COCCO (lat. scient. Cocos nucifera L.; dal portoghese e spagnolo coco "boccaccia", per i tre fori germinativi che si trovano all'estremità basale dell'endocarpo, uno aperto e due chiusi simili alla bocca e ai due occhi)
Genere monotipico della famiglia delle Palme, oggi diffuso in tutte le coste tropicali del mondo, essendo una delle piante più utili. Ha un tronco che può raggiungere 30-40 metri d'altezza con cicatrici fogliari anulari; foglie grandissime lunghe 3-4 m., pennate, formanti una grandiosa chioma terminale al tronco, pinne con carena rivolta in alto; gli spadici nascono all'ascella delle foglie, sono ramosi; fiori diclini monoici, i pistilliferi generalmente uno solo alla base di ogni ramo, mentre gli staminiferi sono, sopra ogni ramo, numerosi. I fiori pistilliferi hanno un perianzio formato di 6 tepali rotondati, grandi, avvolgenti quasi completamente il fiore; ovario grosso, adagiato con larga base su un grosso disco in forma di cuscino il quale forse rappresenta l'androceo rudimentale, triloculare, stimma trilobo quasi sessile, terminale, logge ognuna con un solo ovulo basale. Frutto ovoidale della grossezza perfino d'una testa umana, formato di un pericarpo assai spesso, distinto in epicarpo esterno cuticulare, mesocarpo assai spesso fittamente fibroso ed endocarpo osseo con tre fori germinativi basali.
Patria di origine sono le isole coralline Laccadive e Maldive dell'Oceano Indiano, d'onde fu diffuso a tutte le regioni marine equatoriali dalle correnti marine e dall'uomo; esso ha il suo migliore sviluppo nei luoghi con temperatura media annuale tra 22° e 33°.
Martius riunì al genere Cocos altre specie che più propriamente appartengono ai generi Syagrus, Arecastrum, Butia, Glaziova.
Bibl.: O. Beccari, Il genere Cocos Linn. e le palme affini, in Agricoltura coloniale, X (1916); E. Chiovenda, La culla del cocco in Webbia, V, parte 1ª e 2ª, Firenze 1921 e 1922; O. F. Cook, The origin and distribution of the Cocoa Palm, in Contributions from the U. S. National Herbarium, VII, Washington 1900-1902; id., History of the Coconut Palm in America, ibid., XIV, Washington 1910; Fergusson, All about the Coconut Palm, Colombo 1885.
Utilizzazione industriale.
Il cocco si può considerare come uno dei vegetali più utili del globo. Il tronco fornisce legname assai apprezzato per lavori fini, chiamato in commercio Porcupine Timber. Le foglie servono per ricoprire capanne, fare stuoie e altri lavori d'intreccio. La parte esterna ossea del frutto (endocarpo), durissima e nera, serve a fare vasellami. Ma l'utilizzazione più importante riguarda la parte interna (seme) e la parte esterna fibrosa (mesocarpo) del frutto.
Seme. - Costituisce un alimento di grande importanza e serve per la preparazione del cosiddetto olio di cocco.
Quando il frutto è giovane e il seme è in formazione, la cavità interna dell'albume è ripiena d'un liquido zuccherino, assai pregiato per il sapore e le proprietà refrigeranti. Questo liquido, detto latte di cocco, serve per la preparazione del cocco fresco, bevanda rinfrescante. Un frutto molto giovane, del peso di kg. 1,5, dà fino a gr. 400 di latte; normalmente però il rendimento è di gr. 250. Quando il frutto è più maturo, l'albume è più ricco di grassi. Il seme, già formato, viene allora utilizzato, allo stato fresco, sia per uso commestibile, sia per la preparazione sul luogo del cosiddetto olio di cocco. Può essere anche essiccato al sole o al forno e in tal caso, col nome di copra o kopperah, viene destinato al consumo diretto, sotto forma di spicchi, filamenti (copra raspato), farina (farina di copra); oppure viene destinato, ed è l'impiego principale, a quelle industrie lontane dai luoghi di produzione che sogliono produrre il cosiddetto olio di copra. Si calcola che 5 o 6 kg. di noci diano all'incirca i kg. di copra.
L'olio che si ottiene dal seme fresco o dal copra si suddivide in varie qualità e prende varî nomi, a seconda del grado di finezza: le qualità più raffinate si usano come commestibili, spesso come succedanei del burro (burro vegetale), mentre le qualità più andanti si utilizzano in grande quantità, specialmente miste con altri grassi, nella fabbricazione di saponi, particolarmente del marine soap, sapone adatto per lavare con acqua di mare. Nella lavorazione si separa anche una parte più solida, che serve per la fabbricazione delle candele (stearina di cocco). Residui della lavorazione dell'olio di cocco sono i panelli di cocco, usati per mangime, e le paste di cocco, usate in saponeria.
Fibra. - Essa è stata la prima fibra dura introdotta in Europa, dove fu trovata superiore anche a diversi tipi di canapa russa, per forza, elasticità e resistenza all'azione dell'acqua marina. Divenne presto il materiale favorito per la fabbricazione dei cavi destinati alle navi ecc., finché vennero introdotte altre fibre ricavate da foglie come per esempio la manila e il sisal. La fibra è però tuttora largamente usata in vari campi.
Per l'estrazione delle fibre gl'indigeni raccolgono le noci non perfettamente mature, allo scopo di ottenere un prodotto più resistente, ne separano i gusci, con l'aiuto di pioli appuntiti infissi per terra, e li accumulano in fosse contenenti acqua dolce o salata, ricoprendoli di pietre e lasciandoveli soggiornare per lungo tempo, anche per parecchi mesi. L'acqua si corrompe prendendo una tinta nerastra e i filamenti si disgregano diventando più scuri; si sviluppa acido solfidrico, ciò che rende gravoso il lavoro alle persone (per lo più donne e ragazzi) che vi sono addette. Quando si giudica sufficiente la macerazione, si tolgono i gusci, si risciacquano e si battono con una mazza di legno togliendone lo strato fibroso che si dissecca al sole e assortendo poi le fibre sia per qualità, essendo quelle più interne più fini, sia per lunghezza. In qualche posto, e specialmente da Europei, l'estrazione della fibra viene fatta con l'ausilio d'un macchinario assai semplice: si fa subire alla scorza fibrosa il passaggio per un rompitore costituito da una coppia di cilindri scanalati per ammorbidire le fibre e disgregarle, e in seguito il passaggio per un apritore assai robusto, costituito da un paio di cilindri scanalati, muniti di tela alimentatrice, che forniscono lentamente a un tamburo a grande velocità, provvisto di punte, gli ammassi fibrosi. Le fibre così lavorate, separate dalle impurità, vengono assortite nelle varie qualità e lunghezze con l'aiuto eventuale di un pettine. Le fibre di cocco sono lunghe da 15 a 30 cm.; un kg. di fibra si puo ottenere da 13 a 15 noci. Le fibre più lunghe, provenienti dalla sommaria pettinatura fatta a mano dagl'indigeni, si raggruppano in mazzetti e costituiscono le fibre per spazzola; le fibre di minor lunghezza si adoperano per filare.
Filatura. - È un'industria prettamente casalinga, fatta in maniera primitiva, ma abilmente da donne e ragazzi indigeni. Questi dispongono l'uno di seguito all'altro piccoli fasci di fibre in modo che le cime degli uni siano appena ricoperte dai piedi di quelli che seguono, e allacciano i fasci fra loro con una rapida torsione a mano. Il primo capo all'estremità si attacca a un capo fisso e si continua a torcere sempre nello stesso senso, in modo che la torsione cresce a mano a mano che l'operaio prosegue nel lavoro; così si ottiene il filo primitivo, che ordinariamente si accoppia a due capi per essere utilizzato come filo elementare dei trefoli di corderia. La torsione del filetto elementare è sempre destra e quindi è sinistra quella del filo a 2 capi. Il trefolo è ottenuto per lo più sull'aia, come è descritto nella voce canapa e le corde sono per lo più fabbricate pure sull'aia. In qualche località dell'India meridionale, come ad Anjengo o ad Aratory, si usa anche qualche mezzo meccanico di filatura, quantunque assai primitivo. Il filato grossolano ottenuto da questa lavorazione, accoppiato a due capi, avvolto in matasse e imballato, viene esportato col nome di filetto di cocco che a seconda della provenienza e qualità e grossezza, ha varie denominazioni (Anjengo, Beypore, ecc.).
Il mercato indiano principale del filato di cocco ha luogo a Alleppey (nella presidenza di Madras) da dove i negozianti che hanno comperato il filato in piccoli quantitativi direttamente dai produttori lo imbarcano per Calcutta, Madras, ecc. Il filato viene comperato e venduto a candy, misura locale di peso equivalente a circa 300 kg. Il mercato principale per l'esportazione è Cochin, e ivi il commercio è in mano principalmente ad Europei i quali fanno disseccare il filato, lo scelgono a seconda delle differenti misure o titoli e qualità, l'imballano e lo spediscono. Qualche volta il filato di cocco viene esportato in forma di grosse matasse conosciute sotto il nome di dholli.
Con le qualità più grosse di filato si fanno grossi cavi paraurti per navi ecc., con le più sottili, reti per pesca grossa e lavori di intreccio come stoie, nettapiedi, passatoie, ecc. I cordami di cocco sono assai pregiati per la loro leggerezza (circa 20 a 40% meno delle corde di canapa, a seconda della commettitura, con una resistenza del 60-75% di quelle) e pregiati pure per la loro elasticità e la loro durata, non avendo l'acqua marina alcuna azione su di essi. Gli altri lavori d'intreccio hanno il pregio di una grande resistenza all'usura. Grandi quantità di filati di cocco vengono pure usate per legare e fermare le coperte adoperate per coprire i mucchi di grano dopo la trebbiatura. Le qualità inferiori della fibra si adoperano per materassi o come materiale di riempimento.
Tessitura. - Nelle operazioni di tessitura, per tappeti o stuoie, i filati di cocco destinati a formare la catena si incannano su rocchetti a flange robusti (di solito interamente di metallo; fig.1) e, dato il numero limitato di fili che contiene il tessuto, l'orditura viene fatta direttamente sul subbio destinato al telaio. Si costruiscono, per questi filati grossi, orditoi speciali a tale scopo. Il filato di cocco destinato alla trama viene avvolto su grosse bobine pure con macchine speciali (fig. 2). I tessuti vengono poi in generale passati a una cimatrice speciale e calandrati. Si tessono anche stuoie a più colori, usando speciali armature (v. armatura, p. 414, fig. 100).
La tessitura avviene tanto su telai a mano (fig. 3) quanto su telai meccanici (fig. 4). Questi telai sono differenti dai soliti, avendo maggiore robustezza e dispositivi speciali per la lavorazione di un materiale voluminoso, come è il filato di cocco.
Produzione e commercio. - I centri di coltivazione del cocco si possono così raggruppare: zona dell'Asia meridionale (Ceylon, Indie olandesi, Indie portoghesi, Filippine, Stati malesi); zona dell'America Centrale e Meridionale (Brasile, Giamaica, Honduras, Cuba, ecc.); zona dell'Oceania e dell'Africa meridionale (isole Figi, Nuova Caledonia, isole Salomone, ecc., e poi Mozambico, Zanzibar).
Tutti questi paesi esportano notevolissime quantità di noci di cocco, copra, olio di cocco, fibra e filato. Nel 1926-29, l'esportazione di noci di cocco, che ha luogo principalmente da Ceylon, dalle Indie portoghesi, dalle Filippine, dalla Giamaica e dal Honduras, raggiunse i 2.134.000 quintali e si diresse prevalentemente agli Stati Uniti, in Germania, Inghilterra, Cecoslovacchia; l'esportazione di copra, che ha luogo principalmente dalle Indie olandesi, dagli Stati malesi, dalle Filippine, Ceylon, Mozambico e Zanzibar, raggiunse gli 11.981.000 quintali e si diresse prevalentemente agli Stati Uniti, in Germania, Inghilterra, Olanda, Cecoslovacchia, Giappone; l'esportazione di olio di cocco, praticata in prevalenza nelle Filippine, Indie olandesi e Ceylon, fu di 2.200.000 quintali e si diresse quasi esclusivamente agli Stati Uniti, e ciò perché i paesi europei soddisfano al loro consumo con la produzione locale dalla materia prima importata, o con importazioni dall'Olanda, Germania, Francia e Danimarca, paesi questi che hanno una forte industria di olio di cocco. Sulla esportazione di fibre, filati e tessuti, non si hanno dati precisi; essa è praticata dall'India meridionale e Ceylon, dalle Indie olandesi e da alcuni stati europei, come la Germania, l'Inghilterra, l'Olanda e qualche altro.
L'Italia, nel 1926-29, ha importato una media di 2300 quintali di noci di cocco, di 283.500 quintali di copra e di 41.745 quintali d'olio.
Bibl.: J. M. Matthews, Textile Fibres, Londra 1924; A. Renouand, Études sur la fabrication des cordes, in L'industrie textile, Parigi 1909; R. O. Herzog, Technologie der Textilfasern, Berlino 1927.