COERENZA
. Ogni campo ottico che esiste in natura ha certe fluttuazioni associate con esso che possono essere viste come fluttuazioni istantanee dell'intensità, della fase, dallo stato di polarizzazione. La "teoria della c.", nel senso più vasto dell'espressione, tratta della descrizione statistica di queste fluttuazioni; i "fenomeni ottici di c." sono una manifestazione delle correlazioni fra queste fluttuazioni.
Fra i fenomeni che rivelano le correlazioni fra fasci di luce, i primi a essere studiati e i più noti sono quelli d'interferenza. Il concetto più familiare di c. ottica è quindi associato con la possibilità di produrre frange d'interferenza osservabili quando due campi elettromagnetici siano sovrapposti. Questo concetto viene indicato come "c. al prim'ordine", tenendo presente che esistono tipi di c. di ordine superiore al primo, che saranno esaminati più avanti.
I fenomeni d'interferenza e di polarizzazione permettono di misurare la correlazione fra le variabili del campo in due punti spaziotemporali. La regione dello spazio ove la correlazione è diversa da zero prende il nome di "area di c.", e "tempo di c." è l'intervallo temporale entro cui tale funzione di correlazione è non nulla.
È possibile misurare correlazioni fra quantità che dipendono da potenze superiori del campo, per es. dal quadrato delle variabili del campo (esperienza di R. Hanbury Brown e R. Q. Twiss). In tal modo si misura una funzione di correlazione a quattro o più variabili. Un modo, più generale, per studiare la statistica delle fluttuazioni è quello di studiare la statistica dei fotoni. Tale metodo è proprio della cosiddetta "ottica quantistica" (v. in questa App.) e viene indicato con la locuzione "statistica della radiazione".
La c. può essere discussa in termini di concetti del campo di radiazione classico, nel qual caso essa è strettamente legata alle fluttuazioni nei valori dell'ampiezza del campo elettromagnetico, nascenti dalla sovrapposizione di molte componenti di Fourier del campo. Alternativamente, la discussione può essere svolta quantisticamente, in termini della rappresentazione per fotoni del campo, nel qual caso una variabile conveniente è il numero di fotoni in un dato stato quantico. Queste due descrizioni, anche se assai diverse fra loro, dànno luogo a criteri simili per la coerenza.
Ricordiamo che le prime investigazioni sulla c. furono quelle di E. Verdet (1865, 1869), che studiò le dimensioni della regione di c. della luce emessa da una sorgente primaria estesa. A. A. Michelson stabilì (1890-92) la connessione fra la visibilità delle frange d'interferenza e la distribuzione d'intensità alla superficie di una sorgente primaria estesa, e fra la visibilità e la distribuzione di energia in una linea spettrale. I risultati di Michelson furono in realtà interpretati in termini di correlazioni solo molto più tardi, ma le sue investigazioni hanno contribuito alla formulazione delle teorie moderne della c. parziale. La prima misura quantitativa della correlazione delle vibrazioni luminose fu introdotta da M. von Laue (1907). Ulteriori contributi furono dati da M. Berek (1926), che usò il concetto di correlazione in investigazioni connesse con la formazione delle immagini nel microscopio.
In seguito P. H. van Cittert (1934) determinò la distribuzione di probabilità congiunta per le disturbanze luminose in ogni coppia di punti su uno schermo illuminato da una sorgente primaria estesa; più tardi (1939) egli determinò la distribuzione di probabilità per le disturbanze luminose in un punto ma a istanti di tempo diversi, trovando che tale distribuzione è gaussiana.
F. Zernike (1938) definì il grado di c. delle vibrazioni luminose in modo sperimentale diretto. Altri risultati furono ottenuti da N. Wiener (1928-30) H. H. Hopkins (1951,1957), E. Wolf (1954-59), A. Blanc-Lapierre, P. Dumontet (1955-56), S. Pancharatnam (1956-63).
Il risultato principale di questi studi fu l'introduzione di una misura precisa della correlazione fra le variabili del campo a due punti spaziotemporali e la formulazione delle leggi dinamiche cui obbediscono le correlazioni.
Questa teoria, oggi chiamata "teoria della c. al prim'ordine", fornisce anche un trattamento unificato dei fenomeni di c. e di polarizzazione. In essa vengono definite funzioni di correlazioni del second'ordine, adeguate per l'analisi degli usuali esperimenti di ottica che involgono interferenza e diffrazione di luce da sorgenti stazionarie.
Poco dopo che tale teoria era stata stabilita alcuni importanti esperimenti fatti da A. T. Forrester, R. A. Gudmundsen e P. O. Johnson (1955) nel dominio temporale e da R. Hanbury Brown e R. Q. Twiss (1956-57) nel dominio spaziale dimostrarono che le correlazioni possono essere anche misurate fra quantità che dipendono quadraticamente dalle variabili del campo.
Questa osservazione portò allo studio degli effetti di correlazione di ordine più alto. Fintanto che i campi considerati erano quelli prodotti da sorgenti ordinarie (cosiddette "termiche" o "caotiche": cioè lampade a incandescenza o a scarica in gas), le funzioni di correlazione del second'ordine erano sufficienti per la descrizione anche degli effetti di ordine più alto. Questo perché un'onda luminosa emessa da una sorgente termica, avendo il carattere statistico di un processo casuale gaussiano, è completamente caratterizzata dalle correlazioni al second'ordine. Tuttavia con lo sviluppo di nuove sorgenti di luce (i laser) fu necessaria una trattazione più generale, in grado di dare una descrizione statistica completa di ogni campo ottico. Tale trattazione fu data basandosi sui concetti della teoria dei processi stocastici da E. Wolf (1963), e su una descrizione quanto-meccanica da R. J. Glauber (1963); quest'ultimo introdusse l'analogo quantistico delle funzioni di correlazione nella teoria classica. Queste funzioni di correlazione quantistica sono i valori di aspettazione di prodotti ordinati normalmente degli operatori di annichilazione e di creazione e sono strettamente connesse alle quantità misurate per mezzo di rivelatori fotoelettrici.
In tutti i casi d'interesse pratico considerati finora, si è trovato che le correlazioni fra i numeri di fotoni del campo quantizzato possono essere determinate dalle correlazioni fra i fotoelettroni in un opportuno esperimento di fotorivelazione. Tali correlazioni possono essere calcolate da una teoria semiclassica in cui il campo elettromagnetico è descritto classicamente e l'interazione è trattata quantisticamente (L. Mandel, E. C. G. Sudarshan e E. Wolf, 1964).
Lo studio delle fluttuazioni di fasci di luce, già iniziato con i lavori classici di A. Einstein (1909), A. Smekal (1926), W. Bothe (1927), R. Fürth (1928) e altri, fu ripreso in questa nuova luce e portò alle prime esperienze di fotoconteggi nel 1965 (F. A. Johnson, T. P. McLean, E. R. Pike) poi estese ai vari casi negli anni seguenti da vari autori (J. A. Armstrong e A. W. Smith, 1965-66; C. Freed e H. A. Haus, 1965-66; F. T. Arecchi, 1965; F. T. Arecchi, A. Berne, P. Burlamacchi, 1966; ecc.).
Applicazioni pratiche della teoria della c. furono date, oltre che nel noto interferometro stellare di Michelson, nella teoria degli strumenti ottici e nell'interferometria d'intensità, nell'olografia (v. in questa App.), nelle tecniche spettroscopiche dei battimenti. L'unica applicazione della completa c. dei laser a una misura fisica è a tutt'oggi quella dello scattering della luce in certi casi (Y. R. Shen 1967; M. Bertolotti, B. Crosignani, P. Di Porto, 1967, 1969) per misurare le proprietà statistiche del mezzo diffondente, la lunghezza di correlazione delle fluttuazioni nella turbolenza, ecc.
Coerenza al prim'ordine. - In termini classici un campo totalmente coerente possiede un fronte d'onda che ha in tutti i punti un'ampiezza definita e una ben precisa variazione temporale (fig. 1a). Un campo totalmente incoerente può considerarsi come la sovrapposizione di molti campi di frequenza e fase diversa; in ogni punto la sua ampiezza e la fase variano a caso in modo non prevedibile. In molti casi l'intervallo spettrale della radiazione è solo una piccola frazione della frequenza centrale; si dice in questi casi che la radiazione è quasi-monocromatica. Le variazioni di ampiezza e fase casuali possono allora essere rappresentate come nella fig. 1b. In realtà i campi puramente coerenti e incoerenti sono un'idealizzazione e in pratica si ha a che fare con sorgenti che mostrano in maggior o minor estensione una certa c. (sorgenti parzialmente coerenti).
La ragione della non totale c. di un campo ottico risiede nel processo stesso di emissione da parte di una sorgente luminosa ordinaria (che nel seguito chiameremo sorgente termica o caotica). Gli atomi di tale sorgente emettono infatti in modo indipendente uno dall'altro a istanti differenti e non prevedibili, e la sovrapposizione di tutti i treni d'onda così emessi dà proprio origine alle fluttuazioni anzidette. È tuttavia chiaro che se si considera la radiazione in un intervallo di tempo molto più breve della durata temporale di ogni singolo treno d'onda emesso, durante quell'intervallo di tempo l'ampiezza in un dato punto varia in modo prevedibile e di converso esiste una situazione analoga per la radiazione contenuta in un angolo solido molto piccolo. Si può parlare in tali casi di una c. temporale e di una c. spaziale.
Coerenza temporale e tempo di coerenza.- Supponiamo che un fascio di luce proveniente da una sorgente termica puntiforme sia diviso in due in un interferometro di Michelson (fig. 2) e che i due fasci siano sovrapposti dopo che una differenza di percorso Δs = cΔt (c, velocità della luce) è stata introdotta fra di loro. Se Δs è sufficientemente piccolo, su uno schermo situato in maniera opportuna si osservano delle frange. La loro apparizione è una manifestazione della c. temporale fra i due fasci e si trova che il contrasto fra le frange dipende dal ritardo introdotto fra essi. In genere le frange potranno essere osservate solo se Δt Δv ≤ 1 (Δv, larghezza di riga della luce).
Il ritardo τc ≈ 1/Δν è detto tempo di c. e lc = cτc è chiamata lunghezza di coerenza. Il tempo di c. può quindi essere considerato come il massimo ritardo che si può introdurre fra i due fasci, senza che spariscano gli effetti d'interferenza (cioè le frange luminose).
La diminuzione di visibilità è legata alla lunghezza finita dei treni d'onda emessi dagli atomi della sorgente. Se gli specchi M1 e M2 sono regolati in modo che la differenza fra i due cammini 1 e 2 sia maggiore della lunghezza del treno d'onda (per es. allontanando lo specchio M2) nel momento in cui la porzione A1′... di questo, che ha seguito il cammino 1, arriva in P, l'altra porzione si trova in A2′ e i due treni d'onda non daranno interferenza, non arrivando a sovrapporsi in P. I treni d'onda che si sovrappongono in P corrispondono invece a due treni d'onda incidenti differenti, emessi a istanti di tempo differenti (per es. t e t + ϑ). Durante il tempo necessario a fare un'osservazione, passa un gran numero di treni d'onda i cui istanti di passaggio sono distribuiti a caso. La differenza di fase fra due treni d'onda assume tutti i valori possibili e il risultato dell'osservazione è che non v'è fenomeno d'interferenza osservabile.
Se invece la differenza di cammino viene ridotta, quando ϑ è dell'ordine della durata τ di un treno d'onda, i due treni d'onda che provengono dallo stesso treno iniziale si ricoprono in parte. Esiste ora una correlazione fra questi due treni e questa correlazione sussiste per tutti i treni d'onda che arrivano in P. Si hanno così frange d'interferenza con un contrasto tanto maggiore quanto maggiore è la sovrapposizione di una parte del treno d'onda con l'altra.
Coerenza spaziale e area di coerenza. - Si consideri un'esperienza d'interferenza del tipo di quella di Young, con luce quasi monocromatica uscente da una sorgente termica estesa, che per semplicità supporremo un quadrato di lato Δl (fig. 3).
Se i due fori P1 e P2 sono sufficientemente piccoli e vicini, sul piano d'osservazione si formano delle frange che sono una manifestazione della c. spaziale esistente tra i fasci che passano attraverso i due fori, il contrasto tra le frange dipende dalla distanza tra questi ultimi. In generale, si osservano frange solo se Δϑ • Δl ≤ λ0, dove Δϑ è l'angolo che il segmento P1 P2 sottende alla sorgente e λ0 è la lunghezza d'onda della luce. Per potere osservare le frange sullo schermo i fori devono quindi essere situati in un'area A ≈ (R • Δϑmax)2 ≈ R2 λ02/S, dove S = (Δl)2 è l'area della sorgente e R la sua distanza dal piano contenente i fori; A è detta area di coerenza.
Anche qui si può dare un'interpretazione qualitativa del fenomeno, pensando di sviluppare in onde piane il campo nella cavità (di lato Δl) che costituisce la lampada. Ciascuna onda contribuirà a illuminare i fori con un lobo di radiazione aperto per diffrazione di un angolo ϑ ≈ l/Δl. Fintanto che i due punti P1 e P2 si trovano entro lo stesso lobo di radiazione, essi sono investiti dalla stessa onda piana, le cui porzioni uscenti da P1 e P2 sono in fase fra loro e possono interferire dando frange. Se P1 e P2 sono invece così distanziati da trovarsi illuminati da lobi diversi, poiché non v'è relazione di fase costante fra onde piane diverse, mediando sul tempo d'osservazione, non si avranno frange.
Volume di coerenza e parametro di degenerazione. - Si supponga che il campo sia quello di un'onda quasi-piana, quasi-monocromatica. Il cilindro retto che ha per base l'area di c. in un piano normale alla direzione di propagazione e la cui altezza è la lunghezza di c. prende il nome di volume di coerenza. Esso corrisponde anche a una cella dello spazio delle fasi e vale ΔV ≈ cλ02 R2/[Δν (Δl)2]. Il numero medio di fotoni nello stesso stato di polarizzazione che si può trovare in un volume di c. è noto come "parametro di degenerazione δ della luce". La larghezza di banda Δν della miglior sorgente di luce termica monocromatica che si può ottenere in laboratorio è dell'ordine di 108 Hz, mentre per un laser larghezze dell'ordine di 102 Hz sono ottenute facilmente (in certi laser stabilizzati si può avere Δν ≈ 1 Hz). I corrispondenti tempi di c. sono quindi rispettivamente dell'ordine di 10-8 e 1 sec, le lunghezze di c. sono 1 e 108 m. Il valore più grande del parametro di degenerazione che si può ottenere con una sorgente termica in laboratorio è dell'ordine di 10-3, mentre con un laser si ha oltre 1014. Quindi la luce termica usuale è non degenere (δ ≪ 1), la luce di un laser è altamente degenere (δ ≫ 1).
Per una trattazione analitica dei semplici fenomeni sopra illustrati e di altri assai più complessi legati alle proprietà statistiche delle fluttuazioni dei campi ottici è necessario introdurre il concetto di "segnale analitico".
Sia V(r) (r, t) una funzione d'onda classica reale, che caratterizza il campo nel punto r al tempo t. Questa funzione, che chiameremo "disturbanza", può rappresentare, per es., il campo elettrico o il potenziale vettore. Per ogni fascio di luce, V(r) è una funzione fluttuante del tempo. È conveniente introdurre una rappresentazione complessa del campo. Supponiamo che V(r) possa essere rappresentato come un'integrale di Fourier
Poiché V(r) è reale, dev'essere v (r, ν) = − v* (r, −ν). Quindi le componenti a frequenza negativa (ν 〈 0) non forniscono alcuna informazione che non sia già contenuta in quelle a frequenza positiva (ν > 0). Al posto di V(r) si può così impiegare la funzione
che prende il nome di "segnale analitico complesso" (D. Gabor, 1946).
Grado di coerenza. - Consideriamo ora un fascio di luce quasi-monocromatica. Supponiamo inizialmente che esso sia polarizzato linearmente, cosicché possa essere rappresentato da una funzione scalare (complessa) V (r, t). A causa delle sue rapide fluttuazioni, V non può essere misurato come funzione del tempo; tuttavia, è possibile studiarne le correlazioni a due o più punti spazio-temporali.
Riprendiamo ora in esame l'esperienza di Young della fig. 3. In prima approssimazione, il campo istantaneo nel punto P dello schermo S è dato da
dove t1 = r1/c e t2 = r2/c sono i tempi impiegati dalla luce per andare da P1 a P e da P2 a P rispettivamente, c è la velocità della luce, k1 e k2 sono numeri immaginari puri che dipendono dalla dimensione dei fori e dalla loro forma. L'intensità istantanea I (r, t) in P (r) al tempo t può essere definita come I (r, t) =V* (r, t) V (r, t). Se il campo è stazionario ed ergotico, l'intensità media risulta:
dove R denota la parte reale, Γ (r1, r2, t1, t2) = 〈V* (r1, t1) V (r2, t2)> e 〈I (rj, tj)> = 〈V* (rj, tj)> = Γ (rj, rj, tj, tj).
Γ (r1, r2, t1, t2) ovviamente rappresenta la correlazione fra il campo a r2 e il campo complesso coniugato a r1, ai tempi t2 e t1 rispettivamente. La condizione di stazionarietà fa sì che Γ (r1, r2, t1, t2) (dipenda non dal tempo ma dalla differenza t1 − t2, e quindi si può scrivere:
Dalla [1] si vede che la presenza del fenomeno d'interferenza rappresentato dal terzo termine nel membro di destra è legata alla funzione di correlazione Γ (r1, r2, τ) che prende il nome di funzione di c. mutua. Di solito si usa la quantità normalizzata
che prende il nome di grado complesso di c., e che soddisfa la condizione 0 ≤ ∣γ∣ ≤ 1.
La [1] può anche essere scritta:
dove δ = 2π ν0 (s1 − s2)/c = k0 (s1 − s2), k0 = 2π ν0/c = 2π/λ0, α(r1, r2, λ) = arg γ (r1, r2, τ) + 2π ν0 τ; I(1) e I(2) sono le intensità della luce che raggiunge il punto P dal foro P1 e P2 rispettivamente. Poiché in generale 〈I(1)> e 〈I(2)> cambieranno lentamente con la posizione di P sullo schermo S e anche ∣ γ ∣ e α cambieranno lentamente, mentre si vede che il termine nel coseno della [2] cambia rapidamente a causa del termine δ, l'intensità media 〈I (r, t)> varia circa sinusoidalmente e periodicamente con la posizione.
La "visibilità" delle frange introdotta da Michelson e definita come
ϑ (r) = (〈I>max − 〈I>min)/(〈I>max + 〈I>min), dove 〈I>max e 〈I>min rappresentano i massimi e i minimi d'intensità nelle immediate vicinanze del punto P (r), risulta una misura del modulo del grado complesso di coerenza. In particolare, se le intensità medie dei due fasci sono uguali si ha semplicemente ϑ (r) = ∣ γ (r1, r2, τ) ∣. Si vede così dalla [2] che quando γ = 0 non si hanno frange d'interferenza (ϑ = 0) e questa è la situazione che tradizionalmente viene descritta dicendo che i due fasci di luce che si sovrappongono in P sono mutuamente incoerenti. Se invece ∣γ∣ = 1, si hanno frange con visibilità massima (se 〈I(1)> = 〈I(2)>, ϑ = 1) e si dice che i due fasci sono mutuamente completamente coerenti. I casi 0 〈 ∣γ∣ 〈 1, caratterizzano la c. parziale.
Gli effetti di c. ora discussi sono indicati come effetti di c. del prim'ordine poiché sono caratterizzati dalla prima funzione di correlazione (che è quella che dipende da due punti spazio-temporali e che per questa ragione con un bisticcio di parole è stata chiamata funzione di correlazione del second'ordine).
La funzione di c. mutua permette di definire molto semplicemente i due concetti di c. spaziale e c. temporale, già esposti. Essi sono caratterizzati da Γ (r1, r2, 0) e Γ (r1, r1, τ) rispettivamente. È comunque chiaro che solo nei casi più semplici si può separare la c. spaziale da quella temporale; questi due tipi di c. non sono infatti indipendenti, come si vede dal fatto che la funzione Γ deve obbedire nel vuoto all'equazione d'onda
dove Vj(2) è l'operatore laplaciano rispetto alle coordinate del punto Pj(rj).
La propagazione della c. mutua Γ da due punti S1 e S2 su una regione piana finita σ nel vuoto (fig. 4) può ricavarsi come soluzione delle due equazioni [3].
Nel caso particolare che σ sia una sorgente termica estesa, quasi-monocromatica, di frequenza media ν0 e R1, R2 ≪ λ0 si ha
che è la formulazione matematica del cosiddetto teorema di van CittertZerniche: il grado complesso di c., che descrive la correlazione delle vibrazioni in un punto fisso P2 e in uno variabile P1 in un piano illuminato da una sorgente primaria estesa quasi-monocromatica, è uguale all'ampiezza complessa nel corrispondente punto P1 in una figura di diffrazione centrata in P2. Questa figura si otterrebbe rimpiazzando la sorgente con un'apertura diffrangente della stessa forma e dimensione della sorgente, investita da un'onda sferica convergente in P2, essendo la distribuzione d'ampiezza sul fronte d'onda nell'apertura proporzionale alla distribuzione d'intensità sulla sorgente. La [4], specializzata al caso che i punti P1 e P2 siano situati su un piano parallelo a quello della sorgente e siano separati da una distanza piccola in confronto alla distanza R fra il piano contenente P1 P2 e σ, mostra che, a parte un fattore di semplice proporzionalità, la funzione di c. mutua è la trasformata di Fourier della distribuzione d'intensità (media) sulla sorgente. In particolare, per una sorgente uniforme circolare di raggio ρ si ha:
essendo J1 la funzione di Bessel di prima specie del prim'ordine. Il comportamento di γ è mostrato nella fig. 5.
Le frange ottenute da una sorgente circolare in una esperienza di Young al variare della distanza fra i fori, sono mostrate nella fig. 6, insieme con la distribuzione d'intensità calcolata tramite la [5].
La funzione di correlazione Γ testé introdotta ha anche un altro importante significato. Un teorema fondamentale della teoria stocastica (teorema di Wiener-Khintchine) stabilisce infatti che lo spettro di potenza (densità spettrale) W(r, ν) e la funzione di autocorrelazione Γ(r, r, τ) costituiscono una coppia di trasformate di Fourier. W(r, r, ν) rappresenta lo spettro della luce nel punto P (r): precisamente, lo spettro d'energia elettrica della luce.
Correlazioni di ordine superiore al primo. - Consideriamo un campo ottico rappresentato dall'ampiezza d'onda analitica complessa V(ri, t) in un punto spazio-temporale (ri, t). Poiché V è una variabile casuale, il campo sarà conosciuto una volta che si conoscono tutte le distribuzioni di probabilità del tipo PN (V1, V2, ... VN) d2 V1 d2 V2 ... d2 VN, dove d2 Vk = dVk(r) dVk(i), essendo Vk = Vk(r) + Vk(i) (k = 1, 2, ... N). In linea di principio, una volta note le PN, è possibile calcolare la media d'insieme di ogni funzione F (V1, V2, ... VN) del campo in N punti spazio-temporali, attraverso la relazione
Si è già incontrato il momento del second'ordine di V nella discussione di un'esperienza semplice d'interferenza. Misure più complicate involgono in generale momenti di ordine più alto, del tipo
essendo xi ⊄ (ri, t). La relazione di completa c. al prim'ordine γ (r1, r2, τ) = 1 è stata generalizzata (R. J. Glauber, 1963) per definire la c. di ordine N come:
Queste condizioni di c. possono anche essere espresse richiedendo che la Γ fattorizzi nel prodotto di 2N funzioni della stessa forma, ognuna dipendente da una singola variabile spazio temporale x:
Se ora esiste una funzione F (x) indipendente da N tale che le funzioni di correlazione per tutti gli N possano essere espresse come i prodotti
si vede immediatamente che esse soddisfano le [6], [7]. Quindi la [8] esprime una condizione necessaria e sufficiente perché un campo sia totalmente coerente nel senso generalizzato. Come esempio particolare si può rapidamente mostrare che un'onda piana monocromatica del tipo E (z, t) = E exp (iωt − γz) soddisfa questa condizione per tutti i punti dello spazio e del tempo.
Nel caso di una sorgente termica, le onde di luce da essa emesse hanno il carattere statistico di un processo casuale gaussiano. Tale processo è completamente caratterizzato dalle correlazioni del second'ordine. Con questa dizione s'intende che la legge di distribuzione della parte reale della disturbanza (cioè, per es., del campo elettrico) è gaussiana:
La disturbanza complessa V obbedisce anch'essa a una distribuzione gaussiana con media zero e varianza 〈V* V> = 〈I>. Così, si ha:
dove si è sfruttato il fatto che 〈V(r) V(i)> = 0 e 〈V(r)2> = 〈V(i)2> = 〈I>.
Sebbene questo si applichi strettamente solo alla radiazione di corpo nero, si può subito mostrare che le conclusioni restano valide se lo spettro è modificato in modo arbitrario con l'introduzione di un filtro lineare qualsiasi.
Infatti, un processo gaussiano rimane tale sotto trasformazioni lineari. Ora, è una proprietà importante dei processi gaussiani che essi sono completamente determinati dai loro primi e secondi momenti. Quindi per i campi termici, le correlazioni di ordine più alto si riducono tutte ai prodotti delle correlazioni del second'ordine:
dove,
stà per la somma su tutte le N! possibili permutazioni degl'indici da 1 a N.
Se tutte le coordinate coincidono,
Si può inoltre mostrare in particolare che γ (r, r, τ) = 1 + ∣ γ (r, τ) ∣2.
Applicazioni della teoria della coerenza. - Esempi istruttivi di alcuni dei concetti e dei risultati della teoria della c. del prim'ordine sono la determinazione interferometrica del diametro angolare delle stelle (Michelson, 1890, 1920) e la determinazione della distribuzione d'energia nelle linee spettrali con la spettroscopia d'interferenza (Michelson, 1920).
a) Interferometria stellare. - Com'è ben noto, i diametri angolari sotto cui le stelle sono viste dalla Terra sono estremamente piccoli cosicché nessun telescopio può risolvere una stella. Nel piano focale di un telescopio la luce della stella dà luogo alla figura di diffrazione tipica di una sorgente puntiforme diffratta dall'apertura del telescopio.
Michelson mostrò che informazioni sul diametro angolare delle stelle possono essere ottenute con l'aiuto dell'interferometro schematizzato nella fig. 7. La luce della stella incide sui due specchi M1, M2, è riflessa dagli specchi M3, M4 e mandata sul piano focale F del telescopio, dopo essere passata attraverso i due fori S1 e S2. I due specchi interni M3, M4 sono fissi, mentre dei due specchi esterni M1, M2 si può variare la mutua distanza d. Nel piano focale del telescopio si osserva la figura di diffrazione della stella, attraversata dalle frange d'interferenza formate dai due fasci che passano attraverso i diaframmi. La visibilità di tali frange dipende dalla separazione degli specchi M1, M2. Se si suppone che la stella sia un disco circolare d'intensità uniforme, le considerazioni prima fatte mostrano che le frange scompaiono per certi valori di d, e il primo zero nella visibilità si ha per d0 = 0,61 λ0/α, dove α è il raggio angolare della stella. Quindi misurando d0 si può ottenere il raggio angolare della stella. In tal modo sono stati misurati i diametri angolari di diverse stelle, fino a circa 0,02″.
b) Il metodo della spettroscopia d'interferenza. - Questo metodo permette di determinare lo spettro. Un fascio di luce quasi monocromatico è diviso in due fasci in un interferometro di Michelson e i due fasci sono sovrapposti dopo aver introdotto fra essi una differenza di cammino cτ. Nella regione di sovrapposizione si ottengono delle frange d'interferenza la cui visibilità dipende da cτ. Michelson mostrò che misurando la visibilità in funzione di τ si può calcolare lo spettro della luce. Si trova infatti che, se lo spettro W (ν) è simmetrico intorno alla frequenza centrale ν0, si ha:
Nel caso che lo spettro non sia simmetrico è ancora possibile ricavare l'informazione richiesta con procedimenti più complessi.
Luce polarizzata. - Se la luce è in un qualunque stato di polarizzazione, al posto della variabile scalare complessa V (r, t) si devono impiegare le variabili del campo vettoriale complesso, per es. E (r, t) e H (r, t), che sono i segnali analitici associati con i vettori reali campo elettrico E(r) (r, t) e campo magnetico H(r) (r, t). Al posto della funzione di coerenza mutua Γ si considerano ora i tensori di coerenza del prim'ordine
dove i suffissi j e k si riferiscono alle componenti cartesiane e le medie devono essere intese come medie d'insieme. Se il campo è stazionario ed ergotico, tali tensori dipendono da t1 e t2 solo tramite la differenza τ = t1 − t2.
I tensori di c. forniscono lo schema matematico per la descrizione di tutti i fenomeni di c. del prim'ordine e portano a un trattamento unificato degli effetti di c. e di polarizzazione.
Per es., il grado di polarizzazione P può essere espresso come
dove ∣ J11 (0) ∣ è il determinante della matrice
Per luce naturale o non polarizzata gli elementi non diagonali di J11 (τ) sono nulli per tutte le direzioni degli assi, mentre gli elementi diagonali sono sempre uguali. Così, Tr2 ∣ J11 (0) ∣ = 4/∣ J11 (0) ∣ e P = 0.
Effetti di coerenza di ordine superiore al primo. - Mentre la correlazione del second'ordine dell'ampiezza di campo complesso ha le dimensioni di un'intensità luminosa, i momenti di ordine più elevato sono necessari per descrivere le correlazioni delle fluttuazioni dell'intensità luminosa in due o più punti spazio-temporali.
La necessità di considerare medie d'insieme del quart'ordine, del tipo 〈∣ E (r, t) ∣2 ∣ E (r, t + τ) ∣2>, fu trovata per la prima volta nell'esperimento classico delle correlazioni d'intensità eseguito da R. Hanbury Brown e R. Q. Twiss (1956), con un tipo d'interferometro che permette di eliminare le principali difficoltà associate con l'uso dell'interferometro stellare di Michelson. Infatti, per mezzo di quest'ultimo si esegue un esperimento d'interferometria convenzionale ricavando la misura della media del second'ordine 〈E* (r1, t) E (r2, t + τ)>, che è una quantità dipendente dalle fasi relative dei due segnali combinati prima delle rivelazione. Queste fasi sono sensibili a fluttuazioni casuali specie associate con la struttura dell'interferometro e con le variazioni dell'indice di rifrazione lungo il cammino ottico, un fatto che può limitare l'applicabilità del metodo. Nell'esperimento di Hanbury Brown e Twiss (fig. 8) questa difficoltà è eliminata rivelando le intensità dei due segnali che incidono sui due fotomoltiplicatori M1, M2, cosicché tutte le fluttuazioni di fase sono eliminate, e trasmettendo i due segnali a bassa frequenza a un dispositivo moltiplicatore per mezzo di un'opportuna linea di ritardo. La misura rivela l'esistenza di una correlazione d'intensità il cui comportamento in funzione della distanza fra i due specchi fornisce informazioni sul diametro angolare della sorgente stellare.
La prima prova sperimentale dell'esistenza di queste fluttuazioni fu ottenuta con l'apparato mostrato nella fig. 9. Come sorgente era usata una lampada a mercurio, la cui luce era filtrata per avere una luce monocromatica (λ = 4358 Å); tale luce era separata in due fasci da uno specchio semitrasparente e mandata su due fototubi, uno dei quali poteva essere mosso lungo il fascio; i segnali elettrici dei fotomoltiplicatori erano amplificati, opportunamente trattati e infine moltiplicati fra loro nel correlatore. Il valore integrato di questo prodotto su un lungo periodo di osservazione, fornisce una misura della grandezza delle fluttuazioni d'intensità. Trascurando le complicazioni introdotte dal tempo di risposta finito dei rivelatori e supponendo che l'esperimento sia capace di correlare le fluttuazioni d'intensità ai due rivelatori misurate istantaneamente a tempi diversi t1 e t2, si ha:
poiché 〈I (z, t1)> = 〈I (z, t2)> = 〈I>, in cui compare la funzione di correlazione del quart'ordine del campo.
Per luce da una sorgente termica ordinaria si è già visto la relazione esistente fra i momenti del quarto e second'ordine, per cui la [8] riduce a 〈ΔI (τ) ΔI (0)> = I2 ∣ γ11(τ) ∣2. Per una linea con profilo lorentziano (come nel caso della lampada a mercurio), dal teorema di Wiener-Kinchine si ha
I dati sperimentali e la curva teorica sono mostrati a confronto nella fig. 10 per l'esperimento descritto al variare della distanza fra i due fototubi.
Bibl.: M. Born, E. Wolf, Principles of optics, Londra 1965; L. Mandel, E, Wolf, in Revue of modern physics, vol. 37 (1965), p.231.