COLANTONIO
Non sono noti i dati biografici di questo pittore, né è stato ritrovato alcun documento che lo riguardi con certezza (l'ipotesi di Grigioni, 1947, che si riferisca a lui il documento notarile dell'8 genn. 1444, in cui un "Cola de Neapoli" è citato a Roma in qualità di testimone, non è sostenuta dalle necessarie riprove). La ricostruzione della sua attività si basa sulle notizie fornite da P. Summonte nella lettera a M. A. Michiel del 1524 (Nicolini, 1925) ed è opera della critica moderna; la quale, collazionando le attestazioni di Summonte con i dati risultanti dalle opere, ha restituito a C. un ruolo centrale nella pittura prodotta a Napoli durante gli anni 1440-70, e oggi lo considera il punto di convergenza dei rapporti culturali con Fiandra, Francia e Spagna, da cui prese le mosse dopo il 1450 anche Antonello da Messina.
La formazione di C. dové avvenire sulla base delle interpretazioni borgognone-provenzali della pittura di Jan van Eyck, e si può ritenere che avesse luogo fra il 1438 e il 1442 nella cerchia di Renato d'Angiò, quando questi, come erede di Giovanna II, divenne sovrano di Napoli e risiedé nella capitale del Regno. Sia o non sia stato egli stesso pittore come vuole una lunga tradizione che lo dice addirittura allievo di van Eyck, è certo che re Renato fu il promotore delle maggiori imprese artistiche compiute nei possedimenti angioini di Francia, all'incontro della cultura borgognona di Claus Sluter con la pittura moderna di van Eyck; ed è opinione recente che anche a Napoli egli fosse seguito dai maestri più rappresentativi della tendenza da lui patrocinata, incluso il grande pittore denominato Maestro dell'Annunciazione di Aix-en-Provence, nel quale in passato alcuni critici tentarono di identificare lo stesso Colantonio. In ogni caso, l'opera più antica finora attribuibile a C., il S. Girolamo nello studio oggi nella Pinacoteca di Capodimonte a Napoli, mostra con chiarezza una cultura di indubbia ascendenza fiamminga, ma interpretata secondo modi borgognoni-provenzali, che riconducono direttamente al Maestro dell'Annunciazione di Aix.
S'è potuto dimostrare (Bologna, 1950, tav. CII; Id., 1977, figg. 32-38, 40 s.), tuttavia, che il S. Girolamo fece parte di una complessa ancona, in origine nella chiesa francescana di S. Lorenzo a Napoli, la cui parte superiore era costituita dal S. Francesco d'Assisi che dà la regola al primo e al secondo Ordine francescano (Napoli, Pinacoteca di Capodimonte), e che era completata lateralmente da due pilastrini con figure di Beati francescani (Firenze, coll. Longhi; Bologna, coll. Morandi; Venezia, coll. Cini; Parigi, già coll. Moratilla). Nel presupposto che l'opera fosse eseguita in tempi leggermente differiti, tale ricostruzione ha permesso innanzitutto di fissare una seconda fase della cultura del maestro. Nello scomparto della "regola", infatti, gli angeli del coronamento mostrano la prosecuzione del contatto col Maestro di Aix, e così i partiti di pieghe nei panni dei francescani in primo piano; ma, mentre il pavimento a rubjelas valenzane e la connotazione tipologica delle clarisse lasciano emergere echi di Jaime Baço Jacomart (che fu intermittentemente alla corte di Alfonso d'Aragona fra il 1440 e il 1451, e dipinse un retablo a Napoli nel 1443-44), la più aperta spaziatura dell'intera composizione, nonché la luce più chiara e solare agente come fattore di una stesura più riposata del colore vi si mescolano in modo così peculiare ad ulteriori connotazioni francesi, da testimoniare l'avvenuto incontro con le esperienze fiorentine e prefranceschiane del giovane Jean Fouquet, presente a Roma intorno al 1444 e di lì sceso con ogni probabilità anche a Napoli fra il 1444 e il 1445. L'elemento fotiquetiano, identico a quello che distingue i disegni colorati con cui il pittore di Tours ornò nello stesso periodo di tempo i fogli della Cronaca universale già Cockerell, è tipologicamente evidentissimo nella figura di s. Francesco; e sempre nella stessa accezione si riscontra nei Beati francescani appartenuti ai pilastrini dell'ancona, che verosimilmente furono eseguiti per ultimi e al tempo stesso rappresentano il momento culminante della congiunzione fra C. e Fouquet, durante il viaggio in Italia di quest'ultimo.
La valutazione del collegamento fra i vari elementi iconografici presenti nell'ancona così ricostruita ha anche permesso di far luce sull'occasione storica che poté dar luogo alla sua esecuzione, sulla data più probabile dell'opera e sul suo contenuto storico-religioso. I diversi scomparti sono infatti accomunati da un singolare "panfrancescanesimo" iconografico: lo stesso s. Girolamo, padre della Chiesa vissuto fra IV e V secolo, qui appare in vesti francescane; e il beato Silvestro, figurante sul pilastrino di sinistra, unisce l'abito francescano al camauro papale, suggerendo un'assimilazione altrettanto inattesa fra s. Silvestro papa e fra' Silvestro protodiscepolo di Francesco d'Assisi. Inoltre, mentre le immagini di beati incluse nei pilastrini sono di francescani poco noti e raramente rappresentati, la parte principale dell'ancona, quella superiore, non solo mostra s. Francesco che consegna il testo della regola al primo e al secondo dei tre Ordini da lui istituiti, ma lo fa riprendendo la stessa composizione iconografica di un affresco napoletano di cultura giottesca esistente proprio a S. Lorenzo (sull'ingresso della sala capitolare), risalente agli anni 1330-40 e collegato per via ideologica alle dispute sull'osservanza della regola francescana che avevano avuto un seguito importante nelle cerchie pauperistiche protette da Roberto d'Angiò e Sancia di Maiorca sua moglie. Poiché nella Gonsegna della regola di C. l'unica variante rispetto all'iconografia dell'affresco trecentesco preso a modello è rappresentata dall'aggiunta in luogo eminente dell'immagine di s. Bernardino da Siena (raffigurato in un ritratto fra i più calzanti che ci sono pervenuti), e questi, morto nel 1444, era stato uno dei protagonisti della ripresa quattrocentesca delle dispute francescane proprio sull'osservanza della regola, se ne ricava che l'intera ancona dovette essere pianificata - subito dopo la morte del frate senese e, in analogia con quanto accadde anche altrove, ancor prima della sua canonizzazione (1450) - come un monumento apologetico-commemorativo del francescanesimo da lui professato. Il collegamento con s. Bernardino è anche il solo in grado di giustificare la presenza, nella parte inferiore dell'opera e nel vivo di un simile contesto, di s. Girolamo: Bernardino stesso aveva detto di aver trovato nelle "epistole di san Geronimo" lo stimolo a staccarsi "da tutte le fantasie poetiche e andare dietro alla santa scrittura, piena di molta midolla e sentenzie" (Quaresimale del 1425, XVII, predica del 20 febbraio: cfr. S. Bernardino da Siena, Le prediche volgari..., a cura di C. Cannarozzi, III, Firenze 1940, pp. 305 s.; ma affermazioni simili sono ricorrenti nella predicazione del santo senese).
D'altro canto, l'ancona contiene anche gli indizi di un interessamento personale del re Alfonso d'Aragona. I suoi stemmi sono bene in vista sul pavimento dello scomparto dedicato alla regola; il beato Giovanni da Perugia, raffigurato tra i francescani dei pilastrini, era stato martirizzato a Valenza e a Valenza, capitale d'uno dei regni iberici facenti capo ad Alfonso, era sepolto e venerato; il beato Galbazio daRimini, raffigurato anche lui in uno dei pilastrini, era stato un Malatesta terziario francescano, morto ventenne nel 1432, che aveva sposato una figlia di Niccolò III d'Este marchese di Ferrara, e perciò era addirittura cognato dell'erede di questo, Leonello d'Este, a cui Alfonso d'Aragona diede in moglie la secondogenita Maria nel 1444, stringendo rapporti ravvicinati con la corte estense e ricevendo ripetute visite a Napoli, fra il 1444 e il 1445, dell'altro figlio di Niccolò III e cognato di Galbazio, Borso. Si aggiunga a tutto ciò, da un lato, che la sala capitolare di S. Lorenzo, nel marzo 1443, era stata la sede del Parlamento generale del Regno che aveva sancito la legittimità dell'avvento di Alfonso al trono di Napoli e il diritto di successione per suo figlio Ferrante; da un altro, che Bernardino da Siena, da tempo in odore di santità, era morto all'Aquila, nei domini napoletani, e che Alfonso fu fra i promotori più solleciti della sua canonizzazione subito seguito da Leonello d'Este (cfr. S. Piacentino, Fonti bernardiniane nell'Arch. di Stato di Aquila, L'Aquila 1950, p. 18).
L'ancona, insomma, non solo dovette essere progettata per celebrare il movimento dell'Osservanza in collegamento specifico con gli orientamenti religiosi e ideologico-culturali di Bernardino da Siena, ma su iniziativa dello stesso re Alfonso, interessato personalmente alla vicenda e legato anche per ragioni di Stato alla chiesa di S. Lorenzo, che era altresì il massimo e storico tempio francescano del suo nuovo regno.
Quanto ai tempi, tutti i sintomi cronologici emergenti dai riscontri storico-iconografici indicano una data prossima al 1444-45; e tale data combacia senza scarti con quella ricavabile dalle esperienze storico-artistiche più recenti riflesse nell'opera: le affinità con Jacomart ne fissano un presupposto al 1443-44, mentre il collegamento con Fouquet, che è l'ultimo e prevalente, rinvia allo stesso biennio 1444-45 additato dai dati storici.
Nel decennio successivo la cultura pittorica napoletana, sempre legata alle scelte della corte, si orientò decisamente verso i modelli fiamminghi, ora conosciuti di prima mano. Fu infatti allora che Alfonso d'Aragona, già in precedenza interessato all'arte dell'Europa nordoccidentale, venne acquistando alcuni capolavori di Jan van Eyck (un S. Giorgio, firmato "Johanes", nel 1445; iltrittico già dei Lomellino di Genova; un'Adorazione dei Magi; una versione del Mappamondo), e altresì vari arazzi, cercati appositamente in Fiandra e a Roma (1452, 1455, 1458), tra i quali i quattro della Passione, tessuti su disegno di Roger van der Weyden. Ma se lo stato della situazione ci è documentato anche per iscritto da Bartolomeo Facio, il quale redasse poco prima del 1456 e proprio alla corte di Alfonso le celebri biografie di van Eyck e di van der Weyden, includendovi giudizi che attestano un preciso e approfondito orientamento filo-fiammingo nell'ambiente napoletano di quel momento, il fatto più importante fu che, poco dopo il 1450, entrasse nella bottega di C. il giovane Antonello da Messina, le cui opere dell'esordio, dopo aver assorbito e consumato le premesse franco-colantoniane, contengono il segno più alto di un progressivo rivolgersi ai modelli fiamminghi senza intermediari.
L'attestazione di Summonte che C. non solo copiò un S. Giorgio di van Eyck (probabilmente lo stesso acquistato da Alfonso nel 1445), ma ebbe "una gran destrezza in imitar quel che voleva, la quale imitazione ipso avea tutta convertita in le cose di Fiandra", va valutata in tale nuovo contesto. Ed è in tale contesto, giusto sulla base della versatilità imitativa di cui parlò Summonte, che possono essere attribuite a C. la Crocefissione già a New York in collezione Henschel (Longhi, 1955; ma vedi Sterling, 1976, p. 33, e Bologna, 1977, pp. 91 s.) e la Deposizione di S. Domenico Maggiore a Napoli.
La prima lascia trasparire caratteri così pronunciatamente eyckiani, da doverla supporre derivata da un originale perduto di van Eyck stesso, però secondo un'interpretazione che sembra seguire, non precedere i modi del giovane Antonello nelle tavolette di Reggio Calabria, e di lì toglie la non più raggiunta vividezza del risultato. La seconda è esemplata su di una composizione ricorrente anche in un altro dipinto napoletano dei decenni successivi (Deposizione del 1495 circa, di Pietro Befulco, alla Disciplina della Croce), e può esser ritenuta copia di uno degli arazzi della Passione di Roger van der Weyden in possesso di re Alfonso; presenta inoltre almeno un inserto derivato con certezza dal Compianto sul Cristo morto di Petrus Christus ora al Museo reale di Bruxelles (Bologna, 1977, pp. 91 s.).
Intorno al 1460 dovette veder la luce l'ultima opera attribuita a C. su basi storiche e ancora superstite: l'ancona di S. Vincenzo Ferreri a S. Pietro Martire a Napoli, che con ogni probabilità venne commissionata quale ex voto dalla regina Isabella Chiaromonte, moglie di Ferrante d'Aragona ritratta con i figli nella predella della pala stessa. Già morta nel 1465, costei fu ferventemente devota del recente santo domenicano, canonizzato nel 1456; e fu lei l'animatrice delle pratiche religiose dedicate al Ferreri con le quali la corte aragonese incitò alla resistenza il Popolo napoletano dopo la grave rotta che i baroni ribelli avevano inferto nel 1460 a re Ferrante, nella battaglia di Sarno (Doria-Bologna, 1954, p. 4). Alla data del 1460 c., l'opera mostra chiari ritorni a temi degli anni 1440 (la cella-studio in cui la Vergine appare a s. Vincenzo Ferreri è ripresa da quella del S. Girolamo nella pala degli Ordini francescani); mostra anche complessi riporti da van Eyck, van der Weyden e Petrus Christus; ma tende a riordinare il tutto in una spaziosità molto più calcolata che in precedenza. Inoltre, con la figura colonnare del santo, inclusa attentamente nella nicchia-abside del pannello centrale, si sincronizza con i risentimenti ormai puntualmente pierfranceschiani che erano stati introdotti a Napoli verso la fine degli anni 1450 da personalità quali il Maestro di S. Giovanni da Capestrano, e che saranno svolti subito dopo specialmente da Antonello. Il recente tentativo (Causa, 1973, p. 20) di attribuire almeno in parte a C., verso il 1480, la veduta di Napoli della Tavola Strozzi ora nella Pinacoteca di Capodimonte, non ha avuto accoglienza positiva presso la critica e va respinto. Non hanno fondamento maggiore le precedenti attribuzioni di un Ritratto virile nel Museo di Cleveland (L. Venturi, in L'Arte, n. s., I [1930], pp. 291 s.) e di una Annunciazione al Correale di Sorrento (A. Venturi, ibid., pp. 224 s.).
Fonti e Bibl.: Oltre alla bibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 187, si veda: F. Nicolini, L'arte napol. del Rinascimento e lalettera di P. Summonte a M. A. Michiel, Napoli 1925, pp. 160-163, 199-232; L. Demonts, Le Maître de l'Annonciation d'Aix…, in La Revue de l'artancien et moderne, LIII (1928), pp. 257 ss.; A. De Rinaldis, Catal. della Pinac. del Museo naz. di Napoli, Napoli 1928, pp. 73-76; L. Demonts, Le Maître de l'Annonciation d'Aix et C., in Mélange Hulin de Loo, Bruxelles-Paris 1931, pp. 123 ss.; C. Aru, C. ovvero il Maestro dell'Annunciazione di Aix, in Dedalo, XI (1931), 2, pp. 1121-1141; L. Demonts, Le Maître de l'Annonciation d'Aix, in La Revue de l'art ancien et moderne, LXVI (1934), pp. 131 ss.; R. Longhi, Pierodella Francesca [1942], in Opere complete, III, Firenze 1963, p. 198; C. Grigioni, Il primo docum. d'archivio su C., in Arti figurative, III (1947), p. 137; G. Ring, A Century of French Painting 1400-1500, London 1949, p. 205; F. Bologna, Il Maestro di S. Giovanni da Capestrano, in Proporzioni, III (1950), pp. 89 ss.; Les primitifs méditerranéens (catal.), Bordeaux 1952, pp. 52-54; R. Longhi, Ancora sulla cultura di Fouquet, in Paragone, III (1952), 27, pp. 56 s. (lo stesso in Opere complete, IX, Firenze 1979, pp. 39 s.); Antonello daMessina e la pittura del Quattrocento in Sicilia (catal.), Venezia 1953, p. 35; R. Longhi, Frammento siciliano, in Paragone, IV (1953), 47, pp. 20 ss. (lostesso in Opere complete, VIII, 1, Firenze 1975, pp. 158-162); G. Doria-F. Bologna, Mostra del ritratto stor. napoletano (catal.), Napoli 1954, pp. 4 s.; R. Longhi, Una Crocefissione di C., in Paragone, VI (1955), 63, pp. 3-10 (lo stesso in Opere complete, IX, Firenze 1979, pp. 27-33); O. Morisani, Letter. artistica a Napoli trail '400 e il '600, Napoli 1958, pp. 117 s.; M. Laclotte, L'école d'Avignon, Paris 1960, p. 76; L. Castelfranchi Vegas, Intorno a un Compianto delCristo, in Paragone, XX (1969), 229, p. 48; F. Bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli, Roma 1969, pp. 280 s.; R. Causa, L'arte nellacertosa di S. Martino, Napoli 1973, p. 20; R. Pane, Il Rinascimento nell'Italia meridionale, I, Milano 1975, pp. 73-77; C. Sterling, J. Van Eyckavant 1432, in Revue de l'art, XXXIII (1976), p. 33; P. H. Jolly, Jan van Eyck, tesi di dottorato, Univ. of Pennsylvania, 1976, Univ. Microfilms Int., Ann Arbor 1979, ad Ind.; F. Bologna, Napolie le rotte mediterranee della pittura da Alfonso ilMagnanimo a Ferdinando il Cattolico, Napoli 1977, pp. 53-96; M. G. Paolini, Problemi antonell. in St. dell'arte, nn. 38-40, 1980, pp. 151 ss., 159, 166; Antonello da Messina (catal.) Roma 1981, ad Ind.; F. Bologna, Introduz. a Enciclopedia bernardiniana, II, Iconografia, a cura di V. Pacelli-M. A. Pavone, L'Aquila 1981, pp. IX-XIII; M. A. Pavone, ibid., p. 26.