closed shop
Espressione tipica dell’ordinamento nordamericano (letteralmente «negozio chiuso»), che fa riferimento a clausole poste in contratti collettivi settoriali o aziendali, tendenti a subordinare l’occupazione di un lavoratore alla sua affiliazione sindacale, oppure a obbligare il datore di lavoro a estrometterlo dal suo posto in caso di non iscrizione o di mancato pagamento delle quote associative a favore del sindacato stipulante. Uno degli obiettivi del c. s. è quello di scoraggiare l’astensionismo o il parassitismo sindacale. La disciplina relativa alle clausole c. s. varia notevolmente da un Paese all’altro, essendo la loro pratica assolutamente vietata in alcuni, in quanto considerata lesiva della libertà sindacale negativa, e regolata minuziosamente in altri. Il c. s. è sostanzialmente sconosciuto nella storia del sindacalismo europeo, mentre ha avuto applicazione in quello statunitense, ove tuttavia è vietato dalla seconda metà del secolo scorso. In Gran Bretagna, più che altrove, è stato largamente praticato fino alle riforme thatcheriane degli anni 1980 e 1990 che lo hanno proibito.
Il c. s. è vietato, in quanto è protetta la cosiddetta libertà sindacale negativa, intesa come possibilità di non aderire ad alcuna associazione sindacale. L’art. 15, lett. a, dello Statuto dei lavoratori (➔) dichiara infatti la nullità di atti o patti diretti a «subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca a un’associazione sindacale ovvero cessi di farne parte», mentre dalla lett. b della medesima norma si evince che eguale sorte avrebbero licenziamenti, sanzioni disciplinari o altre discriminazioni di trattamento eventualmente fondate sia sull’appartenenza sia sulla non adesione a formazioni sindacali. Pertanto, non sarebbero mai legittime, in Italia, eventuali clausole di contratti collettivi tendenti a subordinare l’occupazione a clausole c. s. nella formula sia del pre-entry c. s., relativa all’obbligo di assumere solo gli iscritti al sindacato, sia del post-entry c. s., riguardo all’obbligo di fare iscrivere al sindacato i lavoratori assunti. Oltre alle clausole c. s. relative all’assunzione, risultano inoltre illecite nell’ordinamento italiano clausole contrattuali dirette a riservare ai soli iscritti trattamenti economici e normativi particolari. Si sostiene, infatti, che queste ultime, tendenti alla riserva di benefici ai soli iscritti, realizzerebbero una lesione della libertà sindacale e, in particolare, di quella negativa, perché si risolverebbero in un incentivo, seppure indiretto, all’affiliazione. Le medesime clausole sarebbero, ovviamente in questa prospettiva, travolte dalla sanzione della nullità. Con riferimento alla retribuzione, per es., i minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva (➔ contrattazione) sono di fatto applicati a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro affiliazione sindacale. Anche se la disciplina non prevede tale obbligo di estensione automatica erga omnes, i giudici del lavoro generalmente ritengono i livelli salariali stabiliti dalla contrattazione collettiva come livelli minimi da applicare a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro sindacalizzazione (➔ retribuzione; sindacalizzazione, tasso di). L’estensione automatica della contrattazione può quindi essere considerata l’opposto del closed shop.