CLUNIACENSI
Benedettini riformati facenti capo all'abbazia borgognona di Cluny (v.). Lo stretto legame mantenuto dalle varie fondazioni con la casa madre fu un fatto nuovo nella cultura monastica medievale e si configurò come la creazione, prima ancora che di un ordine, di una congregazione di monasteri, distinta rispetto al ceppo benedettino di origine, il quale aveva avuto come caratteristica sua propria l'indipendenza delle singole abbazie. Questo fu possibile grazie alla condizione giuridica di esenzione da ogni giurisdizione civile ed ecclesiastica che il fondatore, il duca Guglielmo di Aquitania, aveva voluto, nel 910, per l'abbazia di Cluny: tale prerogativa, nel tempo, si estese anche alle sue dipendenze, finendo con il creare un'entità fino a quel momento sconosciuta, una sorta di stato ecclesiastico centralizzato, direttamente soggetto alla Santa Sede. Ne era a capo l'abate di Cluny, al quale spettava la nomina dei priori dei monasteri direttamente dipendenti dall'abbazia, in quanto fondati da essa o dalle sue dipendenze, secondo la logica gerarchica tipica dell'organizzazione feudale. Inoltre sotto la sua influenza si ponevano, in vario grado, le abbazie direttamente incorporate nell'Ordine, quelle non incorporate ma poste sotto il controllo di Cluny e quelle semplicemente riformate, ma giuridicamente autonome. In questo modo, che era anche un riflesso dei diversi livelli di penetrazione nei monasteri dell'ideologia riformata, si venne progressivamente creando la struttura di un ordine: a essa corrispose la distribuzione delle competenze all'interno delle singole comunità, con il riconoscimento di una serie di funzioni organizzative la cui responsabilità il singolo monaco conservava per tutta la vita. Questo spirito di razionalizzazione venne raccolto nelle Consuetudines, che, riviste in varie occasioni nel corso del tempo, si affiancarono alla Regola benedettina nell'organizzare la vita dei monasteri, raggiungendo, nella seconda metà del sec. 11°, la codificazione definitiva.Fu con il secondo abate di Cluny, s. Oddone (927-942), che vennero saldamente impostate le basi di quella che sarebbe stata una cultura monastica radicalmente innovativa. In un poema di ispirazione biblica intitolato Occupatio (a cura di A. Swoboda, Leipzig 1900), egli espose con chiarezza i motivi più caratteristici della spiritualità cluniacense. La povertà, la vita in comune, recuperata attraverso i principi della riforma monastica promossa da Benedetto di Aniane al tempo di Ludovico il Pio, e la preghiera dovevano favorire un ritorno agli ideali della Chiesa delle origini, formando una base ideologica precorritrice di quelli che sarebbero stati gli spiriti della riforma ecclesiastica dell'11° secolo. In ossequio a questa mentalità, la liturgia divenne il fattore preminente nella vita dei C.: rispetto all'ideale benedettino di una frugale operosità, si cercò di liberare il monaco dal lavoro manuale, perché potesse dedicare il suo tempo e le sue energie alla preghiera, rendendo a questo scopo meno rigide anche le limitazioni relative all'alimentazione. Alla base di questa disciplina si poneva un'interpretazione della vita monastica come realizzazione contemplativa del mistero della Chiesa, nel senso che la liturgia era intesa come il culto che la Chiesa stessa rendeva al suo Signore, anticipando in terra la vita dei beati nella Gerusalemme celeste. Da qui l'importanza simbolica della liturgia collettiva: la sua fastosità e la sua continuità altro non volevano essere che un traslato della vita paradisiaca, per creare un clima spirituale al quale dovevano portare un contributo anche le forme dell'edificio destinato al culto, inteso come casa del Signore.La novità rappresentata, sul piano giuridico e formale, dalla compattezza culturale dell'Ordine ha fatto nascere precocemente l'equivoco della possibile esistenza di un'arte cluniacense, intesa come riflesso di direttive unitarie, con caratteristiche loro proprie, specialmente in campo architettonico. A questa posizione, che storicamente si è incarnata prima nella definizione di école clunisienne avanzata da Viollet-le-Duc (1854), poi nelle ricognizioni classificatorie di Evans (1950), portate avanti all'insegna della cluniac art, se ne è contrapposta un'altra, radicalmente negatrice dell'esistenza di un qualunque filo conduttore nelle vicende artistiche promosse dall'Ordine. In realtà entrambe le tesi eccedono per radicalismo: è certo che non esiste traccia di un progetto che abbia coinvolto l'Ordine nel suo insieme, impegnandolo a sviluppare i propri cantieri secondo linee programmatiche prestabilite; ma è altrettanto certo che le particolari esigenze liturgiche dell'Ordine furono alla base della invenzione di soluzioni architettoniche, dal carattere squisitamente pratico e funzionale, che, nel corso del tempo, vennero liberamente riprese e adattate in più edifici, senza che questo loro ripetersi possa essere riconosciuto come dipendente da una rigida osservanza di schemi.Anche una struttura come la galilea, tipica delle chiese cluniacensi, sfugge a qualunque pretesa di generalizzazione. Il primo esempio è costituito dall'antichiesa a tre navate e tre campate eretta intorno al Mille davanti alla seconda abbaziale di Cluny, modificando quelle che erano state, dall'età carolingia, le forme correnti della 'chiesa-portico'. Il vano era funzionale alla complessa liturgia in atto nel monastero, visto che da esso partiva una serie di processioni, accuratamente elencate nelle Consuetudines (I, 14; PL, CXLIX, coll. 635-778) scritte dal monaco Udalrico nel 1086, in occasione delle cerimonie della settimana santa. Tra le altre vi terminava la processione delle Palme e il suo stesso nome derivava dalla simbologia cristologica contenuta in quell'avvenimento: ciò malgrado, la sua presenza nelle altre fondazioni dell'Ordine non fu mai canonica e soprattutto non fu mai legata a rigide scelte tipologiche.Questa condizione aperta è chiarita assai bene da altri aspetti del rapporto che corre tra la seconda abbaziale di Cluny, costruita al tempo dell'abate Maiolo, tra il 948 e il 981, e gli edifici a essa immediatamente successivi. Da parte dei sostenitori dell'esistenza di una linea architettonica unitaria, è a quella costruzione che si riconosce una spiccata funzione di modello, e l'ipotesi è confortata dal fatto che la descrizione di un complesso monastico che sembra modellarsi su Cluny II venne inserita, intorno al 1042, nel secondo libro della Disciplina in uso presso l'abbazia di Farfa (Consuetudines monasticae, a cura di B. Albers, I, Freiburg im Brsg. 1900). Si è così giunti, tra le altre cose, a configurare l'esistenza di una tipologia di terminazione absidale cluniacense che avrebbe trovato impiego anche al di fuori dell'edilizia dell'Ordine. Nella realtà nessun edificio noto ha mai ripreso la complessa organizzazione presbiteriale di Cluny II, soprattutto per l'assenza delle c.d. cryptae, ossia dei due ambienti che si inserivano tra le absidiole aperte, verso E, alle terminazioni dei bracci del transetto, e le navatelle, conferendo all'insieme un profilo fortemente articolato. La disposizione scaturiva dalla necessità di creare degli spazi supplementari dove disporre gli altari, in modo da dare a tutti i monaci la possibilità di soddisfare all'obbligo della messa quotidiana. È questa esigenza liturgica che divenne dominante nella mentalità cluniacense e che portò a praticare soluzioni architettoniche che di Cluny II riprendono, più che il tipo, l'intendimento. Quella che ne scaturisce è, in genere, una versione semplificata. Così a Romainmôtier (cantone di Vaud), agli inizi del sec. 11°, si rinunciò alle absidi nei bracci del transetto basso e si ridusse l'emergenza del blocco presbiteriale, anche se, a dividere il presbiterio dalle navatelle, si mantenne un motivo presente a Cluny II: le arcate impostate su sostegni più leggeri rispetto a quelli della navata, un dettaglio di invenzione cluniacense che avrebbe avuto fortuna anche altrove, tanto da essere recepito nella cattedrale di Spira. A Payerne (cantone di Vaud), invece, intorno al 1080, si recuperarono le cinque absidi, ma l'assenza delle cryptae e la mancata espansione del presbiterio portarono ad addossarle l'una all'altra, scalandole solo lievemente lungo i bracci del transetto. Al contrario, nel secolo seguente, intorno al 1146-1148, nel priorato inglese di Castle Acre la stessa soluzione venne proposta staccando le tre absidi centrali rispetto alle due aperte nei bracci del transetto, in piena coerenza con i modi costruttivi che fanno della facciata di questo edificio una delle espressioni più compiute del ricco gusto decorativo proprio dell'architettura anglonormanna. La sistemazione aveva avuto la sua prima formulazione nell'abbazia normanna di Bernay, fondata agli inizi del sec. 11° da Guglielmo di Volpiano, alla quale si è frequentemente imputata una funzione chiave nella diffusione del supposto modello cluniacense, visti i legami del suo fondatore con Cluny. Ma anche in questo caso, se si vuole insistere sull'idea di una derivazione del tipo da Cluny II, piuttosto che su quella di una invenzione originale, occorre concludere che il passaggio avvenne per riduzione e semplificazione radicale rispetto al preteso modello. In conclusione, ciò che si caratterizza come cluniacense, all'interno delle architetture promosse dall'Ordine, è la tendenza ad accrescere gli spazi presbiteriali rispetto alle navate, piuttosto che l'ossequio nei confronti di un modello ripetibile. Per raggiungere questo scopo si fece ricorso a elementi come il transetto, le absidi scalate o allungate, la torre nolare o la cupola, i quali, nelle situazioni compositive in cui vennero utilizzati, non appaiono mai dovuti a una tradizione architettonica diversa rispetto a quella locale. Caso esemplare sono i priorati lombardi fondati nella seconda metà del sec. 11°, come S. Egidio di Fontanella, S. Giovanni di Vertemate, S. Salvatore di Capo di Ponte, nei quali quelle forme vengono calate nei modi costruttivi consueti alla regione, senza che vi sia un motivo sostanziale per attribuire loro una complessiva valenza cluniacense.L'architettura promossa dall'Ordine appare in defintiva legata ai dettami compositivi in uso nei luoghi in cui venne realizzata, all'interno dei quali inserì delle specificità derivanti dalle proprie esigenze liturgiche. Significativo di questo modo di procedere è il priorato provenzale di Ganagobie, dove, entro il terzo decennio del sec. 12°, il tipo, squisitamente locale, della chiesa a navata unica, con volta a botte cinghiata da arcate trasverse e arcate doppie addossate alle pareti laterali, si conclude in un inconsueto doppio transetto. In ambito cluniacense l'idea di fondere una navata unica con una terminazione triabsidata aveva un precedente nella cappella dell'infermeria di Cluny, fatta costruire intorno al 1085 dall'abate Ugo di Semur-en-Brionnais, le cui forme furono riprese anche nella cappella dell'infermeria del priorato inglese di St Pancras a Lewes nel Sussex. In questi casi tuttavia, trattandosi di ambienti accessori, il transetto è semplice, mentre a Ganagobie si raddoppia in base alla logica che tende ad accrescere gli spazi presbiteriali.Anche la terza abbaziale di Cluny, quella fondata da s. Ugo a partire dal 1088, non costituì un riferimento culturale per l'architettura dell'Ordine, se non in una prospettiva locale. Dovettero contribuire a questo stato di cose le dimensioni e il carattere eccezionale dell'edificio. Sta di fatto che i tentativi di ripresa delle sue specifiche ragioni costruttive e decorative si localizzano tutti in un'area geografica limitata alla Borgogna e, ancora una volta, si sviluppano secondo procedimenti di riduzione e di adattamento nei confronti di un modello del quale rinunciano programmaticamente a fare proprio l'elemento più appariscente, costituito dal doppio transetto. A La Charité-sur-Loire (dip. Nièvre) l'avvicinamento avvenne per tappe successive: in un primo momento, tra il 1080 e il 1090, si fondò un edificio di ampie dimensioni caratterizzato, come Cluny III, da cinque navate, ma terminante con cinque absidi, regolarmente scalate al di là del transetto, secondo un'ulteriore versione dello schema largamente diffuso nell'architettura dell'Ordine. Solo quando il coro di Cluny III fu concluso (1115-1120), si pensò di adattarne le forme all'edificio da poco realizzato, sfondando le tre absidi centrali e innestando al loro posto un deambulatorio con cinque cappelle radiali. In questa seconda fase anche la navata centrale fu avvicinata al modello di Cluny III, con l'introduzione di arcate acute sormontate da un finto matroneo e da trifore aperte al di sotto della volta a botte spezzata. Le stesse caratteristiche formali tornano nel priorato di Paray-le-Monial (dip. Saône-et-Loire), sviluppate secondo una progettualità meno ambiziosa ma più coerente, sorretta dalle ridotte dimensioni dell'edificio. La fedeltà al modello è in questo caso ancora più calcata, sia sul piano decorativo sia su quello strutturale, al punto di fare proprio anche il motivo del deambulatorio che si restringe rispetto all'ampiezza della navatella. A S. Benedetto al Polirone (San Benedetto Po), lo stesso ricalco, operato questa volta con precise intenzioni ideologiche, comportò invece, agli inizi del sec. 12°, la creazione di un ibrido, il quale trasse dal modello idee che sviluppò nei termini tipici del lessico architettonico padano, come quella del deambulatorio a cappelle radiali o della cappella dedicata alla Vergine, a una navata con terminazione triabsidata.Che nella stessa Borgogna la ripresa del modello di Cluny III non fosse normativa, ma dettata dalle ragioni di una scuola architettonica locale, creata dal passaggio delle stesse maestranze da un cantiere all'altro, lo dimostra l'abbazia della Madeleine a Vézelay, affiliata ma non dipendente da Cluny, per la quale, in occasione della ricostruzione cui si riferisce una consacrazione di altare nel 1132, venne scelta un'impostazione radicalmente diversa. In conseguenza dell'abbandono della volta a botte spezzata in favore delle volte a crociera, scandite da arcate trasverse a tutto sesto, e grazie all'introduzione di un alzato a due soli ordini, formati dalle arcate e dalle finestre aperte al di sotto degli spazi di ricaduta delle volte, si realizzò un sistema, decisamente antitetico al verticalismo di Cluny III, la cui presenza non dovette essere storicamente estranea nell'indirizzare verso una calma calibrata la successiva architettura gotica borgognona. A Vézelay si tentò di articolare secondo concetti nuovi anche la galilea, anteposta all'edificio appena terminato e conclusa da una facciata fiancheggiata da due torri. Non che il tipo a due piani, distribuiti in questo caso su tre navate di tre campate, fosse una novità: era già così la galilea di Romainmôtier e tale poteva essere stata anche quella di Cluny II. Inedita è l'introduzione di una tribuna sulle navate laterali, la quale passa al di sopra dell'ultima campata del vano centrale, creando un percorso a ferro di cavallo che pone in comunicazione diretta i due livelli, secondo quella che era da sempre la logica compositiva degli edifici palatini a due piani.La costruzione della Madeleine di Vézelay rientra nella fase, immediatamente precedente la metà del sec. 12°, in cui le iniziative architettoniche promosse dai C. si muovevano ancora in una dimensione di sostanziale avanguardia culturale. Era il momento in cui la torre nolare quadrata di Saint-Jean-de-Montierneuf a Poitiers venne conclusa con la versione più antica superstite del motivo delle quattro torrette cilindriche poste a fare da corona a un corpo circolare centrale, un tema decorativo che avrebbe avuto una storia lunga e diramata, dai cimbori delle cattedrali spagnole di Zamora e di Salamanca, al campanile della Martorana a Palermo, fino a informare di sé le torri di facciata della cattedrale di Laon e i campanili duecenteschi delle cattedrali di Gaeta, Terracina e Amalfi. Il punto di maggiore inventiva venne raggiunto con la ricostruzione del coro del priorato di Saint-Martin-des-Champs a Parigi, che comportò la creazione di un doppio deambulatorio, coperto con volte a crociera costolonate solo nella zona centrale, realizzata per ultima. Precedendo di poco l'analoga struttura fatta erigere dall'abate Suger a Saint-Denis, l'edificio pone in atto, per la prima volta, almeno due principi dell'architettura gotica: il coro vi è impostato secondo un'ampiezza maggiore rispetto a quella della navata e la disposizione delle cappelle radiali è tale da non lasciare spazi morti tra l'una e l'altra, in modo che l'effetto che ne scaturisce è quello di una serie continua di finestre che, come a Saint-Denis, eliminano il senso di continuità della parete.Per questo è da sfatare l'idea preconcetta di una estraneità culturale dei C. nei confronti del nuovo stile gotico, contraddetta anche da un uso relativamente precoce della volta a crociera costolonata nella torre-portico di Moissac e nella cripta di Saint-Gilles-du-Gard. Se si esclude il priorato di Saint-Leu-d'Esserent, il fatto che non vi siano stati cantieri cluniacensi significativi che abbiano oltrepassato la metà del sec. 12° è piuttosto la conseguenza dell'ormai avviato processo di decadenza dell'Ordine, troppo marcatamente legato, come mentalità, al tempo della riforma della Chiesa e della lotta per le investiture. Questo significò una rapida perdita di potenziale economico, tanto più fatale in conseguenza della scelta di ricorrere, nella conduzione degli insediamenti maggiori, primo fra tutti Cluny, a un sistema economico di tipo monetario, piuttosto che direttamente produttivo, per consentire ai monaci di privilegiare l'aspetto liturgico, fondato sulla estenuante celebrazione degli uffici diurni e notturni. Proprio perché era mancata una linea di intervento dell'Ordine nelle vicende artistiche, la qualità delle imprese era risultata sempre direttamente proporzionale alla capacità finanziaria dei singoli monasteri. È esemplare il caso dei priorati lombardi, caratterizzati da una modesta consistenza economica al confronto con l'abbazia di S. Benedetto al Polirone, associata a Cluny nel 1077, che godette del favore della contessa Matilde di Canossa. Al contrario di ciò che avvenne negli altri insediamenti, la benevolenza comitale consentì il formarsi di un attivo scriptorium, uno dei più significativi, accanto a quelli di Cluny e di Moissac, del mondo cluniacense. Pur essendo aperto alle esperienze esterne, in particolare a quelle provenienti dall'area centroitaliana, di produzione delle bibbie atlantiche, come prova il salterio conservato a Mantova (Bibl. Com., 340), esso fu capace di una sua autonoma e caratteristica produzione. Il momento più alto è costituito da un vangelo (New York, Pierp. Morgan Lib., M.42), realizzato in loco entro il 1090, per conto dell'abate Guglielmo e non donato dalla contessa Matilde, come spesso si è ritenuto. Ciò che ne caratterizza la ricca illustrazione è il nesso diretto con la mentalità e la politica cluniacense, in chiave riformata e antisimoniaca, che offre largo spazio a una lettura simbolica del testo che privilegia episodi significativi in quel senso come la Cacciata dei mercanti dal Tempio.Nei priorati lombardi la scultura narrativa fece solo timide apparizioni, filtrata attraverso modi locali, di gustosa ma impacciata qualità, per i quali si sono spesso voluti vedere inesistenti collegamenti con la Borgogna, come nella cassetta funebre del beato Alberto, conservata frammentaria nell'abbazia di S. Giacomo a Pontida, e nell'archivolto del portale di S. Maria Assunta di Calvenzano, a Vizzolo Predabissi (Milano). A S. Benedetto al Polirone invece i frammenti del ciclo dei mesi riferibile al portale dell'abbazia denunciano, nel vigoroso realismo dei tratti, la mano di Wiligelmo, dunque di quanto di più nuovo e aggiornato fosse apparso nel mondo padano agli inizi del sec. 12°, e lasciano intendere l'esistenza di una vasta decorazione, prossima, anche nei temi, a quella delle coeve cattedrali della regione. Alla ricchezza ornamentale di questi edifici rinvia anche il mosaico pavimentale del 1151, incentrato sulla raffigurazione delle Virtù cardinali, disposto nel transetto della chiesa di S. Maria, che, in analogia con l'uso lombardo delle cattedrali doppie, doveva fungere da coro invernale per i monaci. Nelle costruzioni dell'Ordine, per qualità di forme e varietà di temi esso ha un precedente nel vasto mosaico pavimentale realizzato intorno al 1125 nel priorato di Ganagobie, al quale si affianca, per esecuzione e contenuti, quello recentemente scoperto nel priorato di Saint-André-de-Rosans (dip. Hautes-Alpes). Ancora più che al Polirone, vi prevale il senso dell'ornato animalistico, moralistico e visionario, tipico del gusto cluniacense, propenso ad attribuire all'immagine una funzione di guida e di riferimento nella vita del monaco. Fu proprio questa scelta culturale a essere violentemente censurata da s. Bernardo, tanto che è quasi ovvio pensare che fosse cluniacense l'edificio ideale contro il quale sono indirizzati gli strali del santo nella Apologia ad Guillelmum Abbatem.Dove le condizioni economiche lo permisero, la mentalità cluniacense contribuì allo svilupparsi, nei cantieri dell'Ordine, di una ricca e articolata decorazione scultorea. Perduta qualunque indicazione relativa alla scultura esistente a Cluny II, spetta ai capitelli del priorato di Payerne, nel corso della seconda metà del sec. 11°, di testimoniare una fattiva partecipazione dell'Ordine allo sviluppo della scultura preromanica. Ma è nel portale del priorato di Charlieu in Borgogna, che, entro il 1094, si riconosce la testimonianza più antica di un tema, quello della lunetta istoriata, che, grazie alla committenza cluniacense, avrebbe avuto nella regione una straordinaria fioritura nel corso della prima metà del 12° secolo. Perduto il portale di Cluny III, il senso di quella evoluzione si fissa nel confronto tra il sobrio Cristo di Charlieu, nella mandorla retta da due arcangeli, e il rutilante portale centrale della Madeleine di Vézelay, incentrato su una monumentale rappresentazione della Missione degli apostoli, un tema iconografico tipico dell'immaginario cluniacense, per il quale la vita monastica altro non doveva essere che una prosecuzione del mistero della Pentecoste, così da fare della vicenda apostolica un modello di comportamento per il monaco. A La Charité-sur-Loire la presenza di cinque navate consentì di ampliare ulteriormente il sistema di Vézelay, dove anche i portali laterali sono istoriati, creando una sequenza continua che prelude a una soluzione tipica delle facciate gotiche, così come, stilisticamente, nei due portali superstiti, il frenarsi del tradizionale ed esuberante linearismo della plastica borgognona segna una premessa allo stile dei portali occidentali della cattedrale di Chartres. Il gusto spiccato per la ricchezza decorativa spiega come furono possibili, all'interno di iniziative cluniacensi, scelte come i portali del nartece del priorato di Charlieu, caratterizzati, intorno alla metà del sec. 12°, da un fantasmagorico e inconsueto barocchismo formale, o la classicheggiante facciata dell'abbazia di Saint-Gilles-du-Gard, che guarda agli archi trionfali romani per mettere in scena un'imponente rappresentazione delle ragioni della missione apostolica.Attraverso il veicolo cluniacense il modello del portale borgognone giunse a influenzare anche la Linguadoca. Solo così si può giustificare, rispetto alla sobria compostezza della tradizione locale, rappresentata dalla Porte Miègeville di Saint-Sernin di Tolosa, l'esuberante ricchezza compositiva delle apparizioni teofaniche che decorano il portale meridionale della galilea dell'abbazia di Moissac e quello meridionale dell'abbazia di Beaulieu-sur-Dordogne. Stilisticamente tuttavia, in ossequio al tradizionale comportamento cluniacense, ci si attenne ai modi di fare locali, come provano i legami dei due portali con gli apostoli che decoravano il portale della sala capitolare di Saint-Etienne a Tolosa. Nella regione l'apporto cluniacense fu determinante soprattutto nel radicale rinnovamento del sistema decorativo del chiostro, grazie al capitello istoriato. Nell'economia della vita monastica cluniacense, che nell'organizzazione complessiva degli ambienti conventuali in nulla si staccava dalla tradizione benedettina, il chiostro aveva acquistato un'importanza fondamentale, in quanto faceva parte integrante dei percorsi liturgici e i capitelli vi svolgevano la funzione di punti di stazione, tanto da poter avere, come in un caso a Moissac, dei depositi di reliquie al loro interno, quasi si trattasse di veri e propri altari. Da qui la necessità che la decorazione componesse un insieme edificante, finalizzato al culto e alla meditazione. Questo risultato, che avrebbe costituito un punto di riferimento normativo per tutto il sec. 12°, anche al di fuori dello stretto ambiente cluniacense, venne raggiunto, intorno al 1100, nel chiostro dell'abbazia di Moissac, grazie a una maestranza locale, la stessa che di lì a poco avrebbe avviato i lavori del chiostro del priorato tolosano di Notre-Dame-de-la-Daurade. Le grandi figure degli apostoli, disposte sui pilastri angolari, vi ribadiscono il tradizionale tema della vita monastica come imitazione della missione apostolica, mentre i capitelli sviluppano una esemplificazione tratta dal Vecchio e dal Nuovo Testamento e dall'agiografia, alternata a momenti puramente ornamentali, la quale evita volutamente di farsi narrazione continua, per offrirsi alla contemplazione come sequenza di episodi edificanti. Lo stesso carattere fu introdotto dalla bottega nel chiostro di Notre-Dame-de-la-Daurade e venne fatto proprio dal gruppo di scultori che, dopo il 1120, ne completarono i lavori con la serie dei capitelli, conservati a Tolosa (Mus. des Augustins), sui quali illustrarono gli episodi della Passione e della Risurrezione di Cristo, in uno stile assolutamente nuovo, largamente debitore nei confronti della contemporanea pittura limosina per i suoi risvolti emotivi.Il caso è eccezionale perché non esiste un parallelo e diffuso sistema pittorico cluniacense, funzionale alle ragioni contemplative della vita monastica. Solo le pitture absidali della cappella del priorato di Berzé-la-Ville, non lontano da Cluny, risalenti al secondo decennio del sec. 12°, al tempo dell'abate Ponzio di Melgueil, testimoniano di scelte analoghe, con la grande raffigurazione della Traditio legis nel catino absidale, che nello spirito somiglia a una missione degli apostoli, e le scene di martirio nella zona sottostante, che, per via del concitato dinamismo narrativo, intensificano fin quasi all'esasperazione gli spunti sentimentali cercati nella decorazione dei chiostri. Sono andate perdute le pitture della navata e questo impedisce di cogliere il sistema decorativo nella sua integrità e le sue eventuali fonti. Spesso si è esagerato nel trovare in queste pitture una componente bizantina, ipotizzando come possibile tramite lo scriptorium cassinese. In realtà, se legami meridionali vi si vogliono cogliere, essi sono piuttosto con l'ambiente lombardo, dove in anni recenti si sono fatte più fitte le testimonianze dell'esistenza, in fondazioni benedettine, di una cultura pittorica parallela, fatta di risoluta intensità espressiva. Gli affreschi di Berzé-la-Ville si imparentano con certezza ai modi dello scriptorium di Cluny III, quali sono testimoniati dal lezionario conservato a Parigi (BN, nouv.acq.lat. 2246). Tuttavia la loro forza lineare sembra essere maggiormente intenzionata a tradurre in pittura le esperienze della contemporanea scultura borgognona, tanto da finire con l'essere un episodio locale, parallelo e inverso, sul piano del gusto, a quello dei capitelli della seconda bottega di Notre-Dame-de-la-Daurade, ma altrettanto occasionale e isolato.Come per le architetture, la decadenza finanziaria fu la causa principale della mancata partecipazione dei C. al nascere della scultura gotica. Che la volontà di impadronirsi del nuovo stile vi sia stata, lo testimonia l'ultima delle committenze cluniacensi di significato: le sculture del portale della sala capitolare di Notre-Dame-de-la-Daurade (Tolosa, Mus. des Augustins). Realizzate sul finire del sec. 12°, esse adattavano alla fronte tripartita di quell'ambiente conventuale motivi, come la statua-colonna, tratti dal repertorio della facciata occidentale della cattedrale di Chartres, risolti però in uno stile locale, sobriamente solenne, debitore di costruttivi contatti con il classicismo provenzale, colto nella tarda versione del chiostro di Saint-Trophime ad Arles.
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