COLA di Petrucciolo (Petruccioli)
La personalità di C. era del tutto sconosciuta quando G. Rosini (1841) riferiva la firma "Cola de Urbevetere" letta su un quadretto di una collezione romana (poi identificato dal Longhi, 1962, come la tavola entrata nella collezione Cini di Venezia). La sua figura cominciò ad assumere concretezza storica e artistica tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, attraverso la pubblicazione dei documenti del duomo di Orvieto da parte del Fumi (1891) e le ricerche del Cristofani (1907), dello Gnoli (1923, 1923-24), del Van Marle (1923-24, 1925).
Aiuto di Ugolino di Prete, Ilario nella decorazione della tribuna del duomo di Orvieto dal 1372 al 1378, C. collaborò nel 1380 con Andrea di Giovanni dipingendo nell'abside un finto coro in sostituzione del precedente coro ligneo che era collocato nella navata, davanti all'altare. Nello stesso anno firmava "...Colaus Petrucciol..." la Crocefissione ad affresco sulla parete dell'altare nella cripta del duomo. Un piccolo dittico (Crocefissione e Incoronazione della Vergine) firmato e datato 1385 (ma l'ultima cifra, riferita dalle fonti, non risulta più leggibile: si cfr. ora la recentissima proposta di lettura, 1391, di C. Fratini, 1978, p. 67) si conserva nella Pinacoteca comunale di Spello, proveniente da S. Maria Maggiore; nella stessa chiesa si trova un affresco, firmato, con l'Orazione nell'orto (ibid., pp. 68 s.). Un altro trittico firmato è stato reso noto dallo Zeri (1976). Una lunetta affrescata all'esterno dell'ex chiesa di S. Lorenzo ad Assisi reca la firma: "Chola pictor" e si deve con tutta probabilità collegare con il soggiorno dell'artista ad Assisi che risulta documentato nel 1394 (Brizi, 1898). Due tavole raffiguranti S. Fabiano e S. Rocco nella chiesa di S. Agostino a Narni, firmate "Cola de orto pinxit MCCCLXXXX", non esistevano già più quando ne dava notizia G. Eroli (1898; cfr. ora Cotini, 1977). A partire dal 1380 circa C. dovette trasferirsi a Perugia, e lì esercitare la sua attività per un ventennio, morendovi nel 1401, anno in cui risulta attivo in S. Domenico: è quanto si apprende da un documento del 31 marzo 1408 reso noto dallo Gnoli (1923-24), in cui il figlio di C., Policleto, supporta la propria domanda di cittadinanza a Perugia (vedi anche Mariotti, 1788).
Quanto alla fisionomia stilistica di C., il primo tentativo di analisi fu quello del Berenson (1918), che lo ambientò nella sfera senese della seconda metà del sec. XIV, al seguito di Andrea Vanni, di Bartolo di Fredi e soprattutto di Paolo di Giovanni Fei. Tale impostazione fu sostanzialmente accettata dalla critica (De Nicola, 1919; Salmi, 1921; Gnoli, 1923; Van Marle, 1923-24, 1925), anche se i numeri del breve catalogo ricostruito dal Berenson erano discussi e in parte respinti, e se venivano proposte aggiunte in direzione della cultura locale umbro-orvietana.
Dalla posizione di piccolo maestro subordinato all'influsso senese C. doveva tuttavia emergere completamente solo molto più tardi, quando il Longhi (1962) ne rivalutò la figura indicandolo come uno dei maggiori protagonisti della scuola orvietana, al seguito di Ugolino di Prete Ilario e accanto ad un artista del livello di Piero di Puccio. Su tale linea di interpretazione proseguirono anche il Previtali (1966) che gli riconobbe l'intero ciclo decorativo staccato da un palazzo di Perugia e trasferito al Museo di Budapest, il Donati (1969, 1975, 1977) e il Boskovits (1973) che ne ampliarono sensibilmente il catalogo, il Carli (1965, 1968, 1977) che gli assegnò larga parte nei cicli di recente restaurati nell'eremo di Belverde presso Cetona. A questo punto degli studi la personalità di C. si può dunque delineare su una base ormai cospicua di opere documentate o attribuite con un largo margine di sicurezza.
Se i documenti lo citano come aiuto di Ugolino di Prete Ilario dal 1372 al '78, con una paga giornaliera che va gradualmente aumentando negli anni, si può concludere che quello sia il periodo iniziale di C., il quale con la sua prima opera firmata e datata, la Crocifissione affrescata nella cripta del duomo di Orvieto, si dichiara strettamente legato ai modi del suo maestro Ugolino, arricchiti però di un'elegante sensibilità gotica che gli viene probabilmente dagli esempi dei pittori viterbesi, primo fra tutti Matteo Giovannetti. Allo stesso anno risale la collaborazione con il collega (probabilmente più anziano) Andrea di Giovanni, che, per quanto più debole come artista, esercitò un certo influsso sui modi di C. durante le non poche imprese comuni: nel ciclo allegorico del Museo di Budapest (proveniente da casa Morlacchi a Perugia), databile negli anni '80, è stata infatti recentemente sottolineata anche la presenza di Andrea di Giovanni (Boskovits, 1973), che è del resto attivo accanto a C., a Piero di Puccio e ad un quarto maestro ancora anonimo negli affreschi dell'eremo di Belverde databili verosimilmente nello stesso decennio; il confronto tra la Crocefissione nel duomo di Orvieto del 1380 e l'affresco dello stesso soggetto nell'oratorio inferiore di Belverde sembra indicativo in proposito: il disegno si è fatto più disinvolto e il chiaroscuro più morbido, ma la composizione è ancora costruita sul contrasto fra la figura slanciata e articolata del Cristo e le masse dei due dolenti. Stilisticamente vicino a questo gruppo è il dittico di S. Maria Maggiore a Spello. Nello stesso giro di anni si colloca bene anche la tavoletta, descritta dal Rosini e ora a Venezia nella collezione Cini, con la Madonna in trono e quattro sante, nonché l'affresco con il Crocefisso in S. Giovenale a Orvieto, restituito a C. dal Donati (1969).
Anche se la successione cronologica della sua produzione non è affatto pacifica, il linguaggio di C. fra 1380 e '90 si svolge da una partenza legata ai modi di Ugolino di Prete Ilario, il cui elegante raccontare viene interpretato nella Crocefissione del duomo di Orvieto con una accentuata e aspra monumentalità, verso soluzioni più preziose dove il gusto per la decorazione minuta, che ha fatto pensare a una derivazione senese, si unisce ad un linearismo sciolto ma sempre controllato che offre larghe superfici al colore. Così nelle piccole opere su tavola come nelle grandi composizioni ad affresco nel Museo di Budapest e nell'oratorio inferiore dell'eremo di Belverde, dove sono suoi con ogni probabilità, secondo l'analisi del Carli (1977), la Crocefissione con i ss. Romualdo e Giacomo minore, i cinquemedaglioni della volta con la Madonna col Bambino e i quattro Evangelisti, l'Annunciazione e probabilmente anche l'Angelo annunciante nello spessore dell'arcone, il Redentore benedicente e le Stimmate di s. Francesco; mentre la bellissima figura di S. Michele arcangelo che pesa le anime viene assegnata dal Donati (1977) ad Andrea di Giovanni.
A Belverde è presente, nell'oratorio inferiore e più largamente nell'oratorio del Salvatore, anche Piero di Puccio, ed è probabile che il contatto con questa personalità di primo piano che circa in quegli anni, fra 1389 e '91, raggiungeva nel Camposanto di Pisa la piena maturità espressiva, abbia contribuito al graduale mutamento che si osserva nelle opere di C. documentate nell'ultimo decennio del secolo, e in quelle ad esse riconducibili.
L'affresco nella lunetta esterna dell'ex chiesa di S. Lorenzo ad Assisi databile al 1394; gli affreschi di S. Claudio a Spello (in pessimo stato di conservazione), cui sembra riferibile la data 1393 leggibile nel catino dell'abside; il Martirio di s. Pietro martire in S. Domenico a Perugia datato 1396, e i frammenti restanti, fra cui il bellissimo Autoritratto del pittore, nella cappella maggiore di S. Domenico a Perugia, forse riconducibili alla sua attività lì documentata nel 1401, attestano questa maturazione in senso plastico e naturalistico, dove il chiaroscuro modella con massiccia potenza le forme articolate da una capacità d'osservazione quasi prerinascimentale. Che il rapporto con Piero di Puccio sia prevalentemente un rapporto di dipendenza sembra attendibile, data la grandezza del pittore e dato che con tutta probabilità si tratta di un maestro più anziano. Ma non è neppure da escludere che proprio a Belverde, dove "nell'Oratorio inferiore, in certi passaggi, un Cola può quasi scambiarsi per un Piero di Puccio" (Donati, 1975, p. 22), si sia trattato di un arricchimento reciproco.
Le opere restituite finora a C. confermano le notizie documentarie sulla sua origine orvietana e sulla sua attività nella regione di Perugia, ma permettono anche di apprezzare l'apertura e la complessità della cultura dell'artista, che se è stato giustamente sganciato dalla scuola senese della seconda metà del Trecento, ristabilisce tuttavia innegabili rapporti con Siena nella persona di Taddeo di Bartolo. E la presenza del gruppo di pittori orvietani negli oratori dell'eremo di Belverde, in territorio senese, influenza in modo ancora da valutare in pieno anche certi aspetti della produzione pittorica locale, ad esempio l'affresco frammentario con la Madonna col Bambino in S. Agnese a Montepulciano, e l'altro con la Madonna col Bambino nella collegiata di S. Giovanni Battista a Chianciano.
Di alcune delle opere in passato raccolte sotto il nome di C., le attribuzioni si possono così rettificare: il trittico del Metropolitan Museum di New York, nonché il trittico di Firenze, collezione Loeser (Berenson, 1918) sembrano di un maestro senese intorno al 1400; la tavola - della collezione Liechtenstein a Vienna (Berenson, 1918) è da riconoscere probabilmente a Gregorio di Cecco, come pure l'Assunta di Bettona (Berenson, 1918; ma vedi De Nicola, 1919); l'affresco da S. Rufinuccio ad Assisi (Gnoli, 1923) è opera ormai riconosciuta di Puccio Capanna; la tavola della chiesa dell'Istrice a Siena, oggi nella coll. del Monte dei Paschi di Siena (De Nicola, 1919), è opera del Maestro di Panzano (B. Berenson, 1930; Id., Ital. Pictures of the Renaissance,Central Italian and North Italian Schools, London 1968, p. 255); il trittico con Storie di Cristo oggi conservato nella galleria di Trevi (Gnoli, 1923) è opera di Giovanni di Corraduccio (Longhi, 1962); il trittico della collezione Leuchter a Monaco (Santi, 1964) risulta anch'esso opera di Giovanni di Corraduccio (Previtali, 1966); l'affresco con Annunciazione e Natività (Berenson, 1918) è vicino a Ugolino d'Ilario (Longhi, 1962); l'affresco con due Santi datato 1398 in S. Agostino a Perugia (Salmi, 1921) è opera di Piero di Puccio (Boskovits, 1973).
Sul trittichetto del Metropolitan Museum e su quello del Monte dei Paschi cfr. ora: P. Torriti, La Pinacoteca nazionale di Siena. I dipinti dal XII al XV sec., Genova 1977, pp. 191, 210 (vedi anche la rec. di F. Zeri, in Antologia di belle arti, VI [1978], p. 151).
Bibl.: A. Mariotti, Lettere pittoriche perugine, Perugia 1788, pp. 69 s.; G. Rosini, Storia della pittura ital., III (1841), Pisa 1850, pp. 130 e n. 17, 143; L. Fumi, Il duomo di Orvieto e i suoi restauri, Roma 1891, pp. 275, 366, 388 s.; A. Brizi, Della Rocca di Assisi, Assisi 1898, p. 162; G. Eroli, Descriz. delle chiese di Narni, Narni 1898, p. 304; A. Venturi, Storia dell'arte ital., V, Milano 1907, p. 839; G. Cristofani, Un dittico ined. di C. Petruccioli da Orvieto, in Augusta Perusia, II (1907), pp. 54-56; M. H. Bernath, Notes on Central Italian painters, in Amer. Journal of Archaeol., XV (1911), pp. 340 s.; B. Berenson, A Sienese little known painter in America and elsewhere, in Art in America, II (1918), pp. 69-82; G. De Nicola, Studi sull'arte senese, in Rassegna d'arte, XIX (1919), pp. 99 s.; M. Salmi, Gli affreschiricordati dal Vasari in S. Domenico di Perugia, in Boll. d'arte, XV (1921), pp. 421, 424 e fig. 32; U. Gnoli, Pittori e miniatori nell'Umbria, Spoleto 1923, pp. 85-87; Id., La data di morte di C. Petruccioli, in Boll. d'arte, XVI (1923-24), p. 335; R. Van Marle, La scuola pittor. orvietana del '300,ibid., pp. 310-322; Id., The development of theItalian schools of painting, V, The Hague 1925, pp. 100-107; B. Berenson, Quadri senza casa. Il Trecento senese, II, in Dedalo, XI (1930), pp. 360 ss.; F. Zeri, Un pittore di Narni del 1409, in Paragone, IX (1958), 97, p. 8; R. Roli, Considerazioni sull'opera di O. Nelli, in Arte antica e moderna, 1961, 13-16, pp. 117-118; R. Longhi, Tracciato orvietano, in Paragone, XIII (1962), 149, pp. 3 s., 8-11; F. Santi, Un capolavoro orvietano, in Pantheon, XXII (1964), pp. 357-362; E. Carli, Il duomo di Orvieto, Roma 1965, pp. 87, 96 s.; G. Previtali, Affreschi di C. Petruccioli, in Paragone, XVII (1966), 193, pp. 33-43; E. Carli, Affreschi trecenteschi umbri interrit. senese, in Storia e arte in Umbria nell'etàcomunale. Atti del VI Convegno di studi umbri, 1968, Perugia 1971, pp. 101-113; P. P. Donati, Inediti orvietani, in Paragone, XX (1969), 229, pp. 9-11; M. Boskovits, Pittura umbra e marchigiana fra Medioevo e Rinascimento, Firenze 1973, pp. 20-22, 40 s.; P. P. Donati, Pietro di Puccio: un breve ciclo di affreschi, in Paragone, XXVI (1975), 299, pp. 19-22; F. Zeri, Appunti orvietani: C. Petruccioli e Piero di Puccio, in Diaridi lavoro 2, Torino 1976, pp. 15-18; P. Scarpellini, Giovanni di Corraduccio, Foligno 1976, passim (rec. di E. Neri Lusanna, in Paragone, XXIX [1978], 335, pp. 98 n. 3. 102); E. Carli, Gli affreschi di Belverde, Firenze 1977, pp. 7-12; D. G. Cotini, La chiesa di S. Agostino in Narni, Nami 1977, p. 18; P. P. Donati, Andrea diGiovanni a Belverde, in Scritti di storia dell'artein onore di Ugo Procacci, Milano 1977, pp. 172-176; C. Fratini, C. Petruccioli a Spello, in Esercizi... (Perugia), I (1978), pp. 57-76; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 184.