COGNAC (A. T., 35-36)
Città della Francia occidentale, capoluogo di circondario nel dipartimento della Charente, con 17.452 abitanti (1926). È posta sulla riva sinistra del fiume Charente (sulla riva destra si è sviluppato il sobborgo di S. Giacomo), lungo il quale, al posto delle antiche mura, si estendono bei viali e sorgono moderni edifici, mentre il centro della cittadina, "il vecchio Cognac" ha strade irregolari e ripide con resti numerosi e interessanti di antica architettura. È sede di sottoprefettura e di tribunale di prima istanza; ha scuole primarie e secondarie.
È stazione della ferrovia da Saintes ad Angoulême, ed è unita con tronchi secondarî a Barbezie e S. Jean-d'Angély.
Storia. - Conosciuta fin dall'antichità col nome di Compiacum, cominciò ad acquistare importanza storica nel sec. X e fu per vario tempo dominio dei Lusignano e di Giovanni Senzaterra. Nel 1332 ebbe la sua carta di franchige comunali e prospera fu la sua esistenza sotto Luisa di Savoia e Francesco I. Ma essa è storicamente importante per la cosiddetta Lega di Cognac.
Lega di Cognac. - Fu preceduta da intricate trattative diplomatiche, iniziatesi tra Francia, Venezia e Papato sin dopo la battaglia di Pavia e la prigionia di Francesco I di Francia (febbraio 1525); e dal famoso episodio delle trattative, simulate, del marchese di Pescara con Girolamo Morone, dall'arresto di questo e dall'occupazione spagnola del ducato di Milano. Le trattative tra il re di Francia e gli stati italiani vennero riprese non appena Francesco I, tornato libero in Francia in seguito al trattato di Madrid (14 gennaio 1526), si rifiutò di ratificare il trattato stesso, facendo invece pubblicare l'alleanza conclusa, sin dal '25, tra la Francia e l'Inghilterra. Fu allora che il papa e i Veneziani si rivolsero a lui. Clemente VII e la Serenissima temevano che la grandezza di Carlo V conducesse al totale asservimento dell'Italia: timori confermati da ciò che avveniva in Lombardia. L'esercito imperiale teneva assediato Francesco II Sforza nel castello di Milano; i capitani opprimevano il popolo con taglie ed imposizioni d'ogni genere; i soldati, per mancanza di paghe, vivevano a discrezione. Alle insistenze del papa, perché Francesco II Sforza venisse liberato e riammesso nel possesso del suo stato, l'imperatore non aveva dato risposta soddisfacente, anzi aveva fatto sapere che avrebbe dato il Milanese al duca di Borbone qualora lo Sforza, trovato colpevole, ne fosse stato spogliato.
Sollecitato dunque dai rappresentanti del papa e dai veneziani ad unirsi con loro per la difesa comune, Francesco I esitò alquanto con la speranza di ottenere da Carlo V la mitigazione delle condizioni accettate e giurate a Madrid, ma "confortato da Clemente a mancar di fede, non esitò più oltre ad entrare nella Lega santa col papa e coi veneziani, di cui si chiamava capo il papa medesimo e protettore il re d'Inghilterra. Fine della lega, sottoscritta a Cognac il 22 maggio 1526, era la liberazione dei figli del re, la conservazione dello Sforza nel ducato di Milano e la ristorazione degli altri potentati d'Italia nel grado ch'erano innanzi si cominciasse l'ultima guerra" (De Leva).
Gl'Italiani salutarono questa lega con nobile entusiasmo, perché vedevano in essa l'inizio della sospirata liberazione dal giogo spagnolo; però essa conteneva un vizio d'origine; i collegati, sebbene uniti nel desiderio di abbassare la potenza della Spagna, non avevano un fine comune. Il re di Francia voleva servirsi dell'Italia per ottenere la liberazione dei figli e conservare il ducato di Borgogna; il papa e i Veneziani speravano di avere dalla Francia gli aiuti militari e finanziarî, che a loro occorrevano per scuotere il giogo della Spagna. Le conseguenze che ne derivarono ricaddero specialmente sull'Italia e portarono al sacco di Roma e più tardi alla caduta della libertà fiorentina.
Bibl.: G. De Leva, Storia documentata di Carlo V in correlazione all'Italia, II, Venezia 1864; F. A. Mignet, Rivalité de François I et de Charles V, II, Parigi 1875; P. Balan, Clemente VII e l'Italia de' suoi tempi, Milano 1887; H. Baumgarten, Geschichte Karls V, Stoccarda 1886; J. Fraikin, Nonciatures de France (Clément VII), I, Parigi 1906; L. v. Pastor, Storia dei papi, IV, Roma 1912, p. 11; C. Bornate, Hist. vitae et gestorum per dominum magnum Cancellarium (Mercurino Arborio di Gattinara), in Miscell. di stor. ital., s. 3ª, XVII.
Enologia. - Dal punto di vista dell'industria e del commercio del cognac ottenuto dalla distillaziorie dei vini locali, la regione del Cognac è stata delimitata dal decreto 1° maggio 1909, emanato in base alla legge del 5 agosto 1908, autorizzante la delimitazione delle regioni produttrici dei grandi vini e prodotti affini. La nuova legge 6 maggio 1919 non ha per nulla mutato la delimitazione già fissata dal decreto suddetto. Tale regione pertanto comprende pressoché tutto il dipartimento della Charente, pressoché tutto quello della Charente-inférieure, 6 comuni del dipartimento della Dordogne, e una ventina di comuni di quello di Deux-Sèvres.
La regione del Cognac è stata poi distinta in varie sotto-regioni o zone, corrispondenti alle differenti qualità dei vini e delle acquaviti che se ne ottengono. E precisamente:
1. Grande o .fine Champagne, tutta compresa nel circondario di Cognac. È caratterizzata da terreni molto ricchi di calcare, profondi, con sottosuolo cretaceo. Vi si producono delle acquaviti, chiamate Fine Champagne con un bouquet molto pronunciato, e una finezza superiore a ogni altra acquavite; ma lente da maturare, richiedendo 20-25 anni almeno. (Si noti che la parola Champagne non ha alcuna relazione con quella che indica i famosi vini spumanti; v. champagne). 2. Petite Champagne, rappresentata da una striscia che circonda quasi del tutto la Grande Champagne. Possiede terreni di natura analoga ai precedenti, ma in generale meno ricchi di calcare nella terra fine. Vi si producono acquaviti un po' meno profumate e meno fini delle precedenti, e che invecchiano un po' più rapidamente. 3. Borderies, comprendono un piccolo numero di comuni sulla destra della Charente a NE. di Cognac. Sono formate da pendici a sottosuolo calcareo duro, coperto pressoché dovunque da sabbie terziarie. Vi si producono acquaviti di grande delicatezza, ma un po' meno ricche di bouquet di quelle della Grande Champagne. 4. Fins Bois (o Premiers Bois): costituiscono come una fascia attorno alle 3 zone precedenti; hanno terreni argillo-calcari, pietrosi. Vi si producono acquaviti che invecchiano rapidamente, ma di qualità inferiori alle precedenti. 5. Bons Bois, Bois ordinaires, Bois à terroir: vengono di solito chiamati anche Bois éloignés, e sono costituiti da terreni diversi, tutti però producenti acquaviti con un certo gusto detto di terroir, che le rende meno apprezzate.
L'influenza della natura del terreno sulle qualità delle acquaviti non è provata; ottimi prodotti si ottengono anche fuori della regione del Cognac. Molta influenza hanno le modalità della tecnica della preparazione, e soprattutto dell'invecchiamento delle acquaviti, ossia dell'alcool ottenuto dalla distillazione dei vini della regione.
Tali vini sono prodotti con l'uva di alcuni vitigni a frutto bianco, e specialmente della Folle blanche, e in grado minore del Saint-Émilion (che non è altro che il Trebbiano di Toscana), nonché del Colombart. Tali uve, per il clima assai piovoso della regione (che ha in media 1200 mm. di pioggia all'anno) e per le forti concimazioni fatte ai vigneti, che spingono molto la produzione, sono in generale assai povere di zucchero, ricche di acidi e normalmente molto colpite dalla muffa grigia all'epoca della vendemmia.
La vinificazione si fa in bianco, senza tante cure, facendo avvenire la fermentazione in piccoli fusti di 2 hl. di capacità. I vini vengono portati alle distillerie durante l'inverno, consegnandoli con tutta la loro feccia, poiché questa viene distillata insieme col vino. Siccome normalmente non si fanno neppure i travasi, nelle fecce avvengono processi di autofagia dei fermenti, con produzioni di alcoli superiori (come il propilico, il butilico, l'amilico), in parte anche degli acidi corrispondenti e degli eteri che derivano dalla combinaziorie degli uni con gli altri: tutti composti che hanno una funzione importante per dare alle acquaviti i loro caratteri speciali.
La distillazione si compie generalmente con i vecchi apparecchi a fuoco diretto (il cosiddetto alambicco ordinario con o senza scaldavino); più raramente con apparecchi moderni, a grande lavoro, muniti di deflemmatori. Varî industriali anzi, dopo aver introdotto i tipi più perfezionati, hanno finito per ritornare agli antichi, convinti d'ottenere con essi prodotti più caratteristici e più apprezzati.
Le fasi della distillazione dei vini nelle Charentes sono due: la prima è la cosiddetta prima distillazione (première chauffe), per ottenere le flemme (brouillis); la seconda è la cosiddetta cotta di rettificazione (bonne chauffe o repasse). Nella prima fase, il vino, mescolato con le sue fecce, viene posto nella caldaia dell'alambicco, che si scalda lentamente e molto regolarmente. Passa dapprima un alcool con 53°; poi, a mano a mano che si procede nella distillazione, il grado s'abbassa. L'operazione si continua fino a che l'alcoolometro segna zero. S'è così distillato il terzo del vino messo in caldaia, e s'è cosl ottenuto un prodotto (flemma) che segna, in massa, da 25° a 27°. Si ripete altre due volte l'operazione, ottenendo così un secondo e un terzo prodotto.
Incomincia allora la seconda fase. Le tre porzioni di flemme vengono mescolate e rimesse nella caldaia per ridistillarle lentamente. Passano dapprima i prodotti di testa, aventi una gradazione di 80° a 85°: essi rappresentano in volume circa l'1% della capacità della caldaia, e vengono messi da parte. L'acquavite ch'esce in seguito, fino a che l'alcoolometro segna 50°, rappresenta i prodotti di mezzo o cuore, aventi una gradazione media di 70°. Infine ciò che s'ottiene da ultimo, fino a che l'alcoolometro segna 0°, rappresenta i prodotti di coda. Teste e code vengono fra loro mescolate, e la mescolanza, che segna circa 22°, viene aggiunta a nuovo vino e ridistillata in una cotta successiva. Con questo sistema, a mano a mano che si procede nella lavorazione, si producono code sempre più ricche di prodotti pesanti (alcoli superiori). Si spiega anche in questo modo l'alto tenore in aldeidi, alcoli e acidi pesanti dei cognac francesi.
Una volta ottenute le acquaviti, queste per lo più passano agl'industriali del cognac, i quali procedono all'invecchiamento e alla preparazione delle varie marche. Durando in media l'invecchiamento da 15 a 20 anni, essi devono avere grandissime scorte di materie prime, raccolte in immensi magazzini (chais), nei quali le acquaviti s'accumulano entro fusti disposti in tre file sovrapposte.
I fusti per l'invecchiamento del cognac hanno sempre la capacità di cinque ettolitri, sono costruiti con doghe spesse, e con grandissima cura, utilizzando la nota quercia (farnia) dei boschi della vicina regione del Limousin (detta anche d'Angouleme, dalla città capoluogo del dipartimento). Normalmente s'adoperano fusti già usati, di cui s'hanno larghe scorte; ciò perché quelli nuovi darebbero un colore troppo carico alle acquaviti. I fusti non vengono mai riempiti totalmente, né si fanno colmature. Naturalmente, col procedere del tempo si viene ad avere in essi un calo sempre maggiore. Si calcola che cinque ettolitri d'acquavite a 70°, conservati per 25 anni nel medesimo fusto, diano in ultimo 350 litri di alcool a 50°. Quindi l'acquavite verrebbe a perdere in 25 anni metà dell'alcool originario, mentre la quantità di acqua da 150 litri verrebbe a risultare in ultimo di 175 litri. È ovvio che l'alcool si disperde per evaporazione attraverso i pori del legno; anche l'acqua evapora, ma la perdita d'essa viene compensata dall'assorbimento d'umidità da parte dell'alcool, il quale è igroscopico.
I fenomeni che avvengono durante l'invecchiamento del cognac sono diversi. Una prima serie è data dalla dissoluzione nell'alcool di alcune sostanze del legno dei fusti, e più specialmente di tannino, acido gallico, quercitina, quercitrina. Accanto a questa dissoluzione di sostanze del legno, s'hanno anche delle reazioni chimiche fra i componenti dell'acquavite e l'aria che penetra nei fusti attraverso il tappo e i pori del legno. S'ha così l'ossidazione dell'alcool etilico e degli alcoli superiori e delle aldeidi, con formazione di acidi, i quali poi, reagendo con gli alcoli, danno eteri d'intenso profumo. Ma i fenomeni più importanti dell'invecchiamento del cognac sono le ossidazioni, e conseguenti reazioni fra alcoli e acidi, che avvengono entro lo spessore delle doghe dei fusti. In esse penetra dall'interno l'alcool, dall'esterno l'aria; ma, essendo l'alcool etilico più volatile, s'ha come una concentrazione degli alcoli più pesanti, donde la formazione di maggior quantità di acidi più pesanti e dei relativi eteri profumati. Ciò conferma che, per la produzione del cognac, non basta diluire dell'alcool etilico puro, ma occorre anche la presenza almeno di piccole quantità di alcoli superiori.
Per essere pronto al consumo, il cognac deve ancora essere sottoposto al taglio, alla filtrazione, alla diluizione, e talora alla dolcificazione. Il taglio serve a ottenere le varie marche, desiderate dalle clientele dei varî paesi. La pratica del taglio richiede degli specialisti degustatori (fûteurs), che conoscono a perfezione i caratteri delle varie partite esistenti nello stablimeuto. Dopo eseguito il taglio, la massa viene filtrata accuratamente con filtri a pasta, dopo di che si sottopone a un ulteriore invecchiamento di qualche mese. Ultimato anche questo, bisogna ridurre i gradi del cognac, da circa 60° che presenta, a circa 48°, allungandolo con acqua distillata o piovana. Aggiunta l'acqua, s'agita a lungo la massa, che poi viene nuovamente filtrata. Talora, quando per l'alto titolo alcoolico primitivo la diluizione abbia impoverito molto di corpo il cognac, si aggiunge un po' di zucchero, sotto forma d'uno sciroppo formato con due parti d'acqua e una di zucchero raffinato. In ogni caso, non si porta però più del cinque per mille di zucchero. Più raramente si procede anche a un lieve aumento del colore con l'aggiunta di un po' di caramello. Poi si passa alla spedizione del cognac, o in fusti (da 280 litri, o 140, o 80, o meno) o in bottiglie.
Anche in Italia si producono acquaviti di vino, dette cognac. Sono del 1888 i primi tentativi di tale industria, rivolta a sottrarre parte della produzione dei vigneti italiani al mercato vinario.
È infine da ricordare che molto del cognac che si consuma un po' dappertutto è artificiale; cioè prodotto da alcool di cereali o di barbabietola, ecc., allungato con acqua, profumato con svariate conce, colorato con caramello, ecc.
Bibl.: L. Rvaz, Le pays du C., Angoulême 1903; N. Ricciardelli, I cognacs ital., Catania 1909; L. Vecchia, La distillaz. agraria in Italia, Casale Monferrato 1922; G. Couanon, Les vins et eaux-de-vie de vin de France, Parigi 1921; P. Pacottet e L. Guittonneau, Eaux-de-vie et vinaigres, Parigi 1926.