cliché
Con cliché si intende, genericamente, un’espressione fissa divenuta banale a forza di essere ripetuta. Quest’accezione risalirebbe ai fratelli Goncourt che per primi, del termine comparso agli inizi del 19° secolo con il significato di «placca metallica in rilievo a partire da cui si possono stampare un gran numero di esemplari di una composizione tipografica» (TLF, ad vocem), avrebbero registrato sia il senso figurato sia la connotazione peggiorativa (1890: 1267). Questi, secondo un aneddoto riportato nel Grand Dictionnaire Universel du XIXĕme siècle di Pierre Larousse (cit. da Amossy 1982: 5), si sarebbero tuttavia già diffusi a partire dal 1869 fra i tipografi parigini, che erano soliti utilizzare cliché come tecnicismo ma anche come esclamazione di sorpresa («cliché!») al termine della stampa di grandi tirature; e proprio l’«ancoraggio storico-sociale» tra il significato tecnico e quello figurato, ovvero lo stretto legame tra la «fabbricazione indefinita dello stesso oggetto, e l’iterazione dei tipografi che trasforma[ro]no la sorpresa delle prime grida di esclamazione in abitudini e formule rituali logorate dal passaparola», avrebbero accelerato e accentuato il processo di «svalorizzazione» del termine nel XIX secolo (Amossy 1982: 5).
È stata la stilistica a proporre, di cliché, sia una sistemazione teorica sia un riscontro empirico, ad es. nell’analisi del discorso politico (GRAAT 1997) e nella critica letteraria (Perrin-Naffakh 1985; Mathis 1998; Bagni 2003), secondo la quale il cliché rappresenterebbe «il marchio [...] che caratterizza un genere, e un tipo di discorso in una data epoca» (Herschberg-Pierrot 1998: 30). In questa accezione, cliché non sarebbe associato soltanto alla mediocrità di uno scrittore «[qui] n’écrit plus qu’à l’aide de clichés qu’il s’est fabriqués lui-même et qui le dispensent de réfléchir, tout en lui donnant l’illusion qu’il s’exprime d’une façon personnelle» (Green 1933: 126 cit. in TLF, ad vocem; ma riflessioni simili, come noto, sono già nel Bouvard et Pécuchet di Flaubert), ma a uno scarto rispetto alla norma, utilizzato consapevolmente dagli autori a fini stilistici (cfr. Laroche 2003).
Scelte autoriali a parte, e ben più prosaicamente, l’uso (anzi l’abuso) di cliché sarebbe caratteristico di alcuni linguaggi settoriali o pseudo-settoriali, quali quello della pubblicità e dei media, i quali a forza di riproporre e imporre formule fisse all’utente medio (come: autentica prodezza, diffuso malessere, svolta decisiva, scottante attualità, episodio sconcertante, delitto efferato, uscire dal tunnel, cifre da capogiro, isole da sogno, ecc.) avrebbero contagiato l’italiano standard (di vera e propria «epidemia» parla Beccaria 2006: 16) rendendolo piatto, banale, inespressivo.
Da un certo punto di vista, il termine copre genericamente l’insieme composto di espressioni idiomatiche, ➔ binomi irreversibili (per es., grande e grosso, bello e buono, sale e pepe, genio e sregolatezza, ecc.), frasi fatte, ecc. Soffermandosi soltanto sulla lessicalizzazione dell’espressione, il cliché può essere però definito come un sintagma costituito da elementi fissi, ovvero un segmento discorsivo derivato da una figura di stile (generalmente una comparazione, una metafora o una catacresi) o una figura retorica (di solito l’analogia), ormai indebolite dall’iterazione e dalla banalizzazione (Schapira 1999: 26).
Ad es., nelle locuzioni:
(1) ai piedi della montagna
(2) il letto del fiume
i nomi piede e letto sembrano aver perduto il loro significato iniziale, con il conseguente indebolimento delle analogie da cui le espressioni hanno tratto origine. E se la figura ha perso il suo valore stilistico – e quindi, secondo Schapira (1999: 26-27), la sua espressività – le locuzioni possono essere considerate come totalmente lessicalizzate e grammaticalizzate (per riduzione semantica di uno o più componenti) e andrebbero quindi trattate tra le locuzioni grammaticali più che tra i fatti di stile.
In quanto locuzioni lessicalizzate e grammaticalizzate, i cliché possono presentarsi in forme e con strutture diverse. Le più frequenti in italiano sono:
(3) aggettivo + come + articolo + nome:
a. buono come il pane
b. felice come una Pasqua
c. vecchio come il mondo
d. bagnato come un pulcino
(4) verbo + come + articolo + nome:
a. urlare come un’aquila
b. scrivere come una gallina
c. ridere come un matto
(5) nome + sintagma preposizionale:
a. pazienza di Giobbe
b. lacrime di coccodrillo
c. fame da lupo
d. febbre da cavallo
(6) verbo + sintagma preposizionale:
a. amare alla follia
b. odiare a morte
c. correre a perdifiato
Come si può notare, si tratta di strutture fisse, altamente produttive, nate da metafore, analogie, comparazioni la cui origine spesso non è più motivata, ma il cui significato è trasparente. Sul piano morfologico è da notare che spesso i cliché, malgrado la loro fissità, presentano una certa variabilità, poiché si sono formati non secondo un sistema di derivazione coerente, ma secondo l’uso; insieme alle forme invariabili, infatti, si trovano espressioni che accettano la variazione di numero e di genere:
(7) * fami da lupo
(8) * pazienze di Giobbe
(9) felici come una Pasqua
(10) vecchie come il mondo
Sul piano sintagmatico, inoltre, il cliché può sia essere immodificabile
(11) piovere a catinelle
a. * piangere a catinelle
b. * sputare a catinelle
(12) amare alla follia
a. * odiare alla follia
b. * guardare alla follia
sia variare uno dei suoi costituenti, con il costituente che funge da base a comportarsi da modificatore:
(13) ridere / correre / gridare / urlare / comportarsi come un matto
Per le sue caratteristiche semantiche e grammaticali, il cliché presenta implicazioni tanto sul piano lessicografico, in quanto unità lessicalizzata, quanto sul piano stilistico e retorico, in quanto figura di stile consapevolmente ripetuta. Di una certa rilevanza le connessioni anche sul piano acquisizionale (➔ acquisizione dell’italiano come L2) e su quello della traduzione, data la forte dipendenza del cliché dalla doxa e dal contesto culturale (ital. fuga all’inglese, ingl. French leave, ecc.) legati a una lingua: da qui l’importanza di repertori di cliché a uso non solo di parlanti monolingui (Kirkpatrick 1996).
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