club
Collettività organizzata, risultato della volontaria aggregazione di individui accomunati dal fatto di intendere di trarre benefici reciproci dal condividere uno o più dei seguenti elementi: costi di produzione, preferenze per particolari attività, titolarità del diritto di godere di determinati beni o servizi caratterizzati dalla possibilità di escludibilità (per es., parchi, musei, impianti sportivi, sanità, trasporti collettivi, eccetera).
I primi c. sorsero in Inghilterra nel 18° sec. ed ebbero carattere dapprima letterario (il Dr. Johnson’s literary Club) e poi politico (il Charlton Club e il White’s Club, frequentati dai Tories, di parte conservatrice; il Reform Club e il Brook’s Club, frequentati dai Whigs, di parte liberale). Si ebbe una fioritura dei c. nel 19° sec., all’indomani della vittoria dell’Inghilterra su Napoleone, quando ufficiali, diplomatici, uomini d’affari e di armi rimpatriarono dopo un ventennio di lotte (tra essi, l’United Service Club e il St. James’s Club, a carattere internazionale).
Sul modello inglese ne furono fondati altri in Europa: per es., in Francia, durante il periodo della rivoluzione, sorsero il Club des Cordeliers (1790), des Feuillants (1791), des Jacobins (1789), più estremisti, il Jockey Club de Paris (1833) e il Cercle de l’Union (1905), a carattere artistico e sportivo.
In Italia, furono fondati la Grande conversazione della nobiltà di Palermo (1769), tuttora esistente come Circolo Bellini, il Circolo della Borsa a Messina (1805), il Casino della nobile società di Milano (1780), la Società del whist a Torino (1840), il Circolo nazionale di Napoli (1861), il Circolo della caccia a Roma (1869) e altri.
Si deve a J. Buchanan lo sviluppo di una teoria dei c. (1965) in cui si affronta, da un punto di vista economico, il funzionamento dell’azione collettiva in ambito privato. Alla luce di questa analisi, i beni di c. sono classificati come beni pubblici impuri (➔ bene pubblico p), caratterizzati dalla escludibilità (possibilità di escludere dal consumo chi non partecipa al finanziamento, ovvero fare accedere al servizio solo chi contribuisce al finanziamento, per es. attraverso una quota di adesione) e da una parziale non rivalità (ogni membro aggiuntivo genera una esternalità negativa in termini di congestione, sicché i beni di c. diventano rivali oltre un certo grado di utilizzo).
Tra i problemi discussi all’interno di tale teoria, il principale riguarda la determinazione della combinazione ottima fra la dimensione del c. (numero dei membri) e la quantità del bene/servizio prodotta o livello di attività. La soluzione ottimale al problema deriva dal soddisfacimento di 3 condizioni. La prima (di fornitura) richiede che la dimensione ottima del c., in termini di capacità, venga determinata imponendo l’uguaglianza tra la somma dei benefici marginali, derivanti dalla riduzione dei costi di congestione, e il costo marginale, dovuto all’aumentata capacità. La seconda condizione (di utilizzo) riguarda il pagamento di una quota che eguagli il beneficio marginale (derivante dal consumo) al costo di congestione marginale (che la partecipazione di un nuovo membro impone agli altri): se la quota è troppo bassa la capacità del c. è sovrautilizzata, mentre è sottoutilizzata se la quota è troppo alta. La terza condizione (di appartenenza) impone che nuovi membri possano entrare a far parte del c. fino a quando il beneficio netto (in termini di minori costi per i soci esistenti) eguagli i costi di congestione aggiuntivi associati all’espansione del club. Le tre condizioni concorrono a spiegare l’esistenza di prezzi a due parti nella fornitura di beni di c.: una quota di iscrizione per coprire i costi fissi e una per garantire a ciascun membro la fruizione ottimale delle strutture del club. Gli individui, tuttavia, hanno un forte incentivo a sottostimare i vantaggi di adesione in modo da ridurre la quota. I c. di successo tendono a essere relativamente di piccole dimensioni e composti da persone che hanno interessi abbastanza omogenei e che, dunque, incorrono in costi decisionali minori.
La teoria ha trovato applicazione nella determinazione della dimensione ottima delle giurisdizioni locali e, più in generale, del decentramento oltre che nell’ambito della teoria delle alleanze, che affronta la formazione volontaria di organizzazioni internazionali da parte di Stati nazionali, anche per vari scopi, tra i quali la mutua difesa, la realizzazione di un mercato comune, l’armonizzazione di codici legali, la regolamentazione sovranazionale dell’ambiente.