PROCACCI, Cola
PROCACCI, Cola. – Figlio di Lemmo, nacque a San Severino Marche (Macerata) intorno alla fine del XIV secolo, da una famiglia appartenente alla élite sociale e politica della cittadina marchigiana.
Cecco di Bongiovanni Procacci e Bartolomeo di Lemmo Procacci furono consoli del Comune di San Severino nel 1365, il primo, quale rappresentante per l’arte dei calzolai, il secondo, per la corporazione dei fabbricanti di pannilana. Anche Lemmo, padre di Cola, ricoprì una magistratura comunale durante il bimestre giugno-luglio 1415. Tra i personaggi illustri della famiglia va ancora annoverato Giacomo Procacci che appartenne all’Ordine dei crociferi e fu eletto vescovo di Sarsina da papa Bonifacio IX nel 1397.
Cola, per quanto dedito alla carriera delle armi, seguendo la politica degli Smeducci, allora vicari a San Severino per la Chiesa di Roma, non trascurò né le lettere né il diritto, e si laureò in utroque iure. Nel 1427, dopo la fine della signoria degli Smeducci, venne nominato prefetto di Barbara, un castello nel territorio jesino, dal commissario e tesoriere della Marca Astorgio degli Agnesi vescovo di Ancona, che aveva avuto modo di apprezzare le sue qualità.
Negli anni successivi, intervenne incisivamente nella Marca di Ancona Francesco Sforza, capitano allora al servizio di Filippo Maria Visconti duca di Milano: nel 1433, invase la regione dicendosi inviato dal Concilio di Basilea contro il papa Eugenio IV. Il Comune di San Severino trattò la propria dedizione (capitoli del 23 dicembre 1433), ottenendo il mantenimento dei propri privilegi e statuti, nonché l’impegno alla riconsegna del castello di Gagliole che era stato occupato dai Da Varano signori di Camerino.
Qualche anno dopo (giugno 1436) Procacci fu nominato castellano proprio di quella rocca, che rivestiva grande importanza strategica, con una paga di otto libbre al mese.
La sua contiguità agli Sforza è confermata dagli incarichi e dalle ambasciate affidategli da Alessandro Sforza (sempre a fianco di Francesco); inviandolo nel giugno del 1438 a Fabriano, Sforza si esprimeva eloquentemente nella lettera di accompagno indirizzata ai magistrati della città: «In tucto li darite fede como a la nostra propria persona» (Gianandrea, 1895). Proprio con Alessandro Sforza, due anni più tardi (giugno 1440), Procacci trattò l’elezione del podestà di Osimo; e a nome del Comune di San Severino fu inviato a Fermo dal tesoriere della Marca per il ritiro delle quietanze delle taglie già pagate, poi a Jesi per alcune suppliche e infine a Fabriano per esigere 50 ducati da quel Comune per la vendita di grano. A ottobre dello stesso anno venne inviato a Norcia, con lettere di Alessandro Sforza e del Comune, affinché quella città rimuovesse una serie di rappresaglie che aveva imposto contro i sanseverinati.
Nel 1443-44 Procacci affrontò abilmente una difficile congiuntura, riuscendo a restare a galla in una serie ripetuta di cambi di regime.
L’alleanza tra papa Eugenio IV, Niccolò Piccinino e Alfonso d’Aragona portò quest’ultimo insieme a un forte esercito nelle Marche, con l’obiettivo di cacciare lo Sforza; nell’agosto del 1443 fu posto assedio a Colleluce, castello presso San Severino. Essendosi lo Sforza ritirato verso Cingoli, il Comune di San Severino si sottomise ad Alfonso, che entrò in città (accompagnato da Smeduccio di Antonio Smeducci, l’ex signore desideroso di rivincita) ed emanò un proclama esortando i popoli delle Marche ad assoggettarglisi, imitando i sanseverinati. Il successivo arrivo di Onofrio vescovo di Melfi, fratello di Smeduccio (e già vicario papale a Roma), rafforzò la posizione degli Smeducci che coltivarono l’obiettivo di recuperare il conteso castello di Gagliole dalle mani di Pierbrunoro da San Vitale, capitano sforzesco.
Ciò accadde il 1° ottobre 1443, e l’anno successivo Procacci, accostatosi allo Smeducci (che aveva riassunto il dominio della città come vicario della Chiesa), venne nominato castellano di quella rocca «a petitione di messer Smeduccio», come dichiara egli stesso nella sua cronaca (16 agosto 1444). Nelle settimane successive (a partire dal 7 settembre 1444), sempre in merito alla custodia di Gagliole, Procacci carteggiò prima con Onofrio Smeducci e, poi, con il cardinale camerlengo Ludovico Scarampi, con Malatesta Novello dei Malatesta e con Antonio de Vida da Padova, commissario pontificio; ma nel frattempo (18 agosto) Francesco Sforza aveva sconfitto di nuovo l’esercito della Chiesa e cacciato nuovamente Smeducci (24 agosto). Fu dunque a Sforza (nelle settimane successive riconciliatosi con il papa, con l’accordo di poter tenere in propria giurisdizione ciò che avesse recuperato nella Marca sino a metà ottobre) che Procacci dovette riconsegnare Gagliole, in ossequio alle capitolazioni stipulate (lettera del cardinale camerlengo Ludovico Scarampi, 9 dicembre 1444, eseguita il 25 dicembre nelle mani di Galeotto Agnesi da Napoli, procuratore di Sforza).
Quale riconoscimento della sua prudenza il pontefice designò Procacci a podestà di San Gemini in Umbria (1° marzo 1445), e successivamente, il 1° agosto 1446, di Castro nel Viterbese. Negli anni successivi, tuttavia, per problemi di salute e per attendere alla stesura della sua cronaca, Procacci preferì ritirarsi a San Severino, accettando solo occasionalmente qualche carica in circostanze particolari (il 5 luglio 1452, con il salario di due fiorini, la castellania di Pitino, fortilizio sanseverinate minacciato dalla vicina Montecchio, oggi Treja; il consolato nel gennaio-febbraio 1468 e nel maggio-giugno 1471).
Il nome di Procacci è soprattutto legato a un testo cronistico, di modesta estensione, che tipologicamente sta a metà fra le ricordanze private e la narrazione di eventi della storia politica. Nel XVIII secolo la sua cronaca manoscritta, che si conservava presso la biblioteca privata del nobile Angelo Cancellotti, venne trascritta dallo studioso Bernardino Crivelli e questa copia, dopo che l’originale è andato perduto, è stata edita per la prima volta nel 1974. In essa vengono narrati soprattutto gli avvenimenti cittadini a partire dall’8 maggio 1415 fino al 17 giugno 1474. Fra questi estremi cronologici sono registrati anche tutti i più importanti avvenimenti marchigiani dell’epoca: dalle prime avvisaglie di decadenza delle signorie (gli Smeducci cacciati da San Severino, la rivolta dei fermani contro Gentile da Mogliano, la truce uccisione dei Chiavelli a Fabriano), alle imprese di Francesco Sforza e Nicolò Piccinino, fino al definitivo ritorno della regione sotto l’autorità papale. Gli accadimenti vengono narrati da Procacci con immediatezza e stile stringato, ma non sempre con imparzialità. Di essa si sono giovati vari scrittori di ogni età.
Per la storia di San Severino questa Cronica costituisce naturalmente una fonte tra le più preziose, da un lato perché abbraccia uno dei periodi più tormentati della storia del Comune, dall’altro perché contiene una grande quantità di notizie minute che difficilmente potrebbero essere ricavate dai documenti ufficiali.
La data di morte di Procacci non è nota, tuttavia è probabile che debba essere collocata non molto dopo il giugno del 1474, quando le sue annotazioni cronistiche si interrompono.
Fonti e Bibl.: San Severino, Biblioteca comunale, Mss., 18: V. Cancellotti, Historia dell’antica città di Settempeda, cc. 39v-40v; 44, vol. B: B. Crivelli, Frammenti di memorie manoscritte, pp. 2-10; 51: G. Margarucci, Cenni biografici di alcuni Uomini Illustri Settempedani (alla voce Procacci Cola); 72: G. Ranaldi, Catalogo di codici e memorie mss. possedute da me Giuseppe Ranaldi arpinate, p. 57; G. Colucci, Delle Antichità picene, XIII, Fermo 1791, pp. CIX-CXIII; G.C. Gentili, De Ecclesia Septempedana, III, Macerata 1838, pp. 201 s.; S. Servanzi Collio, Documenti inediti e notizie a provare che innanzi al secolo XIV il municipio di Sanseverino-Marche teneva scuole e convitti per educare ed istruire la gioventù, Camerino 1877, pp. 50 s.; A. Gianandrea, Della signoria di Francesco Sforza nella Marca secondo le memorie e i documenti dell’Archivio settempedano, in Archivio storico lombardo, s. 2, XII (1885), pp. 327 s., 476, 484; Id., Nuovi documenti sforzeschi fabrianesi, in Archivio storico italiano, s. 5, XVI (1895), 4, p. 237; V.E. Aleandri, Nuovi documenti sforzeschi tratti dalle storie e cronache di Sanseverino-Marche, in Arte e storia, XX (1901), 9-10, pp. 55-57.
S. Servanzi Collio, Di alquanti Vescovi nati in Sanseverino dopo il secolo XIII. Memorie, Macerata 1846, pp. 6 s.; D. Valentini, Saggio di bibliografia storica della città di Sanseverino nelle Marche, Sanseverino-Marche 1875, p. 8; G. Mazzatinti, Sanseverino (prov. di Macerata), in Gli archivi della storia d’Italia, II, 3, Rocca S. Casciano 1899, p. 189; G.F. Luzj, Saggio di una serie dei Consoli del Comune di Sanseverino-Marche, Sanseverino-Marche 1905, pp. 8 s., 13; V. Pirazzoli, S. Severino Marche. Biblioteca Comunale, in Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, XVI, Forlì 1910, p. 161; R. Paciaroni, La cronaca di Cola di Lemmo Procacci da Sanseverino (1415-1475), in Studi Maceratesi, X (1974), pp. 266-287 (edizione alle pp. 274-281); Id., La storia di Gagliole in un manoscritto del XVII secolo, Fabriano 2006, pp. 48-50.