CLOROFILLA (da χλωρός "verde" e ϕύλλον "foglia")
Con questo nome Pelletier e Caventou indicarono il pigmento verde delle foglie, da loro estratto con alcool nel 1817; ma l'importanza di tale pigmento era già stata rilevata da Berthollet (1790) e da Senebier (1782). Il pigmento estratto da Pelletier e Caventou è però una miscela di diversi pigmenti gialli (carotina e xantofilla) e verdi; e la denominazione di clorofilla compete solo alla parte verde. Senza fare la storia più che secolare degli studî che innumerevoli ricercatori rivolsero a tale pigmento, così importante per l'economia generale della natura, e ancora così misterioso sia nella sua costituzione chimica, sia nel modo di funzionare delle piante, si può dire che le fasi più importanti per la conoscenza di tale pigmento sono quelle caratterizzate dall'opera di Kraus (1872), che con diversi solventi riuscì a separare dall'estratto alcoolico i pigmenti gialli da quelli verdi; da quella di Schunk e Marchlewski, che scoprirono negli ultimi prodotti di scissione della molecola di clorofilla impensate analogie con l'emoglobina del sangue; e da quella di Willstätter e della sua scuola, che portarono molta luce sulla costituzione della complessa molecola clorofilliana.
Preparazione. - Poiché la clorofilla è un pigmento estremamente labile, occorrono molte cautele speciali per estrarre dalle foglie i pigmenti verdi realmente esistenti in esse, e allo stato puro; le indicazioni di Willstätter sono tra quelle che meglio di ogni altra si uniformano a queste direttive. Esse si fondano sopra una preventiva estrazione di sostanze cerose e resinose, che potrebbero costituire delle impurezze difficili a eliminarsi, mediante benzolo ed etere di petrolio, nella successiva estrazione con alcool etilico, e purificazione dell'estratto mediante passaggi in solventi diversi, quali etere di petrolio e alcool metilico. Meglio sarebbe estrarre il materiale dalle foglie fresche e in tal caso ha parte importante l'acetone per eliminare molte impurezze. Per molte ricerche di uso corrente può servire l'antico metodo di estrazione con alcool e la separazione dei pigmenti gialli si ottiene agitando la soluzione alcoolica con etere di petrolio, che estrae più specialmente i pigmenti verdi. È però da tenere presente che l'alcool etilico, in ispecie se in presenza di acqua, agisce decomponendo la clorofilla; è preferibile usare, perciò, l'alcool metilico che è meno attivo sotto questo rispetto. I processi di estrazione più delicati hanno permesso a Willstätter di constatare l'esistenza nelle piante di due clorofille a e b, le quali differigcono per essere la seconda più ossidata della prima, ma presentano strette affinità, sia rispetto ai solventi, sia rispetto alle proprietà spettroscopiche. Esse sono quasi costantemente associate nelle piante e si ritiene che rappresentino due diverse fasi della funzione della clorofilla.
Proprietà fisiche. - Allo stato puro è una polvere nero-azzurrastra cristallizzabile in druse, a lucentezza metallica; quella a ha colore blu nero, quella b verde scuro o verde nero; la prima rigonfia e fonde a 117°-120°; la seconda tra 86° e 92°, ed è ben liquida solo verso 120°. Entrambe sono solubilissime nei solventi organici, alcool etilico e metilico, etere, etere di petrolio, benzolo, ecc.; la b solamente è insolubile in etere di petrolio. Le soluzioni alcooliche diluite con acqua dànno facilmente soluzioni colloidali gialloverdi per trasparenza e verde olivaceo scuro a luce riflessa. Allo spettroscopio entrambe hanno un caratteristico spettro di assorbimento nel quale le bande più intense sono nella zona del rosso, del blu e del violetto; più importante fra tutte è la prima tra 650 e 685 μμ, sia per il valore della funzione di assorbimento di energia, sia per essere la più caratteristica ed evidente, e tale da permettere il riconoscimento di minime quantità di clorofilla. I due componenti a e b differiscono di poco quanto a proprietà spettroscopiche, le quali del resto variano di poco col variare del solvente; ma la clorofilla nelle foglie vive non ha proprietà identiche con quella disciolta nei solventi, e con quella solida; ciò ha interesse per stabilire lo stato nel quale essa si trova nel plastidio verde. Le soluzioni di clorofilla manifestano una spiccata fluorescenza (Brewster, 1824) di colore rosso sangue venoso, anche quando sono assai diluite. Allo stato solido la fluorescenza è assai debole, e anche nelle foglie è percettibile solo se l'illuminazione ha luogo con radiazioni ultraviolette; lo studio di tale fenomeno è stato alquanto approfondito in vista della possibilità di risolvere il problema ancora insoluto dello stato di combinazione di tale pigmento nei cloroplasti.
Struttura della clorofilla. - La clorofilla si può considerare come un acido tricarbossilico, di cui una valenza è legata a un alcool caratteristico, il fitolo. È un alcool primario alifatico, non saturo (C20H39OH), oleoso, scolorato, che bolle inalterato nel vuoto, assai ossidabile all'aria, e che dà con l'ozono assai facilmente delle ozonidi. Esso si ottiene da tutte le clorofille dei diversi organismi vegetali: la saponificazione avviene facilissimamente per azione di un enzima del gruppo delle lipasi, la clorofillasi, presente in quasi tutti i tessuti verdi. La lipasi, agendo sulla clorofilla disciolta in alcool metilico o etilico acquosi dà luogo a sostituzione dei radicali alcoolici, metilico o etilico, a quello fitilico, più facilmente del radicale etilico; se in presenza di acqua con un po' di etere ha luogo il distacco del radicale fitilico con sostituzione di acqua. La clorofilla si può dunque considerare come una fitilclorofillide; l'etilclorofillide è facilmente cristallizzabile e poco solubile e si ritrova spesso invece della vera clorofilla negli estratti alcoolici di foglie verdi (clorofilla cristallizzata di Borodin). Una saponificazione più intensa per azione degli alcali determina un eguale distacco del fitolo, ma anche una trasposizione molecolare della clorofillide, che si manifesta dapprima in una colorazione bruna della soluzione, poi in un successivo ritorno alla colorazione verde, si ottengono, a freddo, la clorofillina a e a caldo l'isoclorofillina a isomere fra loro [C31H29N3Mg] (NH•CO) (CO2H) (CO2H).
Una più intensa azione degli alcali a caldo in soluzione metilalcoolica e sotto pressione dà luogo alla formazione delle filline diverse a seconda della temperatura alla quale si opera, e dell'isomero dal quale si parte (isoclorofillina a dà a 140° cianofillina, a 170° eritrofillina; la clorofillina a dà a 140° glaucofillina, a 165° rodofillina). Per trattamento ulteriore a 190°-200° le filline della prima serie passano a fillofilline, quelle della seconda serie a pirrofilline, differenti dalle precedenti per avere un solo carbossile invece di due. Entrambe per azione di calce sodata perdono il carbossile residuo, e dànno etiofillina (C31H34N4Mg). In tutti questi trattamenti assai energici con alcali l'atomo Mg appare stabilmente legato.
L'azione degli acidi diluiti distacca anzitutto, come già si disse, il Mg, e dà luogo alla formazione di feofitina, la quale mediante ioduro di magnesiometile può ripristinare la clorofilla. Come il distacco (per azione di acidi) del Mg dalla clorofilla dà la feofitina, analogamente dai prodotti di scissione della clorofilla per alcali sopranominati si possono ottenere, mediante acidi, i corrispondenti composti privi di Mg. E cioè le feoforbidi dalle rispettive clorofillidi, le fitoclorine dalle clorofilline e isoclorofilline, le porfirine dalle filline, arrivandosi alla filloporfirina e pirroporfirina, che dànno la etioporfirina (C31H36N4). La clorofilla b per azione degli enzimi dà la clorofillide b, per quella degli alcali diluiti la clorofillina b e la isoclorofillina b; per quella degli alcali a caldo e forte pressione dà le filline bicarbossiliche e monocarbossiliche fino alla etiofillina identica a quella ottenuta dalla clorofilla a. Per azione degli acidi la clorofilla b perde il Mg, e, attraverso le fasi di feof0rbidi b, di fitorodine (corrispondenti alle fitoclorine ma aventi un O in più) e di filline, si arriva alle fillo- e pirroporfirine, e infine all'etioporfirina. L'etioporfirina può, mediante lo ioduro di magnesiometile, passare a etiofillina, che appare così come il nucleo fondamentale della molecola delle due clorofille a e b.
Importanti sono i prodotti d'ossidazione della clorofilla; risultati più precisi si hanno partendo dalle porfirine. Trattate con acido cromico o perossido di piombo le porfirine dànno acido ematinico e metilmaleinimide. Per riduzione delle clorofille o delle porfirine mediante acido acetico, acido iodidrico e ioduro di fosfonio, si ottiene una miscela di derivati del pirrolo, il fillopirrolo (trimetiletilpirrolo), l'isoemopirrolo e l'emopirrolo (dimetil etilpirrolo) C8H13N.
È della massima importanza il rilevare come tanto dall'emina che dall'ematoporfirina, che si possono ottenere facilmente dal sangue, e sono anzi i derivati cromogeni caratteristici del pigmento sanguigno, Willstätter, seguendo i metodi già da lui adoperati per ottenere le filline dalla clorofilla, abbia preparato l'ematoporfirina isomera della rodoporfirina ottenibile dalla clorofilla b, e capace di passare, con calce sodata, a etioporfirina.
Ne risulta che tanto l'ossidazione dell'emina e della clorofilla, quanto la riduzione di entrambe dànno risultati eguali o analoghi; nel primo caso si ottengono sempre, seppure in proporzioni diverse, acido ematinico e metil-maleinimmide, nel secondo si hanno derivati del pirrolo, alcuni eguali, altri simili fra loro.
Tali prodotti erano stati dapprima ottenuti dall'emoglobina del sangue, e furono Nencki e Marchlewski che, studiando i derivati della clorofilla, scoprirono quest'affinità tra i due pigmenti più importanti della vita animale e di quella vegetale, l'uno caratterizzato da una funzione di trasporto d'ossigeno, l'altro da funzione di riduzione. Tale scoperta è stata una delle più notevoli nel campo della chimica biologica all'inizio di questo secolo (1901).
Pur non conoscendosi esattamente la struttura della molecola clorofilliana, essa è costituita da un nucleo fondamentale di quattro anelli pirrolici legati fra loro e col magnesio in modo da far supporre che questo elemento possa anche avere due valenze accessorie oltre alle due già note. Intorno a questa incastellatura sarebbero legati i gruppi più complessi che caratterizzano le filline e gli altri che caratterizzano la molecola complessa della clorofilla.
Diffusione della clorofilla nelle piante. - La clorofilla nelle piante è associata al plasma cellulare, talora diffusa a tutto il plasma, più spesso localizzata in differenziazioni speciali del protoplasma (i cloroplasti). Le modalità di tale associazione sono tuttora oggetto di studio, e ciò è della massima importanza perché, mentre la clorofilla è capace di compiere la funzione che le è caratteristica se è legata al plasma del cloroplasto, non agisce da sola. Più che di una vera combinazione si tratterebbe secondo le ricerche recenti, di un fatto di assorbimento della clorofilla per parte del plasma del plastidio. In questo, poi, la clorofilla è costantemente associata a pigmenti gialli, la carotina e la xantofilla, ma non si hanno nozioni precise sul valore di tale costante associazione. Nei vegetali esistono, come si disse, le due clorofille a [C31H29N3Mg] (NH•CO) (CO2CH3) (CO2C20H39) e b (C32H28O2N4Mg) (CO2CH3) (CO2C20H39), le quali rappresentano due diversi stati di ossidazione di un medesimo corpo; la lunga discussione relativa alla pluralità delle clorofille nel regno vegetale si può ritenere ora conchiusa nel senso che il medesimo corpo, nei due diversi stati d'ossidazione, è presente in tutto o quasi il regno vegetale. Le antiche constatazioni sulla presenza di clorofille diverse in una stessa pianta o in piante di famiglie vegetali differenti erano dovute a imperfezioni dei metodi d'estrazione. Willstätter ha fatto rilevare che le differenze nella quantità di fitolo ottenibile dalla clorofilla estratta da piante diverse e nei prodotti di decomposizione (specialmente clorine e rodine) erano dovute al modo di estrazione o di conservazione del materiale; se anche l'affermazione non ha valore assoluto, si può ritenere che la massima parte del regno vegetale compie la sua funzione fotosintetica mediante l'identica coppia di pigmenti clorofilliani a e b. (Per la funzione della clorofilla v. fotosintesi).
Mentre le piante unicellulari autotrofe (p. es. alghe) hanno clorofilla in ogni cellula, in quelle pluricellulari inferiori non è raro che qualche cellula più particolarmente dedicata a funzioni speciali ne sia priva (cellule sessuali, cellule di fissazione al substrato). Nelle piante superiori la clorofilla è per lo più limitata alle parti della pianta esposte alla luce e quindi alle foglie subaeree, fusti giovani, ecc.; anche in questi organi sono solo le parti superficiali che ne sono provviste, mentre quelle profonde sono scolorate (foglie spesse di Aloe, interno dei grossi fusti, ecc.). La clorofilla, quindi, si forma e funziona solo in presenza della luce; le parti sotterranee delle piante superiori (radici, rizomi, bulbi) sono scolorate, e scolorati sono pure gli organi normalmente verdi, che a caso o appositamente sono tenuti all'oscuro (piante eziolate); la colorazione in tal caso è giallastra per la presenza nei plastidî delle sole xantofilla e carotina. L'inverdimento, in tal caso, ha luogo rapidamente se le parti eziolate sono esposte alla luce. Alcune piante (felci, conifere) possono inverdire anche all'oscurità; questo prova che la luce non ha azione diretta sulla formazione della clorofilla ma sul plastidio che la deve generare.
Pure sul plastidio formatore della clorofilla ha influenza la presenza di ferro; piante povere di ferro hanno foglie con l'aspetto di quelle eziolate (clorosi), e inverdiscono appena si somministri loro ferro, anche per semplice pennellazione superficiale sulle foglie. Il ferro non entra, come prima si credeva, nella formazione della molecola della clorofilla, ma la sua presenza è indispensabile al plastidio che deve inverdire.
Illuminazione eccessiva può portare alla distruzione della clorofilla, e così pure essa si distrugge rapidamente in tutti i casi di alterato chimismo del plasma cellulare, quale si verifica nei casi di malattie infettive (male del mosaico, ecc.) o nella evoluzione dei frutti in via di maturazione, nei quali va spesso prevalendo il gruppo dei pigmenti gialli.
La presenza di clorofilla negli organismi animali è accertata solamente per organismi inferiori; in molti casi, se non in tutti, è a ritenere che non si tratti di vera diffusione del pigmento verde nell'organismo animale, ma di simbiosi di organismi vegetali verdi con l'animale ospite.
Bibl.: L. Marchlewski, Die Chemie d. Chloroph., Brunswick 1909; E. Willstätter e A. Stoll, Untersuchungen über Chlorophyll, Berlino 1913.