cognomi
Il cognome, o nome di famiglia, ha la funzione di distinguere un individuo indicando la sua appartenenza a una delle articolazioni minori (famiglia, gruppo familiare, clan, ecc.) della collettività. Rispetto a questa funzione, il nome (nome individuale o personale o prenome; ➔ antroponimi) ha la funzione di identificare un individuo rispetto agli altri. In una prospettiva linguistica nomi e cognomi formano l’antroponimia, parte dell’onomastica, vale a dire la scienza che studia il complesso dei nomi propri.
Se il nome è il risultato di una scelta, il cognome deriva da un processo di fissazione storica e viene poi assunto in base a specifiche norme di legge che riguardano la filiazione sia legittima sia naturale o altri istituti giuridici relativi al riconoscimento, l’adozione, l’affidamento, ecc. Il cognome può essere scelto e imposto dall’ufficiale di stato civile o da altri aventi diritto soltanto nel caso in cui il soggetto venga dichiarato «figlio di ignoti»; viene scelto anche nell’ipotesi in cui un soggetto chieda e ottenga il cambiamento del proprio cognome. Secondo l’attuale normativa sul cambiamento di cognome (e anche di nome, o di aggiunta di un altro nome o cognome), il cambiamento va richiesto con istanza al prefetto della provincia di residenza: il cognome può essere cambiato perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale o per motivi diversi. Una direttiva della Comunità Europea prevede la possibilità di assegnare a un figlio il cognome della madre anziché quello del padre.
Rispetto al patrimonio dei nomi, flessibile e con continue possibilità di cambiamento, quello dei cognomi è soggetto a contenute modificazioni. Parte delle forme storiche può scomparire per l’estinzione delle famiglie corrispondenti, mentre un incremento viene dall’ingresso di forme cognominali straniere. Variazioni si registrano circa la frequenza in rapporto alla consistenza numerica dei gruppi familiari e la distribuzione areale a seguito di spostamenti della popolazione; un caso emblematico è quello del cognome di origine meridionale Russo (che corrisponde a «rosso») a Milano (De Felice 1980: 62). Va inoltre ricordato che un cognome (così come un nome) può produrre forme derivate, dette deantroponimici, come goldoniano «chi imita i personaggi, gli ambienti, lo stile delle commedie di Goldoni», o il recente berlusconiano «relativo a, proprio di Silvio Berlusconi» (cfr. Migliorini 1968; DI; Grossmann & Rainer 2004) (➔ relazione, aggettivi di).
Se la scarsità di documentazione rende particolarmente difficoltosa la ricerca storica nel settore dei cognomi, altrettanto difficile è la ricerca della motivazione all’origine delle formazioni cognominali, talvolta intuibile ma non di rado oscura. Anche quando l’etimo è evidente (come nel caso di Rossi), la motivazione rimane congetturale, anche perché non sono più ricostruibili i valori metaforici o le circostanze che possono avere prodotto quell’aggiunto, determinante o soprannome, che poi è divenuto un cognome.
In taluni casi, la forma del cognome può avere più interpretazioni. Ad es., un cognome può derivare da un toponimo o da un nome personale a sua volta derivato da un toponimo (➔ toponimi), come nel caso di Pistoia. Anche il rapporto tra un etnico e un cognome può essere più complicato di quanto appaia: per es., il cognome Cargnello (e varianti) può venire dall’etnico connesso con Carnia, regione del Friuli, oppure da un nome relativo a un’attività, avendo come base il termine cargnello (derivato dall’etnico) «tessitore», un mestiere che i cargnelli esercitavano in tutta la Pianura Padana. Va considerato, inoltre, che la forma del cognome odierno può aver subito cambiamenti nel tempo attraverso la trasmissione a livello sia di lingua orale che di tradizione scritta: fraintendimenti, adeguamenti all’italiano, tendenze nobilitanti, procedimenti paretimologici possono avere in vario modo condizionato la forma di partenza svisandola non poco. Di conseguenza la forma che si possiede ora può non essere che il risultato di tutto ciò, e solo in pochi casi è possibile ricostruire la storia del cognome (come per Strozzapreti spesso ridotto a Preti, Cacciavillani a Caccia in area lombarda).
I cognomi sono tanto più spesso soggetti a ➔ paretimologia quanto più sono opachi. Mentre il lavoro interpretativo si avvale di un metodo scientifico di analisi, che opera sulla forma, la contestualizza, verifica le ipotesi, controlla la documentazione d’archivio, i parlanti attribuiscono al proprio cognome interpretazioni fantasiose, ottenute con argomentazioni paretimologiche prive di ogni base documentaria, senza l’appoggio dell’analisi formale o della distribuzione areale. Anche quando la forma è trasparente il parlante non esita a intervenire in qualche modo: basti richiamare i numerosi casi di ritrazione dell’accento, come in Furlàn (cognome assai frequente in Friuli), dagli stessi portatori friulanofoni reso con Fùrlan.
Il termine cognome deriva dal latino cognomen, che evoca il sistema nominale romano a tre elementi (o formula trinomia), costituito da praenomen (o nome individuale), nomen (o gentilizio) e cognomen (o soprannome) In qualche caso era presente un quarto elemento, da un ulteriore supernomen tipo come in:
Cnaeus Cornelius Scipio (Africanus)
Gneo Cornelio Scipione Africano
praenomen nomen cognomen supernomen
La formula trinomia latina si afferma a Roma alla fine del VII secolo a.C. e riguarda la classe sociale dei liberi, i cittadini con pieni diritti. Già in età repubblicana il praenomen perde la funzione di nome individuale, poi assunta dal nomen e quindi dal cognomen o dal supernomen. La progressiva perdita di funzionalità di questi elementi si attribuisce alla scarso numero dei nomi disponibili, che perciò si ripetono, diventano equivoci e scarsamente distintivi.
In età imperiale, intorno al III secolo, la formula binomia si riduce a nomen unicum, che può essere il nomen o il cognomen o un supernomen; tali cambiamenti interessano dapprima gli ambienti popolari e l’uso corrente, per estendersi poi all’uso ufficiale e alle classi più elevate. La crisi del sistema onomastico romano a formula trinomia e poi binomia, con la successiva generalizzazione del nomen unicum, ha motivazioni diverse, tra cui la diffusione del cristianesimo, che favorisce l’uso di un nome individuale.
Fra il IX e il XVI secolo, con varie differenze in tutta l’Europa romanza e germanica, e in Italia in vari luoghi e regioni (assai precoce è la presenza in documenti veneziani del Duecento del sistema binominale moderno: cfr. Folena 1990: 186-187), si forma un nuovo sistema, costituito da nome e cognome. Questo nasce col fissarsi di vari tipi di aggiunti, che in origine hanno solo funzione distintiva per evitare le ambiguità create dalle omonimie, poi diventano ereditari e assumono ai fini pubblici un’importanza superiore al nome personale. Dai documenti risulta che in Italia, a partire dal XII secolo, per l’identificazione delle persone si utilizza un nome aggiunto che in alcuni casi è nome di famiglia o cognome, cioè collettivo e trasmesso ereditariamente; tale procedimento si stabilizza nell’ultima età medioevale, tra il XIII e il XIV secolo, e si fissa definitivamente tra la fine del Cinquecento e il Settecento, con la norma, emanata dal Concilio di Trento (1563), di tenere regolarmente dei registri di battesimo.
Gli aggiunti sono di vario tipo: un secondo nome, anche se non sempre si distingue chiaramente dal patronimico (dalla formula di paternità Iohannes filius Petri, Iohannes Petri a Iohannes de Petro, Iohanne Petro), variamente indicato a seconda delle aree e dei documenti, un nome di luogo indicante provenienza o residenza, il nome di un mestiere, un soprannome, variati poi dall’aggiunta di suffissi con diversa funzione. Specialmente nei piccoli paesi, ancora nei secoli XVII-XVIII si notano designazioni generiche e oscillazioni che permangono fino ad oggi anche nella tradizione notarile e anagrafica manoscritta. Per questo non è così raro il caso di membri della stessa famiglia che si ritrovano un cognome con varianti (per esempio Girotto – Gerotto). Inoltre, nelle località minori i cognomi locali sono pochi, il che dà luogo a omonimie: di qui il diffuso impiego di soprannomi individuali che poi diventano spesso soprannomi di famiglia e sono talvolta ufficialmente omologati dando origine ai doppi cognomi.
D’altra parte in altri contesti lo stabilizzarsi della formula nome + cognome ha ridotto in epoca moderna l’uso del soprannome. Un caso particolare è quello di Chioggia dove, essendo comunissimo il cognome Boscolo, sono sorti numerosi soprannomi (localmente deti «detti») che distinguono le varie famiglie e i loro rami (situazione che Migliorini 1935: 379 chiama anche subcognome). L’uso del soprannome è autorizzato dal comune per evitare omonimie e nei documenti viene annotato scrivendolo tra due punti (o, nell’elenco telefonico, tra parentesi quadre). Si tratta di oltre 100 soprannomi, a volte combinati tra loro, che interessano quasi tutti i circa 8400 Boscolo residenti nel comune di Chioggia: tali soprannomi potrebbero diventare anche graficamente un secondo cognome o sparire dall’uso.
Lo stabilizzarsi del cognome comporta a livello burocratico la perdita dell’originaria flessione cognominale, vale a dire la presenza di una forma femminile e di una plurale, che restano invece vitali a livello popolare: ad es., da un cognome come Dolfin si ha la Dolfina, i Dolfini (Migliorini 1935: 379).
La consistenza del patrimonio dei cognomi italiani è stimata intorno a 330.000 unità. Si tratta di una varietà straordinaria, che non ha paragoni in Europa, dovuta alla frantumazione linguistica dell’Italia e al ritardo dei processi di standardizzazione per via della tarda e lenta diffusione della lingua nazionale. Inoltre, poiché alcune forme nascono in ambienti dialettofoni, nell’odierno repertorio cognominale si hanno numerose varianti dello stesso cognome, anche in termini geolinguistici. Ad arricchire il patrimonio sono le diverse modalità derivative e le tante forme assunte nel parlato dal patrimonio dei nomi personali: da Domenico derivano, ad es., ipocoristici come Menico, Meni, Mengo, e altri con le relative forme suffissate e composte.
Attraverso i dati statistici si rileva che i cognomi di più alto rango in Italia sono 226. Di questi solo 86 hanno una distribuzione panitaliana o quasi: la maggior parte (123) è tipica di un’area limitata a una o due delle tre grandi ripartizioni del territorio (Nord, Centro e Sud); un gruppetto di diciassette cognomi ha un’area di distribuzione interregionale, regionale o anche provinciale (sino al limite di una o due province). Considerando i dieci cognomi più diffusi in assoluto, tre non sono panitaliani, anche se interessano un territorio piuttosto esteso: Russo (rango III), caratteristico del Sud, Bianchi (IV), proprio del Centro-Nord, Romano (VIII), tipico del Nord e del Sud; due invece sono concentrati in una regione e addirittura in una parte di essa: Esposito (VI: Campania) e Colombo (V: Lombardia nord-occidentale) (D’Acunti 1994: 830-831).
Il cognome più diffuso in assoluto è Rossi che interessa lo 0,39% dell’intera popolazione; per i cognomi a diffusione nazionale quelli con più occorrenze, in ordine decrescente sono Ferrari, Ricci, Conti, Costa, Gallo, Mancini, Marino, Bruno. Sono tipici del Centro-Nord cognomi come: Agostini, Antonelli, Baldini, Barbieri, Bartoli e Bartolini, Belli, Benedetti, Bernardini, Berti, Bianchi (un terzo delle occorrenze in Lombardia), Corsi (metà in Toscana), Costantini, Fabbri (metà in Emilia-Romagna), Ferretti, Franchi, Galli, Gatti, Giorgi, Giovannini, Giusti (più della metà in Toscana), Grossi, Guidi, Leoni, Magnani (quasi la metà in Emilia-Romagna), Mariotti, Martelli, Martini, Martinelli, Montanari (più della metà in Emilia-Romagna), Mori, Moretti, Moroni, Nardi, Negri, Orlandi, Pagani (metà in Lombardia), Pellegrini, Romagnoli, Rossetti, Rossini, Venturi, Venturini, Vitali. Prettamente meridionali sono: Aiello, Amato, Arena, Basile, Calabrese, Caputo, Caruso, Catalano, Coppola (quasi due terzi delle occorrenze in Campania), De Simone, Di Stefano (metà in Sicilia), Gentile, Greco, La Rosa (più di metà in Sicilia), Lombardo, Monaco, Napolitano (metà in Campania), Palumbo, Russo, Ruggiero, Santoro, Sorrentino (D’Acunti 1994: 831).
Sul piano formale sono da rilevare le numerose forme derivate da una stessa base (da Giovanni: Gianni, Nanni, Zanni, ecc.) o la varietà geolinguistica di cognomi che hanno lo stesso significato, come nel caso di Fabbri, Ferrari, Magnani e affini. Particolarmente diffuse sono le forme derivate con suffissi, specie diminutivi (-etto, -ello, -ino, ecc.), ma non è raro che nella stessa zona manchi la forma base: così a Bari è frequentissimo Antonacci ma non esiste Antoni o Antonio, a Frosinone è comune Papetti ma manca Papi. Quanto alle forme cognominali uscenti in -i rispetto a quelle in -o, vale a dire Rossi – Rosso (escluse quelle che dipendono da una base in -o oppure in -i come desinenza o terminazione invariabile – o un esito morfologico particolare, ad es., un nome come Giovanni, Gianni, da un toponimo uscente in -i come Ascoli), sono ben diffuse in area settentrionale, in particolare in Emilia-Romagna, Trentino, Lombardia, e ancor più in area centrale, specie in Toscana. Quelle in -o per contro sono più frequenti nell’Italia meridionale ma prevalgono su quelle in -i anche in regioni come il Piemonte e la Liguria. Si tratta prevalentemente di plurali, come mostrano le forme popolari: i familiari di una persona che abbia l’aggiunto Fabbro si chiamavano (e si chiamano tuttora in parecchi dialetti) i Fabbri: Pietro Fabbri è dunque non Pietro del Fabbro, ma Pietro dei Fabbri (Migliorini 1935: 379).
Non è da escludere ovviamente per alcuni cognomi un’origine da forme di genitivi notarili (Iohannes Petri «Giovanni di Pietro», Giovanni Pietri), e l’influsso della tradizione cancelleresca si vede anche nelle forme cognominali in -is, talvolta con la preposizione De: De Amicis, De Robertis, e altri, che rispondono a formule onomastiche notarili costruite sull’ablativo latino.
In aggiunta alle formazioni di ambito italoromanzo e ai cognomi di famiglie ebraiche (Levi, ecc.), occorre ricordare anche la presenza di quelle provenienti dalle varie minoranze alloglotte presenti in Italia, e l’introduzione nel corso di secoli di cognomi o altre forme divenute tali provenienti da fuori d’Italia attraverso immigrazioni e contatti tra culture.
Lo studio dei cognomi ha attratto da tempo l’attenzione degli studiosi, a partire da Ludovico ➔ Antonio Muratori, che al tema dedicò il saggio De cognominum origine (dissertazione XVII delle Antiquitates italicae medii aevi 1738-1743). L’interesse si è orientato sia verso i problemi connessi con l’origine, la tipologia, la semantica, sia verso ricerche di carattere storico-etimologico. Queste ultime hanno portato alla redazione di alcuni dizionari regionali e di quelli generali di De Felice (1978) e Caffarelli & Marcato (2008).
I cognomi si classificano tradizionalmente in categorie che erano state già evidenziate nei primi studi e che si basano sui vari tipi di aggiunti usati, dai documenti medievali in poi, per individuare le persone. Già Muratori parla di origini da nomi di luogo, da nomi propri, da soprannomi, da cariche o da attività esercitate. De Felice (1978: 15-17) ricorda che una classificazione ha anche una funzione descrittiva, operativa, non è assoluta e spesso non permette una distinzione netta; precisando che sul piano descrittivo le basi (o etimi diretti, immediati) dei tipi cognominali sono già onomastiche (cioè antroponimi personali, toponimi e etnici) o lessicali, De Felice propone una suddivisione in tre gruppi.
Un primo gruppo di nomi personali comprende:
(a) nomi di tradizione generica o aspecifica, cioè senza specifiche connotazioni socioculturali, in massima parte di fondo germanico e latino;
(b) nomi di tradizione religiosa;
(c) nomi di formazione medievale, italiana ‘volgare’, augurali e/o gratulatori, teoforici, di trovatelli, per lo più ancora significativi (come Benvenuto, Diolaiuti, Esposito);
(d) nomi di tradizione dotta, letterari o storici, ripresi nell’ultimo medioevo e nel Rinascimento da fonti per lo più scritte, soprattutto classiche (come Achille, Ottaviano), francesi e provenzali (come Lancillotto).
Un secondo gruppo è formato da soprannomi, comprendenti:
(a) soprannomi che sottolineano caratteristiche della persona o del gruppo familiare, con intento solo distintivo, o scherzoso, satirico, polemico, spregiativo o offensivo (come Biondo, Grasso, Grosso, Magro, Piccolo, ecc.), o intellettuali, di carattere o comportamento abituale (Astuto, Malinconico, Bevilacqua, ecc.);
(b) soprannomi originariamente allusivi a comportamenti, fatti, situazioni occasionali, sicché riesce spesso difficile ricostruirne la motivazione (Taglialatela, Pittaluga, cognome d’impronta dialettale ligure che risulta da un composto con le voci liguri pittâ «piluccare» e uga «uva»).
Un terzo gruppo è formato da nomi aggiunti o determinativi epitetici, comprendente:
(a) etnici e toponimi, questi ultimi usati anche assolutamente con valore e funzione di etnico (come Greco, Tedesco, o Abruzzo, Calabria, ecc.), che rappresentano la categoria più numerosa del sistema cognominale italiano. Tra i più diffusi: Costa, Lombardi, Fontana, Villa, Sala, Monti, Montanari, Messina, Riva, Brambilla, Milani, Mantovani;
(b) patronimici e matronimici, espressi con preposizioni (Di Pietro, De Maria) o altri elementi morfosintattici (articolo, suffissi, forme composte con fi’ «figlio» come Fittipaldi), ma spesso col solo nome del padre o della madre;
(c) nomi di mestiere e di professione, di carica e di ufficio, di titolo e di grado, di condizione sociale, economica, civile, militare, religiosa o anche familiare (Fabbro, Medico, Speziale, Capitano, Abate, Santolo, ecc.).
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L’➔articolo determinativo davanti al cognome (➔ cognomi) è diffuso al nord della Penisola (dove l’articolo è usuale anche con il nome proprio: il Giovanni; il femminile ha invece estensione areale molto maggiore: la Carla): il Bianchini oggi è assente, il Russo non sta bene. Tale uso si concilia con l’abitudine di far precedere ai cognomi un titolo (► appellativi e epiteti): Signor, Ragionier, Dottor, ecc. È invece poco diffuso nel Centro-Sud o nelle isole, salvo il Salento, nei cui dialetti l’articolo determinativo sta davanti sia al cognome che al nome: lu Carlu, la Luisa.
L’articolo al plurale si adopera davanti a cognomi anche per indicare i membri di una famiglia (tutti al maschile, come norma impone, le sole donne al femminile): gli Agnelli, le Carlucci.
In taluni usi letterari, i personaggi sono indicati con la formula articolo + cognome: «Alludeva al Malagna, all’amministratore …» (Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, cap. III); «Come architetto, il Garrone non esercitava più …» (Carlo Fruttero & Franco Lucentini, La donna della domenica, II, 5).
Oggigiorno questo uso è del tutto desueto, salvo che in alcuni ➔ linguaggi settoriali: indica, per ➔ metonimia, l’autore del libro nella scuola: il [sussidiario] Bignami, il [manuale di matematica] Ferrauto; e nell’editoria: lo [il dizionario] Zingarelli. È poi normale nei verbali di polizia o giudiziari, con riferimento ancora metonimico a denuncianti, indiziati e altro.
Va segnalato che tutti gli usi segnalati sopra sono possibili solo quando i cognomi non sono usati in forma di vocativo, cioè per chiamare le persone che designano.
Diversa la situazione quando l’articolo è impiegato con il femminile: fenomeno panitaliano e proprio dello standard, ha lo scopo di precisare il genere (a volte l’eccezionalità del suo non essere ‘maschile’) del referente: hai visto la Benedetti?. Esempio di impiego sessista della lingua (➔ genere e lingua), è tuttora poco presente alla coscienza dei parlanti, molto frequente anche sui giornali e, di conseguenza, non colpito da censura. Le scritture politicamente corrette (➔ politically correct) tendono a evitarlo, forse anche per influsso dell’inglese (lì non si indica il genere, recuperabile però con l’inserimento del nome), specie in concomitanza col maschile; è ancora frequente però trovare citati nella stessa riga Andreotti e la Levi Montalcini.
Nel caso di personalità del passato l’articolo era diffuso anche per gli uomini, specie letterati e artisti: il Manzoni, il Petrarca, il Brunelleschi (ma non con i nomi: Dante, Michelangelo, ecc.). La tendenza è in regresso, e segue l’avvicinarsi cronologico alla contemporaneità del personaggio citato. Già sarebbe démodé citare il Calvino o il Moravia; da evitarsi assolutamente l’articolo per indicare contemporanei ancora in vita: il Baricco o l’Ammaniti non sarebbero accettabili se non per fini ironici.
Muratori, Ludovico Antonio (1740), De cognominum origine. Dissertatio quadragesimasecunda, in Id., Antiquitates Italicae medii aevi, Mediolani, ex Typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, 1738-1742, 6 voll., vol. 3º, pp. 769-804 (rist. anast. Bologna, Forni, 1965, 6 voll.).
Caffarelli, Enzo & Marcato, Carla (2008), I cognomi d’Italia. Dizionario storico ed etimologico, Torino, UTET, 2 voll.
D’Acunti, Gianluca (1994), I nomi di persona, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 2º (Scritto e parlato), pp. 795-857.
De Felice, Emidio (1978), Dizionario dei cognomi italiani, Milano, Mondadori.
De Felice, Emidio (1980), I cognomi italiani. Rilevamenti quantitativi dagli elenchi telefonici: informazioni socioeconomiche e culturali, onomastiche e linguistiche, Bologna, il Mulino.
DI 1997- = Schweickard, Wolfgang, Deonomasticon Italicum. Dizionario storico dei derivati da nomi geografici e da nomi di persona, Tübingen, Niemeyer.
Folena, Gianfranco (1990), Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova, Editoriale programma.
Grossmann, Maria & Rainer, Franz (a cura di) (2004), La formazione delle parole in italiano, Tübingen, Niemeyer.
Migliorini, Bruno (1935), Onomastica, in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere, ed arti, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1929-1937, 35 voll., vol. 25º, pp. 378-381.
Migliorini, Bruno (1968), Dal nome proprio al nome comune, Firenze, Olschki (rist. anast. dell’ediz. 1927 con un suppl.).