CLIMATOLOGIA
(X, p. 606; App.: III, I, p. 398; IV, I, p. 473)
Negli ultimi decenni la scienza del clima aveva già segnato sensibili progressi rispetto agli anni prebellici. Alcuni geografi, che avevano seguito con vivo interesse i progressi della meteorologia sinottica, si erano convinti che i concetti fondamentali di questa disciplina dovevano entrare nella c. geografica, al fine di rendere più vivaci le descrizioni climatiche regionali mediante l'esame della dinamica atmosferica. Intorno alla metà degli anni Cinquanta si affermò dunque la convinzione che una efficace descrizione del clima di una regione si potesse ottenere attraverso l'esame delle masse d'aria, dei cicloni e degli anticicloni solitamente interessanti quella regione, cioè attraverso lo studio del normale decorso del tempo su di essa. Venne così affermandosi la c. dinamica.
Questo processo però fu meno rapido di quanto si potesse sperare, sia perché allora non era facile reperire il materiale documentario necessario per questi studi, dato che erano ancora poco numerose (fino alla metà degli anni Sessanta) le stazioni meteorologiche che effettuavano le osservazioni sinottiche i cui risultati potessero essere utilizzati negli studi di c. dinamica, sia perché vi è stata una forte resistenza da parte di molti geografi, legati alla vecchia concezione del clima, che temevano un'eccessiva specializzazione degli studi climatologici. Nonostante ciò, il passo era ormai compiuto, tanto che si effettuarono studi a scala planetaria impostati su queste nuove vedute e si pervenne anche a una classificazione dei climi del mondo su base dinamica: tentativi del genere furono compiuti dal tedesco M. Hendl, dal russo B. P. Alissov e da altri.
Le resistenze più forti riguardavano la c. regionale. In questo campo si faceva ancora uso degl'indici o formule empiriche ricavati dagli elementi direttamente osservati che erano in genere la temperatura dell'aria e le precipitazioni. Anche l'apparato statistico di base in questi studi rimaneva modesto, perché non andava oltre la determinazione delle medie e di certi valori di frequenza. Le stesse spiegazioni delle caratteristiche del clima regionale, sempre esposte discorsivamente, se da un lato testimoniavano della serietà di quegli studi, dall'altro ponevano in evidenza il carattere essenzialmente qualitativo del lavoro climatologico tradizionale.
Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio del decennio successivo si sono verificati importanti rivolgimenti all'interno della cultura scientifica, che non potevano non investire anche il campo della climatologia. Anzitutto è da ricordare che in quel periodo venne facendosi più stretto il legame tra scienza e attività economiche. Così, si fecero sempre più pressanti le richieste di conoscenze climatiche da parte delle attività più fortemente legate alle vicende del tempo e del clima, man mano che quelle attività diventavano più evolute tecnicamente e condizionate dalle leggi della competizione produttiva. Tali esigenze non potevano essere soddisfatte da descrizioni qualitative o da semplici tabelle di dati, ma richiedevano elaborazioni particolari, adatte alle specifiche utilizzazioni agricole, industriali, urbanistiche, turistiche e così via. Si sentì insomma il bisogno di sviluppare c. finalizzate.
Anche l'emergere della problematica ambientale, dopo il rapido sviluppo delle tecnologie, dei consumi e, almeno in parte, dello stesso sviluppo demografico, ha fatto sentire il suo peso nella climatologia. Oggi, com'è noto, vi è un'attenzione diffusa e crescente, non solo in sede scientifica ma anche politica, per i molti rischi e danni che l'uomo provoca a se stesso attraverso un uso anarchico dell'ambiente e delle sue risorse. Orbene, parte sostanziale dell'ambiente è il clima il quale, se alterato oltre certi limiti, può diventare un fattore peggiorativo delle condizioni di vita. La c. quindi si è volta a studiare i vari tipi di alterazione dell'atmosfera, la loro intensità, le loro conseguenze: è nata così una c. ecologica.
Un altro importante filone di ricerca realizzatosi nella scienza climatologica durante gli ultimi decenni è la ricostruzione dei climi del passato, a partire dall'inizio dell'Olocene (età postglaciale). Così, alla paleoclimatologia che si occupa degli eventi climatici del Pleistocene (glaciazioni e periodi interglaciali caldi), già da tempo esistente, è venuta affiancandosi una branca nuova che studia le variazioni del clima negli ultimi millenni e negli ultimi secoli. Essa ha fatto progressi particolarmente importanti dopo la metà degli anni Sessanta, giungendo a riconoscere nella storia degli ultimi 2000 anni le seguenti fasi climatiche: un ''periodo caldo medievale'', dal 750 al 1150; una ''piccola età glaciale'' dal 1550 circa al 1850; un ''periodo caldo recente'' tra il 1850 e il 1950. Rimangono da colmare non poche lacune, certo, ma queste acquisizioni sono particolarmente significative; è interessante rilevare che in questo campo di ricerca si realizza una proficua collaborazione fra scienziati e umanisti (storici e geografi in primo piano). Questa branca della paleoclimatologia è ormai generalmente nota come c. storica.
È da ricordare un ulteriore filone di ricerca sorto in seno alla c., volto a interpretare i meccanismi profondi da cui hanno origine i climi. Esso si avvale degli sviluppi della cosiddetta meteorologia matematica, cioè una meteorologia basata sempre più sulla fisica e realizzata attraverso modelli matematici di atmosfera resi possibili dall'avvento di elaboratori elettronici di grande potenza. Con l'ausilio di questi modelli si tende da un lato a formulare previsioni sull'evoluzione del tempo con un anticipo anche di 30÷40 giorni (nel campo strettamente meteorologico) e dall'altro di penetrare nel profondo i rapporti tra atmosfera e superficie terrestre per poter poi chiarire (tenendo conto ovviamente anche dei fenomeni radiativi) i meccanismi di formazione del clima. Potremmo definire questa nuova linea di ricerca la c. dei modelli matematici (v. anche meteorologia, in questa App.).
Grazie a tutti questi apporti nuovi la c. è divenuta oggetto di un rinnovato interesse da parte non solo degli studiosi ma anche dell'opinione pubblica che, costantemente informata delle variazioni giornaliere del tempo, si mostra desiderosa di conoscere l'incidenza che tali eventi hanno sulla realtà del clima. Questa disciplina inoltre ha attirato l'attenzione di un numero crescente di studiosi di diversa provenienza, disponibili ad affrontare gli argomenti prima ricordati con mentalità aperta alla collaborazione e con i mezzi di indagine oggi a disposizione, dischiudendo così alla c. orizzonti finora inesplorati.
Il passaggio della c. a un'impostazione più rigorosamente scientifica rispetto al passato, sia negli studi teorici sia in quelli finalizzati alla soluzione di problemi concreti, ha comportato un riesame critico delle stesse metodologie di base, portando a un livello di maggiore generalizzazione la definizione di clima (v. in questa App.) che veniva data in epoche precedenti: in altri termini, si è dimostrato che i nuovi indirizzi di studio e gli attuali compiti dell'indagine climatologica si possono ben sviluppare sulle basi concettuali ereditate dal passato. Si deve dire invece che sono diversi, e ben più avanzati che in passato, gli strumenti statistici su cui oggi poggia quel concetto e su cui si svolge il lavoro del climatologo.
La natura del clima, com'è noto, è fisica e statistica, inscindibilmente. Che sia fisica non può esservi dubbio: l'atmosfera è un corpo materiale e pertanto i suoi comportamenti sia a breve periodo (stati atmosferici e loro successione; meteorologia) sia a lungo periodo (stati climatici e loro successione; c.) sono soggetti alle leggi della fisica. Altrettanto evidente, nei suoi aspetti sostanziali, è il fondamento statistico, se è vero che il clima si definisce come "la totalità degli stati atmosferici, ciascuno con il proprio peso di frequenze che in un lungo periodo si verificano in quella regione, stati che sono quantitativamente espressi dall'insieme dei parametri e misure atti a definirli" (Rosini 1985).
L'Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM) definisce il clima, dal punto di vista operativo, come la situazione media dell'atmosfera risultante dall'elaborazione dei dati di osservazione di un trentennio. Partendo da questo presupposto, ci sembra giusto da un lato definire ''stato climatico'' di un trentennio l'insieme dei dati relativi a quel trentennio (come vuole l'OMM) e dall'altro indicare con l'espressione ''clima attuale'' lo stato climatico dell' ultimo trentennio. Dal punto di vista ontologico il clima deve essere considerato "come una trama sulla quale si intessono le situazioni meteorologiche reali giorno dopo giorno e anno dopo anno; o meglio ancora − le parole sono sempre di E. Rosini − è la matrice che genera volta per volta quelle situazioni, sapendo che la matrice stessa è costituita da riferimenti centrali e da variabilità intorno ad essi". Il clima dunque è costituito da quell'insieme di dati e dalle situazioni meteorologiche alle quali quella matrice dà esistenza e a esso si può risalire soltanto esaminando con molteplici metodi statistici quell'insieme di dati.
Senza dunque rinunciare a considerare anche i fenomeni essenziali della dinamica atmosferica (la c. tradizionale fondandosi solo sulla temperatura e sulle precipitazioni forniva un'immagine parziale e statica della realtà climatica), e anzi proprio per padroneggiarli nel loro ricorrere su un dato luogo o regione, la statistica moderna offre strumenti molto avanzati. Si ricorda intanto che prendendo per base un trentennio e supponendo che il clima rimanga nel corso del tempo sempre stabile (ma è noto che non è così), si parte dal presupposto che il trentennio di osservazioni registrate rappresenta soltanto un campione statistico realizzato fra i tanti possibili, e tra loro diversi solo per l'intervento del caso. Pertanto appare più realistico considerare l'insieme dei dati rilevati nel trentennio considerato non come il clima, unico e definito, di quella località ma come un campione statistico del clima vigente in quel trentennio. Tale differenza non è solo di ordine concettuale, ma ha i suoi riflessi anche nella concezione delle statistiche climatologiche da offrire agli utilizzatori: non più le tradizionali medie ricavate direttamente, e con calcoli elementari, dai dati ripresi dalle osservazioni meteorologiche, ma indicazioni probabilistiche ricavate per inferenza statistica quale ''legge probabilistica di massima verosimiglianza'' nei parametri e nella distribuzione delle frequenze. Tutto ciò conduce a ridimensionare l'importanza dei valori medi e degli estremi assoluti, e a sostituirli con le distribuzioni verosimili di frequenza; particolarmente utili sono poi i valori di frequenza espressi come periodi medi di ritorno in anni. Ciò consente l'uso dei dati climatologici per il calcolo del ''rischio climatico'', come probabilità di un evento dannoso in un determinato periodo di tempo. A questo riguardo sono molto utili anche i cosiddetti ''calendari delle probabilità'' introdotti nella c. da C. P. Péguy durante lo scorso decennio.
Un grande impulso allo studio delle realtà climatiche regionali, grazie all'ausilio di moderni e avanzati metodi statistici, si è avuto nello scorso decennio, quando nel mondo della geografia e delle scienze naturali si è avuta, con sorprendente rapidità, la diffusione delle matematiche applicate, lo spreading of mathematics degli studiosi di lingua inglese. Da allora si sono affermate alcune linee di ricerca che meritano di essere qui ricordate: a) un indirizzo facente capo alla cluster analysis, che si propone d'individuare attraverso un esame puramente statistico le zone che sono omogenee da un punto di vista prefissato (termico, pluviometrico, climatico generale, ecc.); i risultati di queste elaborazioni, che vengono sintetizzati con particolari grafici chiamati dendogrammi, vengono poi raffrontati con i risultati ottenuti con altri metodi di classificazione e di individuazione di tipi regionali; b) una linea di ricerca volta all'individuazione delle probabilità degli estremi, per es. dei valori termici, ossia degli estremi di caldo e di freddo, che sono utili nel campo agricolo, o delle precipitazioni di massima intensità, che rivestono particolare importanza per il calcolo del rischio delle alluvioni e quindi per la progettazione delle opere idrauliche fluviali. Si trascurano altri indirizzi che hanno, rispetto a questi, una minore importanza.
Volendo cogliere in un quadro di sintesi ciò che è accaduto nel corso degli ultimi due decenni, si osserva che nell'ambito della c. regionale si è potuto registrare un diminuito interesse per lo studio esclusivamente climatologico-dinamico: uno studio che alcuni definivano ''genetico'' perché l'esame dei grandi individui atmosferici, come le masse d'aria, i cicloni e gli anticicloni − nonché le perturbazioni nella loro varia tipologia −, avrebbe dovuto dare le più preziose informazioni sulla genesi del clima regionale. D'altra parte vi è stata una grande espansione delle ricerche di carattere sintetico-statistico, fondate sui nuovi metodi di cui si è detto sopra, spesso nascenti da bisogni pratici e perfino commissionate in certi casi da utenti del mondo produttivo.
Si è già fatto cenno in precedenza allo sviluppo delle c. finalizzate: basterà qui aggiungere che dai grandi processi di urbanizzazione e d'industrializzazio ne che hanno caratterizzato la seconda metà del 20° secolo sono emerse esigenze climatologiche di vario tipo, anche perché i due eventi ora ricordati hanno portato a una progressiva alterazione dei caratteri originari dell'atmosfera (ma non solo per questo). Tali esigenze hanno determinato, tra l'altro, lo sviluppo degli studi sui microclimi (urbani, agricoli, forestali, di valle, ecc.) dove la ricerca può farsi quanto mai minuziosa ed estendersi ai bilanci locali sui flussi di energia, di acqua, ecc. In questi spazi ristretti l'energia solare in arrivo, la velocità media del vento, la quantità delle precipitazioni ''vengono assunti come dati provenienti dall'esterno da misurare, non da spiegare'', per precisarne i mutamenti locali e le interferenze con l'ambiente. Spingendo l'indagine in profondità, si possono anche studiare questi bilanci in periodi minori di un anno (una stagione, un mese e anche meno), ricavando così preziose informazioni sulle variazioni locali dei fenomeni climatici e idroclimatici nel corso dell'anno. Lo studio dei microclimi, soprattutto nei casi in cui gli spazi oggetto di attenzione risultano delimitati da confini inequivocabili, si è rivelato di particolare importanza per far progredire varie c. finalizzate; tra l'altro ha dato preziose indicazioni da seguire nelle ricerche sui rapporti tra ambiente fisico e determinati processi, naturali e umani: condizioni climatiche e sviluppo delle colture agrarie, clima e diffusione degl'inquinanti urbani e industriali, ecc.
Non meno significativi sono stati gli sviluppi nell'ambito della c. generale. Si tratta invero di quella branca che in precedenza è stata definita come "c. dei modelli matematici" e che ormai è coltivata dai fisici più che da studiosi di formazione geografico-naturalistica. Essi affrontano le loro ricerche partendo da modelli fisico-matematici relativi ai caratteri stabili della circolazione atmosferica generale per cercare di comprendere i meccanismi essenziali di funzionamento della macchina atmosferica.
In questa ricerca, almeno in un primo approccio di sintesi, si ignorano tutte le particolarità a meso e microscala, al fine di avere un'immagine unitaria dell'evolvere dei fenomeni a scala planetaria. Una volta raggiunta tale conoscenza, si cerca di dedurre i comportamenti climatici veri e propri, e cioè in primo luogo la distribuzione della temperatura e delle precipitazioni. In questi modelli s'inseriscono i caratteri essenziali dell'atmosfera a vari livelli (per es. al suolo, a 500 e a 300 mb, o un numero maggiore di livelli quando si vuole ottenere un dettaglio maggiore nei risultati), l'energia solare e le sue vicende nell'atmosfera, l'albedo delle aree continentali, dei mari e delle zone glacializzate, l'influenza delle grandi catene montuose (soprattutto se di direzione meridiana) sulla circolazione atmosferica, ancora una volta con ricchezza tanto maggiore di particolari quanto più sofisticati sono i modelli che si vuole realizzare. Una volta inseriti nel modello (che si imposta con l'ausilio di grandi elaboratori elettronici) questi elementi e le leggi fisiche fondamentali cui obbediscono i moti atmosferici, si ottiene quel quadro d'insieme della dinamica atmosferica che si voleva appunto compendiare; ma è anche possibile − aggiungendo o togliendo qualche parametro o variandone i valori numerici − avere un'idea dell'evoluzione lenta dei più importanti elementi del clima nelle condizioni ipotizzate dal modello stesso.
Con questi aggiustamenti non solo si riesce a migliorare la bontà del modello attraverso il confronto con le condizioni reali, ma si può anche conoscere quali modificazioni intervengono quando si abbia un cambiamento nelle condizioni di partenza: per es., si può prevedere o almeno ipotizzare quali saranno le condizioni climatiche della Terra (e anche delle singole fasce di latitudine) con una concentrazione dell'anidride carbonica che arrivi a 400 parti per milione o anche a 500 ppm, oppure nel caso in cui l'albedo terrestre cambi in maniera sensibile per l'intensificarsi del processo di desertificazione dei continenti.
Per concludere, la tendenza emersa con maggiore evidenza in questi ultimi due decenni è quella dello studio del clima in funzione della vita e delle attività dell'uomo. Si è infatti imposta la necessità di prendere le mosse da un'approfondita conoscenza delle condizioni climatiche nella progettazione e nella programmazione di varie attività, da un lato per rendere più funzionali le nostre realizzazioni e dall'altro per non recare guasti all'ambiente. Anche i frequenti tentativi, effettuati con l'ausilio di modelli, di prevedere i possibili mutamenti climatici derivanti dalle variazioni nella concentrazione dell'ozono e dell'anidride carbonica nell'atmosfera − testimonianza di una viva preoccupazione − devono essere considerati nel più vasto quadro dei rapporti tra clima e uomo.
Bibl.: J. T. Houghton, The global climate, Cambridge 1984; M. Pinna, La storia del clima, Roma 1984; E. Rosini, Nuovi orizzonti della climatologia, Napoli 1985.