Collocamento mirato
Il Jobs act riforma il collocamento mirato, perseguendo – come altri legislatori negli ultimi anni – l’intento di semplificarne e razionalizzarne le procedure. In realtà con l’eliminazione della richiesta numerica lo cambia profondamente e, nel contempo, ridisegna ruoli e funzioni dei servizi deputati da coordinare con la più ampia riforma dei servizi per il lavoro e le politiche attive. Il contributo mira a descrivere la riforma, evidenziando gli aspetti legati alla governance e alla sua applicazione pratica.
Il Jobs act, con i suoi decreti applicativi, riforma il sistema del collocamento mirato. Gli interventi hanno diverso tenore, alcuni miranti a semplificare procedure e adempimenti o aventi natura correttiva, altri ancora di natura sostanziale. Stante l’economia del presente lavoro, si dà sommariamente conto dei primi, riservando approfondimenti maggiori ai secondi.
Al primo gruppo, ad opera del d.lgs. 24.9.2015, n. 151, vanno annoverati gli interventi che riguardano l’esonero, la compensazione territoriale e l’albo dei centralinisti privi di vista. La disciplina dell’esonero autocertificato è stata modificata per collocare la norma in un comma apposito (co. 3-bis, art. 5 della l. 12.3.1999, n. 68) anziché in quello dedicato all’esclusione (co. 2, art. 5) e a correggere un errore circa il premio Inail che dà diritto al pagamento del contributo esonerativo (60 “per mille” anziché “per cento”), rispetto al quale il Ministero aveva già fornito chiarimenti1. Dal punto di vista sostanziale la scelta del legislatore riguarda la destinazione dei contributi, non più diretti al Fondo regionale, ma a quello nazionale. Per quanto concerne la compensazione territoriale per i datori di lavoro pubblici, il legislatore ha mutuato quanto già previsto all’art. 5, co. 4 del d.P.R. 10.10.2000, n. 333, consentendo a questi, analogamente ai privati, di assolvere l’obbligo mediante invio del prospettivo informativo. Tuttavia per i pubblici, a differenza dei privati, la compensazione vale a livello regionale anziché nazionale. L’albo professionale nazionale dei centralinisti telefonici privi della vista viene soppresso e sostituito da un apposito elenco (art. 6, co. 7, l. 29.3.1985, n. 113), tenuto dal servizio competente nel cui ambito territoriale il richiedente ha la residenza, fermo restando la possibilità di iscriversi presso un unico altro servizio nel territorio nazionale2.
Natura sostanziale hanno, invece, gli interventi che mutano obblighi e diritti. Uno di questi riguarda l’adempimento all’obbligo di assunzione per i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti e per le imprese di tendenza che, a partire dal 1.1.2017, non sarà più condizionato al verificarsi di nuove assunzioni (entro 12 mesi o contestualmente alla nuova), ma dovrà realizzarsi entro 60 giorni dall’insorgere dell’obbligo.
Per quanto concerne gli aventi diritto al collocamento, si segnala l’estensione di questa platea ai beneficiari dell’assegno ordinario di invalidità, corrisposto a chi ha una capacità lavorativa ridotta a meno di un terzo e che, quindi, potevano non rientrare nella percentuale minima prevista per gli invalidi civili.
Un altro gruppo di interventi, sparsi fra più decreti attuativi, tende a creare un sistema di convenienze per i datori di lavoro. In primo luogo, si consente la computabilità ai fini della copertura della quota di riserva dei lavoratori già disabili prima della costituzione del rapporto di lavoro, anche se l’assunzione non è avvenuta per il tramite del collocamento mirato. Le condizioni inerenti la capacità lavorativa sono, però, più severe di quelle previste per l’iscrizione negli elenchi (co. 3-bis, art. 4, modificato dal d.lgs. 24.9.2016, n. 185). Un secondo intervento (art. 23, d.lgs. 15.6.2015, n. 80) mira a promuovere il telelavoro per motivi legati ad esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, disponendo che nel caso in cui sia previsto da accordi collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative, gli stessi possano escludere i lavoratori ammessi al telelavoro ai fini del calcolo della quota di riserva. In ultimo, si segnala la possibilità introdotta di computare nella quota di riserva i lavoratori con disabilità avviati in somministrazione per missioni di durata non inferiore ai 12 mesi (co. 3, art. 34, d.lgs. 15.6.2015, n. 81). Questa possibilità era stata prevista nelle more della redazione del d.lgs. 10.9.2003, n. 276, ma poi stralciata nella redazione finale del testo per le opposizioni sindacali e delle associazioni di rappresentanza.
Sotto l’egida della razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese, intento perseguito dai legislatori che si sono susseguiti dal 2007 in poi, il d.lgs. n. 151/2015 ha, in realtà, mutato profondamente il collocamento delle persone con disabilità (di seguito Pcd).
Considerandone la storia, non si può non constatare come la generalizzazione della richiesta nominativa, unita alla computabilità dei lavoratori somministrati (v. supra, § 1) e la riduzione del potere di governo e gestione in capo a Regioni e uffici competenti (v. infra, § 2.1) depotenzi fortemente il sistema. D’altro canto, non si può non sottacere il fatto che nonostante la perfezione concettuale della l. n. 68/1999, la sua applicazione pratica è stata caratterizzata, salvo alcune eccezioni a livello territoriale, dal prevalere di approcci burocratici che, sommati alla scarsa attenzione politica ai vari livelli, ne hanno determinato l’ineffettività.
Il mantenimento di una quota di richiesta numerica3 è sempre stato fortemente voluto dall’associazionismo delle Pcd, in quanto unico baluardo di tutela per le persone con disabilità più severe.
L’istanza datoriale della sua eliminazione deriva dalle esigenze aziendali di avere “la persona giusta al posto giusto”, che non ha trovato risposta nel sistema del collocamento mirato previgente.
Questo è anche il motivo della modifica della disciplina alla richiesta numerica, che permane per le ipotesi di mancato adempimento agli obblighi di assunzione (art. 7, co.1-bis, che sostituisce l’abrogato art. 9, co. 2). La norma in questione prevede che l’avviamento avvenga in base alla qualifica richiesta
o ad altra “specificamente” concordata col datore di lavoro; oggetto di abrogazione è la previsione secondo cui, in mancanza di queste, vengano avviati lavoratori con qualifiche simili, previo addestramento o tirocinio, anche mediante ricorso alle convenzioni ex art. 12. Ne deriva che il nuovo sistema normativo è costruito «in modo da acquisire sempre il consenso del datore»4, mentre è venuto meno il ruolo di governo nella gestione degli avviamenti che in precedenza era stato affidato agli uffici competenti, anche se, come mostra la giurisprudenza sulla norma abrogata5, questo ruolo non sia stato esercitato. Il vincolo alle graduatorie e l’approccio amministrativo adottato dagli uffici ne ha limitato la discrezionalità, necessaria per realizzare percorsi professionalizzanti e mirati allo specifico posto di lavoro. A ciò si aggiungano gli atteggiamenti elusivi dei datori di lavoro, specializzati nelle richieste di qualifiche “improbabili”.
Del sacrificio compiuto in nome della semplificazione ne è consapevole il legislatore, che dedica particolare attenzione alla valutazione del suo impatto, affidandone lo “specifico monitoraggio” al Ministero del lavoro e che istituisce, presso la Banca dati delle politiche attive e passive, la Banca dati del collocamento mirato, dove dovrebbero convergere informazioni da parte di datori di lavoro, uffici competenti, Inps, Regioni e Province autonome e Inail. Tutto questo, però, avrà senso solo se le informazioni saranno utilizzate per valutare la politica e non come mero adempimento amministrativo.
La generalizzazione della richiesta nominativa svuota di senso anche l’istituto della convenzione ex art. 11, che – prevista già in passato – consentiva al datore di lavoro di concordare con gli uffici competenti modalità flessibili per adempiere l’obbligo di assunzione (ampliamento della richiesta nominativa, uso di contratti flessibili o tirocini, ecc.). Per promuoverne l’adozione e favorire il ruolo di governo degli uffici competenti, la riforma del 2007 aveva indicato la convenzione quale condizione per l’ottenimento degli incentivi. Anche questo istituto è stato scarsamente utilizzato con questo approccio, al punto che spesso la prassi ha visto l’adozione di schemi precompilati di convenzioni, annullando così del tutto il ruolo negoziale degli uffici e riducendolo ad una funzione notarile. È evidente come allo stato attuale la convenzione rischia di essere utilizzata unicamente per dilazionare nel tempo le assunzioni, come del resto già spesso avviene.
Tra le novità va segnalata la funzione di preselezione delle Pcd iscritte nelle liste, affidata agli uffici competenti. Si tratta di un servizio a favore dei datori di lavoro che ne facciano richiesta per poi procedere alla richiesta nominativa. Mutuata da alcune realtà avanzate a livello regionale, la preselezione potrà avere particolare importanza se oltre al matching verranno fornite ai datori di lavoro indicazioni sugli adattamenti dell’ambiente di lavoro, per compiere la scelta ottimale.
Per completezza si segnala una modifica nell’avviso pubblico con graduatoria per specifiche offerte di lavoro (viene abrogato il co. 5 dell’art. 9 della l. n. 68/99, sostituito con la seconda parte del co. 1-bis, art. 7), usato per ovviare allo scorrimento delle graduatorie, con l’obiettivo di snellire le procedure e i tempi. Il legislatore ha eliminato la chiamata per singoli ambiti territoriali e specifici settori, forse perché si presume che la chiamata numerica rimanga una modalità residuale.
La riforma dei servizi per il lavoro realizzata dal d.lgs. 24.9.2015, n. 150 e il d.lgs. n. 151/2015 hanno modificato la governance del collocamento mirato. Il ridisegno complessivo delle competenze ne ha attribuito la funzione all’Anpal – Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro –, anche se – come consentito all’art. 11 – nelle convenzioni tra Ministero e singole Regioni queste ultime hanno optato per l’attribuzione in capo a loro6.
Nel complesso i decreti hanno abrogato il d.lgs. 23.12.1997, n. 469 e, conseguentemente, la commissione provinciale integrata e il comitato tecnico al suo interno.
Il comitato tecnico è stato disciplinato ex novo dal d.lgs. n. 151/2015 e, analogamente al passato, gli vengono affidate la valutazione delle capacità lavorative, la definizione degli strumenti e delle prestazioni atti all’inserimento e la predisposizione dei controlli medici. A questo organismo vanno ricondotti tutti i riferimenti contenuti nella l. n. 68/1999 alla commissione integrata e al vecchio comitato tecnico. Sembrerebbe sfuggito al legislatore che, al di fuori del corpus della l. n. 68/1999, anche l’art. 14 del d.lgs. n. 276/2003 richiama il comitato tecnico. Nei limiti in cui la norma verrà utilizzata ai fini dell’adempimento agli obblighi di assunzione, tuttavia, non potrà non considerarsi come operante tale rinvio.
Il comitato tecnico assume un ruolo fondamentale nell’inserimento lavorativo delle Pcd, anche se agli oneri per il suo funzionamento si dovrà provvedere con le risorse esistenti.
Il comitato opera all’interno dei servizi per il collocamento mirato, tenutari degli elenchi cui può iscriversi la persona residente nell’ambito territoriale di riferimento, fermo restando la possibilità di iscriversi in elenco di altro servizio nel territorio dello Stato, previa cancellazione da quello in cui era precedentemente iscritta.
L’inserimento lavorativo delle Pcd compete agli uffici competenti che, in base a quanto disposto dalla circolare del Ministero del lavoro 23.12.2015, n. 34 (per raccordare la l. n. 68/1999 con il d.lgs. n. 150/2015) le Regioni devono individuare, nella misura di almeno uno per provincia, nell’ambito dei centri per l’impiego (che devono istituire proprio ai sensi del d.lgs. n. 150/20157).
Profondamente modificata è la disciplina degli incentivi alle assunzioni, in precedenza caratterizzata da una devoluzione di competenze a Regioni e Province che avrebbero potuto incidere anche sulla modalità di attribuzione delle erogazioni economiche8.
Anche in questo caso le competenze non sono state di fatto agite, anche per la regolamentazione ministeriale seguita alla riforma, ma hanno solo appesantito i processi. Per questo motivo la nuova disciplina centralizza l’istituto non prevedendo più riparti di risorse a livello regionale. L’attribuzione dell’incentivo avviene direttamente da parte dell’Inps al datore che, con procedura telematica, ne fa richiesta. L’erogazione, corrisposta mensilmente e non più una tantum, per una durata di 36 mesi, avviene nei limiti delle risorse disponibili, in base all’ordine cronologico di presentazione delle domande, dando così certezza circa la disponibilità della stessa.
Sostanzialmente invariata è la disciplina del Fondo regionale, salvo alcune modifiche sulle contribuzioni ivi devolute e ora dirette al Fondo nazionale. Un mutamento importante, invece, riguarda il rimborso forfetario delle spese necessarie per l’adattamento dell’ambiente di lavoro, prima a carico del Fondo nazionale e ora di quello regionale. Questa scelta del legislatore affida alle Regioni una politica ed una responsabilità importante per dare piena effettività ai principi della Convenzione Onu9, in quanto le risorse pubbliche a disposizione per gli adattamenti degli ambienti di lavoro vanno ad incidere direttamente sulla proporzionalità dell’onere e, quindi, sull’obbligo datoriale. Anche in questo caso, il governo della politica sarà causa per la concretizzazione dei diritti fondamentali.
Il Jobs act ha accolto le istanze datoriali di semplificazione e alleggerimento degli oneri, comprese quelle più osteggiate nel tempo dall’associazionismo delle Pcd.
Ad onor del vero, nonostante la perfezione concettuale della l. n. 68/1999, il diritto al lavoro delle Pcd non ha mai trovato garanzia effettiva a causa di comportamenti datoriali elusivi, sanzioni inefficaci, controlli insufficienti. E un contenzioso giudiziario sviluppatosi nei gangli di una disciplina articolata, che la riforma ha tagliato, è la dimostrazione dell’inefficacia di un apparato normativo non sorretto da un adeguato sistema di servizi.
La rete a fondamento del collocamento mirato e le azioni volte a trovare “il posto giusto” non si sono – salvo eccezioni – trasformate in “operatività” dei servizi, ancora troppo permeati da approcci burocratici, come dimostrano le sentenze sui rifiuti di avviamento. Proprio con il superamento di queste criticità, a dispetto di qualunque riforma, si può concretamente realizzare il diritto al lavoro delle Pcd.
La vera riforma del collocamento mirato, se si vogliono tutelare i diritti fondamentali delle Pcd e accogliere le istanze imprenditoriali per ovviare a fenomeni elusivi, deve passare per un cambio di approccio nel governo di questo istituto, che concretizzi le norme della Convenzione Onu. I principi10 elencati nella norma dedicata alle Linee guida ministeriali (non ancora emanate nel momento in cui si scrive) sono chiaramente finalizzati a ciò11. Non si può non sottolineare che tutto ciò deve avvenire con le risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Questo richiederà il massimo impegno nell’uso efficiente dei fondi europei 20142020 da parte di Ministero e Regioni, se veramente si vorrà far decollare la riforma, perché solo se questi principi troveranno reale applicazione, l’abolizione della richiesta numerica potrebbe non avere impatto negativo.
Un’ultima riflessione va al Jobs act nel suo complesso, avendo ambiziosamente riformato il sistema dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, la cui architettura ha le fondamenta nel bilanciamento tra garanzia “effettiva” dei livelli essenziali e condizionalità delle prestazioni erogate. Per espressa previsione normativa, le norme che strutturano questa architettura (capo II, d.lgs. n. 150/2015) devono applicarsi alla l. n. 68/1999 “in quanto compatibili”. La circ. n. 34/2015 è intervenuta per fornire indicazioni in merito, rinviando a norme della l. n. 68/1999 per adattare il patto di servizio12, la condizionalità e l’offerta congrua alle caratteristiche delle Pcd, anziché prevedere atti e regolamentazioni diversificate, con la finalità – sembrerebbe – di evitare che i servizi per i lavoro “generali” e quelli per le Pcd siano a compartimenti stagni, come avvenuto finora. Ma c’è un altro significativo passaggio nella circolare: il richiamo al principio di non discriminazione contenuto nelle norme sovranazionali, che suggerisce di adottare come criterio ermeneutico del principio della “compatibilità” il paradigma antidiscriminatorio, ponendo i LEP più come obiettivi da raggiungere da parte degli uffici competenti – seppur con modalità diversificate – che servizi da erogare con modalità standardizzate.
Note
1 Garofalo, D., Le modifiche alla l. n. 68/1999: semplificazione, correttivi, competenze, in Semplificazioni-Sanzioni-Ispezioni nel Jobs Act 2, Ghera E.Garofalo D., a cura di, Bari, 2016, 23 ss.
2 Lamonaca, V., Le novità in materia di collocamento dei centralinisti telefonici non vedenti, in Semplificazioni-Sanzioni-Ispezioni nel Jobs Act 2, cit., 47 ss.
3 Pasqualetto, E., Le novità dell’estate e dell’autunno 2015 in materia di collocamento mirato dei disabili, in Commentario Breve alla riforma «Jobs Act», Grandi, G.Z.Biasi, M., a cura di, Padova, 2016, 749 ss., 753.
4 Lassandari, A., La tutela immaginaria nel mercato del lavoro, in Lav. dir., 2, 2016, 237 ss., ivi 256.
5 Cass., 28.11.2011, n. 27460; Cass., 22.6.2010, n. 25754; Cass., 25.3.2011, n. 32966; Cass., 12.3.2009, n. 6017.
6 Progetto ACT-Italia Lavoro, Le convenzioni di I livello tra Ministero del lavoro/Regioni per la gestione dei servizi per l’impiego e le politiche attive del lavoro, WIP-ACT, 2016, in www.italialavoro.it, sezione Banca Dati Documenta.
7 Garofalo, D., op. cit., 40.
8 Cimaglia, M.C., Gli incentivi alle assunzioni delle persone con disabilità, in Previdenza, mercato del lavoro, competitività, Magnani, M.Pandolfo, A.Varesi, P.A., Torino, 2008, 321 ss., 323.
9 Spinelli, C., La nuova disciplina dell’inserimento al lavoro delle persone disabili (d.lgs. n. 151/2015) nel quadro della normativa internazionale e dell’Unione europea, in Semplificazioni-Sanzioni-Ispezioni nel Jobs Act 2, cit., 11 ss.
10 I principi indicati dal Legislatore sembrano ispirarsi alla sperimentazione compiuta con il Progetto “ICF4 e politiche del lavoro” del Ministero del lavoro, realizzato dall’Area Inclusione Sociale di Italia Lavoro.
11 Spinelli, C., cit.
12 Filì, V., Il patto di servizio personalizzato, in Semplificazioni-Sanzioni-Ispezioni nel Jobs Act 2, cit.,175 ss., ivi 181-182.