BRUNO, Cola (Nicola)
Nacque a Messina, in un anno non posteriore al 1480, da famiglia di modesta fortuna. Fu conosciuto dal Bembo quando questi si recò a Messina alla scuola di Costantino Lascaris (1492) e ne apprezzò la felice disposizione agli studi. Sul punto di partire dalla Sicilia, si fece promettere da lui che l'avrebbe raggiunto a Venezia in compagnia di Giovan Battista Stato. Allo Stato il Bembo scriveva da Venezia nel 1494 raccomandandogli di portare con sé "Colam puerum".
I due giovani, trasferitisi nel Veneto, attesero allo studio delle lettere a Padova. Qui il B. mena la vita scapigliata degli studenti, forse compone versi licenziosi alla maniera dei classici e fa da segretario al Bembo anche nelle imprese galanti. Da Padova, e dopo qualche soggiorno a Ferrara, si trasferì nel 1507 alla corte di Urbino, dove conobbe presumibilmente Raffaello, e da Urbino a Roma, fissando la sua dimora in questa città sin dal 1512. Fattosi chierico, ottenne nel 1513 da Giulio II la prepositura di Casteldurante. Nell'aprile dell'anno seguente il Bembo gli faceva ottenere il beneficio di una chiesa parrocchiale posta nel territorio di Riese presso Treviso. Da un breve del 7 luglio 1514 si apprende che il B. era rettore di un'altra chiesa situata nella diocesi di Gubbio e sappiamo inoltre che il Bembo gli aveva fatto ottenere un canonicato nella patria Messina. Nonostante queste cariche il B. trovava modo di servire sempre fedelmente e con zelo il suo signore, mentre questi era impegnato in Curia o nell'ambasceria a Venezia (1514) o al seguito del papa alla volta di Firenze e di Bologna (1516).
Nel lungo periodo che va dal 1521 al 1535 mentre il Bembo vive l'esperienza familiare accanto alla Morosina, il B. è impegnato nell'amministrazione dei beni del suo signore: ciò lo costringe a ripetuti viaggi attraverso il Veneto e l'Emilia, e provoca anche qualche blando risentimento da parte del segretario, che accetta però la sorte che gli ha assegnato il destino con prudente e pacifica rassegnazione. Al B. era comunemente riservato il disbrigo delle liti che spesso sorgevano nell'amministrazione dei beni; sceglieva le persone di fiducia e sovrintendeva ai lavori nelle campagne; attendeva alla costruzione o ai restauri delle case del Bembo, guadagnandosi dal signore il bonario titolo di "buon architetto"; aiutava inoltre il Bembo come copista e bibliotecario, come consulente, al quale il poeta ricorreva per ottenere giudizi.
Un'altra mansione ancor più delicata che il fedele B. assolse fu quella di revisore ed editore degli scritti del Bembo. Durante il 1525, l'anno della pubblicazione delle Prose della volgar lingua, il B. si trasferì a Venezia e, insieme a Bernardo Cappello, attese dal luglio al settembre alle operazioni di stampa. Giornalmente il Bembo gli inviava correzioni e aggiunte e il B. pazientemente sorvegliava che le sue volontà fossero rispettate dagli editori. Similmente operò tra il 1525 e il '30 allorquando il Bembo preparava la stampa delle Rime e pensava a una generale revisione di tutte le opere volgari e latine composte negli anni precedenti. Gli amici del letterato si davano un gran da fare per procurarsi suoi inediti e a tal fine si rivolgevano spesso al fido segretario lusingandolo e cercando di estorcergli qualche primizia.
Questi incarichi servivano a stringere sempre di più i rapporti di amicizia tra il Bembo e il Bruno. Il segretario era l'ombra del suo padrone: partecipava alle riunioni familiari più intime, seguiva il Bembo nelle passeggiate e nelle villeggiature in campagna. Agli occhi di Carlo Gualteruzzi i due apparivano come fratelli, inseparabili nel lavoro come negli svaghi.
Di tali rapporti assolutamente familiari rimangono varie testimonianze fra i documenti del Bembo. Nel 1525 il fratello del B., frate Francesco, era stato costretto ad abbandonare la Sicilia, ed ecco che il Bembo scrive al viceré Ettore Pignatelli, invocando giustizia per il frate messinese. Rimane anche testimonianza di aiuti materiali spediti dal Bembo ai familiari del B. in Sicilia, irritandosi col messinese ogni qual volta si accennasse minimamente a un tentativo di restituzione.
Quando il Bembo fu eletto cardinale, il primo pensiero fu quello di trasferire a Roma anche i figli: in tal senso scriveva a Pietro Avila esprimendogli il desiderio di avere con sé anche il Bruno. Senonché ben presto si accorse che sarebbe stato poco gradito a Roma lo spettacolo di un cardinale che giungeva in Curia col corteggio di una famiglia illegittima e cambiò progetto; lasciò i figli a Padova affidandoli alle cure del B., che da questo momento assolse il compito di educare i figli che il veneziano aveva avuto dalla Morosina: Torquato ed Elena (Lucilio era morto nel 1532). Insieme con Torquato altri giovani, figli di amici del Bembo, vivevano a Padova in familiare dimestichezza col B.: primo fra tutti Goro, figlio di Carlo Gualteruzzi, che frequentava le pubbliche lezioni di Lazzaro Buonamici sul De oratore di Cicerone, studiava in privato Luciano e la grammatica greca di Teodoro Gaza, e ascoltava infine le lezioni domestiche del B. su Virgilio e le epistole di Cicerone.
Per l'educazione di Torquato il Bembo e Cola pensarono a Benedetto Lampridio che insegnava a Ferrara; alla morte del Lampridio, Torquato fu affidato, sotto la sorveglianza del B., alle cure di Angonio Fiordibello. Il Bembo preparava da Roma i programmi di studio per il figlio; il B. avrebbe dovuto assistere alla loro rigorosa esecuzione da parte del Fiordibello. Cure ancor più amorose furono riservate ad Elena. Il Bembo volle impartirle un'educazione severa: scrivendo al B. si mostrava soddisfatto della scelta di Giovanni Alciato quale maestro di grammatica e si rallegrava alla notizia che ella sapeva comporre versi latini.
Tra le varie incombenze alle quali il B. si sottoponeva per amore del Bembo, il messinese trovava un'oasi di tranquillità fra i diletti libri, in un sereno colloquio con gli amici che erano, naturalmente, gli intimi del suo signore. Conobbe Gian Matteo Giberti, e strinse rapporti con Benedetto Lampridio e il Bonfadio. Ebbe anche familiarità con Giambattista Raniusio, con Trifon Gabriele, col Mezzabarba, il Beazzano e il Tebaldeo. Tra i personaggi più in vista nell'ateneo padovano strinse rapporti di amicizia con Leonico Tomeo e con Sperone Speroni. Dei letterati fiorentini conobbe il Sensi, Ugolino Martelli, Alberto del Bene e naturalmente Benedetto Varchi. Familiarissimo fu di Ludovico Beccadelli, il futuro vescovo di Ragusa che si era recato nel '28 a Padova insieme a Giovanni Della Casa. Al Beccadelli il B. inviava spesso notizie sulle novità letterarie del momento e lo informava sui progressi dello Studio di Padova.
Quando si costituì in questa città, intorno al 1540, l'Accademia degli Infiammati in onore del Bembo e per opera dei suoi seguaci, il B. fu tra gli animatori delle riunioni accademiche in cui si leggevano e si commentavano le rime toscane del maestro.
In questo periodo le condizioni di salute del B. erano già molto precarie. Il Bembo chiedeva spesso notizie di lui, gli mandava consigli e ricette mediche, ma era ben lontano dal supporre la fine assai prossima dell'amico. Prova ne sia che nel primo testamento redatto egli nominava il B. uno dei commissari, lo faceva curatore dei figli e delle sostanze; a lui infine raccomandava tutti i suoi scritti, sia latini sia volgari, dandogli la più ampia facoltà di scelta per quel che riguardava le future stampe. Agli inizi del 1542 le condizioni di salute del B. peggiorarono gravemente. Si spense verso la metà di maggio del 1542.
L'opera del B. è tutta nella collaborazione col Bembo, una collaborazione assidua, incondizionata, incomparabilmente fedele, che si protrasse per tutta la vita. Ciò vietò al B. un'attività letteraria originale, anche se è da supporre che qualche poesia, composta dal messinese in età giovanile, alla corte di Urbino o presso l'Accademia degli Infiammati, sia andata perduta.
Delle sue rime in volgare conosciamo un solo sonetto, pubblicato dal Cian in appendice alla monografia sul B., in risposta ad un altro del Beazzano. Tra le rime in latino ci è invece pervenuto (perché stampato negli Elogia del Giovio) un epigramma scritto per la morte del Tebaldeo su invito del Bembo. Un esiguo manipolo di lettere è pubblicato dal Cian in appendice alla cit. monografia.
Bibl.: Notizie sul B. sono sparse in gran parte nella bibliografia bembiana e soprattutto in V. Cian, Un decennio della vita di M. P. Bembo, Torino 1885, passim; un'esauriente ricognizione di fonti è il lavoro dello stesso Cian, Un medaglione del Rinascimento. C. B. messinese e le sue relazioni con Pietro Bembo, Firenze 1901; cfr. inoltre B. Morsolin, Pietro Bembo e Lucrezia Borgia, in Nuova antologia, 10 ag. 1885, pp. 388 ss.; G. Toffanin, IlCinquecento, Milano 1954, ad Indicem.