CODICE (X, p. 682; App. II, 1, p. 632)
Codice civile. - Il c. c. italiano attualmente in vigore è del 1942; emanato dopo una lunga elaborazione, in uno dei periodi più agitati della nostra storia politica, esso sostituì i due c. di diritto privato a quel tempo esistenti, il c. civile (1865) e il c. di commercio (1882). La novità più appariscente era proprio l'unità legislativa del diritto privato, in contrasto con la tradizione ottocentesca della distinzione nel regime dei rapporti, riguardanti tutti i cittadini o soltanto la speciale categoria degli operatori economici. L'unificazione venne, almeno in parte, giustificata sulla base dell'ideologia corporativa propria del fascismo, condensata nella Carta del lavoro (1927) e nei propositi del regime dell'epoca destinata a investire l'intera riforma legislativa. In particolare, si tenne a sottolineare la mutata prospettiva del c. civile, nel senso che l'istituto fondamentale ne diveniva l'impresa, e quindi l'attività economica attorno ad essa organizzata, piuttosto che la proprietà, collocata al centro della visione liberale dei c. precedenti.
Alle intenzioni del legislatore di tradurre nel c. civile i principi corporativi, non corrisposero i risultati pratici, e perciò l'opera rimase sostanzialmente immune da quei motivi ispiratori (se si eccettuano talune incrostazioni verbali, e incidentali affermazioni di scarsa rilevanza concreta). Il c. civile si presenta come il regime aggiornato che la società borghese riservò ai rapporti privati, in una fase di superamento dell'economia agricola e artigianale, di timido avvio del processo industriale e di partecipazione o di controllo statale sui più importanti settori produttivi e del credito. Delle aree culturali in cui si è soliti distribuire le esperienze giuridiche, il c. italiano continua ad appartenere all'area "romanistica", dove il code Napoléon resta l'esemplare modello; ma sono notevoli l'accresciuto numero delle materie trattate e la modernità e precisione del linguaggio suggerite da una consuetudine di pensiero con forti influenze germaniche.
I libri in cui il c. civile è diviso s'intitolano: delle persone e della famiglia; delle successioni; della proprietà; delle obbligazioni; del lavoro; della tutela dei diritti. La materia marittima e aeronautica è rimasta affidata a un c. distinto (il c. della navigazione), così come in leggi speciali è contenuta la disciplina di particolari materie che pure rientrano nei confini del diritto privato (fallimento, cambiale, assegno, brevetti, diritto d'autore).
Il giudizio espresso sul c. civile, nel senso che l'insieme delle norme non avrebbe conosciuto gravi contaminazioni dalle idee politiche del tempo (un'ulteriore conferma se ne ricava, del resto, dal rifiuto d'inserire nel c., o di anteporgli, una serie di principi generali di diritto, d'indole politico-costituzionale) non impedisce, naturalmente, di considerare l'opera legislativa, quale fu completata nel 1942, in termini d'arretratezza o di ritardo rispetto allo sviluppo economico-sociale del paese, ai mutamenti del costume, alle nuove concezioni dei rapporti tra individui, gruppi e comunità statale. Prima in ordine di tempo e d'importanza, la costituzione repubblicana (1948) sollevò la necessità, e continua a porre l'esigenza, ora di sopprimere ora di modificare o di adattare le soluzioni accettate dal codice.
L'opera d'adeguamento del c. civile ai principi costituzionali è stata compiuta in notevole misura dalla Corte costituzionale; in forme più incisive e organiche, come può comprendersi, attraverso interventi del legislatore ordinario. Le materie che hanno subito più profonde innovazioni sono state il diritto familiare e il regime del lavoro subordinato. Per il diritto familiare le norme nuove, rispondenti ai principi d'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e di pari dignità sociale e giuridica dei figli procreati fuori del matrimonio, sono state introdotte nel corpo del c. civile, accanto o in luogo delle regole precedenti (l. 19 maggio 1975, n. 151), mentre al di fuori del c. è disciplinato il divorzio. Per i rapporti di lavoro è stato invece abituale il ricorso alle leggi speciali, integrative della scarna disciplina rimasta nel c.: così è accaduto, tra l'altro, per il contratto di lavoro a tempo determinato, per il lavoro a domicilio, per il licenziamento e per le ulteriori garanzie della stabilità del posto di lavoro (assicurate dallo Statuto dei lavoratori, con una legge del 1970). Nella materia l'attività legislativa è stata spesso preceduta e stimolata dalla contrattazione collettiva, svolta dai sindacati nell'esercizio della loro autonomia di libere associazioni private. Anche gl'istituti e i rapporti agrari hanno costituito oggetto di misure legislative, intese a favorire il passaggio della proprietà della terra ai soggetti che in concreto l'utilizzano e la trasformano.
Propositi di una radicale riforma del c. civile furono avanzati negli anni attorno al 1945; i più tardi, nel 1966, trovarono enunciazione anche nei programmi di un governo di breve durata: nell'una e nell'altra occasione, furono rapidamente abbandonati.
Bibl.: F. Vassalli, Motivi e caratteri della codificazione civile (1947), ora in Studi giuridici, III, 2 (Milano 1960), p. 605 segg.; R. Nicolò, Codice civile, in Encicl. del diritto, VII (ivi 1960), p. 240 segg.; P. Rescigno, Per una rilettura del codice civile, in Giurisprudenza ital., IV (1968), c. 205 segg., e Manuale del dir. priv. italiano, Napoli 19752, p. 59 segg.
Codice di procedura civile. - Il d. lgt. 5 maggio 1948, n. 483, contenente modificazioni e aggiunte al c. di procedura civile, con cui veniva riformato il c. in modo assai più profondo di quel che non apparisse a prima vista, specie il secondo libro, è stato ratificato, con modificazioni e aggiunte, mediante la l. 14 luglio 1950, n. 581, integrata con d.P.R. 17 ottobre 1950, n. 875.
Nello stesso torno di tempo, con la l. 30 luglio 1950, n. 534, veniva modificato l'art. 72 del c. attribuendo al pubblico ministero la facoltà d'impugnare sentenze rese in cause matrimoniali, che pur non fosse legittimato a promuovere (esclusion fatta delle cause di separazione personale dei coniugi), e sentenze dichiarative dell'efficacia o inefficacia di sentenze straniere, relative a cause matrimoniali: facoltà, spettante tanto al pubblico ministero presso il giudice che ha pronunciato la sentenza, quanto a quello presso il giudice competente a decidere sull'impugnazione. La modificazione era provocata dalla ritenuta applicazione dell'art. 12 l. 27 maggio 1929, n. 847, all'incapacità naturale degli sposi e dalla dichiarazione d'efficacia di sentenze straniere di annullamento di matrimoni celebrati avanti a ministri di culto cattolico, che talune corti d'appello, malgrado l'opposto orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione, avevano continuato a pronunciare.
Con la l. 25 luglio 1966, n. 571, il limite di valore della competenza del conciliatore veniva elevato a L. 50.000, il limite della competenza in materia civile del pretore a L. 750.000; il limite di L. 50.000, stabilito dalla legge anteriore per le cause relative a beni immobili, nelle quali il valore si determina, a sensi dell'art. 15 del c., in base a tributo diretto verso lo stato, era elevato soltanto a L. 300.000 (art.1). Sennonché la soppressione delle imposte reali, disposta con la riforma tributaria del 1972, più non consente l'applicazione non pure dell'art. 15, sibbene degli art. 21, 1° comma, 26, 1° comma, 568, 1° comma del c., e, pertanto, il giudice determina il valore delle cause relative a immobili, secondo quanto risulta dagli atti e, se questi non offrono elementi per la stima, ritiene le cause di valore indeterminabile (art. 15); qualora l'immobile sia compreso in più circoscrizioni giudiziarie, è competente ogni giudice nella cui circoscrizione si trova una parte dell'immobile (art. 21, 1° comma, 26, 1° comma), e il valore dell'immobile pignorato è sempre determinato dal giudice dell'esecuzione sulla base degli elementi forniti dalle parti e di quelli che gli può fornire un esperto (art. 568).
Con l'art. 2 l. 25 luglio 1966, n. 571, il limite di valore entro il quale il conciliatore decide le cause secondo equità e inappellabilmente, a norma degli art. 113, 2° comma, e 339, ult. comma, del c., veniva elevato a L. 20.000; erano in ogni caso appellabili senza limiti le decisioni rese dai conciliatori nelle cause di sfratto e in quelle relative a contratti di locazione di immobili.
Con la l. 1° dicembre 1970, n. 898, è stata attribuita al pubblico ministero la facoltà d'impugnare sentenze rese nelle cause di scioglimento di matrimonio, limitatamente agl'interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci (art. 5, 3° comma).
Con la l. 8 maggio 1971, n. 302, è stato modificato l'art. 514 del c., ampliando il novero delle cose mobili assolutamente impignorabili.
Ben più vaste e profonde delle modificazioni del c. sinora passate in rassegna, sono quelle, disposte con la l. 11 agosto 1973, n. 533, che ha disciplinato ex novo il rito speciale del lavoro applicandolo alle controversie individuali di lavoro, aventi per oggetto i rapporti elencati nell'art. 409, e alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, aventi per oggetto i rapporti indicati nell'art. 442.
Si espongono le innovazioni più notevoli: la competenza per materia è attribuita al pretore (art. 413,444) e dell'appello dalle sentenze del pretore conosce il tribunale (art. 433); forma della domanda giudiziale è non la citazione a udienza fissa, ma il ricorso, in calce al quale il pretore fissa l'udienza (art. 414); ricorso dell'attore e memoria difensiva del convenuto debbono contenere non solo l'esposizione dei fatti e delle ragioni in diritto, ma anche la comunicazione dei documenti prodotti e le istanze di mezzi istruttori (artt. 414,416); nell'acquisizione delle prove prevale il potere inquisitorio del giudice, al cui esercizio si apporta deroga per il giuramento decisorio e per l'accesso sul luogo di lavoro (art. 421); la trattazione è orale e si svolge nell'udienza di discussione, nel corso della quale debbono comparire personalmente e sono liberamente interrogate le parti, si assumono le prove, e a definizione della quale il pretore delibera la sentenza, di cui legge immediatamente il dispositivo in udienza (artt. 420,429); le sentenze, che pronunciano condanne a favore del lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di cui all'art. 409, sono provvisoriamente esecutive, possono essere mandate a esecuzione sulla sola copia del dispositivo, e la sospensione può essere disposta dal tribunale solo se ne derivi all'altra parte gravissimo danno e, in ogni caso, solo per somme eccedenti le L. 500.000 (art. 431); del pari provvisoriamente esecutive sono le sentenze pronunciate nelle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie (art. 447); il giudice, in ogni stato del giudizio, dispone, su istanza di parte, con ordinanza il pagamento delle somme non contestate e, su istanza del lavoratore con ordinanza revocabile con la sentenza che definisce il giudizio, il pagamento di una somma a titolo provvisorio quando ritenga il diritto accertato e nei limiti della quantità, per cui è stata raggiunta la prova (art. 423); il giudice, quando pronuncia sentenze di condanna al pagamento di somme di danaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gl'interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subìto dal lavoratore per la diminuzione di valore di un credito, condannando al pagamento delle somme relative con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto (art. 429); il giudizio di appello, nel quale non sono ammesse nuove eccezioni, si svolge avanti il collegio del tribunale, il quale, esclusion fatta del giuramento estimatorio, ammissibile ai sensi dell'art. 2736 n. 2 cod. civ., può ammettere nuovi mezzi di prova solo se li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa (art. 437); sono inappellabili le sentenze che hanno deciso una controversia di valore non superiore a L. 50.000 (art. 440); nelle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, i procedimenti amministrativi preliminari, se non esauriti, possono provocare la sospensione del giudizio, non già l'improcedibilità della domanda (art. 443), né vizi, preclusioni e decadenze, che vi si siano verificati, rilevano nel successivo giudizio (art. 8, l. 11 agosto 1973 n. 533); i rapporti tra rito ordinario e rito speciale nelle controversie individuali di lavoro dànno luogo a mutamenti di rito, disciplinati negli artt.426,427 e 439; è preveduto, non solo per le controversie, di cui agli artt. 409 e 442, ma anche per quelle concernenti il rapporto di lavoro dei dipendenti dello stato, delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti pubblici non economici, il patrocinio a spese dello stato, disciplinato dagli artt. 11 e 16 l. 11 agosto 1973, n. 533. La l. 11 agosto 1973, n. 533, salvo marginalissimi punti, ha superato positivamente il giudizio di conformità alla Costituzione, della Corte costituzionale (sent. 14 gennaio 1977, nn. 13-17, Giur. costit., 1977,287, con nota di Pera; sent. 20 gennaio 1977, n. 43, Foro it., 1977 I 257).
A differenza della legge sul rito speciale del lavoro, che ha modificato il c. in guisa precipua mediante il metodo della novellazione, in virtù del quale sono stati inseriti in articoli del c. medesimo nuovi testi, la l. 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia ha apportato modifiche indirette di non lieve rilievo, di cui si segnalano le più importanti.
Il foro generale del convenuto persona fisica è influito dal nuovo testo dell'art. 45 cod. civ., per il quale ciascuno dei coniugi, ancorché non separati, può avere un proprio domicilio, e il minore ha il domicilio nel luogo di residenza della famiglia o quello del tutore, e il domicilio del genitore, con il quale convive, se i genitori sono separati o il loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti civili o, comunque, non hanno la stessa residenza; sulla disciplina della separazione giudiziale dei coniugi e segnatamente sulla forma della domanda (art. 706) incide l'art. 33 l. 19 maggio 1975, n. 151, il quale eleva, a titolo della relativa domanda, il verificarsi di fatti tali che, indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, rendano intollerabile la prosecuzione della convivenza o rechino grave pregiudizio all'educazione della prole; sulla disciplina della separazione consensuale (art. 711) influisce l'art. 40 della legge, per il quale, ove l'accordo dei coniugi relativamente all'affidamento e al mantenimento dei figli sia in contrasto con l'interesse di questi, il tribunale li riconvoca indicando agli stessi le modificazioni da adottare nell'interesse dei figli e, in caso d'inidonea soluzione, può allo stato rifiutare l'omologazione della separazione; le disposizioni del c. sui rapporti patrimoniali tra i coniugi, che si esaurivano nella sostituzione dell'amministratore del patrimonio familiare (artt. 735 e 736), sono abrogate a seguito della soppressione dell'istituto del patrimonio familiare (art. 49 l. 19 maggio 1975, n. 151); alla disciplina del c. sullo scioglimento delle comunioni (artt. 784 a 791) apportano cospicua materia sostanziale gli artt. 70 e 72 l. 19 maggio 1975, n. 151, che regolano lo scioglimento della comunione legale e la separazione giudiziale dei beni compresi nella comunione legale dei coniugi.
Non lievi incertezze interpretative provoca l'incidenza del regime di comunione legale sull'attuazione di titoli esecutivi conseguiti nei confronti di uno dei coniugi, sui beni compresi nella comunione stessa: si tratta di situazioni, cui non sono direttamente applicabili le normative particolari del c. sulle espropriazioni di beni indivisi (artt. 599-601) e contro il terzo proprietario (artt. 602-4), né a minori difficoltà dà luogo l'applicazione delle disposizioni comuni sui procedimenti comuni in camera di consiglio, dettate negli artt. 737 a 742 bis del c., ai nuovi procedimenti camerali e alla rinnovata disciplina di altri, già operanti: poteri di conciliazione e di arbitraggio, attribuiti al pretore in caso di disaccordo tra i coniugi sull'indirizzo della vita familiare e sulla fissazione della residenza della famiglia (art. 27 della legge); autorizzazione alle modifiche di convenzioni matrimoniali, successive alla celebrazione del matrimonio (art. 43 della legge); autorizzazione alle alienazioni di beni del fondo patrimoniale (art. 51 della legge) e attribuzione ai figli di una quota di essi (art. 53); autorizzazione del riconoscimento di figli incestuosi (art. 103); affidamento e inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima (art. 104); autorizzazione, al minore o all'interdetto riconosciuto, a impugnare il riconoscimento di figlio naturale (art. 112).
Con l. 10 maggio 1976, n. 358, sono stati modificati gli artt. 495,641 e 653 del codice.
Non molte sono le questioni di costituzionalità di articoli del c. rimesse all'esame della Corte costituzionale: si ricordano le più interessanti.
Con sent. 29 novembre 1960, n. 67 (Foro it., 1960, I, 1873), è stato dichiarato illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24, Cost., l'art. 98, per il quale il giudice poteva imporre cauzione allorquando vi fosse fondato timore che l'eventuale condanna nelle spese potesse rimanere ineseguita.
Con sent. 23 luglio 1974, n. 248 (Foro it., 1974, I, 2220), si è dichiarato illegittimo, per violazione dell'art. 24 Cost., l'art. 247 del c., che sancisce il divieto di testimoniare per il coniuge, ancorché separato, i parenti o affini in linea retta e coloro che sono legati a una delle parti da vincoli di affiliazione, ma si è ritenuta infondata la questione di costituzionalità dell'art. 246 del c., che prevede l'incapacità a testimoniare di persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; con sent. 11 giugno 1975, n. 139 (Foro it., 1975, I, 2393), si è dichiarato illegittimo l'art. 248 del c., che ammette l'audizione, per il processo civile senza prestazione di giuramento, dei minori di quattordici anni, solo se resa necessaria da particolari circostanze. La dichiarazione d'incostituzionalità dell'art. 247 priva di pratico contenuto il richiamo di detta disposizione nell'art. 421, 4° comma del c. (testo novellato con l'art. 1 della l. 11 agosto 1973, n. 533) assoggettando a giuramento, anche nelle controversie individuali di lavoro, le persone cui era (ma più non è) vietato testimoniare.
Più numerose le sentenze della Corte costituzionale sulla disciplina della sospensione e dell'interruzione del processo di cognizione, dettata nel c.: con sentenza 15 dicembre 1967, n. 139 (Giur. costit., 1967,1536, con nota di V. Andrioli) veniva dichiarato illegittimo, per violazione dell'art. 24 Cost., l'art. 305 nella parte in cui faceva decorrere dalla data dell'interruzione del processo il termine per la sua prosecuzione o la sua riassunzione anche nei casi di morte o d'impedimento del procuratore costituito, previsti nell'art. 301; con sentenza 4 marzo 1970, n. 34 (Foro it., 1970, I, 681), è stato dichiarato illegittimo, per violazione degli artt. 3, 1° comma, e 24, 2° comma, Cost., l'art. 297, 1° comma, del c., nella parte in cui disponeva la decorrenza del termine per la richiesta di fissazione della nuova udienza dalla cessazione della causa di sospensione, anziché dalla conoscenza che ne abbiano avuto le parti del processo sospeso; infine, con sentenza 6 luglio 1971, n. 159 (Foro it., 1971, I, 2117), si è dichiarato illegittimo, per violazione dell'art. 24 Cost., l'art. 305 del c., nella parte in cui disponeva che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo, interrotto ai sensi dell'art. 299 stesso c., decorresse dalla data in cui le parti ne avessero avuto conoscenza, e nella parte in cui disponeva che il termine utile per la prosecuzione o la riassunzione del processo, interrotto ai sensi dell'art. 300, 3° comma, decorresse dall'interruzione anziché dalla data in cui le parti ne avessero avuto conoscenza.
Comune è il filo conduttore delle tre sentenze, or ora riassunte: evitare che all'inosservanza del termine per la riassunzione segua, per la parte ignara, l'estinzione del processo, identificando il tempo di decorrenza del termine medesimo non dalla data dell'evento interruttivo, ma dalla conoscenza che la parte ne abbia acquisito, ma la Corte costituzionale, per un verso, non ha specificato i modi della conoscenza ingenerando dubbi, solo di recente sopiti, negl'interpreti e, per altro verso, non ha considerato che, se il termine di riassunzione prende a decorrere dalla data della conoscenza dell'evento interruttivo, il verificarsi di questo determina automaticamente lo stato di sospensione, nel corso del quale non possono essere compiuti atti e i termini sono interrotti, né va dimenticato che in altre vicende del processo (art. 286: modo di notificazione delle sentenze; art. 328: decorrenza dei termini per le impugnazioni) gli eventi interruttivi operano automaticamente.
Con sentenza 15 dicembre 1967, n. 143 (Giur. costit., 1967, 1687) è stato dichiarato illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 622 del c., che pone limiti all'opposizione della moglie del debitore all'espropriazione forzata dei beni di questo.
Il 22 agosto 1975 (VI legislatura, n. 2246) il ministro di Grazia e Giustizia ha comunicato alla presidenza del Senato il disegno di legge su provvedimenti urgenti relativi al processo civile e alla composizione dei collegi giudicanti, dei quali è d'uopo porre in evidenza i punti più importanti: elevazione dei limiti di competenza per valore dei giudici singoli (artt. 1, 2); attenuazione del rilievo d'ufficio dell'incompetenza (art. 6); soppressione del regolamento preventivo di giurisdizione e del regolamento di competenza d'ufficio; istituzione del regolamento di giurisdizione come mezzo d'impugnazione necessario e facoltativo e del regolamento di giurisdizione d'ufficio; estensione, alle questioni di giurisdizione, del principio della "continuazione del processo", stabilito dall'art. 50 del c. per le questioni di competenza (artt. 7, 73); sottoscrizione, da parte del solo presidente e dell'estensore, dell'originale delle sentenze dei giudici collegiali (art. 11); rafforzamento dell'impulso d'ufficio nella condotta del processo e infoltimento delle preclusioni (artt. 16, 17, 20, 21); ritorno, con qualche temperamento, alla dichiarazione d'ufficio dell'estinzione (artt. 15, 27); ordinanza di pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite (art. 19); disciplina del contenuto della sentenza di accertamento della violazione di obblighi di fare e di non fare (art. 23); nuova disciplina dell'interruzione del processo, resa necessaria dalle menzionate sentenze della Corte costituzionale (artt. 26, 32); previsione della decisione di merito, da emanarsi dalla Corte di cassazione a seguito dell'accertamento della violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 48); disciplina del procedimento ingiuntivo per crediti di lavoro e di assistenza e previdenza obbligatorie (art. 56); tutela del diritto di difesa nella fase presidenziale della separazione personale dei coniugi e nuova disciplina della revocabilità dei provvedimenti presidenziali (artt. 60, 62); assoggettamento, al rito speciale del lavoro, delle controversie relative al lavoro marittimo (artt. 63, 64); riduzione dei giudici deliberanti della Corte d'appello a tre, delle sezioni semplici della Corte di cassazione a cinque e delle sezioni unite della Corte di cassazione a nove (artt. 66-68); più non interverrà il pubblico ministero nella camera di consiglio delle cause civili avanti la Corte di cassazione (art. 69); nuova disciplina della sospensione dei termini per ferie (art. 70) e della trattazione degli affari civili nel periodo feriale dei magistrati (artt. 71-74).
Il contenuto del disegno di legge è più vasto della rubrica e rappresenta un ritorno al testo originario del c. e, in non pochi incontri, un superamento del medesimo. Con l. 8 agosto 1977, n. 532, sono divenuti legge i soli artt. 11, 66-69 del progetto.
Codice penale. - Con la nascita del nuovo stato repubblicano - abrogata la pena di morte fin dal 1944 - si è posto naturalmente il problema della compatibilità del c. penale del 1930 con i principi della Costituzione del 1948.
In proposito va notato che, per quanto concerne la parte generale di tale c., la linea seguita nelle varie proposte di riforma fin qui succedutesi (a cominciare da quella elaborata nel 1949 dal guardasigilli Grassi per passare ai disegni di legge delega per la riforma del c. presentati nel 1963 dal governo Leone e nel 1968 dal guardasigilli Reale, per finire col testo unificato, risultante dai disegni di legge presentati dal guardasigilli Gonella e dai senatori Follieri, Cassiani e altri, relativo alle modifiche al libro primo e agli artt. 576 e 577 del c. penale, approvato dal Senato il 31 genn. 1973) è consistita essenzialmente in uno sforzo di adeguamento alle nuove esigenze affermate sia dalla Costituzione sia dalla realtà in trasformazione del paese - si pensi al dibattito sull'abrogazione della pena dell'ergastolo - senza però abbandonare il nucleo fondamentale su cui s'impernia il sistema del c. attuale. Il che si spiega ricordando come tale nucleo non è stato intaccato dall'ideologia autoritaria del legislatore del 1930.
Diversa la situazione per la parte speciale. Qui sia la Corte costituzionale sia il legislatore ordinario hanno svolto interventi di una certa profondità, eliminando (o dando ad esse diversa configurazione) figure criminose ritenute superate (si pensi al reato di adulterio) o inaccettabili nel nuovo contesto sociale e politico (si pensi ai reati di sciopero e serrata, al divieto di propaganda dei mezzi contraccettivi).
Interventi di un certo rilievo del resto si sono avuti anche per la parte generale (come le disposizioni contenute nei provvedimenti vigenti sulla giustizia penale emanati nel 1974 - d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito, con modificazioni, nella l. 7 giugno 1974, n. 220 - recanti tra l'altro importanti innovazioni in materia di reato continuato, sospensione condizionale della pena e recidiva).
L'esigenza di una sollecita riforma del c. penale, comunque, non è venuta meno, ma è stata anzi rafforzata da questi crescenti e spesso frammentari interventi del legislatore, che è andato emanando, specie ultimamente, sempre nuove norme sia sotto lo stimolo della lotta alla criminalità sia per contingenze particolari (possono essere ricordati i reati configurati dalla recente riforma della legislazione sulle imposte dirette e indirette, nonché l'emanazione del nuovo ordinamento penitenziario: l. 26 luglio 1975, n. 354).
Non vi è dubbio infatti che la complessiva normativa così realizzata necessiti ormai di un'opera urgente di sistemazione. Ciò per tre ordini di motivi. Il primo concernente il fatto che nella nuova legislazione extra codicem si è venuta affermando una concezione più moderna e avanzata della funzione del diritto penale, collegata a quei fini di prevenzione e cura cui fa riferimento l'art. 27 Cost. (si pensi in particolare alla già ricordata emanazione del nuovo ordinamento penitenziario, dove sono, tra l'altro, previsti istituti come l'affidamento in prova del condannato al servizio sociale - la cosiddetta probation - e l'ammissione al regime di semilibertà).
Il secondo, in larga misura connesso al primo, il quale si rifà alla constatazione che un codice ha un significato in quanto corpo organico di norme costruito su un piano sistematico predeterminato, comprensivo di tutte le norme destinate a regolare un certo ramo del diritto, per cui non è più possibile che il c. penale attuale si limiti a regolare solo una parte dell'ambito della legislazione penale italiana e per giunta sotto profili a volte superati. Il terzo, infine, che si richiama alla necessità di un adeguamento della legislazione penale italiana ai principi contenuti nelle varie carte dei diritti e convenzioni internazionali sottoscritte dall'Italia.
Bibl.: M. Chiavario, La Convenzione europea dei diritti dell'uomo nel sistema delle fonti normative in materia penale, Milano 1969; P. Nuvolone, Trent'anni di diritto e procedura penale, Padova 1969; I. Caraccioli, I problemi generali delle misure di sicurezza, Milano 1970; U. Spirito, Storia del diritto penale italiano, Firenze 19743; G. Bettiol, Diritto penale, Padova 1976.
Codice di procedura penale. - Tutta la storia del processo sta a testimoniare come esso tende a riflettere in maniera diretta e immediata i rivolgimenti e le trasformazioni che si susseguono in ogni epoca. In questa prospettiva si collocano anche le vicende del c. di procedura penale del 1930.
Le linee essenziali di tale c. consistevano originariamente nella netta distinzione tra la fase istruttoria a carattere chiaramente inquisitorio (segretezza degli atti svolti dal giudice istruttore o dal p.m., processo scritto, una certa discrezionalità nella promozione dell'azione penale; discrezionalità derivante dall'attribuzione del potere di archiviazione al p. m., lo stesso soggetto, cioè, titolare dell'esercizio dell'azione penale) e la fase dibattimentale caratterizzata dalla oralità e dalla pubblicità. Si aggiungeva la tendenza a restringere la deducibilità delle nullità e a contenere nei limiti minimi gli effetti delle medesime (sanabilità di tutte le nullità e loro eccepibilità entro margini assai limitati). Il notevole scadimento delle garanzie dell'imputato contro eventuali violazioni delle norme procedurali veniva giustificato con l'esigenza di una spedita definizione del processo, visto essenzialmente nella prospettiva di strumento elaborato per una funzione - l'accertamento dei reati - considerata di preminente interesse per lo Stato e come tale del tutto trascendente le esigenze di tutela dei singoli. Restava infine sostanzialmente al di fuori del processo la fase dell'esecuzione, considerata del resto anche dalla dottrina di natura amministrativa e tale da configurare solo l'instaurarsi di un rapporto limitato tra lo Stato amministrazione (titolare a seguito della condanna di un vero e proprio diritto all'esecuzione della pena: cosiddetto diritto soggettivo di punire) e il condannato, senza alcun intervento del giudice (salvo naturalmente le controversie sul titolo giustificativo dell'esecuzione, determinandosi in tale ipotesi una riviviscenza del rapporto processuale attraverso l'incidente d'esecuzione, richiedente, in quanto diretto alla verifica del titolo dell'esecuzione, l'intervento del giudice).
Dalle linee tratteggiate appare evidente come la nascita del nuovo Stato democratico non potesse non incidere fin dall'inizio sulle strutture processuali in contrasto con quella centralità della tutela dei diritti della persona, fondamento della Costituzione del 1948. Per gli aspetti più macroscopici i prodromi dovevano manifestarsi fin dall'indomani della caduta del vecchio regime: così nel 1944 il potere di archiviazione (contrassegnato da una discrezionalità tanto più inammissibile in quanto il p. m. era collegato sotto molteplici aspetti all'esecutivo) veniva tolto al p. m. e affidato all'organo giurisdizionale con tutta l'evidente connessa tutela. Il problema delle garanzie non poteva certo a questo punto considerarsi esaurito. Si doveva così aprire, dopo i primi provvedimenti del 1955 - provvedimenti peraltro sotto alcuni aspetti anche rimasti inapplicati - che reintroducevano l'istituto delle nullità insanabili (legate alla necessità di garantire in ogni caso il due process law, a tutela soprattutto dei diritti inalienabili della difesa) e ampliavano le garanzie della difesa nell'istruttoria (specie l'estensione delle garanzie difensive previste per l'istruzione formale a quella sommaria), una lunga e complessa opera di riadattamento e ristrutturazione del processo penale italiano sulla base delle esigenze della nuova società.
Questa vicenda si è svolta su due direttrici. Una, tendente a introdurre o comunque rafforzare le garanzie poste a tutela dell'inquisito: di qui, tra l'altro, l'introduzione dell'istituto dell'avviso di procedimento (successivamente denominato comunicazione giudiziaria) e l'estensione delle garanzie difensive all'istruzione sommaria e a quella preliminare, nonché il rafforzamento delle garanzie medesime nella fase degl'incidenti d'esecuzione. L'altra, caratterizzata dalla sempre più chiara coscienza della necessità di semplificare e snellire le procedure, i cui complessi meccanismi troppo spesso attardano l'opera della giustizia: sforzo che ha assunto la più chiara esternazione con la legge delega per il nuovo codice di procedura penale (legge 3 aprile 1974, n. 108) laddove al punto 1 si è indicato come obbiettivo da raggiungere la "massima semplificazione del processo con eliminazione di ogni atto o attività non essenziale".
Sulla prima direttrice un impulso essenziale è stato dato - e qui ne va fatta menzione - dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (specie le sentenze del 1965 e del 1968, 1969 e 1970). Essa, muovendo dalla esigenza immediata di assicurare le medesime garanzie difensive agli atti istruttori, indipendentemente dal tipo d'istruzione in cui venissero svolti e, più in generale, di arrivare a un ampliamento delle garanzie istruttorie (ma non solo: si pensi all'introduzione dei termini massimi per la carcerazione preventiva), ha poi teorizzato l'applicazione della norma costituzionale concernente il rispetto del diritto di difesa a ogni atto o situazione direttamente, o indirettamente, confluente nel processo. Di contro, il parallelo intervento del legislatore con le leggi 7 novembre 1969, n. 780, 5 dicembre 1969, n. 932, 10 luglio 1970, n. 406, 18 marzo 1971, n. 62, e 15 dicembre 1972, n. 773, per lo più ha mirato a dare un assetto organico alla situazione determinatasi a seguito delle sentenze della Corte.
Il moto di progressivo ampliamento dei diritti della difesa sulla base del dettato costituzionale (art. 24 della Costituzione), raggiunto un ulteriore importante traguardo con la legge delega per l'emanazione del nuovo c. di procedura penale (caratterizzata dal notevole ridimensionamento della fase istruttoria, susseguente alla parità di posizioni delineata fra p.m. e imputato, dalla contemporanea tendenza a individuare nel dibattito il momento di acquisizione delle prove - tipica caratteristica del procedimento orale accusatorio - e infine dalla definitiva giurisdizionalizzazione della fase dell'esecuzione) doveva peraltro subire una serie di battute di arresto di fronte all'emergere del problema del grave stato dell'ordine pubblico in Italia.
Appariva infatti ormai evidente come molti dei nodi che impedivano il sollecito e soddisfacente svolgersi della giustizia penale non si riallacciassero solo all'imperfezione degli strumenti processuali elaborati dal legislatore, ma anche al fatto di non aver predisposto tutti i mezzi materiali e organizzativi necessari per l'espletamento dei processi. Di modo che le stesse innovazioni introdotte, pur ispirate al fine di dare attuazione al dettato costituzionale, finivano spesso col risultare snaturate nella loro finalità, rendendo talvolta ancor più macchinoso l'agire della giustizia.
Di qui l'emergere nella legislazione a partire dal 1974 - anno in cui sono state emanate le leggi 7 giugno 1974, n. 220, e 14 ottobre 1974, n. 497, per far fronte alla grave situazione dell'ordine pubblico - di una nuova tendenza che è contrassegnata, pur nello sforzo di non intaccare conquiste ormai intangibili nel campo dei diritti della difesa, da una profonda revisione dei meccanismi processuali. Ciò sulla base della consapevolezza che accanto alla tutela dei diritti della difesa è indispensabile realizzare, al fine di garantire appunto la tutela effettiva di tali diritti, una macchina processuale efficiente, tenendo conto in modo particolare del rilievo fondamentale che a tal fine assume il rispetto di precisi canoni temporali per il compimento degli atti processuali. Chiara testimonianza di questa tendenza si è avuta con la legge 8 agosto 1977, n. 534, che contiene disposizioni le quali limitano la rilevabilità delle nullità (in molti casi non deducibili, in base alla citata legge, una volta esperita la fase di giudizio successiva a quella in cui si sono verificate) e la possibilità della riunione dei processi, che ha dato luogo nel passato, a causa di una normativa eccessivamente lata, a lunghe e complesse vicende giudiziarie. V. anche processo penale, in questa Appendice.
Bibl.: G. De Luca, Lineamenti della tutela cautelare penale, Padova 1953; G. Conso, Accusa e sistema accusatorio, in Enciclopedia del diritto, I, Milano 1958; G. Sabatini, Vecchio e nuovo nella teoria dell'azione penale, in Archivio penale, 1962, p. 145 segg.; F. Cordero, Procedura penale, Milano 1965; N. Carulli, La difesa dell'imputato, Napoli 1972; D. Siracusano, Istruzione del processo penale, in Enciclopedia del diritto, XXIII, Milano 1973; M. Leone, Il tempo nel diritto penale sostantivo e processuale, Napoli 1974; C. Taormina, L'essenzialità del procedimento penale, ivi 1974; U. Dinacci, Prospettive sistematiche del processo penale, Padova 1975; G. Leone, Manuale di diritto processuale penale, Napoli 1975; F. Mencarelli, Tempo e processo. Profili sistematici, in La Giustizia penale, III (1975), col. 1 segg.
Codex iuris canonici. - Dopo oltre mezzo secolo dall'emanazione del Codex iuris canonici era ben naturale che sempre più s'imponesse la necessità di una sua radicale revisione e aggiornamento per meglio armonizzare le strutture giuridiche della Chiesa, la sua disciplina e il suo funzionamento con l'evoluzione e le nuove esigenze religiose della società odierna. E non è certo senza significato che la S. Sede ne venisse a dare l'annuncio ufficiale proprio contemporaneamente a quello della prossima convocazione del Concilio ecumenico Vaticano II.
Nella sua allocuzione, infatti, del 25 gennaio 1959 Giovanni XXIII, mentre annunciava pubblicamente che era sua intenzione celebrare un Sinodo per la diocesi di Roma e convocare insieme un Concilio ecumenico per la Chiesa universale, aggiungeva ancora che "questi due mezzi di pratica applicazione dei provvedimenti di ecclesiastica disciplina" dovevano essere seguiti dall'"auspicato e atteso aggiornamento del Codice di diritto canonico" (AAS 1959, p. 68). Il progetto ricevette subito effettiva attuazione con la creazione di un'apposita commissione nominata dallo stesso pontefice il 28 marzo 1963 e incaricata appunto di predisporre la prevista revisione e aggiornamento del Codex stesso.
Della fase realizzativa poi di tale imponente programma riformatore, che è tuttora in atto, ebbe ripetutamente a far parola e a dare conferma Paolo VI sia nella prima lettera enciclica Ecclesiam suam del 6 agosto 1964, sia in successive allocuzioni e discorsi.
Nessuna ragionevole previsione tuttavia può essere fatta per il momento circa il tempo che occorrerà per realizzare e condurre a termine tale generale revisione legislativa, attese sia la mole ingente del lavoro, sia le difficoltà intrinseche dell'opera, sia la necessità di sottoporre man mano le proposte di revisione elaborate all'esame dell'episcopato mondiale e di procedere poi alle relative correzioni.
I lavori procedono comunque alacremente dal 1965 attraverso la costituzione di 10 gruppi di studio, poi elevati a 13, denominati Coetus, nei quali sono stati distribuiti i consultori (oltre 100) componenti la Commissione preparatoria.
Detti Coetus si occupano rispettivamente dei seguenti temi: Ordine sistematico del Codex, Legge fondamentale della Chiesa, Norme generali, Sacra gerarchia, Laici e associazioni dei fedeli, Persone fisiche e morali in genere, Matrimonio, Sacramenti, Magistero ecclesiastico, Diritto patrimoniale, Diritto processuale, Diritto penale.
Ogni gruppo di studio ha un presidente, un relatore e un numero di membri che va da 10 a 12. I consultori sono nella quasi totalità ecclesiastici o religiosi con una larga partecipazione di vescovi. Ne fanno parte inoltre anche alcuni laici nella loro qualifica di canonisti e vi sono più o meno rappresentate tutte le nazionalità.
Il lavoro dei gruppi di studio si è già svolto e continua a svolgersi con molta efficienza e nei vari quaderni di un'apposita rivista, Communicationes, pubblicata per l'occasione a cura della stessa Commissione pontificia, si ricava che molti temi di estremo rilievo sono stati ormai oggetto di formali progetti di revisione e innovazione nei loro rispettivi canoni.
Il lavoro compiuto viene poi via via sottoposto all'approvazione della Pontificia commissione per la revisione del codice di diritto canonico, istituita da Giovanni XXIII il 28 marzo 1963, e successivamente alla consultazione dell'intero episcopato. A quanto inoltre è stato assicurato, il progetto dovrebbe poi essere discusso in seno alle Chiese locali da sacerdoti e laici riuniti intorno al rispettivo vescovo, in modo che la nuova legislazione canonica risulti costituire (com'è stato detto) "l'espressione delle esigenze reali della comunità cristiana intera".