COGORNO (Coturno, Cothurno, Cucurno), Bartolomeo, di
Era certamente originario di Cogorno, piccola località sulla Riviera di Levante sopra Lavagna (prov. di Genova), ma non è possibile stabilire con sicurezza se appartenesse, come è stato ipotizzato, alla famiglia dei conti di Lavagna o a quella dei Rossi di Cogorno, da cui discendeva Giovanni di Cogorno arcivescovo di Genova dal 1239 al 1252. Non si conosce, neppure approssimativamente, la data di nascita del C.; francescano del convento di Genova di cui diventò reggente, fu maestro di teologia e predicatore rinomato.
Come procuratore generale del suo Ordine assistette nell'aprile del 1378 alla tumultosa elezione di Urbano VI, e degli avvenimenti che l'accompagnarono parlò dettagliatamente in un suo sermone pronunciato in occasione del capitolo provinciale, celebrato a Genova probabilmente nel 1379, quando una buona parte della Cristianità era ormai passata dalla parte dell'antipapa Clemente VII, eletto il 20 sett. 1378 a Fondi. Un estratto di questo sermone fu consegnato dal C. nel 1380 agli ambasciatori del re di Castiglia, venuti a Roma per interrogare i testimoni oculari della contrastata elezione di Urbano VI.
L'obiettivo principale del sermone era quello di confutare la tesi del cardinale clementino Pierre Flandin che sosteneva l'invalidità canonica dell'elezione. Secondo il C., che adduce molti argomenti giuridici, ma assume un tono bassamente polemico, non può esistere dubbio sulla validità perché i cardinali erano d'accordo e fecero la loro scelta senza paura. A suo vedere il Flandin si contraddiceva quando affermava che l'elezione era avvenuta senza discussione preliminare, ma nello stesso tempo ammetteva che si era parlato dei meriti del candidato. La gente d'arme non era stata presente per intimorire gli elettori, ma per difenderli. A suo parere, inoltre, i fatti smentivano le tesi del Flandin: i cardinali, infatti, avevano intronizzato e incoronato Urbano VI. Il C. stesso poteva testimoniare di non aver visto nessun atto di violenza commesso contro i cardinali.
Questa decisa presa di posizione a favore di Urbano VI valse al C. il cappello cardinalizio: il 21 dic. 1381 Urbano VI lo creò cardinale prete di S. Lorenzo in Damaso. La circostanza che le fonti lo ricordano sempre come cardinale di Genova ha fatto pensare che in precedenza fosse stato eletto arcivescovo di Genova, ma non ci sono prove sicure per questa ipotesi. Secondo il cronista genovese Stella fu il doge Niccolò Guarco a sollecitare la sua elevazione al cardinalato.
Con Genova il C. mantenne rapporti anche in seguito, come dimostrano alcune bolle di Urbano VI del 1382 e del 1383 che gli conferivano la facoltà di permettere a mercanti genovesi l'esportazione di mercanzie nei porti sottoposti al dominio del sultano, e di assolvere altri dal peccato di avere trafficato con gli infedeli.
Assai presto il C. si vide coinvolto in un violento conflitto con il papa da lui difeso con tanta convinzione che gli dovette diventare fatale.
I dissidi tra Urbano VI, uomo dal carattere autoritario e scostante, e un gruppo di cardinali capeggiati dal cardinale di Rieti Bartolomeo Mezzavacca - sei o sette, tra i quali il C. - esplosero nella primavera del 1383, quando il papa decise di trasferirsi nel Regno per comporre i suoi contrasti con Carlo III. Al momento di lasciare Roma per recarsi a Tivoli con l'intenzione di proseguire poi per Napoli (inizio maggio 1383), quei cardinali rimasero a Roma adducendo come scusa, secondo Teodorico da Nyem, i pericoli di tale viaggio e la opprimente povertà che non permetteva loro di sostenere le spese del viaggio. Alla luce degli avvenimenti posteriori si potrebbe tuttavia pensare che il vero motivo del loro atteggiamento vada cercato piuttosto nella loro opposizione alla politica napoletana di Urbano e soprattutto nel segreto desiderio, se non progetto, di sbarazzarsi in qualche modo di un pontefice dimostratosi poco atto a reggere la Chiesa in un momento così difficile.
Le sanzioni di Urbano VI non si fecero aspettare: furono subito intentati processi contro i cardinali "disubbidienti". Il 15 ottobre da Sessa, dove era giunto nel frattempo, il papa depose il Mezzavacca e prorogò agli altri i termini di presentazione per discolparsi. Il conflitto stava in questi termini, quando il 30 ottobre, ad Aversa, Urbano VI iniziò i colloqui con Carlo di Durazzo. Uno dei temi principali fu proprio il conflitto con i cardinali di cui il re prese la difesa, chiedendo la revoca dei processi contro di loro. La resistenza del papa indusse Carlo III a un passo piuttosto grave: nella notte tra il 31 ottobre e il 1º novembre fece prendere Urbano VI e lo fece portare con la forza dal palazzo arcivescovile, dove alloggiava, nel castello reale. Il 4 novembre si giunse così ad un accordo che prevedeva tra l'altro la composizione del conflitto tra il papa e i cardinali ribelli.
Il 4 genn. 1384 il C., insieme con tre suoi colleghi approdò a Napoli, su una nave messa a disposizione dal re, e si ricongiunse con la Curia pontificia che, dopo un soggiorno di alcuni mesi a Napoli, si trasferì a Nocera, feudo del nipote del papa Francesco Prignano. Ma mentre i rapporti con il re si inasprivano sempre di più, si risvegliò anche l'opposizione cardinalizia guidata dal Mezzavacca ed appoggiata da Carlo III. Con l'accusa di avere tramato contro di lui, l'11 genn. 1385 Urbano VI fece arrestare, incarcerare e torturare sei dei cardinali dissidenti, tra i quali era il Cogorno. I sospetti di Urbano VI non erano certamente infondati. Resta tuttavia ancora dubbio se i progetti del congiurati andassero fino al punto di eliminare fisicamente il pontefice, sottoponendolo ad un processo di eresia che prevedeva la condanna al rogo in caso di colpevolezza, come fu affermato dalla Curia in una lettera circolare. Ed è più probabile che si mirasse semplicemente a sottoporlo a tutela per incapacità mentale allo scopo di escluderlo dal governo della Chiesa.
Comunque sia, per il C. e i suoi colleghi fu l'inizio della loro misera fine. Quando nel luglio del 1385 Urbano VI, grazie all'aiuto di Tommaso Sanseverino che ruppe l'assedio delle truppe regie alla città, poté abbandonare Nocera per rifugiarsi altrove, si trascinò dietro i suoi prigionieri "super certos runcenos... ligati, induti iuparellis tantum discalciati et capite discoperti".
Giunti a Genova il 23 sett. 1385, il papa prese alloggio con i prigionieri nella commenda di S. Giovanni di Pré. Poté riacquistare la libertà solo l'inglese Adam Easton, mentre le insistenze genovesi non valsero ad ottenere la liberazione degli altri, e soprattutto del C. a loro particolarmente caro. Quando alla fine del 1386 il papa uscì dalla commenda per trasferirsi a Lucca, mancarono nel corteo i cinque cardinali prigionieri.
Sulla loro fine correvano molte voci anche fantastiche, ma forse la più vicina alla verità deve considerarsi la versione di Gobelino Persona, uomo di Curia e cronista attento di quegli anni. Egli racconta di aver saputo da un testimone oculare, nell'undicesimo anno del pontificato di Bonifacio IX, cioè verso il 1400, che prima della partenza del papa da Genova i cardinali furono strangolati e sepolti segretamente di notte nella stalla dei cavalli della commenda di S. Giovanni di Pré. Non molto diverso il racconto di Teodorico da Nyem: "Molti dicono che i loro corpi furono gettati in una fossa piena di calce viva nella stalla dei cavalli, bruciati completamente e ridotti in cenere" (p. 110).
Un agiografo genovese annovera il C. tra i martiri genovesi. Gli vengono attribuiti dai suoi biografi numerose opere: una Summa teologica, una raccolta di sermoni, un commento al Cantico dei Cantici. Ma l'unica pervenutaci è il sermone ricordato sopra, conservatosi parzialmente tra gli interrogatori degli ambasciatori castigliani.
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