COKE (fr. coke; sp. cok; ted. Koks; ingl. coke, forse da colk "nocciolo" antiquato)
È il prodotto solido che rimane nella carbonizzazione o distillazione secca dei carboni fossili.
Riscaldando del carbon fossile fuori del contatto dell'aria a 200° si inizia l'emissione di vapor d'acqua e si sviluppano idrocarburi saturi (CnH2n+2) e in quantità minori idrocarburi non saturi (CnH2n e CnH2n-2); verso i 250° compare l'idrogeno solforato dovuto alla presenza di zolfo organico nel carbone; verso i 300° si ha produzione di vapori che si condensano come olî catramosi; verso i 350° la decomposizione comincia a procedere con grande rapidità e con forte sviluppo di vapori e di gas. La distillazione, per quanto riguarda la produzione di catiame, è praticamente finita a 450°, per quanto riguarda invece la produzione di gas non condensabili, termina soltanto verso i 1200°. Quanto più alta è la temperatura alla quale si distilla il carbone, tanto più cresce nei gas la proporzione di idrogeno, per decomposizione di sostanze a struttura molto complessa in sostanze a struttura più semplice, accompagnata in generale da perdita di idrogeno. Lo stesso metano, la cui stabilità ad alta temperatura è maggiore di quella degli altri idrocarburi, fra gli 800° ed i 1000° si decompone in idrogeno e carbonio: quest'ultimo viene così a cementare il residuo carbonioso (coke) il quale risulta tanto più compatto e meno poroso, quanto più elevata è la temperatura di distillazione.
Anche distillando il carbon fossile a temperatura superiore ai 1500° rimane sempre nel coke un po' d'idrogeno e di ossigeno; cosi pure l'azoto contenuto nel litantrace rimane per metà circa nel coke; lo zolfo contenuto nei carboni fossili sotto forma organica si libera, durante la distillazione, quasi tutto come idrogeno solforato; quello proveniente dalle piriti si elimina solo parzialmente e rimane pure nel coke lo zolfo dei solfati contenuti nel carbone.
Industrialmente il coke si ricava per distillazione dei litantraci grassi a lunga e a corta fiamma, dotati cioè di un potere agglomerante tale da lasciare un residuo compatto e resistente.
Dagl'impianti di produzione del gas illuminante e dai forni per la produzione del coke usato nella siderurgia, si ottengono due tipi di combustibile, detti: coke del gas e coke metallurgico.
In questi ultimi tempi la distillazione del litantrace è anche condotta allo scopo di ottenere, anziché gas illuminante o coke metallurgico, un prodotto intermedio fra il coke e il carbone magro, un combustibile con potere calorifico più elevato del coke, che si accenda e bruci più facilmente di quest'ultimo, e che ha preso il nome di semicoke (ingl. smokeless fuel; ted. Halbkoks). Il semicoke, ottenuto per distillazione a temperatura di 500°-600°, è molto poroso, fragile, friabile, e contiene ancora il 7-12% di sostanze volatili.
Dalla carbonizzazione di alcune qualità di lignite si ottiene poi il cosiddetto coke di lignite. Così ad es. dalle ligniti xiloidi si ottiene, per distillazione secca e anche per distillazione con vapore surriscaldato, coke che presenta molte analogie col carbone di legna. In generale, le ligniti picee mancano di potere agglomerante, perciò il residuo della distillazione risulta non cementato, incoerente; inoltre, poiché esso conserva tutte le ceneri contenute nel materiale distillato e poiché le ligniti sono spesso molto ricche di ceneri, il coke di lignite risulta spesso con tenori in ceneri troppo elevati: un coke duro, ben agglomerato, con potere calorifico elevato, può essere invece ottenuto da miscele di buone ligniti picee con litantrace.
Anche dalla carbonizzazione di buoni tipi di torbe seccate all'aria si ottiene un combustibile, il coke di torba, che ha analogie col carbone di legna e viene usato nell'economia domestica.
In Germania, distillando a bassa temperatura alcuni tipi di ligniti bituminose (Schwelkohlen) si ottiene un semicoke speciale: il Grudekoks, polverulento, col 15-25% di ceneri e il 15-25% di sostanze volatili, con potere calorifico di 4500-5800 calorie, che si usa nell'industria polverizzato, o, per riscaldamento domestico, agglomerato in mattonelle. Nel 1920 da 1.140.000 tonn. di queste ligniti bituminose si ottennero 383.000 tonn. di semicoke.
Coke del gas.
Per la produzione del gas illuminante (v.) il carbon fossile (litantrace grasso a lunga fiamma col 25-40% di sostanze volatili) viene portato nella distillazione alla temperatura di 900°-1100°. Il coke, che si ottiene, ha le seguenti caratteristiche: porosità (espressa dalla percentuale di vuoti sul volume apparente) 50 ÷ 60%; densità 1,6 ÷ 1,9; peso di un metro cubo in kg. 350 ÷ 400; resistenza allo schiacciamento in kg./cmq. 70 ÷ 130; composizione elementare escluse le ceneri: carbonio circa 95%; idrogeno circa 1%; ossigeno e azoto circa 3,8%. Nei forni per gas illuminante si producono da 65 a 6g kg. di coke per quintale di carbone.
Coke metallurgico.
Storia della fabbricazione. - I primi tentativi per fabbricare il coke sono stati fatti circa tre secoli e mezzo addietro e precisamente nel 1584 in Germania e nel 1600 in Inghilterra. Nel 1680 si cominciò a ricavare, contemporaneamente al coke, anche il catrame, il quale prima andava perduto; più tardi il sistema del ricupero dei sottoprodotti andò perfezionandosi, con l'utilizzazione di una quantità di sostanze (olî pesanti e leggieri, catrame, gas illuminante, benzolo, naftalina, ammoniaca, ecc.). La trasformazione del carbon fossile in coke avveniva in origine in semplici carbonaie simili a quelle usate per la fabbricazione del carbone di legna, ma più larghe e più basse, che potevano contenere da 10 a 30 tonnellate di carbon fossile in grossa pezzatura, e che davano un rendimento in coke del 60 ÷ 65%. Il calore necessario alla distillazione era fornito dalla combustione di una parte del carbone da trasformare e tutti i prodotti della combustione andavano perduti. Più tardi queste rudimentali carbonaie si trasformarono in camere in muratura, riempite di carbone, mentre da apposite aperture s'introduceva l'aria necessaria alla combustione dei gas di distillazione, combustione che dava il calore necessario alla formazione del coke. Ultimata la trasformazione in coke, la massa incandescente veniva estratta e spenta con abbondanti getti d'acqua. La capacità di questi forni era di circa 6 tonn. e l'operazione, da una sfornata alla successiva, durava circa tre giorni. Nel secolo XVIII cominciarono a sorgere i primi forni a muffola propriamente detti, col ricupero del catrame, dai quali derivarono le moderne batterie di forni a coke a ricupero completo dei sottoprodotti. Fino a quel tempo, non potendosi raggiungere temperature elevate, si utilizzavano, per la trasformazione in coke, solamente i carboni facilmente agglomeranti; l'adozione dei forni a muffola, cioè a camere più piccole, rese possibile il raggiungimento di temperature più elevate, e quindi diede la possibilità di usare anche altre qualità di carboni meno facilmente agglomeranti. Per il riscaldamento si utilizza il calore prodotto dalla combustione dei gas svolgentisi da essa, che si faceva avvenire in appositi canali praticati nella parete stessa delle muffole.
Nei primi forni di questo tipo le camere erano verticali, accostate le une alle altre in modo da formare una serie continua, e avevano le dimensioni di circa m. 0,43 × 1,26 × 5 di altezza, e la capacità singola di 1,2 ÷ 1,4 tonnellate di carbone (batterie Appolt). Quasi contemporaneamente si costruirono batterie di forni a celle orizzontali con 6 - 7 metri di lunghezza, m. 1,10 ÷ 1,20 di altezza e m. 0,65 di larghezza (batterie Smet). I gas di distillazione, raccolti all'uscita dall'alto delle celle, venivano bruciati con aria in canali orizzontali praticati nelle pareti divisorie di due celle contigue, e i prodotti della combustione, passando sotto la suola delle celle, erano condotti al camino. Un ulteriore progresso fu ottenuto con le batterie Rexroth che avevano i canali di comkustione verticali anziché orizzontali e che, modificate più tardi da Coppée, costituirono poi la base delle moderne batterie di forni a coke. Mentre coi sistemi adoperati in origine si usava, come s'è detto, solamente carbone in grossa pezzatura, il raggiungimento di temperature sempre più alte permise di utilizzare carboni anche meno agglomerabili e a pezzatura sempre più piccola, fino alla polvere. Sorsero anche sistemi per comprimere la polvere di carbone nelle muffole così da ottenere coke sempre più compatto, e questa pezzatura del carbone permise di variarne maggiormente la qualità, tanto che oggi si fanno correntemente miscele di polvere di carboni magri con carboni grassi molto ricchi di gas.
Nel 1850 sorsero i primi impianti per il ricupero di una parte delle sostanze che nella combustione del gas andavano completamente perdute, e cioè catrame ed ammoniaca. Il merito va dato al francese Knab che fece i primi tentativi a Commentry nel 1856; con successivi perfezionamenti si giunse alle batterie Otto e Hoffmann che utilizzarono il calore perduto coi gas bruciati per riscaldare l'aria di combustione: seguì il ricupero del benzolo (1884). Nell'ultimo trentennio le batterie di forni a coke ebbero un ulteriore immenso sviluppo. Poiché non tutto il gas di distillazione che si produce nella fabbricazione del coke viene utilizzato per il riscaldamento delle muffole, se ne sfruttava dapprima l'eccedenza in focolai di caldaie per produrre vapore. In seguito si trovò più redditizio utilizzare il gas in motori a scoppio per la produzione di energia, e da ultimo il gas che si svolge nelle prime ore di distillazione, più ricco d'idrocarburi, fu utilizzato con reddito maggiore come gas illuminante. Infine il gas dei forni a coke, unitamente a quello di altoforno venne ed è usato, specialmente in America, in sostituzione del gas di gasogeno nel riscaldamento dei forni Martin. Si può ritenere che il 12% dell'acciaio prodotto in America nel 1927 sia stato ottenuto con forni Martin scaldati a puro gas di forni a coke, e il 26% con forni scaldati con miscele di gas di forni a coke e olio pesante, oppure con miscele di gas di forno a coke e di gas di altoforno. Quest'ultima miscela è generalmente composta con 1 mc. di gas di forno a coke e 2 mc. di gas di altoforno, ottenendo un gas avente potere calorifico di circa 2000 Cal./mc.
Fabbricazione. - I carboni usati per la fabbricazione del coke sono in ordine d' importanza i carboni grassi a corta fiamma, quelli mediamente grassi e quelli grassi a lunga fiamma, mentre i carboni magri vengono adoperati raramente in miscele e mai da soli. I carboni grassi hanno un forte potere agglomerante, e dànno, dopo distillazione, un residuo solido compatto. La maggiore o minor compattezza, oltre che dalla qualità del carbone, dipende però anche dalla temperatura raggiunta nelle camere di distillazione.
La formazione del coke si ha solamente quando il carbone è portato ad alta temperatura fuori del contatto dell'aria in un tempo relativamente breve. Questo risultato si ottiene introducendo rapidamente il carbone in polvere e inumidito in forni a pareti molto calde, a contatto delle quali il primo strato di carbone si trasforma immediatamente in coke mentre i vapori d'acqua e di catrame che si sviluppano, si condensano di nuovo a contatto degli strati freddi di carbone che si trovano nell'interno della massa. Tra lo strato esterno di coke così formatosi e il nucleo centrale di carbone ancora freddo si forma uno strato di carbone di 3 ÷ 4 cm. di spessore in via di trasformazione, al quale sono mescolate sostanze catramose e vapore d'acqua. La temperatura del carbone nel punto di contatto con le pareti del forno è di circa 1000°, mentre nella parte centrale raggiunge appena i 100°: l'aumentare della temperatura nell'interno della massa è accompagnato da un aumento dello spessore dello strato trasformato in coke, fino a che, tutta la massa di carbone avendo raggiunto i 1000°, la trasformazione in coke è completa.
Il potere calorifico del gas che si sviluppa (fig.1) diminuisce sempre più, come pure diminuisce il suo peso specifico, man mano che l'operazione prosegue, mentre invece aumenta la quantità di idrogeno in esso contenuta. Alla fine dell'operazione si ottiene un gas combustibile composto in maggioranza di idrogeno che brucia con fiamma pochissimo luminosa. Durante la trasformazione in coke, la massa del carbone aumenta dapprima di volume fino a circa 600°, ma poi si contrae sicché in definitiva la massa del coke prodotto occupa un volume minore di quello iniziale. Nel caso di carboni pressati si può avere una riduzione del 75%, ma si ottiene in compenso una notevole compattezza.
La durata dell'operazione varia nei forni a fiamma da 24 a 48 ore, nei forni a catrame da 20 a 36 ore a seconda della lunghezza delle muffole, del tipo dei forni, e della qualità del carbone. Aumentando la larghezza dei forni aumenta corrispondentemente la durata dell'operazione. In alcuni forni moderni (americani) si è ottenuto un notevole aumento di produzione (fino al 50%) costruendo le celle di cottura molto più strette della media (cm. 35 in luogo di 45 ÷ 50) ed elevando la temperatura delle muffole sino a 1300°. La durata del processo è di 10 ÷ 12 ore. La velocità di formazione del coke è di circa 1 ÷ 1,5 cm. all'ora, e la quantità di calore necessaria alla trasformazione in coke di 1 kg. di carbone col 12% di umidità è, secondo ricerche di Otto, di:
Carboni asciutti richiedono per la trasformazione in coke maggior calore di quelli umidi, e inoltre la quantità di calore necessaria alla trasformazione dipende anche dal rendimento del coke; più precisamente per 1 kg. di carbone asciutto, col rendimento dell'85,5% occorrono 600 Cal.; del 79,5%, 632 Cal.; del 75,8%, 650 Cal.; del 70,53%, Cal. 625; del 66,0%, 615 Cal.
Il rendimento in coke di una data qualità di carbone dipende dal suo tenore di idrogeno, ossigeno, acqua igroscopica e ceneri. L'idrogeno agisce in senso negativo. Il tenore di ceneri del coke varia secondo il rendimento del processo di trasformazione. Esso ha grande importanza ai fini della marcia dell'alto forno. Il tenore di zolfo diminuisce nel coke con l'aumentare del rendimento e della quantità di calcio e magnesio contenuta nelle ceneri del carbone: anche questo elemento ha importanza ai fini delle successive lavorazioni. Il coke per uso di fonderia deve contenere meno zolfo di quello destinato all'alto forno, perché la ghisa da fonderia, come prodotto finito, deve contenere meno zolfo di una ghisa che generalmente va nuovamente lavorata. La quantità di fosforo contenuta nel coke è uguale a quella contenuta nel carbone fossile ma aumentata in proporzione inversa del coefficiente di rendimento.
La durezza del coke metallurgico cioè la resistenza allo schiacciamento, deve variare per coke di buona qualità, da 120 ÷ 170 kg/cmq.: essa diminuisce con l'aumentare della quantità di silice contenuta nelle ceneri. La resistenza allo sfregamento è anche una qualità fisica assai importante nel maneggiamento, trasporto, ecc.: un buon coke non deve dare più del 4 ÷ 6% di polvere.
La densità del coke aumenta con l'aumentare della temperatura di cottura e con la pressatura del carbone fossile nelle muffiole: il coke poroso dà nella combustione ossido di carbonìo, il coke compatto anidride carbonica, e quindi il primo è più indicato per gli alti forni, il secondo per le fonderie. Il peso specifico varia da 1,2 ÷ 2; un metro cubo pesa 400 ÷ 500 kg. La temperatura di accensione è intorno a 700° (quella del carbone circa 320°). Il potere calorifico varia da 6700 a 7300 Calorie.
Apparecchi meccanici per la preparazione e il caricamento del carbone. - Il carbone fossile destinato alla fabbricazione del coke deve essere, prima dell'infornamento, opportunamente preparato: occorre prima di tutto mescolarne le diverse qualità per ottenere la miscela che dia il miglior rendimento (è consigliabile un valore medio in materie volatili del 20 ÷ 22%). La miscela poi con un nastro trasportatore, o analogo mezzo di trasporto, viene portata ai disintegratori. Di qui il carbone viene sollevato in un serbatoio e poi passa alla tramoggia di carico.
Il caricamento del carbone nelle celle di cottura può essere fatto dall'alto o lateralmente. Nel primo caso, il carbone, proveniente da altrettante tramogge scorrevoli su binario e riempite sotto al serbatoio principale, passa rapidamente nelle celle attraverso aperture praticate nella loro vòlta. Per spianare il carbone nell'interno delle celle si usa una macchina, munita di un lungo braccio, che, introdotto nelle aperture d'ispezione delle porte delle celle, compie appunto questa operazione.
Quando il caricamento è invece fatto lateralmente, occorre prima comprimere il carbone in forme. S'impiegano all'uopo le macchine pressatrici; quelle moderne contengono in una sola unità l'apparecchio per sfornare il coke incandescente, la tramoggia e l'apparecchio per la pressatura. Questo è un cassone a pareti mobili e a fondo scorrevole, di dimensioni presso a poco uguali a quelle della cella, nel quale il carbone viene pressato da pestelli, che hanno velocità fino a 130 colpi al minuto. Quando il blocco di carbone è formato, si aprono le pareti laterali del cassone e s'introduce il blocco stesso nella cella; dopo di che si ritira il fondo del cassone, che serviva di appoggio al blocco. La pressatura, sebbene sia di uso poco comune, presenta alcuni vantaggi: maggior resistenza del coke rispetto a quello comune, maggior produzione dei forni per minor calo, maggior quantità di coke in grossa pezzatura, migliore utilizzazione della capacità del forno (850 ÷ 950 kg/mc. in luogo di 650 kg/mc. che si raggiungono con l'infornamento dall'alto). Inoltre, si ha maggior durata dei forni stessi, e risparmio d'energia per l'estrazione del blocco di coke incandescente. Per lo sfornamento del coke, si usa una macchina sfornatrice, normalmente elettrica, la quale consiste in un carrello scorrente davanti alle porte dei forni e munito di un braccio scorrevole nel senso longitudinale, terminato ad una estremità con una grossa lamiera verticale avente la sagoma della muffola. Aperte le due porte della cella, e col braccio della sfornatrice portato in corrispondenza di essa, si spinge fuori il blocco di coke incandescente il quale viene subito spento con potenti getti di acqua.
Batterie di forni a coke. - Si distinguono tre tipi di forni a coke:
1. Forni a fiamma senza ricupero di sottoprodotti e con utilizzazione del calore perduto sotto caldaie.
2. Forni con ricupero di sottoprodotti suddivisi a loro volta in: a) forni a ricupero di sottoprodotti con utilizzazione del calore perduto e del gas in eccesso sotto caldaie a vapore (molto vapore e poca disponibilità di gas); b) forni a ricupero di sottoprodotti con rigenerazione di calore, cioè con utilizzazione del calore 'perduto per il riscaldamento dell'aria destinata alla combustione e con utilizzazione in servizî speciali dell'eccedenza di gas (niente vapore e molto gas).
3: Forni combinati, cioè con ricupero di sottoprodotti e con riscaldamento della batteria con gas di gasogeno o d'alto forno, e utilizzazione totale del gas di coke.
Qualunque sia il tipo di forno a coke, la costruzione, nelle sue linee generali, è però sempre la stessa.
Nei forni a coke, tutte le murature in contatto coi gas caldi sono costruite in mattoni di chamotte di prima e seconda qualità secondo che sono più o meno esposti al calore, aventi cioè punti di fusione rispettivamente di 1750° e 1650° ÷ 1700°. Questi sono composti con una mescolanza, in determinate proporzioni, di argilla cotta macinata a diverse grossezze e di argilla naturale. In America, nei forni moderni per le maggiori temperature raggiunte, si ha la tendenza a costruire tutte le murature in materiale silice dinas (95 ÷ 98% di SiO2) il quale ha un punto di fusione notevolmente più alto (~ 1800°), possiede una conducibilità termica del 25% superìore allo chamotte, ma ha lo svantaggio di esser molto sensibile alle variazioni di temperatura.
Il forno a coke risulta da un certo numero di celle elementari (fino a 160) riunite ìnsieme per formare una batteria. Questa ha la forma di un prisma rettangolare con l'asse longitudinale orizzontale: le due testate estreme sono molto robuste e ancorate tra di loro con tiranti in ferro per resistere alla spinta dei singoli forni. La batteria è sopraelevata dal piano di officina e poggia su una serie di pilastri e vòlte sulle quali è ricavato il piano di scorrimento della sfornatrice. Dalla parte dalla quale avviene lo sfornamento del coke è dìsposta una rampa inclinata che serve per lo spegnimento e convogliamento del coke al piano di carico.
Le dimensioni delle celle, a forma prismatica, sono approssimativamente: lunghezza da m. 9 a 12; larghezza, da m. 0,45 a 0,65 (nei forni moderni a grande produzione anche intorno a 30 ÷ 35 cm.); altezza, m. 3 ÷ 3,50. La cella è leggermente conica e più larga (di cm. 10 circa) dalla parte dello sfornamento per facilitare l'uscita del blocco di coke incandescente. Le pareti che dividono due celle consecutive hanno uno spessore di 30 ÷ 35 cm. e nel loro interno sono praticati i canali attraverso ai quali passano i gas destinati al riscaldamento delle celle. Nelle batterie piu moderne i canali di combustione sono praticati anche sotto la suola delle celle.
Nella vòlta della cella, quando il caricamento è fatto dall'alto, sono praticate da tre a quattro aperture e, per i forni a ricupero, altre due aperture per la presa dei gas di distillazione. Nei forni a fiamma, invece, i gas escono da aperture laterali praticate nella parte alta della cella lungo il lato maggiore. Le due estremità della cella sono chiuse con porte di lamiera stampata o di ghisa, rivestite di refrattario e che a mezzo di un semplice argano possono essere alzate o abbassate. La chiusura ermetica è fatta con terra. Nelle galleríe della fondazione trovano posto tutte le tubazioni per la distribuzione del gas e dell'aria di combustione, parte delle tubazioni del ricupero dei sotto prodotti, le camere di ricupero di calore (quando ci sono) e una quantità di servizî ausiliarî.
La differenza tra i forni con e senza ricupero consiste nel fatto che mentre in questi i prodotti della distillazione sono condotti nei canali di combustione e poi al camino, nei primi essi vengono raccolti in appositi condotti, raffreddati e lavati. Una ulteriore suddivisione distingue i forni in batterie a canali orizzontali e a canali verticali, secondo la disposizione dei canali in cui ha luogo la combustione del gas, e che sono alloggiati nei muri divisorî di due celle contigue.
I forni senza ricupero sono ormai abbandonati o stanno sempre più scomparendo. Uno dei più diffusi è il tipo Coppée a canali verticali (figure 2, 3 e 4). I prodottì della distillazione uscendo dalle muffole b attraverso 28 o 30 aperture, che sono praticate nel senso della lunghezza sotto all'imposta della vòlta, entrano nei canali c ove bruciano al contatto dell'aria che giunge dall'alto a mezzo dei condotti d. I prodotti della combustione, riunendosi a quelli ricavati dai gas di riscaldamento della muffola adiacente, sboccano nel canale e, passano sotto la suola della cella adiacente e attraverso le aperture g, regolabili mediante un registro, giungono nel canale dei fumi h e quindi al camino. Poiché in questo tipo di forno la suola viene ad essere molto surriscaldata, si usa praticare nel blocco della muratura di fondazione una serie di canali di raffreddamento per mezzo dei quali l'aria fredda, entrando nei canalí r per le aperture q, viene condotta ai condotti ss, tt e uu e quindi restituita per x e y all'aperto. Poiché l'entrata dei gas nei canali di combustione avviene solamente dal lato sinistro, occorre predisporre un dispositivo per il riscaldamento della parte destra dell'ultima cella: a questo scopo i due canali orizzontali m e n vengono messi in comunicazione col canale e mentre i gas combusti, attraverso o, sono condotti al camino. Il caricamento delle muffole avviene attraverso le tre aperture praticate nella vòlta.
La quantità di calore che è necessaria alla trasformazione del carbone in coke è inferiore a quella che i gas di distillazione possono fornire, e perciò con questo sistema si ha una notevole perdita di energia, che si cercò in seguito di utilizzare. In un primo tempo, pur continuando a bruciare tutto il gas di distillazione per il riscaldamento della batteria, si utilizzò il calore posseduto dai gas combusti, che giungevano al camino circa a 1000°, scaldando delle caldaie per la produzione di vapore. Per ogni chilogrammo di carbone fossile trasformato in coke si potevano produrre 1 ÷ 1,3 kg. di vapore. In un secondo tempo si cercò di utilizzare la quantità di calore posseduta dai gas combusti facendoli passare attraverso a camere ripiene di materiali refrattarî opportunamente disposti. A questi materiali i gas combusti cedevano una gran parte del loro calore, e quando, interrotta la circolazione del gas, si faceva passare in queste camere una corrente di aria fredda, questa veniva portata ad alta temperatura. In tal modo si costruirono i primi forni a rigenerazione di calore.
Le batterie Otto sono esempio assai diffuso di forni a ricupero di calore con caldaie (fig. 5). La muffola (1) chiusa colla porta (25), misura m. 10,50 di lunghezza, m. 0,50 di larghezza e m. 2,60 di altezza. Il riempimento della cella, avviene a mezzo del carrello a tramoggia (3) scorrevole sopra la batteria: durante il riempimento del forno si chiude il condotto di presa dei gas di distillazione (7) mettendolo, a mezzo di una valvola, in comunicazione diretta col camino. Quando la carica è ultimata, si rimette la cella in comunicazione col collettore del gas ed i gas che si svolgono vengono raccolti, raffreddati, lavati, e ricondotti al forno a mezzo della tubazione (28): da questa, a mezzo dei rubinetti (27) giungono ai tubi (10) e ai 18 ugelli (11) che li conducono ai bruciatori (12) di chamotte, costruiti come i bruciatori Bunsen. I prodotti della combustione provenienti dai condotti (13) si riuniscono nel canale longitudinale (15) da dove attraverso (16) e (17) e (29) giungono, con una temperatura di circa 1000° ÷ 1100°, alle caldaie e di qui poi al camino. Appena la trasformazione del carbone in coke è ultimata (occorrono circa 30 ore) si chiude la comunicazione tra la cella e il collettore del gas, ed il blocco di coke incandescente, aperta la porta, viene spinto fuori coll'aiuto della sfornatrice (4). Richiusa la porta, la cella è pronta per il nuovo caricamento.
Un esempio di forno a rigenerazione di calore è dato dalla batteria Koppers (fig. 6). In questo tipo di forno tutto lo spazio compreso sotto è la suola dei forni fino alla galleria centrale, praticabile, è occupato dai ricuperatori di calore b costituiti da piccole camere ripiene di mattoni refrattarî (chamotte) disposti a forma di griglia. La muratura che separa due celle contigue contiene 30 canali verticali f, suddivisi in due gruppi di 15 canali ognuno per mezzo della parete di separazione h. Ad ogni gruppo fa capo una tubazione di gas ed un ricuperatore b, mentre ogni camera di ricupero è a sua volta collegata, per mezzo del canale c, ai condotti a e o che servono alternativamente per il passaggio dell'aria o dei gas bruciati. L'aria viene spinta nel canale o a mezzo di un ventilatore e, attraverso il registro regolabile d, entra nel ricuperatore b ove, a contatto della muratura al calore rosso, raggiunge la temperatura di circa 1000°; da questa camera, attraverso le aperture e giunge nei 15 canali di sinistra f (non visibili nella figura), ove incendia i gas coi quali viene a contatto negli ugelli di porcellana i. I prodotti della combustione che salgono nei canali verticali vengono condotti verso destra, da dove, scendendo nell'altro gruppo di 15 canali, sono guidati sotto la suola (attraverso e) ai ricuperatori b e al camino. Il senso di movimento dei gas, mediante un'apposita valvola viene invertito circa ogni mezz'ora, per cui il gruppo di camere che prima era attraversato dai gas caldi sarà ora attraversato dall'aria fredda alla quale cederà il calore prima assorbito. Nello stesso tempo i recuperatori opposti, che si erano raffreddati per il passaggio dell'aria, saranno ora nuovamente riscaldati dal passaggio dei gas caldi. La regolazione dell'entrata dell'aria e dell'uscita dei gas combusti avviene a mezzo di registri d, e per di più ogni canale f è munito di un piccolo registro, anch'esso regolabile.
Un'altra forma di ricupero di calore è ottenuta adoperando una parte del gas di distillazione come gas illuminante. A questo scopo non si può però utilizzare tutto il gas ottenuto dalla batteria perché il potere calorifico medio da esso posseduto non sarebbe sufficiente. Sono state, pertanto, costruite batterie di forni riscaldate con gas povero. Un esempio di queste è dato dalla batteria Otto (fig. 7). Usando gas povero per ottenere la temperatura necessaria alla produzione del coke, bisogna riscaldare, prima della combustione, non solo l'aria, ma anche il gas. I ricuperatori sono perciò divisi in due parti, rispettivamente (9 e io) e (11 e 12). Quelli interni (11 e 12) servono al riscaldamento dell'aria che viene aspirata attraverso le aperture (16 e 30). Il gas povero attraverso le condutture (13) e (14) e le valvole (31) e (32) entra nei ricuperatori (9) e (10). Aria e gas, una volta portati ad alta temperatura, sono condotti ai bruciatori di una metà del forno, passando sotto la suola delle celle nei canali (15) e (17). Invertendo la direzione della corrente gassosa a mezzo di apposite valvole, si inverte il funzionamento delle camere, analogamente a quanto è stato descritto per la batteria Koppers. Se per es. il gas e l'aria sono scaldati nelle camere (10) e (12), i gas bruciati entreranno in (9) e (11), e poi per i condotti (28) e (29) passeranno al camino. La valvola (32) è allora chiusa e le (31) e (33) aperte. Se invece di gas povero si dispone di gas di forni, a coke ordinario, tutti i ricuperatori sono adibiti al riscaldamento dell'aria, ed il gas attraverso ai condotii (34, 35, 36) viene condotto al forno nei bruciatori (18) e (22). Le tubazioni (13) e (14) sono in tal caso inutilizzate.
Da ultimo vi sono ancora altri tipi di forni a coke nei quali tutto il gas prodotto viene utilizzato per altri scopi ed il riscaldamento della batteria è ottenuto con gas di gassogeno o di alto forno.
Normalmente per il funzionamento di una batteria dì forni a coke, è sufficiente íl 60%, del gas da essa prodotto: la quantità in eccesso può essere utilizzata in motori a gas (difficoltà di regolazione per l'incostanza della qualità del gas e necessità di frequenti pulizie alle tubazioni), per riscaldamento di caldaie, per scopi metallurgici (riscaldamento di forni Martin) o per illuminazione. Per gas illuminante si usa solamente quello più ricco e cioè proveniente dal primo periodo dell'operazione (2ª ÷ 10ª ora): è però necessario lavare il gas con acqua di calce per togliere lo zolfo in esso contenuto. L'analisi media di un gas di forno a coke prelevato in due distinti periodi di distillazione, è la seguente:
Le batterie dei forni a coke, dal cui gas si ricupera parte delle sostanze in esso contenute e che altrimenti sarebbero perdute nella combustione, non differiscono dalle altre che per il fatto che il gas, prima di essere condotto ai bruciatori, viene raccolto, raffreddato, lavato e fatto passare attraverso appositi impianti che gli sottraggono alcune sostanze.
In generale le sostanze ricuperate sono il catrame, l'ammoniaca, il benzolo e tutti i loro derivati. Il gas raccolto all'uscita delle celle fa capo ad un collettore ove la sua temperatura scende a 350° ÷ 400° e nel quale si ha un primo deposito di catrame. È consigliabile far scorrere sempre sul fondo del collettore del catrame caldo per impedire il deposito di sostanze catramose dure. Il catrame così raccolto viene di solito sottoposto a distillazione frazionata; a 150° si raccolgono gli olî leggeri, tra 150° e 220° gli olî mediamente pesanti, tra 220° e 270° gli olî pesanti, e tra 270° e 400° gli olî di antracene. Il residuo costituisce la pece di carbon fossile. Da queste diverse categorie di olî si estraggono poi altre sostanze. Per es. dagli olî leggieri si estraggono benzolo, toluolo e xilolo; dagli olî mediamente pesanti carbolino e naftalina; dagli olî pesanti olio di creosoto e ancora naftalina. Dalla distillazione del carbone si estraggono poi una grande quantità di altre sostanze quali materie coloranti, esplosivi, disinfettanti, medicinali, ecc.
Dal collettore il gas viene condotto in torri refrigeranti ed in torri di lavaggio dove viene liberato dall'ammoniaca. Dalle acque ammoniacali si ricava poi con opportuni trattamenti l'ammoniaca sotto forma di solfato di ammonio. Il gas, proveniente dai lavaggi per il ricupero dell'ammoniaca, passa in altre torri nelle quali sgocciola olio di antracene che discioglie il benzolo e dal quale viene poi ricavato il benzolo greggio al 50%, mentre l'olio di antracene è pronto a ricominciare il ciclo. Il benzolo greggio viene quindi ulteriormente raffinato.
Per dare un idea del valore e dell'importanza del ricupero dei sottoprodotti basta considerare che da 1000 kg. di carbone da coke avente il 20° di materie volatili e il 5% di ceneri si ricavano: 750 kg. di coke, 25 kg. di catrame, 2,5 kg. di ammoniaca, 4,5 kg. di benzolo e suoi derivati.
Produzione. - La produzione mondiale di coke, nei principali paesi, risulta dalla tabella seguente: