PSEUDOISIDORIANA, COLLEZIONE
. Si designa con questo nome - ma converrebbe usare il plurale, giacché dal medesimo ambiente uscirono anche altre opere - la collezione canonica che si presenta come opera di un Isidoro mercator (o peccator, secondo i codici) nome anch'esso falso e da non confondersi con Isidoro di Siviglia, e che contiene le false decretali; nome talvolta attribuito alla intera raccolta: una delle più abili falsificazioni che la storia ricordi. La collezione comprende lettere di papi, per la maggior parte apocrife, e canoni conciliari autentici. Essa è stata compilata utilizzando una collezione canonica più antica, la cosiddetta Hispana, ma pervenuta ai compilatori nella forma detta Hispana gallica, e da essi rimaneggiata, ristabilendo in parte l'ordine cronologico alterato nella gallica (Hispana augustodunensis, rappresentata dal Codice Vaticano lat. 1341, proveniente da Autun). Ma ritocchi e interpolazioni, sia per maggiore chiarezza, sia tendenziosamente, furono introdotti anche nei testi. Altri lavori preliminari, sono i cosiddetti Capitula Angilramni, che si presentano come dati dal papa Adriano I ad Angilramno, vescovo di Metz (o viceversa, secondo i codici) e la collezione dei falsi Capitolari, del sedicente Benedetto levita (cioè, diacono). Le decretali false, insieme con documenti tolti di peso alle precedenti raccolte, furono dal così detto Isidoro inserite nella sua Hispana dando così origine alla nuova collezione.
Anche la falsificazione è stata fatta molto abilmente. Il compilatore si è servito di notizie che trovava in fonti storiche - sopra tutto il Liber pontificalis e l'Historia tripartita - inventando le lettere e i decreti di cui trovava una vaga notizia. Inoltre, egli non ha completamente inventato i suoi testi, ma li ha messi insieme unendo frasi tolte da altri autori, ecclesiastici e laici in un musaico, nel quale è stato assai arduo scoprire la provenienza di ciascuna delle tessere ond'è composto. Per di più, egli ha inserito nella collezione testi che non riguardano la riforma ecclesiastica, la quale rappresentava la sua preoccupazione più viva. Sostenere questa, e soprattutto l'autorità e le ragioni dei vescovi contro il potere laico, per emancipare la chiesa e il clero dalle sempre maggiori ingerenze laiche che si andavano manifestando, è infatti lo scopo principale della collezione. La quale fu compilata certamente tra l'847 - perché utilizza Benedetto levita la cui opera fu terminata dopo il 21 aprile di quell'anno - e l'852, anno in cui Incmaro cita una falsa decretale di Stefano I, e certamente in Francia: solo si è incerti se nella diocesi di Reims (A. Tardif, E. Seckel, F. Lot) o in quella di Tours e più precisamente nella regione di Le Mans (L. Saltet, J. Havet, L. Duchesne, P. Fournier). È contenuta in una settantina di codici (uno, torinese, descritto da F. Patetta, è perito nell'incendio della Biblioteca di Torino), ed ebbe grandissima fortuna e fu ritenuta autentica per tutto il Medioevo. Dell'autenticità cominciarono a dubitare uomini dell'umanesimo, quali i cardinali Giovanni di Torquemada e Niccolò Cusano; poi Erasmo e altri umanisti, cattolici e protestanti. Ma questi ultimi attaccarono la collezione anche in quanto ravvisarono in essa un tentativo di affermare soprattutto l'autorità pontificia su quella di metropolitani e vescovi: scopo, in realtà, solo secondario. Così le false decretali furono considerate ancora autentiche nell'edizione ufficiale del Corpus iuris canonici, del 1580-82; e anche A. Agustín, pur dubitando, non ritenne del tutto provata l'inautenticità. Questa fu messa in luce da D. Blondel (Pseudoisidorus et Turrianus vapulantes, Ginevra 1628) quindi, nel sec. XVIII, dai fratelli Ballerini e, nel XIX, da P. Hinschius, che ne diede l'edizione migliore (Decretales pseudoisidorianae et Capitula Angilramni, Lipsia 1863).
Bibl.: P. Fournier e G. Le Bras, Histoire des collections canoniques en Occident, I, Parigi 1931, pp. 127-233, con la bibl. precedente.