COLA di Alessandro
Nacque da messer Alessandro a Perugia, nel quartiere di Porta San Pietro, verso la fine del sec. XIII. Ebbe almeno due figli, Iacopo e Niccolò, eletti tra gli "offitiales et sapientes" dello Studio perugino, l'uno il 15 genn. 1376, l'altro il 16 febbraio dello stesso anno, annullate l'11 le precedenti elezioni. Personalità di rilievo nella vita cittadina, durante la guerra sostenuta dal Comune di Perugia contro Pietro Saccone de' Tarlati di Pietramala, signore d'Arezzo, C. sul finire del 1336 fu inviato dalla sua città in qualità di podestà al castello di Lucignano (presso Borgo San Sepolcro), che si era dato spontaneamente ai Perugini per qualche tempo. L'8 sett. 1344 insieme con Bindolo di Munaldolo e Pietro di ser Guido, alla testa di "gente soldate" (Diario del Graziani, p. 134), andò ad impadronirsi di Castiglione Aretino, la cui fazione guelfa aveva deciso di passare a Perugia, quando, all'indomani della caduta della signoria del duca d'Atene, alcune città della Toscana si ribellarono a Firenze nel tentativo di riconquistare la loro autonomia. C. prese possesso del castello di Castiglione, ma la rocca, favorevole a Firenze, non volle arrendersi. Si ignorano altre notizie della sua vita e la data della sua morte.
Di C. ci è pervenuto un solo sonetto ("Amico, sappie l'uso de Spolite") a c. 72v del cod. Vat. Barb. lat. 4036, che nella prima sezione, databile tra il 1345 ed il '47 (Salvatorelli, pp. 5-9), tramanda il canzoniere dei poeti perugini Marino Ceccoli, Cecco Nuccoli, Neri Moscoli, Gilio Lelli ed altri di minor rilievo, vale a dire il panorama quasi completo della singolare rimeria perugina tra il 1320 e il 1350, il periodo di maggiore impegno politico e culturale di Perugia. La composizione di versi da parte di questi rimatori, tutti ragguardevoli cittadini partecipi e responsabili della vita del Comune, fu una attività occasionale: il libero abbandonarsi al gusto dello scherzo e della burla, l'assunzione consapevole e scaltrita della tematica giocosa e burlesca e dei modi espressivi della tradizione comica, in cui deformarono poeticamente i dati reali della loro vita pubblica e privata.
Il sonetto di C. pubblicato per la prima volta da L. Allacci nella sua raccolta di Poeti antichi (Napoli 1661, p. 288), e poi dal Massera nel 1920 (n. ediz., 1940, pp. 279 s.) e dal Marti nel 1956 (p. 770) - è in tenzone con il più angiolieresco dei giocosi perugini, Cecco Nuccoli, ed è molto vicino ai modi più tipici e consacrati della poesia in stile comico, quella più grossolanamente e sboccatamente offensiva. Rivolgendosi all'amico ser Cecco, C. forse per vendicarsi di una spoletina che lo aveva respinto accusa con pungente insistenza tutte le donne di Spoleto di rapporti innaturali, per cui lì si è costretti a "castità servare / e l'arte frequentar di' sodomite" (vv. 3 s.). Vi sono donne belle - aggiunge -, ma della corte degli uomini se ne curano meno che di filare si curi una donna ubriaca, tanto sono avvezze a "sì mal'uso" (v. 11). Prega, pertanto, l'amico di mandargli qualche frottoletta, "ché noi non perïam sì de nighetta [noia]" (v. 14). Il contenuto del sonetto farebbe supporre che C. abbia soggiornato per qualche tempo in Spoleto. La risposta in rima del Nuccoli (un sonetto mutilo delle terzine) rincara sdegnosamente la dose: gli Spoletini, se C. ben ricorda, furono già puniti per le loro cattive abitudini: alcuni morirono di fame durante l'assedio subito da parte dei Perugini tra il 1322 ed il '24, altri furono arsi vivi, altri conobbero l'ira divina che fece "l'aire e la terra tremare" (v. 7: Marti, p. 771). La lingua del sonetto di C. rivela l'ibridismo tipico dei rimatori provinciali del Trecento, dei perugini in particolare, nei cui versi giocosi l'elemento letterario fiorentino convive con il volgare paesano.
Prima che il Tommasini Mattiucci (Nerio Moscoli da Città di Castello antico rimatore sconosciuto, Perugia 1897, p. 132) lo menzionasse tra i rimatori perugini della prima metà del Trecento, C. era citato come cavaliere napoletano e poeta volgare delle origini della nostra lirica nei vari N. Toppi (Biblioteca napoletana, Napoli 1678, pp. 67, 220), G. M. Crescimbeni (Commentari intorno alla sua istoria della volgar poesia, IV, Roma 1711, p. 55), G. B. Tafuri (Istoria degli scrittori nel Regno di Napoli, II, Napoli 1748, pp. 410 s.), G. M. Mazzucchelli (Scrittori d'Italia, I, 1, Brescia 1753, p. 458), G. G. Origlia (Istoria dello Studio di Napoli, I, Napoli 1753, p. 122), E. D'Afflitto (Memorie degli scrittori del Regno di Napoli, I, Napoli 1782, pp. 185 s.), C. Minieri Riccio (Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 11), F. Zambrini (Le opere volgari a stampa del secoli XIII e XIV, Bologna 1878, col. 284).
Fonti e Bibl.: P. Pellini, Dell'Historia di Perugia, I, Venezia 1678, p. 537; Cronaca dellacittà di Perugia dal 1309 al 1491nota col nomedi Diario del Graziani, a cura di A. Fabretti, in Arch. stor. ital., XVI (1850), parte 1, p. 117; Documenti per la storia dell'Univers. di Perugia, in Giornale di erud. artistica, VI (1877), pp. 289 s.; Mariano del Moro speziale, Memorie di Perugia dall'anno 1309 al 1379, in Cronache dellacittà di Perugia, a cura di A. Fabretti, I, Torino 1887, p. 86; Sonetti burleschi e realistici dei primidue secoli, a c. di A. F. Massera, Bari 1920 (nuova ediz. a cura di L. Russo, Bari 1940, pp. 279 s., 360); L. Salvatorelli, La politica interna di Perugiain un poemetto volgare della metà del Trecento, in Boll. d. Deput. di st. patria per l'Umbria, L (1953), pp. 5-9, 60-109 passim; Poeti giocosi del tempo di Dante, a c. di M. Marti, Milano 1956, pp. 11-25, 761-764, 770 s.; I. Baldelli, Lingua e letter. di un centro trecentesco: Perugia, in Rass. dellaletter. ital., s. 7, LXVI (1962), pp. 3-21; M. Marti, Dante e i poeti perugini del Trecento, in Con Dante fra i poeti del suo tempo, Lecce 1966, pp. 95-125; A. Bruni Bettarini, Postille ai poetiperugini del Trecento, in Studi di filol. ital., XXIX (1971), pp. 147-89.