COLLIRIO (dal gr. κολλύριον)
Si dicono collirî i medicamenti che s'adoperano per la cura delle malattie oculari e sembra che il loro nome derivi dalla sostanza collogena che gli antichi usavano per impastare i farmaci e farne poi bastoncini appuntiti coi quali si toccavano i margini palpebrali o la congiuntiva per medicarli. I collirî possono essere liquidi, e si tratta allora di soluzioni che o servono a lavare gli occhi con apposito bicchierino detto occhiarolo, ovvero s'instillano a gocce nel sacco congiuntivale; molli, e sono costituiti dalle pomate oftalmiche; secchi, e sono formati dalle polveri che si insufflano nell'occhio e dai dischi oftalmici fatti da sottilissime lamelle di gelatina che s'introducono nel sacco congiuntivale e che sono preparate in vario modo e titolate. Oggi però il nome di collirio è, nella pratica, riservato esclusivamente alle soluzioni.
Gli antichi conoscevano un gran numero di collirî. Negli scritti di Tralliano sono enumerate a decine queste preparazioni, fra cui il collirio Spongiaria, il collirio di Teodatio, di Massimiano, di Polideuco, ecc. Celebri erano il collirio di Settimo Soterichiano contro le vecchie cicatrici degli occhi e quello di Gaio Dedena contro la debolezza visiva. Il Garnier e il Marchant hanno descritto dei sigilli coi quali gli antichi oculisti romani timbravano le scatole che contenevano i collirî da loro preparati.
I collirî più comunemente adoperati sono quello astringente giallo (di Horst), i collirî astringenti al solfato di rame, solfato di zinco e protargolo, allume, tannino, ecc.