COFONE
Medico della scuola salernitana tanto famoso quanto poco ricostruibile biograficamente. Citato nel De mulierumpassionibus di Trotula, nella Practicabrevis di G. Plateario (II), e nell'Antidotarium di Niccolò Salernitano, il suo nome non compare né nelle liste delle confratemite salernitane (cfr. Necrologio del "Liber confratrum" di S. Matteo di Salerno, a cura di G. A. Garufi, Roma 1922, in Fonti per la storia d'Italia..., LVI) né nell'obituario della cattedrale (cfr. F. Capparoni, Magistri Salernitani nondum cogniti, Terni 1924, pp. 18-31). L'età in cui visse, a cavallo tra il sec. XI ed il sec. XII, è ricostruibile solo per deduzione, sulla base di elementi forniti dalla critica testuale.
Poiché in tutte le opere a lui attribuite, tranne che nel De modis medendi, C. viene citato in terza persona alla stregua di altri autori classici della medicina, il De Renzi avanzò l'ipotesi che siano esistiti due medici di nome Cofone: il primo, fiorito intorno alla metà del sec. XI, sarebbe stato allievo di Garioponto e contemporaneo di Trotula, di Giovanni Plateario, di Alfano, e di lui non ci sarebbe pervenuta alcuna opera; il secondo sarebbe vissuto qualche decennio più tardi, tra il 1085 e il 1120, e sarebbe l'autore di tutte le opere comunemente attribuite a Cofone. L'accurata analisi critica compiuta dal Creutz, dal Corner e dal Pascarella, ha tuttavia potuto concludere che, mentre tutta una serie di evidenze testuali permette di asserire l'esistenza di un medico salernitano di nome Cofone a cavallo fra i secc. XI e XII, non sussiste invece alcun fondato motivo per ritenere che i medici di tale nome siano stati due, e che non è d'altra parte possibile attribuire con sicurezza a C. alcuna delle opere che vanno sotto il suo nome.
A C. sono attribuiti numerosi trattati di medicina, che godettero di una grande notorietà: l'Anatomiaporci, l'Arsmedendi, la Practicasecundum humores, il De aegritudinum curatione, il Liber de corporibus purgandis, il De modis medendi, il De urinis etearundem significationibus. Della Arsmedendi si ebbero varie edizioni a stampa nella prima metà del Cinquecento (cfr. L. Choulant, Handbuch derBücherkunde für die ältere Medizin, Leipzig 1841, p. 263); questo trattato, nella DiviMesuae vita, Lugduni 1531, fu premesso senza soluzione di continuità e senza alcun titolo, al testo poi noto come Anatomia porci, che per primo J. Dryander (Anatomia, Marpurgi 1537) attribuì allo stesso C., fondandosi - pare - solo sulla contiguità delle due opere in diverse edizioni a stampa posteriori a quella di Lione. Un testo pressoché identico, ma ampliato con due sezioni relative all'anatomia dell'utero e del cervello, fu pubblicato in quegli stessi anni sotto il titolo di Anatomia parvaGaleni, e fu considerato, a partire dal 1541, come un apocrifo galenico. Tuttavia il De Renzi, che pubblicò (II, pp. 388-399) quest'opera conformemente all'edizione datane in M. A. Severino, Zootomiademocritaea, Norimbergae 1645, perché non conosceva alcun manoscritto in cui essa fosse contenuta, la attribuì a Cofone. Nel 1853 C. Daremberg scoprì nella Biblioteca imperiale di Vienna un codice del sec. XIV, il Med. Vindobon. CXCIII, in cui era contenuta l'Arsmedendi: nel codice il trattato compare sotto il nome di Cofone. Tale indicazione non appare tuttavia indiscutibile.
Il titolo, Cophonis Ars medendi, e l'incipit, "Incipit Modus Cophonis medendi", con cui si apre l'opera nel codice viennese, sono infatti un'aggiunta di mano posteriore (cfr. Pascarella, p. 9). Quanto all'autore del trattato, egli scrive: "Ego namque secundum hoc opus de modo medendi a Cofonis ore suisque et sociorum scriptis compendiose collegi". L'attribuzione diretta e completa del testo a C. è dunque resa problematica non solo dal riferimento ai "socii", da intendere qui come allievi (Kristeller, Cencetti) e non come colleghi (Cassese), ma anche dal fatto che nel testo C. viene citato fra le autorità della scienza medica insieme a Galeno, ad Ippocrate ed a Costantino.
La discussione sulla paternità dell'opera deve essere estesa anche ai due trattati, pure attribuiti dalla tradizione a C. ed assai simili all'Arsmedendi, contenuti nel famoso codice di Breslavia scoperto dallo Henschel nel 1837: il Liber de corporibus purgandis ed il De modis medendi. Quest'ultimo ha attirato in particolare l'attenzione degli studiosi, in quanto è l'unica opera in cui C. nel corso della trattazione non è citato come un'autorità: si è voluto dunque concludere che il De modis medendi rappresenti la redazione originale stesa da C., dalla quale sarebbe derivato, come rielaborazione od ampliamento, il testo che è noto come Ars medendi, che tiene conto anche di quanto è detto nel De corporibus purgandis (Henschel, Pascarella).
L'Arsmedendi offre un quadro d'insieme dei metodi terapeutici noti a Salerno tra il sec. XI ed il sec. XII, metodi fondati sulle teorie ippocratico-galeniche con qualche debole influenza della scuola araba, che sono caratterizzati da un indirizzo eminentemente pratico. Nella prima parte dell'opera vengono esposti i vari metodi di cura: tre, secondo il De modis medendi (dissolvente, astringente, restaurante), quattro, secondo l'Ars medendi, che aggiunge ai tre indicati nel De modis medendi il digestivo. Il primo metodo è quello sul quale l'autore dell'Arsmedendi più si diffonde: consisteva nel purgare gli organismi da elementi ritenuti superflui o accumulatisi in maniera abnorme. La "materia peccans" da evacuare è sempre costituita da un umore, ed è da notare che l'esperienza induce l'autore ad aggiungere ai quattro umori fondamentali numerose sottospecie, per spiegare la molteplicità dei fenomeni patologici, non sempre riconducibili al troppo rigido schema dell'umoralismo classico. Come evacuante viene indicato, accanto alla purga, anche il vomito provocato, secondo i precetti della medicina araba, dalla somministrazione di polvere di mummia. Nella seconda parte dell'opera è illustrato il modo di confezionare i diversi medicamenti, mentre la terza parte tratta delle singole medicine in relazione alle particolari affezioni. Nel complesso, il Liber de corporibus purgandis è, salvo lievi modifiche e con l'omissione di alcuni capitoli, pressoché identico all'Arsmedendi; mentre il De modis medendi, trattando in maniera compendiosa gli stessi argomenti dell'Arsmedendi, potrebbe essere sia il progetto originario di quest'opera sia un suo estratto.
Per quanto riguarda l'Anatomia porci, la sua attribuzione a C. non è confortata da alcun documento. Tra i vari manoscritti in cui essa è contenuta, tutti scoperti nei primi del Novecento, il più antico e attendibile è il Monacensis lat. 4622 della seconda metà del sec. XII (1150-1170), reso noto dal Redeker. La redazione del trattato, quale compare in questo codice, di mano di un copista non medico, come si rileva dalla corruzione di vari termini tecnici, non fornisce alcun elemento che ne consenta l'attribuzione a C. ed è praticamente identica al testo delle edizioni a stampa note a partire dal 1531 (quello, cioè, privo delle descrizioni dell'utero e del cervello). Neppure il testo ampliato, che è dato dai manoscritti latini 7030 e 7036 della Biblioteca nazionale di Parigi e che è stato pubblicato (pp. 48 ss.) dal Corner, ci permette di gettare luce sulla questione.
Quest'opera non si può infatti attribuire con sicurezza né al periodo immediatamente precedente l'avvento di Costantino in Salerno, né al periodo costantiniano: se essa denunzia senza dubbio l'influsso dello al-Malikīdi 'Alī ibn al-'Abbás, che fu tradotto da Costantino col titolo di Pantegni, una analisi accurata del lessico può d'altro canto consentire (Corner, p. 28) di considerarla sia un'opera precostantiniana rielaborata nel periodo successivo, sia un'opera posteostantiniana ma dovuta ad autore che, non essendo pienamente padrone della nuova terminologia medica, si serve ancora di termini precostantiniani. È comunque certo che l'Anatomia porci è contemporanea all'opera nota come Demonstratio salernitana, che ad essa fa riferimento correggendola in vari luoghi (Corner, p. 28), non solo, ma è pure coeva all'Anatomia Mauri; insieme a questi due trattati l'Anatomiaporci costituisce il documento inoppugnabile dell'esercizio della dissezione anatomica di animali nella Salerno degli inizi del sec. XII e l'antecedente diretto della Anatomia di Mondino.
La Practica secundum humores, conservataci in un codice viennese, è quasi sicuramente l'estratto di un grande trattato di terapia a noi non pervenuto: si divide in due grandi sezioni, De febribus ed Aegritudines totius corporis. Il codice II dell'ex Magdalenen-Gymnasium di Breslavia ci ha trasmesso il testo del De urinis et earundem significationibus ed il De aegritudinum curatione. Quest'ultimo è il più lungo trattato della Collectio salernitana, e raccoglie in trentacinque capitoli passi scelti tratti dalle opere di sette medici salernitani: C., Plateario, Petronio, Bartolomeo, Afflacio, Ferrario e Trotula. Tali passi illustrano in maniera pressoché completa la patologia e la terapeutica dell'epoca; particolarmente degne di nota le conoscenze a proposito della diagnosi differenziale tra l'ascite e il meteorismo mediante percussione, la trattazione della tisi e delle malattie mentali. Il De urinis et earundem significationibus è invece un piccolo trattato incompleto di uroscopia, non molto dissimile dal De urinis attribuito a Costantino l'Africano e dalle Regulae urinarum di Giovanni Plateario.
Le opere attribuite a C. furono tutte pubblicate da S. De Renzi, Collectio salernitana, Napoli 1856, II-IV.
L'ediz. criticamente più attendibile della Anatomia è quella pubbl. da G. W. Corner, Anatomical texts ofthe earlier MiddleAges, Washington 1927, pp. 48 ss., che ne ha fatto anche una traduzione inglese (pp. 51 ss.). Una traduzione italiana fu pubblicata da P. Micheloni, La "Anatomia porci" di Maestro Cofone Salernitano, in Progressi di terapia, XXXIV (1949), 3, pp. 97-104. Altre traduzioni sono state fatte da M. Jandolo, Il trattato "DeAegritudinum curatione" del codice di Breslavia, in Pagine distoria della scienza e della tecnica, XIII (1958), 10, pp. 1-39; L. Stroppiana, De urinis etearundem significationibus Liber di anonimo salernitano,ibid., XIII (1958), 10, pp. 40-57; F. Pascarella-A. Barduagni, De Modis medendi,ibid., XXII (1965), 22, pp. 1-22; A. Barduagni, Pratica Cophonis secundum humores, Roma 1966.
Bibl.: A. W. Th. Henschel, Die Salernitanische Handschrift, in Janus, I (1846), pp. 40-81, 300-368; S. De Renzi, Collectio Salernitana, Napoli 1852, I, pp. 162 s., 190-93; III, ibid. 1854, p. 328; IV, ibid. 1856, pp. 150, 177, 415, 439; Id., Storia docum. della scuola medica di Salerno, Napoli 1857, pp. 210, 249-266; F. Redeker, Die "Anatomia Magistri Nicolai phisici" und ihr Verhältnis zur Anatomia Cophonis und Ricardi, Leipzig 1917; H. Erchenbrecher, Der Salernitaner Arzt Archimatthaeus und ein bis heute unbekannter Aderlasstraktat unter seinem Namen, Leipzig 1919, passim; A. Kadner, Ein Liber de Urinis der Breslauer Kodex, Hamburg 1919; K. Sudhoff, Die Salernitaner Handschrift in Breslau (Ein Corpus medicinae Salerni), in Arch. f. Gesch. der Medizin, XII (1920), pp. 101-148; K. Sudhoff, Kurzes Handbuch der Geschichte der Medizin, Berlin 1922, pp. 180 s.; R. Creutz, Der Magister Copho und seine Stellung in Hochsalerno, in Sudhoffs Archiv f. Gesch. der Medizin und Naturwiss., XXXI (1938), pp. 51-60; L. Cassese, La "Societas Medicorum" di Salerno e i trattati di medic. dei secc. XI-XIII, Salerno 1950; ad Ind.; P. O. Kristeller, La scuola di Salerno, Salerno 1955, pp. 17-29; F. Pascarella, È veramente esistita la famiglia medica salernitana del Cofone?, in Riv. di storia della medicina, III (1959), 1, pp. 115-129; G. Cencetti, Studium fuit Bononiae, in Studi medievali, III (1966), 1, pp. 809 s.