte dell'élite di governo rappresenta una violazione della legge penale, la magistratura è l'antagonista naturale dei soggetti coinvolti nello scambio corrotto. Per questo, il grado di indipendenza dal potere politico degli organi inquirenti e giudicanti influisce sulla loro capacità di sanzionare le violazioni dei diritti individuali di proprietà da parte della classe politica. Non a caso, a partire da Montesquieu, la tripartizione dei poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario è stata vista come conditio sine qua non del moderno Stato liberale. In tempi più recenti, tutti i regimi democratici si sono appellati all'autonomia del potere giudiziario come garanzia di controllo sulle azioni dei governanti. Nonostante l'affermazione di principio di una separazione tra poteri, in tutte le democrazie contemporanee si è comunque mantenuto un certo livello di controllo politico sulla magistratura attraverso diversi meccanismi: la dipendenza organizzativa e funzionale del pubblico ministero dal ministro della giustizia in Francia o in Spagna, l'elezione popolare dei procuratori della Repubblica negli Stati Uniti, l'ingresso nella magistratura in età avanzata da parte di individui che hanno già provato la loro fedeltà all'establishment in Gran Bretagna (v. Guarnieri, 1992; v. Nelken, 1996). In molti casi, perciò, i giudici non possono avere strumenti adeguati per indagare incisivamente sulla classe politica.
L'efficacia del sistema giudiziario nella lotta alle inclinazioni cleptocratiche del sistema politico non discende soltanto dal suo grado di autonomia. Ovviamente, gli strumenti normativi e materiali a disposizione dei giudici condizionano l'efficacia dell'azione repressiva: quanto maggiori sono le risorse disponibili per gli investigatori, più efficiente la struttura organizzativa e specializzato l'intervento sui diversi reati, più chiare le leggi, tanto maggiore potrà essere l'efficacia dell'azione giudiziaria di repressione e prevenzione dei reati. Nel caso della corruzione, occorre considerare inoltre l'eventualità che gli stessi controllori utilizzino il loro potere come contropartita di scambio corrotto. La possibilità di lavorare con scrupolo o superficialmente, di applicare con maggiore o minore severità le sanzioni previste, costituisce per i controllori una risorsa utilizzabile per raccogliere tangenti. Non a caso, molti scandali hanno riguardato soggetti incaricati di applicare sanzioni: agenti di polizia, doganieri, magistrati, ecc. (v. Sherman, 1978; v. Klitgaard, 1988).
Un ulteriore problema è legato al fatto che la corruzione è un reato che spesso coinvolge congiuntamente burocrati e politici. Tra le principali innovazioni dello Stato moderno, osserva Max Weber (v., 1919), c'è la creazione di una classe di politici professionisti e di una classe di burocrati pubblici. Essi dovrebbero collaborare, ma esercitando funzioni distinte che presuppongono un controllo reciproco: ai politici è affidata la definizione dell'indirizzo generale delle politiche pubbliche, attraverso l'attività legislativa ed esecutiva; ai burocrati spetta il compito di rendere operative le direttive dei politici. Di fatto, però, le funzioni di politici e burocrati non sono distinguibili così nettamente. Gli amministratori politici, eletti o nominati, devono condividere una parte dei loro poteri decisionali con i burocrati, che si trovano così nella condizione di poterne smascherare l'eventuale corruzione, denunciare gli atti illegittimi, o comunque rifiutarsi di adottare i necessari provvedimenti esecutivi. Di regola, dunque, il politico corrotto ha bisogno almeno della non ostilità dei burocrati per attuare quelle decisioni grazie alle quali riceve tangenti. Per conto loro i politici, programmando le linee generali dell'attività amministrativa, influenzano opportunità e rischi dell'eventuale corruzione burocratica.
Si presenta però il rischio che le parti, anziché controllarsi a vicenda, trovino un'intesa: nella gestione dei processi decisionali, gli esponenti politici e i burocrati possono spartirsi i proventi della corruzione, stipulare intese di non ingerenza nelle rispettive 'zone di competenza', o addirittura formare 'comitati d'affari' per la gestione comune delle occasioni più lucrose. Migliori opportunità di corruzione nella vita pubblica si presentano grazie alla commistione o alla protezione clientelare del personale politico nei confronti di quello burocratico, all'inefficienza dei controlli interni di merito (vulnerabili alla 'collusione' tra controllori e controllati), alla trasmigrazione degli amministratori tra cariche elettive e cariche di nomina politica, che favorisce una diffusione orizzontale delle pratiche illecite da un'istituzione all'altra. L'esito di questo processo di progressivo allentamento dei meccanismi di controllo è, da un lato, la percezione di un rischio sempre più contenuto del coinvolgimento nelle pratiche di corruzione, dall'altro il coinvolgimento degli stessi organi di controllo dell'espropriazione cleptocratica di risorse ai danni della collettività. Il sistema della corruzione finisce dunque per accrescere la propria stabilità complessiva, ripartendo in modo selettivo i benefici dell'appropriazione di rendite politiche e generalizzandone i costi sull'ampia cerchia degli esclusi.
Le scelte pubbliche pagate con tangenti permettono a un soggetto privato di ottenere una rendita politica, cioè di realizzare un prezzo maggiorato o un risparmio non dovuto sul costo di una risorsa scambiata con lo Stato o soggetta a regolazione pubblica. In alcuni casi oggetto di scambio occulto sono decisioni discrezionali che assegnano un beneficio, o influenzano gli esiti di una procedura pubblica; in altri è invece l'inazione che interessa il privato, specie nei luoghi del potere d'interdizione (come le commissioni edilizie o gli organi di controllo); a volte il decisore pubblico si limita a segnalare informazioni riservate, cioè notizie che accrescono la probabilità di aggiudicarsi il beneficio. Quanto maggiori sono il numero e la rilevanza delle decisioni prese dallo Stato - al crescere cioè della capacità dello Stato di creare posizioni di rendita politica o di incidere sulle decisioni individuali dei cittadini - tanto più propizie saranno, a parità di altre condizioni, le occasioni di corruzione. In questa prospettiva, si è spesso individuata nella riduzione delle funzioni dello Stato una possibile strategia per sconfiggere la corruzione e disinnescare i pericoli della cleptocrazia. L'esperienza dei Paesi Scandinavi, con una grande tradizione di Stato sociale e livelli marginali di corruzione, o, viceversa, le esperienze di burocrazie debolissime e capillarmente corrotte nei paesi in via di sviluppo, sembrano però falsificare la tesi di una sovrapposizione tra intervento dello Stato e sviluppo della corruzione. Al contrario, è stata dimostrata una correlazione statistica negativa tra entità delle entrate dello Stato e indice di percezione della diffusione della corruzione (v. Johnson e altri, 1998): in altri termini, quanto maggiore è la quota di ricchezza (in percentuale del prodotto interno lordo) che lo Stato preleva, tanto più limitata è la pratica della corruzione. Questo sembra corroborare l'idea che non sia soltanto la 'quantità', ma piuttosto la qualità dell'azione statale a influenzare i livelli di corruzione: uno Stato 'severo' e autorevole anche in campo fiscale - indipendentemente dalle sue dimensioni - può mantenere bassi i livelli di evasione fiscale, di economia sommersa e di corruzione, pur 'maneggiando' una quota consistente delle risorse prodotte nel paese. Al contrario, gli introiti, anche relativamente scarsi, di uno Stato 'debole' e 'sfiduciato' dai suoi cittadini diventano facile preda per l'azione dei moderni 'cleptocrati'.La trasparenza dei processi decisionali riduce le occasioni di corruzione e di appropriazione privata delle risorse pubbliche. La trasparenza è infatti un elemento centrale per il funzionamento della democrazia, in quanto condizione essenziale per il controllo, da parte dei cittadini, dell'operato dei governanti, che fonda e legittima la democrazia rappresentativa (v. Pizzorno, 1992). La delega di potere dai cittadini ai loro rappresentanti presuppone infatti la possibilità di controllarli, ovvero di conoscere, valutare ed eventualmente sanzionare il loro operato. La trasparenza nell'azione amministrativa dovrebbe inoltre favorire il rispetto della legge da parte dei decisori pubblici, e quindi un 'uguale accesso' dei cittadini ai benefici derivanti dall'azione dello Stato. In uno Stato di diritto, leggi e regolamenti proteggono infatti i cittadini dall'arbitrio dei governanti, stabilendo in modo chiaro diritti e doveri di ciascuno. In questo contesto, un ricorso eccessivo alla legislazione 'accresce' le possibilità di arbitrio, poiché rende possibile una selezione della norma da applicare in ogni caso specifico, o nell'incertezza autorizza di fatto l'inazione. Viceversa, quanto più le procedure sono complesse e imprevedibili nei loro esiti, tanto maggiore sarà l'incentivo a ricorrere alla corruzione (v. della Porta e Vannucci, 1994). Non a caso, in un confronto tra diversi paesi, è stata dimostrata l'esistenza di una correlazione positiva tra la diffusione della corruzione e il tempo che gli amministratori delle imprese devono spendere negoziando con i funzionari licenze, permessi, autorizzazioni (v. Kaufmann e Siegelbaum, 1997).
Intaccando il principio di trasparenza, la corruzione induce lo sviluppo di un sistema di scambi illeciti che garantisce a chi è disposto a violare la legge un accesso privilegiato alle risorse pubbliche. Queste attività cleptocratiche non determinano soltanto l'occultamento delle scelte collettive, che diventano 'opache' per definizione, ma tende a riprodurre in modo allargato le condizioni di vischiosità del sistema politico amministrativo. Se i processi di appropriazione illecita delle risorse pubbliche si espandono, si accresce progressivamente il malcontento dei cittadini nei confronti del funzionamento del sistema politico. In un circolo vizioso, la sfiducia e l'insoddisfazione verso la democrazia spingono i cittadini che hanno relazioni più frequenti e significative con lo Stato a cercare una protezione individuale: una 'protezione clientelare', promettendo il loro voto o il loro sostegno a un 'patrono' politico; o una 'protezione corrotta', offrendo denaro all'amministratore pubblico.
La professionalizzazione dell'attività politica ha fortemente contribuito alla separazione delle risorse politiche da quelle private, limitando tendenzialmente la cleptocrazia. Forme diverse di finanziamento della politica - dal tesseramento dei partiti di massa al contributo pubblico - hanno permesso di occuparsi della cosa pubblica anche a coloro che non avevano ingenti ricchezze personali da destinare a un'attività politica a tempo pieno. In democrazia, controlli efficaci su queste fonti di finanziamento dovrebbero impedire le commistioni tra risorse private e risorse pubbliche di cui si nutre la cleptocrazia.Una crescita esponenziale dei costi della politica, cui non si è riusciti a far fronte attraverso i canali legali di finanziamento, avrebbe però spinto, in tempi recenti, verso una crescita della corruzione. In termini generali, i costi della politica sono collegati ad alcune variabili che influenzano il livello di competizione sia all'interno dei singoli partiti che fra di essi. Caratteristiche istituzionali rilevanti sono, ad esempio, quelle che incidono sul processo elettorale: numero di assemblee elettive, presenza o meno di elezioni primarie, presenza di turno unico o doppio turno, numerosità dei componenti delle camere, ecc.. Una certa influenza hanno anche quelle condizioni istituzionali che incidono sull'intensità della competizione tra i candidati concorrenti: numero e dimensione dei collegi, presenza o meno di voti di preferenza, sistema elettorale proporzionale o maggioritario, numero di liste in competizione fra loro. Un aspetto del sistema politico che ha un forte peso sui costi dell'attività politica è, infine, il tipo di legittimazione dei partiti. Questi ultimi possono raccogliere consenso sostanzialmente in tre modi: sviluppando un senso di appartenenza; convincendo i cittadini della bontà dei loro programmi per il benessere collettivo; o scambiando sostegno specifico con un accesso privilegiato alle risorse pubbliche garantito ai clientes. Il primo tipo di consenso comporta spesso la creazione di vasti apparati di partito, ma nel lungo periodo è tendenzialmente il meno costoso: gli elettori, identificandosi con un partito, continueranno infatti a votarlo nel corso del tempo senza bisogno di ulteriori spese di informazione e di persuasione. Per quanto riguarda il secondo tipo di consenso, la prevalenza di un elettorato di opinione può far lievitare le spese orientate a far conoscere e apprezzare il programma del partito, ma introduce al contempo vincoli alla corruzione, rendendo eventuali scandali estremamente penalizzanti, in termini di perdita di immagine e di reputazione. È la terza forma di raccolta del consenso - che può definirsi di 'integrazione individualistica' - ad essere più costosa e vulnerabile allo sviluppo di tendenze cleptocratiche nella classe politica: essa produce infatti una lievitazione dei costi, per il bisogno di 'acquistare' i clienti pagando loro specifici benefici, e limita nel contempo le potenziali sanzioni elettorali per politici corrotti. Nelle democrazie contemporanee, a fronte di una riduzione dell'elettorato di appartenenza - gli 'zoccoli duri' dei partiti ideologici - si è fatta sempre più rilevante la propaganda orientata a conquistare un elettorato fluttuante. Inoltre, la politica è diventata più costosa man mano che si è ridotto il numero degli attivisti, disposti a finanziare in vario modo il loro partito, mentre la diffusione di nuove tecnologie, in aggiunta a tradizionali mezzi di propaganda, ha accresciuto i costi della comunicazione. Nella politica post-ideologica il denaro è sempre più importante, poiché spesso sono premiati i candidati che impiegano più efficacemente i costosi strumenti del marketing politico, ovvero chi ha più soldi per alimentare le proprie macchine clientelari.
Se la corruzione può essere una risposta all'aumento dei costi della politica, lo stesso sviluppo delle pratiche cleptocratiche rende più costosa la politica, avviando una sorta di circolo vizioso (v. della Porta e Vannucci, 1994). Se una parte delle tangenti raccolte attraverso le attività illegali va a rimpinguare i conti personali dei politici corrotti, una quota viene spesso reinvestita nel mercato politico. In questo caso, l'obiettivo è quello di guadagnare ulteriori consensi, costruendosi un 'seguito' personale, il cui appoggio è negoziabile col vertice del partito, o di ottenere da quest'ultimo la conferma della candidatura o della nomina nella carica pubblica che permette l'appropriazione di risorse a titolo personale. Nella democrazia competitiva i politici corrotti utilizzano il denaro delle tangenti per finanziare le spese necessarie alla propria carriera politica: la gestione del potere serve ad accumulare denaro, con il quale acquistare ulteriore potere. La corruzione accelera così il progressivo indebolimento della gerarchia ufficiale dei partiti coinvolti: il potere si sposta, in primo luogo, verso gli amministratori pubblici, soprattutto quelli che, occupando le cariche più 'remunerative' in termini di tangenti, possono incamerare privatamente maggiori quantità di risorse pubbliche. Nel frattempo, indebolitosi il potere di determinare la linea politica e di definire i programmi generali, il ruolo del partito, o meglio del singolo boss, diventa quello di 'assegnare' individui fidati nei posti chiave della struttura pubblica, da cui procedere alla spartizione dei proventi dell'appropriazione a titolo privato delle risorse gestite (v. della Porta, 1992). La politica si trasforma in un 'mercato di autorità', entro il quale la carriera è determinata dalla capacità di controllare alcuni beni essenziali per la vita delle strutture occulte del partito (v. Belligni, 1998).
La corruzione produce quindi sensibili spinte inflazionistiche nel mercato politico. In primo luogo, essa convoglia nella competizione politica risorse di provenienza illecita che avvantaggiano i corrotti, spingendo anche i concorrenti a ricercare finanziamenti per competere ad armi pari. Inoltre, le campagne elettorali dispendiose e le altre manifestazioni di disponibilità economica da parte dei politici offrono un 'segnale' della remuneratività occulta di determinate cariche, rendendo conveniente un investimento proporzionale pur di conseguire il consenso necessario a reclamarle con successo. Corruzione e costo della politica si alimentano così a vicenda: quanto più l'attività politica costa, tanto più aumentano gli incentivi a ricavare denaro dalle cariche pubbliche ricoperte. Al tempo stesso, se vi sono ricche opportunità di guadagno (seppure illecito) nei ruoli pubblici, diventa possibile e vantaggioso investire molto nelle campagne elettorali o nella lotta politica pur di occuparle. Le inclinazioni cleptocratiche tendono così a modificare la 'natura', oltre che gli 'esiti', della concorrenza per il voto che caratterizza i meccanismi decisionali democratici. In presenza di corruzione sistemica, la selezione del personale politico premia non la capacità di rappresentare bisogni collettivi, ma le doti di spregiudicatezza o l'abilità nel reinvestire in politica il ricavato delle tangenti. Ne scaturisce così una competizione politica di natura inflazionistica che accresce le esigenze finanziarie di tutti i partecipanti e incentiva il ricorso capillare alla corruzione, premiando i soggetti che sono in grado di accedere a posizioni di potere da cui raccogliere maggiori tangenti.
L'affermarsi su scala mondiale della democrazia si è accompagnato al parallelo successo del sistema di mercato. Dove la corruzione è 'istituzionalizzata', però, neppure la sfera dell'economia esce indenne dal processo di trasformazione in mercato dell'autorità pubblica. La corruzione è un sintomo degli attriti sotterranei che possono insorgere tra democrazia e mercato, spesso considerati coessenziali l'una all'altro. Lo scambio corrotto altro non è che l'applicazione di una logica di mercato a certe relazioni i cui termini sono invece fissati - secondo procedure istituzionalizzate - dall'autorità pubblica. Ma l'estensione di un sistema di prezzi ai diritti garantiti dalle procedure pubbliche, oltre che contrario ai valori democratici, è d'ostacolo al corretto funzionamento del mercato (v. Arrow, 1972, p. 357). Là dove le leggi, la risoluzione delle controversie, la protezione dei diritti e di tutti quei beni pubblici che sono il necessario complemento del sistema di mercato divengono oggetto di negoziazioni nascoste e di scambi corrotti, viene meno quel quadro minimo di prevedibilità e regolarità che consente ai soggetti economici l'esercizio proficuo delle loro attività. Anche nel mercato ha così luogo un processo di 'selezione dei peggiori', che premia i produttori privati e le imprese non per la capacità di soddisfare i bisogni dei consumatori, ma per l'abilità nel costruire relazioni fiduciarie e simbiotiche col potere politico, o per l'affidabilità e la generosità nell'elargire tangenti (v. della Porta e Vannucci, Un paese anormale, 1999; v. Sapelli, 1994).
La disponibilità degli imprenditori a pagare tangenti aumenta quanto maggiore è l'importanza relativa della domanda pubblica di beni o servizi da essi forniti. Al contrario, lo sviluppo tecnologico e la presenza di opportunità alternative di impiego delle risorse produttive nel settore privato consentono di bilanciare le spinte alla collusione con il potere politico. Nei sistemi economici in cui il peso relativo della domanda privata è più elevato, gli imprenditori possono opporsi con costi minori alle richieste impreviste di tangenti, mentre la presenza di efficaci normative antitrust riduce la disponibilità di risorse di mercato utilizzabili per corrompere decisori pubblici. Anche l'apertura dei mercati alla concorrenza internazionale e l'assenza di barriere doganali sono d'ostacolo all'instaurazione di rapporti di protezione politica, poiché aumentano le probabilità che i soggetti esclusi denuncino le pratiche illegali. Il grado di istituzionalizzazione delle strutture d'impresa è un altro fattore che influenza le opportunità di corruzione: là dove prevale un modello di proprietà anonima con efficaci meccanismi di controllo esterno diventa più difficile la formazione delle riserve extracontabili di bilancio, che sono il preludio al pagamento di tangenti monetarie. Al tempo stesso, la dispersione della proprietà tra i piccoli azionisti e la minore stabilità in carica degli amministratori d'impresa ostacolano la formazione dei rapporti fiduciari di lungo periodo con i detentori del potere politico, che spesso sono a fondamento dello stabilizzarsi di relazioni corrotte. Quando invece i deboli controlli interni e lo stabile accentramento della proprietà entro gruppi ristretti, sul versante imprenditoriale, si accompagnano alla speculare permanenza al potere di una stabile élite politica sul versante pubblico (come nel caso del Giappone e dell'Italia), possono crearsi relazioni prolungate tra amministratori pubblici e imprenditori, a fondamento di un sistema di scambio occulto il cui adempimento è garantito dall'aspettativa di una ripetizione indefinita di scambi corrotti.
Nelle situazioni di corruzione sistemica, gli imprenditori risultano generalmente artefici o beneficiari della corruzione, accumulando ingenti fortune per fornire agli enti pubblici beni scadenti a prezzi esorbitanti. L'universo della corruzione appare così immerso in una dimensione di 'scambio volontario', confermata dall'esistenza di mercati 'protetti' nei quali la partecipazione agli scambi corrotti non soltanto è intenzionale, ma di solito difesa con accanimento e ambita dagli esclusi. In questi casi, la concorrenza tra imprese e individui che cercano di stringere relazioni contrattuali con gli enti pubblici non premia i soggetti più inclini all'onestà, né determina - salvo casi sporadici - denunce alla magistratura, né contribuisce a migliorare l'efficienza dell'azione amministrativa. Numerosi imprenditori, trovandosi a dipendere da decisioni discrezionali o da procedure dall'esito imprevedibile, trovano così conveniente acquistare specifici benefici pubblici, oppure una generale 'protezione politico-amministrativa' delle loro attività presso gli enti pubblici, dove partecipano ad appalti, o richiedono autorizzazioni, concessioni, licenze. Le somme di denaro vengono allora indirizzate - come una sorta di tassa periodica - a garanti politici che hanno il potere di prevenire, dirimere sollecitamente e sanzionare eventuali contenziosi relativi agli scambi occulti, ai rapporti contrattuali con l'ente pubblico, alla mancata garanzia dei loro diritti (v. Vannucci, 1997).
Di regola, nel sistema della corruzione non si assiste all'estorsione di capitale privato da parte di politici e funzionari, ma piuttosto alla 'spoliazione congiunta', da parte degli amministratori pubblici e di imprenditori protetti, di risorse pubbliche create dall'intervento dello Stato. Le tendenze cleptocratiche, in altri termini, vengono condivise dalla classe politica e da cerchie ristrette di burocrati e soggetti privati, in grado di condizionare a proprio vantaggio condizioni di attuazione ed esiti delle politiche pubbliche. Questa dimensione di scambio volontario è confermata dal fatto che la corruzione spesso si associa alla presenza di cartelli di imprenditori che si alleano per spartirsi i contratti pubblici, assicurandosi l'assegnazione a rotazione. Simili tendenze collusive sono una fonte di corruzione: da un lato consentono di creare posizioni di rendita che possono essere in parte ridistribuite, come tangenti, ai politici in cambio della loro non interferenza o di servizi di regolazione del mercato; dall'altro permettono agli amministratori corrotti di nascondersi dietro la regolarità formale e l'apparente competizione nello svolgimento delle gare, che hanno in realtà un vincitore già designato. Naturalmente, tramite la corruzione questi cartelli possono acquisire una protezione dai potenziali concorrenti, mantenendo così margini di profitto che sarebbero erosi da una reale competizione. I politici corrotti sono interessati a favorire gli accordi tra imprenditori per eliminare la concorrenza, poiché assieme possono appropriarsi del surplus derivante dalla lievitazione dei prezzi pagati dagli enti pubblici.
L'attività corruttiva degli imprenditori costituisce una violazione sia di norme giuridiche poste a tutela dell'interesse generale, che di clausole contrattuali che salvaguardano gli interessi degli azionisti delle rispettive imprese, dato che l'esborso di tangenti ovviamente impone la falsificazione dei bilanci. La corruzione si riflette sulle imprese escluse dal 'mercato protetto', determinando una 'selezione in negativo' che punisce gli imprenditori rispettosi della legge e può avvantaggiare imprese inefficienti, ma più abili nell'allacciare rapporti fiduciari con gli amministratori corrotti o nell'acquisire le necessarie competenze di illegalità. Nella competizione senza più regole pubbliche imparziali, le imprese più efficienti possono finire per soccombere proprio perché le loro avversarie, prive di opportunità nel mercato privato, sono disposte a pagare gli amministratori pur di mantenersi attive nel settore pubblico. Più in generale, ne risultano penalizzati i cittadini-contribuenti, che pagano il costo di un incremento dei prezzi pagati per le opere pubbliche, ottengono beni e servizi pubblici di scadente qualità, subiscono la distorsione della domanda pubblica. Lo Stato finisce per offrire non quello che è socialmente utile, ma ciò che risulta personalmente più redditizio per gli amministratori che attuano le relative scelte operative.
In conclusione, là dove i vincoli alle pratiche cleptocratiche introdotti nelle moderne liberaldemocrazie - primato della legge, trasparenza della pubblica amministrazione, finanziamento della politica come professione, garanzie ad attività concorrenziali di mercato - si indeboliscono, può consolidarsi un equilibrio perverso caratterizzato dalla diffusione sistemica della corruzione e di altre pratiche predatorie. Gli stessi meccanismi che permettono il funzionamento 'ordinato' del mercato della corruzione, regolandone gli eventuali attriti interni, favorendo la socializzazione dei nuovi entrati nel sistema e l'emarginazione dei soggetti meno affidabili, contribuiscono poi a rafforzare la sensazione diffusa di impunità, riducendo i costi attesi degli scambi corrotti e attenuandone le barriere morali. Per quanto esteso capillarmente, questo equilibrio presenta tuttavia elementi di intrinseca fragilità: in quanto fondato su attività predatorie, esso tende a consumare risorse materiali e simboliche, senza essere in grado di riprodurle adeguatamente. In queste circostanze, è possibile che sfide provenienti dall'esterno o dall'interno del sistema politico possano avviare un 'circolo virtuoso' e che, attraverso incisive politiche di riforma delle 'regole del gioco' politico-amministrativo, spezzi la riproduzione su scala allargata delle pratiche cleptocratiche.
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