clitici
di Christoph Schwarze
I clitici (dal gr. klíno «flettersi») costituiscono una categorie di parole variegata, caratterizzate essenzialmente dal fatto di essere brevi o brevissime (monosillabe o bisillabe); particelle, non autonome, simili per molti aspetti agli ➔ affissi. In italiano, sono clitici le cosiddette particelle pronominali, cioè forme atone del pronome personale (mi, ti, gli, ecc.; ➔ personali, pronomi), alcune congiunzioni (ma) e alcuni pronomi e avverbi (ne, ci, vi, ecc.). I clitici condividono con gli affissi il fatto di non avere accento proprio e di doversi attaccare a un’altra parola con cui formano una stretta unità anche prosodica. Come gli affissi, inoltre, i clitici non possono essere coordinati né negati né focalizzati. I clitici che stanno prima della parola si dicono tradizionalmente proclitiche; quelli che stanno dopo enclitiche. La parola a cui un clitico si attacca è detta il suo ospite.
L’insieme dei clitici è un caratteristica tipologica importante dell’italiano (➔ lingue romanze e italiano). In alcune lingue esistono forme alternative non clitiche, dal significato identico: ad es., il lat. -que, che segnala la coordinazione («e») e si attacca a destra dell’ultimo dei termini coordinati: fames sitisque «fame e sete», ha come alternativa la congiunzione et, che si colloca a sinistra dell’ultimo termine: fames et sitis.
Tra clitici e non clitici stanno le forme deboli: così, in inglese, ’s, forma debole della copula is, o n’t, forma debole della negazione not (it’s true per it is true «è vero», I don’t know per I do not know «non so»). Come i clitici, le forme deboli si uniscono a un ospite, ma occupano la posizione tipica della corrispondente non-clitica.
Per l’italiano e le altre lingue romanze conviene distinguere tra i clitici i determinanti (l’articolo definito; ➔ articolo), i segnacaso (tipicamente le preposizioni di, a e da; ➔ preposizioni) e i pronomi (come per es. lo, ci, ne in lo vedo, ci vado, ne parlo). La presente voce verte sui pronomi clitici, in letteratura chiamati anche semplicemente clitici (per le altre forme, ➔ particelle).
di Christoph Schwarze
I pronomi clitici sono caratteristici dell’italiano e delle lingue romanze: per es. it. lo vedo, sp. lo veo, fr. je le vois, ecc. Esistono però anche in lingue tipologicamente diverse, come l’arabo classico, che possiede pronomi clitici che sono personali e, nel contempo, possessivi, e si combinano con verbi, nomi e preposizioni. Si veda, per es., il pronome -hu, simile all’it. lo, nelle forme seguenti: qatala-hu «lo uccise», baītu-hu «la sua casa», lā-hu «per lui». I clitici mancano invece in latino, in russo e nelle lingue germaniche, che hanno però pronomi deboli.
Il sistema dei pronomi clitici italiani è strutturato secondo i tratti di ➔ persona (prima, seconda e terza), ➔ numero (singolare, plurale) e ➔ caso (dativo, accusativo, locativo e genitivo; per un’esemplificazione vedi la tab. 1). Non esiste nominativo. L’italiano si distingue perciò dal francese, e anche da taluni dialetti italo-romanzi, che hanno invece clitici soggetto; si confrontino i casi seguenti:
(1) a fr. elle mange du pain
b. trentino la magna pan
c. it. (lei) mangia pane
Non tutte le combinazioni di tratti astrattamente possibili si realizzano: per es., solo le forme di terza persona hanno il genere: lo ~ li ~ le; diverse forme (mi, ti, ci, vi e si) non distinguono tra dativo e accusativo; un riflessivo (si) esiste solo per la terza persona. Inoltre ci sono omonimi (una sola forma con più sensi): la forma ci realizza due combinazioni, il pronome dativo/accusativo di prima persona plurale (ci hanno salutato) e l’avverbio locativo (non ci voglio andare); vi ha la stessa doppia valenza (vedi gli esempi nella tab. 1).
Infine, non esiste pronome clitico dativo di terza persona plurale. Infatti, la forma loro, che realizza questa configurazione, non è un clitico ma una forma debole (Cardinaletti 1991); a differenza dei clitici, sta solo dopo il verbo e porta accento di parola:
(2) l’ho detto loro
Nella lingua poco sorvegliata (in particolare nel parlato) il clitico mancante è supplito dalla forma gli :
(3) ho parlato a quei signori e gli ho detto che ora partiamo
Il sistema dimostra anche una certa oscillazione diamesica e diastratica (➔ variazione diamesica; ➔ variazione diastratica). Così la forma gli non indica genere o numero nelle varietà meno accurate del parlato, sicché gli do può significare «do a lui», «do a lei» e «do a loro». Anche il locativo vi è marcato: lo si usa solo nello scritto colto, mentre in tutti gli altri usi si preferisce ci.
I pronomi clitici presentano anche fenomeni fonologici, in particolare l’➔elisione della vocale finale: le forme lo e la si riducono a l’ dinanzi a vocale (l’ho visto). Quest’elisione ha opzionalità e frequenza diverse per i vari pronomi clitici: il maschile è più toccato del femminile, l’accusativo più del dativo, il singolare più del plurale (Garrapa 2009). Ortograficamente l’elisione si esprime, normalmente tramite l’apostrofo: [ˈlaiˈvisto] l’hai visto, [ˈnɛ konˈtɛnta] n’è contenta (altri fenomeni fonologici, tipici dei cumuli di clitici, sono esaminati più sotto).
Nella tab. 1 diamo i pronomi clitici italiani in ordine di complessità crescente e dei tratti. Le forme menzionate sono quelle dell’italiano standard (si noti che la specificazione del tratto ‘caso’ data per si vale per il si riflessivo e reciproco, non per il si impersonale o passivante; vedi a proposito più oltre, § 3.3).
I pronomi clitici italiani possono disporsi in successione, come negli esempi seguenti:
(4) a. te ne darò una
b. spiegaglielo
c. portandomelo
Tali combinazioni sono dette cumuli (o meno spesso nessi). Unendosi in cumulo, i clitici formano una sequenza lineare fissa e inseparabile nella pronuncia e nella disposizione (nella scrittura, invece, i cumuli sono in alcuni casi separati, in altri uniti: per es., me ne vado rispetto a glielo dico io).
L’ordine dei clitici nei cumuli non sempre corrisponde a quello che i costituenti corrispondenti avrebbero nella frase: si confrontino, per es.,
(5) a. porto il vino in cantina
b. ce lo porto
Per funzione grammaticale lo corrisponde a il vino, ce corrisponde a in cantina; ma l’ordine lineare degli elementi in è inverso.
Quanto alle combinazioni possibili, queste sono ovviamente limitate dalle proprietà sintattiche dei verbi che fungono da ospite. Però la sintassi del verbo non determina i possibili cumuli per intero: infatti, taluni cumuli che la sintassi del verbo non escluderebbe, non sono ammessi. Così non si dice, per es.,
(6) a. * mi le preferisce
b. * le mi preferisce
Il dativo, in un caso simile, va espresso con una soluzione non-clitica:
(7) mi preferisce a lei
Ugualmente, non si possono avere cumuli di forme identiche. Una delle due forme deve essere dissimilata: in alcuni casi la dissimilazione è con un altro clitico della serie; in altri casi con una parola a sé (la forma dissimilata è dopo la freccia):
(8) a. * vi vi incontrerete → vi ci incontrerete
b. * ci ci vedremo → ci vedremo lì
c. * si si capisce → ci si capisce
Inoltre, il numero dei clitici che possono accumularsi è limitato; sono frequenti solo le combinazioni di due clitici, anche se quella di tre clitici non è agrammaticale (ma appropriata solo al parlare più corrivo):
(9) gli ce ne volle del bello e del buono (Cordin & Calabrese 1988: 591)
Alle restrizioni combinatorie (un elenco in Cordin & Calabrese 1988: 589 segg.) s’aggiunge una variazione di forma: i clitici cumulati subiscono mutamenti di forma fonologica e ortografica, secondo il seguente schema:
(10) i di mi, ti, si, ci, vi diventa e davanti ai clitici accusativi e genitivo:
mi lo → me lo, ti lo → te lo, ecc.
mi ne → me ne, ma mi ci → mi ci
(11) nel cumulo si si la s del primo si diventa c [ʧ]: si si = ci si (ci si conosce)
La formazione dei cumuli è basata su uno schema di priorità, che dispone i clitici nell’ordine indicato dalla tab. 2 (Cordin & Calabrese 1988: 589).
Per fare un esempio, si prenda il rango 5, che contiene la forma ci. Per ottenere tutti i cumuli formati da due clitici, ognuno dei clitici di rango superiore (mi, gli, ecc.) può precedere ci, e ognuno dei clitici di rango inferiore (si riflessivo, lo, ecc.) può seguirlo. Così si ha, per es., mi ci e ci si, ma non * si ci o * ne ci. A questo schema si aggiungono le restrizioni menzionate sopra e alcune altre (cfr. Cordin & Calabrese 1988: 589-591), nonché i mutamenti della forma fonologica e ortografica (per i quali vedi sotto).
I cumuli di clitici sono quindi un dominio intricato. Non lo è invece se si considera gran parte dei cumuli come unità memorizzate, contenute nel lessico mentale e perciò accessibili direttamente. È plausibile che i cumuli della tab. 3 siano unità lessicali di questo tipo (la tabella non contiene il ve / vi locativo, semplice variante libera di ce / ci).
di Christoph Schwarze
La grammatica dei pronomi clitici nelle lingue ha suscitato un’abbondante letteratura di carattere teorico (una sintesi in Riemsdijk 1990). Una delle questioni fondamentali è se essa sia sintassi (così opina la maggioranza degli autori) o morfologia (così, per es., Miller & Monachesi 2003). Qui adottiamo l’ipotesi che i pronomi clitici siano affissi sintattici, cioè attaccati al verbo al momento della formazione del sintagma verbale.
L’ospite dei clitici e dei loro cumuli è sempre un verbo. Può però fare da ospite anche ecco, che ha argomenti come il verbo e da taluni è considerata verbo:
(12) a. eccola, con un accusativo
b. eccotela, con un dativo e un accusativo
Se il sintagma verbale contiene un solo verbo, la scelta dell’ospite è ovvia. Si noti che in questo caso la relazione tra i clitici e il loro ospite rispecchia la struttura argomentale del verbo (➔ argomenti; ➔ verbi): il clitico sta con il verbo del quale è argomento (ti vedo) o aggiunto (ci faremo una sosta).
Se invece il sintagma verbale contiene, oltre al verbo ‘principale’, un altro verbo (ausiliare, modale o aspettuale, di moto a luogo, fare causativo e lasciare), la scelta dell’ospite non sempre rispecchia la struttura argomentale.
Sono sempre ospiti gli ausiliari, fare causativo e lasciare:
(13) ausiliari:
a. l’ho capito
b. ci è arrivato
c. ne furono venduti parecchi
(14) fare causativo: te li farò spedire
(15) lasciare: lascialo andare
Se fare e lasciare hanno un ausiliare, come avere in (16) e (17), l’ausiliare ha la priorità:
(16) te ne ho fatto spedire una copia
(17) li ha lasciati scappare
La scelta dell’ospite è libera invece con certi verbi che reggono l’infinito: tali verbi sono i verbi modali (dovere, potere, sapere e volere), i verbi di moto a luogo deittici (andare e venire: ➔ movimento, verbi di) e i tre verbi aspettuali cominciare, continuare e solere (➔ aspetto; ➔ fraseologici, verbi):
(18) verbi modali
a. ci voglio andare = voglio andarci
b. non te lo posso dire = non posso dirtelo
(19) verbi di moto a luogo
a. lo vado a trovare = vado a trovarlo
b. ti verrò a prendere = verrò a prenderti
(20) verbi aspettuali
a. mi comincio a annoiare = comincio a annoiarmi
b. si continuano a scrivere = continuano a scriversi
c. vi soleva incontrare i compagni = soleva incontrarvi i compagni
La scelta dell’ospite è libera anche nelle perifrasi star gerundio e star infinito:
(21) lo stavo pulendo = stavo pulendolo
(22) stammi a sentire = sta’ a sentirmi
Si noti però che, anche se la scelta dell’ospite è libera quanto a grammaticalità del risultato, può esserci una preferenza, forse di natura prosodica, a favore del candidato che viene prima:
(23) te lo stavo dicendo – ? stavo dicendotelo
(24) ve li stavamo per dare – ? stavamo per darveli
All’ospite così determinato i clitici e i cumuli di clitici si attaccano sia a sinistra sia a destra. L’ordine lineare dei clitici rispetto al loro ospite dipende da due fattori: il modo del verbo ospite (➔ modi del verbo) e il carattere finito o meno del verbo dall’altra. I principi generali sono i seguenti:
(a) Se il verbo ospite è all’indicativo o al congiuntivo, il clitico o il cumulo di clitici precede il verbo:
(25) a. lo capisco
b. me ne dai un’altra?
(26) a. voglio che tu mi capisca
b. voglio che tu me ne dia un’altra
(b) Se invece il verbo ospite è un imperativo, un infinito, un gerundio (non perifrastico) o un participio, il clitico si attacca a destra:
(27) imperativo: credimi, smettetela!
(28) infinito: per arrivarci, senza esserlo
(29) gerundio: arrivandoci, essendone conscio
(30) participio: arrivatoci, la risposta datami
(c) Le sequenze verbo clitico sono soggette a due regolarità fonologiche e ortografiche:
(i) Gli imperativi monosillabici provocano il raddoppiamento della consonante iniziale del clitico attaccato a destra: fallo, dimmelo. (La /ʎ/ di gli non è allungata perché già intrinsecamente lunga: dagliela).
(ii) Se l’infinito è seguito da un clitico, la /e/ finale è obbligatoriamente cancellata: essere conscio > esserne conscio.
(d) Inoltre è da notare che:
(i) Il clitico attaccato a destra del participio è specifico del registro scritto formale o burocratico: una volta ottenutolo, il titolo di studio fu abbandonato.
(ii) a forma ecco può essere intesa come un imperativo; quindi richiede che il clitico stia a destra: eccomi, eccone due.
(iii) L’imperativo con negazione di prima e seconda persona plurale ammette i clitici in ambedue le posizioni:
(31) non ne parliamo più → non parliamone più
(32) non gliene parlate → non parlategliene
(iv) Nelle frasi imperative alla terza persona (compresa la forma di cortesia; ➔ cortesia, linguaggio della), il verbo non è all’imperativo bensì al congiuntivo; pertanto i clitici precedono l’ospite: si rivolga al sindaco, glielo dica subito.
(v) Ortograficamente, i clitici e i cumuli che seguono il verbo si scrivono uniti: portalo, portandoglielo, fammelo, daglieli, vagli incontro.
Tra i tratti codificati nei pronomi clitici, quelli di persona, numero e genere sono direttamente utilizzati al livello della frase, del testo e della situazione. Questi tratti richiedono un accordo anaforico (➔ accordo; ➔ anafora), mediante il quale si individua il referente.
Sotto questo aspetto, i clitici sono simili ai pronomi liberi. Si paragonino, per es.:
(33) a. questa disposizione legale lo interessa
b. questa disposizione legale interessa lui
Queste frasi sono sinonime; lo, come lui, richiede l’individuazione di un termine di terza persona singolare maschile, tramite cui si stabilisce la referenza a una data entità sulla quale verte il discorso.
I tratti di caso sono utilizzati in modo diverso: servono a individuare la funzione grammaticale dell’argomento che rappresentano. La relazione tra casi e funzioni grammaticali non può essere univoca, dato che i quattro casi (dativo, accusativo, locativo e genitivo) vanno interpretati in termini di otto funzioni grammaticali. Esse sono:
(a) l’oggetto diretto (ogg1)
(b) l’oggetto indiretto animato (ogg2_anim)
(c) l’oggetto indiretto inanimato (ogg2_inanim)
(d) il complemento della copula (comp)
(e) l’obliquo di meta spaziale (obl_meta)
(f) l’obliquo di origine spaziale (obl_orig)
(g) l’obliquo-di (obl_di)
(h) l’aggiunto spaziale (agg_spaz)
A queste funzioni grammaticali si aggiunge la specificazione partitiva (spec_part), la quale, anche se non è una funzione grammaticale, fa parte del sistema funzionale.
La tab. 4 indica i casi codificati dai pronomi clitici e l’informazione funzionale alla quale essi sono abbinati.
Alcune di queste nozioni funzionali sono ovvie, altre riusciranno chiare sulla base degli esempi dati nella tab. 4. Vanno spiegate invece l’obliquo-di e la specificazione partitiva, ambedue abbinate con il caso genitivo codificato nel clitico ne.
L’obliquo-di è una funzione retta da un verbo o un aggettivo, realizzata tramite la preposizione-segnacaso di nei costituenti liberi; vedi gli esempi nella tab. 4. La sua semantica, assai variata, dipende dal verbo o aggettivo che lo regge.
La specificazione partitiva si esprime tipicamente, nei costituenti non clitici, tramite l’articolo partitivo (del pane, degli amici) o con la forma di (un chilo di patate, un sacco di problemi). In certi contesti rimane inespressa (senza pane, senza soldi).
Se la specificazione partitiva è espressa da ne, il carattere pronominale di questo clitico fa sì che l’entità specificata vada cercata nel contesto. Così se mi trovo in un negozio e pronuncio la frase me ne dia un chilo, non dico di che cosa vorrei comprare un chilo; questa cosa risulta o da un dialogo precedente (quanto costano le mele? – …) o da un gesto (addito le mele).
La specificazione partitiva pronominale si abbina solo con un oggetto diretto (ne ho ancora, ne vedo tanti) o con il soggetto di uno dei verbi detti ‘inaccusativi’ (ne verranno molti).
Se l’oggetto è un quantificatore (ne ho due, una trentina, pochi), un pronome (ne ama un altro, non ne voglio nessuno), o un aggettivo qualificativo in funzione pronominale (ne voglio una grande), il clitico ne è obbligatorio (su tutto questo tema, vedi anche Simone 1983).
La forma si è ambigua: c’è, da una parte, il si riflessivo (➔ riflessivi, pronomi) o reciproco e, dall’altra, il si impersonale o passivante (➔ impersonali, verbi). Il si riflessivo o reciproco è un normale pronome. Ha un tratto di caso che segnala una funzione grammaticale; semanticamente esprime la riflessività (34) o la reciprocità (35):
(34) Maria si guarda nello specchio
(35) gli amici si aiutano a vicenda
Il si ha di particolare il fatto che, come forma, esiste solo alla terza persona. Ma il suo valore funzionale si realizza anche alla prima e la seconda persona, tramite le forme mi, ti, ci e vi. Il si riflessivo o reciproco, come tutti i pronomi clitici, ha una controparte libera, sé (l’ombrello si apre da sé).
Il si impersonale o passivante, al contrario, non ha significato pronominale, non ha caso né riempie una funzione grammaticale. È di terza persona, ma non ha una variante per le altre persone; non ha controparte libera. Non è quindi un pronome, ma un operatore che agisce sulla struttura argomentale. Come il passivo, il si passivante riduce la valenza del verbo transitivo, cancellandone il soggetto e facendo passare l’oggetto al rango di soggetto; cfr. qualcunosoggetto vende le caseoggetto - le casesoggetto si vendono. Il si impersonale opera sul soggetto non espresso e lo rende non specifico; il verbo deve essere alla terza persona singolare:
(36) parliamo inglese → si parla inglese
ballano e cantano → si balla e si canta
La differenza tra il si pronominale e quello non pronominale si manifesta anche nell’ordine lineare: diversamente dal si pronominale, il si passivante o impersonale sta più a destra nei cumuli; cfr. la tab. 2.
All’inventario dei pronomi clitici corrisponde in italiano una serie di pronomi ‘liberi’ (non obbligati a saldarsi con la parola contigua). Essi realizzano configurazioni di tratti simili, ma sono costituenti normali: portano l’accento e hanno la stessa distribuzione dei costituenti non pronominali.
A parte queste differenze fondamentali, c’è anche una corrispondenza asimmetrica tra pronomi clitici e pronomi liberi. L’asimmetria consiste negli aspetti seguenti:
(a) mentre non ci sono pronomi clitici di caso nominativo, esistono i pronomi liberi soggetto io, tu, egli e ella;
(b) mancano controparti libere per ne e il ci locativo;
(c) tutti i pronomi clitici hanno un tratto di caso, mentre i pronomi liberi lui, lei, noi, voi, loro, esso, essa, essi, esse non hanno caso;
(d) il tratto [umano] manca nei clitici accusativi ma è presente nei corrispondenti costituenti pronominali; per es. lo alterna con lui solo se si riferisce a una persona (il ragazzo, lo vedo = vedo lui, il ragazzo rispetto a l’albero, lo vedo – * vedo lui, l’albero). Per lo stesso motivo, il lo complemento della copula non può esser sostituito con lui: ricco, lo è rispetto a * ricco, è lui (Colombo 2009).
Nei limiti di questa asimmetria, l’italiano offre un’alternativa tra pronome clitico e pronome libero. La scelta dipende dalla struttura dell’informazione: l’informazione ‘nuova’ deve essere enfatizzata (➔ dato/nuovo, struttura; ➔ focalizzazioni).
Siccome i clitici non possono portare accento, il pronome tonico è usato per caratterizzare come nuovo il segmento di informazione rilevante. Le due frasi mi ama e ama me, ambedue grammaticali, denotano un identico tipo di situazione, ma la loro struttura informativa è diversa: il pronome libero me segnala che l’identità della persona amata è nuova, dubbia o sorprendente; altrimenti si sceglie il pronome clitico. Oltre alla struttura dell’informazione, la scelta di un pronome libero è imposta dall’impossibilità di certi cumuli (vedi § 2.3).
Anche se la co-occorrenza tra un pronome clitico e un pronome libero di referenza identica non è richiesta in frasi nucleari come mi ama - ama me, essa si dà nelle frasi topicalizzate (37) In frasi di questo tipo, i pronomi liberi si comportano come i sintagmi non pronominali (38):
(37) lui, lo conosco bene
(38) questo studente, lo conosco bene
Oltre al si impersonale o passivante (vedi § 3.3) ci sono altri clitici che non partecipano alla struttura argomentale della frase, o non lo fanno in modo trasparente. Si tratta del ➔ dativo etico, del dativo possessivo e di quei clitici che formano, assieme a un verbo, espressioni lessicalizzate.
Il dativo etico è un clitico al dativo che si attacca a un verbo di azione la cui valenza non prevede un oggetto indiretto. Si accorda o con il soggetto della frase (39) o con il parlante (40), i quali possono naturalmente coincidere (41):
(39) si è mangiato un gran piatto di spaghetti
(40) questo bambino non mi mangia abbastanza
(41) mi son mangiato un gran piatto di spaghetti
È simile, ma non identico, al dativo etico il dativo possessivo, che codifica possesso e corrisponde all’aggettivo possessivo (si tratta di una peculiarità tipologica dell’italiano: ➔ possessivi, aggettivi e pronomi):
(42) mi sono perso gli occhiali = ho perso i miei occhiali
(43) gli è morto il padre = è morto suo padre
Va notato che il dativo possessivo è l’unica soluzione possibile per indicare il possesso di entità che non possono essere alienate (in particolare parti del corpo):
(44) a. mi fa male la testa
b. * fa male la mia testa
(45) a. si è rotta una gamba
b. * ha rotto una sua gamba
I clitici facenti parte di espressioni lessicalizzate sono si, ci e la. Il pronome si è opaco nei verbi pseudoriflessivi (oggetto; ➔ pronominali, verbi; ➔ riflessivi, verbi) come ammalarsi, impadronirsi o pentirsi. Essi si distinguono dai verbi riflessivi veri e propri (lavarsi, pettinarsi, svegliarsi e sim.) per due punti: il riflessivo è obbligatorio, e non è possibile un oggetto diretto non clitico: svegliare qualcuno ~ * ammalare qualcuno, * impadronire qualcosa, * pentire qualcuno.
Più trasparente, ma simile, è il caso di verbi come andarsene e sedersi, che si trovano anche senza il riflessivo (sedere, andare), ma sono intransitivi.
È opaco anche il ci locativo in verbi come averci, esserci, farcela o volerci: averci e esserci hanno due interpretazioni, l’una col normale valore spaziale del clitico (46), l’altra invece puramente esistenziale (47) o possessivo (48), senza la minima referenza spaziale:
(46) a. vado spesso in Francia, ci ho degli amici
b. – Posso parlare con Mario? – Mi dispiace, non c’è
(47) non c’è ancora nessun vaccino contro questo virus
(48) – C’hai la macchina? – Sì, ce l’ho (* sì, l’ho)
Infine, il clitico la ha trasparenza ridotta in verbi come farcela, passarsela, smetterla. Il la si riferisce qui a un’azione o situazione non necessariamente specificata nel contesto verbale. In tale caso si usa normalmente il pronome di genere non marcato, che in italiano è il maschile.
di Christoph Schwarze
In sintassi, i pronomi clitici sono essenziali in italiano come mezzi per creare collegamenti anaforici e cataforici (➔ anafora; ➔ catafora), come pronomi di ripresa nelle ➔ dislocazioni (gliel’ho dato il messaggio, a tuo cugino), oltre che per il cosiddetto raddoppiamento clitico (a me mi piace, a me non mi convince).
di Riccardo Cimaglia
Nel corso della storia, nelle forme clitiche di prima e seconda persona singolare, che continuano quelle accusative latine: lat. me > mi, lat. te > ti (con chiusura toscana di -e- in -i-, sia in proclisi che in enclisi: me videt > mi vede, amā me > amami), confluiscono anche le forme dative: mī < mihi, tī < tibi.
Più complicata la storia delle forme di prima e seconda persona plurale ci e vi. Anticamente si incontrano no < nos, nobis e vo < vos, vobis: vo voglio (Jacopo da Lentini, in Segre & Ossola 1997: XX), ma, a fianco di questi, si hanno ne (per la prima persona), ve o vi (per la seconda persona), «forme che prendono ben presto il sopravvento» (Tekavčić 1972: 241): «ne sospigne» (Dante, Inf. IV, 22); «ve dirò» (Guinizzelli, in Segre & Ossola 1997: 384); «vi mostro» (Cino da Pistoia, in Segre & Ossola 1997: 417).
Complessa dal punto di vista semantico l’origine di tali forme, derivanti da particelle avverbiali latine: ne < inde, vi < ibi. Che si tratti di particelle avverbiali e non di eventuali riduzioni di no e vo in protonia, è provato da alcuni dialetti meridionali che esprimono la prima persona plurale con una forma avverbiale: il calabrese meridionale ndi truvau «ci trovò» e il salentino nni ncuntramu «ci incontriamo» (Rohlfs 1966-1969: § 460; Loporcaro 1995). L’italiano, per la prima persona plurale, ha preferito ci < (ec)ce hic o (hic)ce.
Sia ne sia ci sia vi hanno mantenuto il valore locativo originario; ne «da»: «e dovendone [dalla Francia] in Toscana venire» (Boccaccio, Decameron I, 1, 7); vi e ci «lì, in quel luogo»: «v’intrai» (Dante, Inf. I, 10); «c’entrarono» (Manzoni 1995: 123).
Da tale valore i tre clitici ne hanno sviluppati altri (D’Achille 2001: 84-86). Il ne dal valore di moto da luogo / origine ha assunto anche quello ➔ partitivo: «morte tanta n’ [di gente] avesse disfatta» (Dante, Inf. III, 57). A sua volta dal valore partitivo e genitivo è derivato quello di ‘argomento’: «che hai tu a far di Lorenzo, che tu ne domandi così spesso?» (Boccaccio, Dec., IV, 5, 10). Dal valore di ‘stato in luogo’ ci e vi hanno sviluppato quello di ‘limitazione’: «non ci riuscire» (Manzoni VI) e quello di ‘argomento’: «Ci stavo pensando» (Manzoni VII). Il clitico ci ha anche assunto valore «attualizzante» (D’Achille 1990: 261-275), tanto da figurare con i verbi essere e avere: «c’è degli imbrogli» (Manzoni 1995: 25); «non ci ha colpa» (Manzoni 1995: 28). Da ricordare il valore di ‘compagnia’: Con Carlo non ci esco.
Se il si riflessivo e impersonale continua il latino se, gli altri clitici di terza persona derivano tutti dalle forme del dimostrativo latino ille, illa, illud, marcando quindi l’opposizione di genere. In funzione di accusativo si hanno lo < illu(m), la < illa(m), li < illi, le < illae. Si incontravano, fino a tempi recenti, il e ’l (con aferesi) in luogo di lo: «il chiamavano» (Boccaccio, Decameron, I, 1, 9); «tu ’l sai» (Dante, Par. I, 75) e gli (per palatalizzazione) o i in luogo di li: «gli fece pigliare» (Boccaccio, Decameron, II, 6, 38); «i mena» (Dante, Inf. V, 78). I clitici gli e la svolgevano anche funzione di soggetto (gli è vero, la desidera?), ma solo la sopravvive in formule cristallizzate (se la va la va). Per il dativo (maschile e femminile) si ebbe la forma gli per il singolare (< illi, con palatalizzazione) e per il plurale (< illi[s]). Nei testi antichi figura la forma li (maschile e femminile): «baciarli [a lei] la bocca e ’l bel visaggio» (Guinizzelli, in Segre & Ossola 1997: 390). Per marcare la differenza di genere al singolare e quella di numero al plurale l’italiano introdusse rispettivamente le forme le < illae e loro < (il)loru(m) (con le varianti lor e lo, non diffusesi).
Sul piano sintattico si registrano notevoli mutamenti. Oggi l’enclisi, salvo nei casi in cui è richiesta, sopravvive in forme cristallizzate (cercasi, vendesi, affittasi, trattasi, ecc.): in generale, è preferita la proclisi.
Fino al Quattrocento circa si ebbe l’enclisi nei casi previsti dalla ➔ legge Tobler-Mussafia, e l’enclisi libera fu preferita fino all’Ottocento, soprattutto dagli scrittori del neoclassicismo: «Se non daranla, rapirolla» (Monti I, 184), anche con elementi diversi dal verbo (preposizioni, avverbi, locuzioni avverbiali: Migliorini 1975): «sópravi» (D’Annunzio); «in bràccioli» (Alberti).
Con l’➔imperativo affermativo (Russi 2008: 65), se oggi si ha l’enclisi, anticamente e nella lingua poetica e teatrale fino all’Ottocento (Patota 1984) si ebbe la proclisi: «or mi di’» (Dante, Inf. XIX, 90).
Nelle sequenze formate da clitico accusativo (lo, la, ecc.) e clitico dativo (mi, ti, ecc.) oggi si ha dativo + accusativo: me li regala. Nell’italiano dei primi secoli l’ordine era invertito: «lo mi vieta» (Dante, Inf. XIX, 100).
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