Vedi Colombia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Affacciata su entrambi gli oceani che bagnano l’America Latina e situata a ridosso del Canale di Panamá, la Colombia occupa una posizione strategica nell’emisfero americano. Ciò vale a maggior ragione se si considera che, con il tempo, la Colombia ha concentrato su di sé i maggiori elementi di tensione che attraversano l’area: il narcotraffico, la guerriglia contro le Farc; il sistema di alleanze regionali degli USA. Se a ciò si aggiungono il crescente peso demografico, che ne fa il secondo paese del subcontinente alle spalle del Brasile, la sua straordinaria ricchezza di materie prime strategiche e l’apparato militare irrobustito dai regolari rifornimenti statunitensi e addestrato da decenni di guerra contro gli insorti, si ha un quadro del grande potenziale e dell’eccezionale importanza geopolitica del paese. A limitare finora la sua piena espressione è stata, in primo luogo, la violenza politica cronica, unita alla debole presenza dello stato in molte zone di un territorio vasto ed eterogeneo.
Sul piano politico la Colombia è una repubblica presidenziale. La democrazia rappresentativa è sopravissuta ai drammatici conflitti che affliggono il paese senza soccombere al militarismo, a lungo imperante nel resto della regione. Ciò non toglie che il sistema politico colombiano, fondato per molto tempo su un bipartitismo impermeabile all’ingresso in campo di nuove forze politiche, e permeato dalla corruzione alimentata dal narcotraffico, soffra di gravi distorsioni.
Nel primo decennio del 21° secolo, tuttavia, il sistema democratico colombiano ha dato segni di maggiore solidità: sia perché una terza forza politica ha assunto per la prima volta il governo di alcune grandi città, sia perché il presidente Alvaro Uribe, dopo due mandati, non ha soltanto concluso la sua presidenza con un elevato grado di popolarità, ma si è anche visto impedire una terza candidatura in base alla Costituzione vigente, difesa dalla Corte suprema. Nel 2010, infine, gli è succeduto Juan Manuel Santos, nel cui programma il rispetto della legalità va di pari passo con la lotta alla sovversione, che il predecessore aveva spesso condotto violando a sua volta la legalità.
Gli elevati tassi di crescita demografica che ancora pochi decenni fa caratterizzavano la Colombia, superiori al 3% negli anni Sessanta del 20° secolo, si sono oggi nettamente ridotti, scendendo all’1,4%. Nel frattempo, il paese ha superato i 47 milioni di abitanti diventando così una potenza demografica.
Sul piano sociale, la Colombia è sempre stata caratterizzata da un forte divario tra ricchezza potenziale e povertà diffusa e dall’elevata concentrazione del benessere. La mancata affermazione di forti correnti riformiste nel corso della storia politica, perlopiù dominata da ristrette élites, contribuisce a spiegare le forti differenze sociali che ancora caratterizzano la società, dai tratti particolarmente conservatori. Nell’ultimo decennio la crescita economica sostenuta ha consentito una significativa riduzione del tasso di povertà di oltre 12 punti: si è arrivati al 34,1% circa nel 2011. Le disuguaglianze economiche sono state la causa scatenante dei violenti scioperi nei settori agricolo e minerario avvenuti tra agosto e settembre 2013, che hanno provocato decine di vittime e un rimpasto di governo a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, previste per maggio 2014. A rendere problematico il rapporto tra popolazione e territorio in Colombia, infine, è la piaga degli sfollati dalla guerra intestina, oltre tre milioni di colombiani costretti a cercare rifugio in altre regioni o città. Il loro arrivo ha aggravato i gravi problemi legati alla carenza di servizi sociali di base.
Luci e ombre caratterizzano il panorama economico colombiano. Di positivo non ci sono solo le enormi potenzialità del paese, ricco di risorse nel sottosuolo, ma anche la sua crescita costante nel corso degli anni e la disciplina macroeconomica cui i suoi governi si sono attenuti.
Tra gli aspetti negativi si impongono il contesto di violenza endemica, la dimensione pervasiva dell’economia illegale e le fasce ancora estese di marginalità sociale. Poiché questi ultimi fattori non hanno fermato lo sviluppo, si può parlare di un’economia solida, ma non vi è dubbio che ne abbiano limitato o distorto l’evoluzione, inibendo un maggiore flusso di investimenti esteri e limitando gli effetti virtuosi della crescita. In materia energetica, la Colombia si affida al petrolio per coprire poco più del 40% del suo fabbisogno. I governi dell’ultimo decennio hanno in proposito adottato importanti riforme, compresa la parziale privatizzazione della compagnia petrolifera di stato, riuscendo così ad attrarre ingenti capitali esteri e ad accrescere la produzione, esportata in misura crescente. La Colombia ha ottenuto notevoli successi anche nella produzione di carbone, di cui esistono enormi riserve (seconde in America del Sud soltanto a quelle del Brasile) e che contribuisce per il 34,7% dell’export. Nell’ultimo decennio la produzione è raddoppiata e l’esportazione di carbone, un bene il cui consumo interno è minimo, produce circa un quarto delle entrate che la Colombia ricava dagli scambi con l’estero. Sul fronte della politica ambientale, infine, la Colombia può vantare alcuni importanti successi. Benché l’impiego di fonti energetiche rinnovabili alternative sia ancora modesto, l’esteso ricorso all’energia idroelettrica, che non genera emissioni nocive, e la protezione di circa il 10% del territorio nazionale, con la creazione di parchi naturali, fanno sì che la Colombia sia in ottima posizione nel ranking mondiale di performance ambientale. Il buon andamento economico e il ritrovato peso politico regionale hanno consentito alla Colombia di muoversi verso una strada di maggiore cooperazione regionale. Questo è il caso dell’Alleanza del Pacifico (aprile 2011) tra Colombia, Cile, Messico e Perù. Questa nuova organizzazione, oltre a promuovere un’integrazione maggiore tra gli stati firmatari in materia di libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone, si propone come una nuova piattaforma strategica proiettata verso le dinamiche realtà dell’Asia-Pacifico.
La lunga tradizione di governo civile e costituzionale non basta a fare della Colombia un paese all’avanguardia in America Latina per il rispetto delle libertà e dei diritti individuali. Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni nel garantire la sicurezza pubblica, almeno nelle aree urbane, la Colombia rimane un paese in cui i cittadini sono spesso vittime di violenze e soprusi e dove i crimini rimangono nella maggior parte dei casi impuniti. Responsabili di tali violazioni sono diversi attori.
Prima di tutto le forze paramilitari, che sono sorte in molte regioni del paese, spesso con la connivenza delle autorità ufficiali, per combattere la guerriglia e si sono macchiate di orrendi crimini e la cui smobilitazione, negli anni scorsi, è avvenuta al costo di un’estesa impunità. Poi le formazioni guerrigliere, che si sono distinte per il ricorso sistematico al rapimento di cittadini e di amministratori pubblici come strumento di pressione politica e sono caratterizzate dal forte legame con i trafficanti di droga. Infine, le stesse forze di sicurezza dello stato si sono spesso rese responsabili di uccisioni sommarie, rappresaglie ai danni di innocenti, falsificazioni di prove e torture. In tal senso sono numerose le denunce delle organizzazioni di tutela dei diritti umani. Il contesto di violenza e illegalità non ha preservato le libertà politiche e civili sancite dalla Costituzione.
Le competizioni elettorali si svolgono spesso tra politici legati al narcotraffico e la corruzione dei funzionari pubblici è una piaga assai estesa. Anche i gruppi armati della guerriglia mirano a boicottare le elezioni con azioni violente o minacciando i candidati. Giornalisti e sindacalisti, infine, sono tra le categorie più colpite dalla violenza politica.
La somma dei numerosi focolai di conflitto rende la Colombia un paese dai cronici problemi di sicurezza, che ne condizionano in ampia misura la vita politica e sociale. Alla guerra combattuta dalle forze armate contro i vari fronti della guerriglia si intreccia la lotta al narcotraffico. L’ingente aiuto economico e militare che gli Usa hanno fornito ai governi colombiani ha acuito la tensione con i paesi vicini, soprattutto Ecuador e Venezuela. Preoccupati già in passato dal possibile ‘contagio’ dei conflitti colombiani, i due paesi hanno assunto posizioni assai ostili nei confronti delle alleanze tra Colombia e Usa, soprattutto da quando al governo sono saliti due ‘leader bolivariani’. Questo insieme di fattori, unito agli elevati indici di criminalità che tengono impegnati la polizia colombiana, fa sì che le forze di sicurezza colombiane abbiano dragato dagli anni Novanta in poi quote crescenti del bilancio nazionale e siano nel complesso meglio equipaggiate e addestrate di quelle dei paesi vicini. Il rapporto tra le somme spese e i risultati ottenuti è tuttavia oggetto di critiche in Colombia: gli osservatori denunciano la scarsa efficienza delle forze di sicurezza, così come l’insostenibilità della crescita delle spese militari per le finanze nazionali.
Nel contesto geopolitico dell’America Latina, dove la tradizionale egemonia statunitense è oggetto di duri attacchi o inedita concorrenza, la Colombia ha rappresentato, più di ogni altro paese, l’alleato più stretto degli USA. Tale relazione per tanti aspetti ‘speciale’ maturò fin dai tempi della Guerra di Corea, quando la Colombia fu l’unico paese della regione a inviare truppe per combattere al fianco di quelle delle Nazioni Unite. Con il tempo i rapporti tra i due paesi si sono sempre più consolidati, poiché il conflitto intestino colombiano minacciava la stabilità dell’intera regione. In più la Colombia era diventata la centrale del traffico di droga, perlopiù consumata negli Stati Uniti. In tale contesto il presidente Bill Clinton lanciò nel 1999 il ‘Plan Colombia’, un ambizioso progetto volto a combattere il narcotraffico. Il piano ha assunto con il tempo un aspetto sempre più militare e, sotto George W. Bush, si è esteso anche alla lotta alla guerriglia. Destinatario dell’enorme cifra di circa 7 miliardi di dollari, il ‘Plan Colombia’ è divenuto, da un lato, il simbolo della stretta alleanza tra i due paesi e, dall’altro, l’oggetto privilegiato delle critiche delle correnti anti-USA.
Tuttavia, dalla nomina alla presidenza di Juan Manuel Santos sembrano intravvedersi diversi cambiamenti, sia per effetto del malumore scatenato negli USA dalla ratifica di un trattato di libero commercio con la Colombia, sia per il desiderio del governo di Bogotá di alleviare le tensioni con i paesi vicini e indurli alla cooperazione, sottraendo il paese all’isolamento cui l’ha sempre più costretto il rigido allineamento con Washington. Da ciò la ripresa di rapporti cordiali della Colombia con l’Ecuador, interrotti nel 2008 quando le forze armate colombiane bombardarono un accampamento della guerriglia in territorio ecuadoriano. Rimane invece burrascosa la relazione con il Venezuela. Infine, a cinque anni dalla sua firma, il Congresso degli USA ha ratificato nel novembre 2011 l’accordo bilaterale di libero commercio con la Colombia, entrato ufficialmente in vigore sei mesi dopo. La US International Trade Commission ha stimato che le esportazioni statunitensi verso la Colombia potrebbero crescere su base annuale di oltre un miliardo di dollari, mentre quelle colombiane verso gli Stati Uniti di circa cinquecento milioni di dollari.
La guerra intestina che da decenni affligge la Colombia è un complicato puzzle. Il conflitto, che dura da 50 anni, ha provocato la morte di oltre 200.000 persone. Sul campo, si fronteggiano l’esercito nazionale, le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e l’ELN (Ejército de Liberación Nacional). Il conflitto armato si è talmente tanto cronicizzato da aver sviluppando logiche proprie e prodotto nuove interazioni sia con il narcotraffico, sia con il contesto geopolitico locale. Ciò non solo impedisce la fine del conflitto ma ne accresce il potenziale destabilizzante nella regione. Per quanto riguarda il narcotraffico, la guerriglia ha a lungo garantito protezione ai cartelli della droga nei vasti territori sotto il suo controllo, ottenendo in cambio lauti finanziamenti per acquistare armi. I frequenti sconfinamenti delle FARC in Venezuela ed Ecuador e i rapporti talvolta ambigui che i governi di questi due paesi intrattengono con la guerriglia, uniti al coinvolgimento degli USA e alla soluzione militare perseguita dalla Colombia nell’ultimo decennio, hanno più volte minacciato di estendere la guerriglia a tutta l’area. Nel 2009, il bombardamento colombiano di un accampamento delle FARC situato in territorio ecuadoriano scatenò, per esempio, una grave crisi tra la Colombia e i due vicini, che portò alla momentanea rottura dei rapporti diplomatici con l’Ecuador e alla mobilitazione dell’esercito in Venezuela. I governi colombiani hanno perlopiù oscillato negli ultimi decenni tra la ricerca di una soluzione politica al conflitto e quella di una soluzione militare. La prima prospettiva, perseguita negli anni Novanta, non ha dato risultati incoraggianti, sicché Alvaro Uribe – presidente dal 2002 al 2010 – ha optato per la via militare, ottenendo notevoli successi e grande popolarità, senza però risolvere definitivamente il problema. Nel settembre 2012, il presidente Juan Manuel Santos ha ufficialmente annunciato l’avvio di un nuovo processo di pace; parallelamente, però, ha respinto la richiesta di un cessate il fuoco, avanzata dai ribelli. I negoziati – che sono iniziati ufficialmente il 19 novembre 2012 e si svolgono tra Oslo e l’Avana, con il coinvolgimento di Cile e Venezuela come osservatori super partes – si basano su una agenda costituita da otto punti: la riforma agraria, la fine del conflitto armato e la lotta al traffico degli stupefacenti, la restituzione delle armi, l’inserimento dei membri delle FARC nella vita civile e la loro partecipazione nelle attività politiche, una legge sulle vittime di guerra, e, infine, l’implementazione, la verifica e la vidimazione degli accordi. Dopo il compromesso di maggio sulla riforma agraria, il 6 novembre 2013 è stata trovata un’intesa parziale anche sulla futura partecipazione politica delle FARC. Sono stati lasciati in sospeso, invece, i rimanenti punti, tra cui quello relativo al narcotraffico. Eppure questa è la chiave dell’intera vicenda: il traffico di stupefacenti è un business che rappresenta all’incirca l’1,5 del PIL nazionale, ammonta a circa 5 miliardi di dollari, metà dei quali gestiti direttamente dalle FARC. Il referendum, previsto dagli accordi preliminari e che dovrà sancire l’effettiva pace, si dovrebbe tenere in coincidenza delle prossime elezioni legislative (marzo 2014) o presidenziali (maggio 2014). Un esito favorevole rappresenterebbe il trionfo personale ed elettorale per Santos, in calo di popolarità negli ultimi mesi.