COERCIZIONE (coercitio)
È, nei rapporti con gl'individui, l'esplicazione massima della potestà discrezionale di comando spettante al magistrato romano. Vi rientrano l'arresto (in vincula ducere), la fustigazione (verberatio), l'ammenda (multae dictio), il pignoramento (pignoris capio), e perfino il diritto di uccidere. Presupposti per l'applicazione di sanzioni siffatte possono essere tutti i fatti dannosi alla disciplina della città, dalla mera disobbedienza agli ordini del magistrato fino ai misfatti che mettono in pericolo l'esistenza stessa della città come il tradimento.
In origine la discrezionalità della coercizione non ha limiti giuridici: onde l'indifferenziazione fra delitto e disobbedienza, fra pena e punizione disciplinare. Ma già in epoca antichissima le più gravi sanzioni non furono applicate a carico di cittadini e in tempo di pace senza un pubblico dibattimento che ponesse il giudizio sotto il controllo della pubblica opinione; e forse fino ab antiquo si usò pure trarre i rei davanti all'assemblea popolare, per modo che la pronuncia della sanzione fosse seguita dall'acclamazione della cittadinanza. Le leggi sulla provocauo ad populum (in particolare la lex Valeria del 300 a. C.) fecero dipendere dall'approvazione comiziale l'applicazione delle condanne capitali, con che differenziarono il processo penale (iudicatio) dall'esercizio del potere disciplinare (coercitio); e dai Gracchi in poi le leggi sulle quaestiones publicae crearono per singoli reati, anche non capitali, procedure inderogabili: la coercizione magistratuale si ridusse così all'applicazione di minori sanzioni per fatti non contemplati dalle leggi criminali.
Queste limitazioni riguardano i soli atti illeciti commessi da cittadini, e repressi nell'esercizio dell'imperium domi: a carico di stranieri, come pure nell'esercizio dell'imperium militiae, la coercizione conserva l'estensione originaria. Spetta pertanto al generale, o alle persone cui egli l'abbia delegata, la più illimitata animadversio contro i trasfughi, i disertori, i militi che alienino le armi o tentino il suicidio; e ai provinciali i governatori possono applicare anche la pena di morte con quelle sole garanzie di pubblicità e di proporzione che ritengano confacenti al prestigio del governo. Tuttavia fra l'imperium domi e l'imperium militiae si operavano commistioni molteplici: mentre da un canto i più gravi reati contro lo stato, come la perduellio e come la violazione delle leges sacratae che salvaguardavano i magistrati plebei, non ammettevano provocatio, d'altro canto nelle province pacificate i processi a carico dei sudditi si organizzavano, a somiglianza dei processi cittadini, con vere e proprie quaestiones presiedute dal governatore: di quest'ultima significativa espressione dell'aequitas romana è documento insigne l'editto di Augusto recentemente restituito dagli scavi di Cirene.
Nell'avanzarsi dell'età imperiale la tendenza a rendere il principe arbitro dei delitti e delle pene trova frequente espressione nell'interpretazione restrittiva delle leggi criminali e nella conseguente definizione di molteplici crimina extraordinaria a pena variabile: ma la dottrina giuridica costruisce la relativa persecuzione come processo penale vero e proprio anziché come semplice coercizione.
Bibl.: Th. Mommsen, Römisches Strafrecht, Lipsia 1901, p. 35 segg.; P. Bonfante, Storia del diritto romano, 3ª ed., Torino 1923, I, p. 197 segg.; E. Costa, Crimini e pene da Romolo a Giustiniano, Bologna 1921, p. 34 segg.; P. De Francisci, Storia del dir. rom., I, Roma 1926, p. 293 segg.; V. Arangio-Ruiz, L'Editto di Augusto ai Cirenei, in Riv. di filol. class., LVI (1928), p. 321 segg.; J. Stroux e L. Wenger, Die Augustus-Inschrit auf dem Markplatz von Cyrene, in Abhandl. d. bayr. Akad., XXXIV (1928), p. 86 segg.