CODARDIA (da "codardo" detto dell'animale che ha la "coda" fra le gambe; fr. couardise; sp. cobardía; ted. Feigheit; ingl. cowardice)
Nel comune uso della lingua parlata codardo è colui che fugge i pericoli, o in mezzo a essi si scoraggia, o in altro modo rivela la propria viltà d'animo. In senso più ristretto e tecnico, la voce codardia è usata, in diritto penale militare, per comprendere tutte quelle violazioni dei doveri militari che sono determinate dal timore di un nocumento personale.
Storia. - La storia del diritto penale militare non sempre offre un quadro sicuro e completo delle disposizioni che informano tale speciale figura di reato attraverso le varie epoche. Le notizie che se ne hanno sono spesso scarse o incerte; però valgono a dimostrare come sino dai tempi più remoti legislatori e condottieri si preoccupassero di mantenere saldo lo spirito militare degli eserciti, comminando pene gravissime contro i codardi. Nella legislazione militare egiziana, secondo quanto riferisce Diodoro Siculo, i militari colpevoli di codardia erano notati d'infamia. Presso gli Spartani la resa delle armi era colpita da una nota d'infamia che comportava l'incapacità di rivestire alcuna magistratura e di comprare o vendere, mentre i responsabili di diserzione o fuga dalla battaglia non solamente erano esclusi da ogni carica, ma era disonorevole cosa il dare ad alcuno di loro o da alcuno di loro prendere moglie" (Plutarco, Vita di Agesilao). Nella legislazione ateniese, una legge di Solone puniva i fatti di codardia con l'infamia che consisteva nel divieto di assistere alle assemblee popolari, nell'incapacità di poter ottenere il premio del valore (una corona) e nel divieto di accedere ai templi pubblici per i sacrifici. Nel diritto romano i fatti di codardia venivano assegnati alla categoria dei crimina segnitiae. Il disertore con passaggio al nemico era considerato come nemico, e, perciò, punito col rogo, con la forca o destinato a essere divorato dalle fiere.
Nell'antico diritto consuetudinario germanico i codardi erano puniti di morte per sommersione; inoltre era colpito d'infamia chi usciva incolume dal combattimento in cui era caduto il comandante. Con la trasmigrazione dei popoli germanici in Italia tale diritto consuetudinario passò nella penisola. L'editto di Rotari (643) comminava la pena di morte ai codardi. Successivamente anche la legislazione carolingia (Capitularia Regum Francorum) ebbe a occuparsi del reato di codardia, configurandolo sotto l'aspetto dell'abbandono del compagno in armi, e comminando la pena di morte. Con la fine del dominio dei Carolingi, la dissoluzione della regia potestà e l'organizzazione della società secondo il regime feudale, il munus militiae perse il suo carattere di dovere del cittadino verso la patria, e trovò soltanto origine nel contratto feudale; il delitto di codardia, quindi, venne necessariamente concepito come inadempimento dell'obbligazione del servizio dovuto dal vassallo al signore e come tale punito (v. Fellonia). Più tardi, quando la milizia feudale degenerò nelle compagnie di ventura, accanto alle quali fiorivano le milizie comunali, è dato presumere che vere norme punitrici del reato di codardia non esistessero, ma che la repressione di tale delitto fosse lasciata all'arbitrio dei capi. Attraverso le successive fasi per cui passò la milizia, e correlativamente il concetto della sanzione penale militare, si perviene al diritto moderno, che si è ispirato nettamente ai principî di diritto penale militare proclamati dalla Rivoluzione francese, da cui traggono origine i vigenti codici militari italiani.
Legislazione penale militare vigente in Italia (codice penale per l'esercito e codice militare penale marittimo del 1869). - Sotto la denominazione "codardia" dovrebbero, nel diritto positivo, comprendersi quei fatti che, per la loro stessa natura e per le circostanze in cui si verificano, hanno per principale movente il timore di un nocumento personale. Il legislatore vigente reprime questi fatti con severità, talvolta con la pena di morte, senza però usare il termine specifico di codardia; cosicché le relative norme punitrici debbono ricercarsi attraverso le varie disposizioni che regolano questa materia. Esse possono raggrupparsi secondo il sistema seguente:
a) art. 91 del cod. pen. per l'esercito e articoli 89, 90 e 91 del cod. mil. marit., che prevedono il reato di incitamento alla codardia, configurando varie ipotesi delittuose: quella del militare che, durante il combattimento e senza ordine del comandante, gridi di arrendersi e di cessare il fuoco, punita con la reclusione militare da dieci a vent'anni (le stesse penalità sono previste per gl'individui di marina, e per ogni persona imbarcata su di una nave dello stato, che si renda colpevole di tali fatti); quella di chiunque, durante il combattimento, ammaini la bandiera senza ordine del comandante, punita con la morte, mentre il semplice tentativo è punito col massimo della reclusione militare; quella di ogni individuo di marina, o di persona imbarcata su una nave dello stato che, durante il combattimento, o in caso di qualche grave pericolo, come tempesta, naufragio e incendio, con grida, discorsi o atti, incuta lo spavento, o provochi il disordine nell'equipaggio, punita, secondo le circostanze, col carcere militare o con la reclusione militare sino ad anni cinque, e se il colpevole è ufficiale, con la destituzione.
b) articoli 92 e 93 cod. pen. per l'es. e art. 94 cod. mil. mar. che prevedono il reato di codardia in atti, configurando diverse ipotesi delittuose. Una prima ipotesi di codardia si concreta nel fatto del militare che in faccia al nemico si sbandi, abbandoni il posto o non faccia la possibile difesa: la pena comminata è quella della morte. Analogamente dispone il cod. di marina per i militari e per ogni altra persona, anche non militare (es.: cuoco di bordo, maestro di casa, ecc.) che faccia parte dell'equipaggio della nave. Una seconda ipotesi prevede una figura speciale di disobbedienza, punita, per la sua estrema gravità, con la pena di morte e consistente nel fatto del militare che, comandato di marciare contro il nemico, o per qualunque altro servizio di guerra, in presenza di esso, si rifiuti di obbedire. Analogamente dispone il codice marittimo per il caso di disobbedienza all'ordine o al segnale di combattere, di montare all'abbordaggio o di fare altra operazione o un servizio qualunque di guerra in presenza del nemico. Speciali regole detta poi il legislatore quando più siano i compartecipi a questi fatti di codardia, disponendo che, in tal caso, si puniscano soltanto gli agenti principali. Nondimeno gli ufficiali o militari graduati, colpevoli di questo reato, saranno sempre destituiti, dimessi o rimossi, quand'anche non siano stati agenti principali della codardia. Le disposizioni in esame si applicano non solamente in tempo di guerra, ma anche nel caso di qualsiasi spedizione od operazione militare, e anche quando, benché non vi sia la presenza del nemico, possa dal reato venire compromessa la sicurezza della nave.
c) articoli 86, 87, 96, 97 ecc. cod. milit. marittimo, che puniscono con la reclusione militare sino a cinque anni, il comandante di una nave dello stato che, in caso d'incendio, d'investimento o di naufragio, non ponga in opera tutti i mezzi disponibili per salvare dalla perdita totale la nave stessa; con la reclusione militare da dieci a vent'anni e con la destituzione, il comandante che, scientemente, e senza giusto motivo, nel caso di perdita d'una nave della marina militare sottoposta ai suoi ordini, non abbia voluto essere e non sia stato l'ultimo ad abbandonarla. La pena, poi, è della morte se il comandante, per non essere rimasto l'ultimo a bordo, sia stato la causa per cui la nave non si sia più potuta salvare, ovvero se, per tale fatto, siano perite alcune delle persone su di essa imbarcate. Il comandante di una o più navi dello stato che, potendo attaccare e combattere un nemico eguale o inferiore di forze, ovvero soccorrere un'altra nave dello stato o di una potenza alleata, la quale si trovi in combattimento o sia inseguita dal nemico, o potendo distruggere un convoglio nemico, non l'abbia fatto senza esserne impedito da speciali istruzioni o da gravi motivi, è punito con la destituzione. Pure con la destituzione è punito il comandante che, senza esservi obbligato da speciali istruzioni o da gravi motivi, abbia sospeso la caccia sia di navi da guerra, sia di navi mercantili fuggenti innanzi a lui, sia di un nemico battuto, o abbia negato soccorso a una o più navi, amiche o nemiche, imploranti la sua assistenza in qualche pericolo, o abbia rifiutato la protezione a navi della marina mercantile nazionale, quando non fosse nell'impossibilità di prestare il soccorso o la protezione richiesta; analogamente sono punite le persone imbarcate su una nave dello stato le quali, in caso di naufragio, l'abbandonino senza ordine o si allontanino dalla riva senza autorizzazione.
Per i dipendenti dall'Aeronautica, R. Guardia di finanza, e M.V.S.N., che non hanno un proprio codice, si applicano le disposizioni del codice penale per l'esercito.
Bisogna infine notare che, se i fatti di codardia sono commessi a scopo di tradire, si applicano le disposizioni concernenti il delitto di tradimento.
Bibl.: P. Vico, Diritto penale militare, in Enciclopedia del diritto penale italiano, diretta da E. Pessina, XI, Milano 1917; V. Manzini, Diritto penale militare, Padova 1928; G. Nappi, Trattato di diritto e procedura penale militare, Milano 1917.