Vedi Colombia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Sul piano politico la Colombia è una repubblica presidenziale, dove la democrazia rappresentativa è sopravissuta ai drammatici conflitti che affliggono il paese senza soccombere al militarismo, a lungo imperante nel resto della regione. Ciò non toglie che il sistema politico colombiano, fondato per molto tempo su un bipartitismo impermeabile all’ingresso in campo di nuove forze politiche, e permeato dalla corruzione alimentata dal narcotraffico, patisca gravi distorsioni. Nel primo decennio del 21° secolo, tuttavia, il sistema democratico colombiano ha dato segni di maggiore solidità: sia perché una terza forza politica ha assunto per la prima volta il governo di talune grandi città, sia perché il presidente Alvaro Uribe, dopo due mandati, non ha soltanto chiuso il suo mandato con un elevato grado di popolarità, ma si è anche visto impedire una terza candidatura in base alla costituzione vigente, difesa dalla Corte suprema. Nel 2010, infine, gli è succeduto Juan Manuel Santos, nel cui programma il rispetto della legalità va di pari passo con la lotta alla sovversione, che il predecessore aveva spesso condotto violando a sua volta la legalità.
Gli elevati tassi di crescita demografica che ancora pochi decenni fa caratterizzavano la Colombia, superiori al 3% negli anni Sessanta del 20° secolo, si sono oggi nettamente ridotti, giungendo all’1,4%. Nel frattempo, però, coi suoi quasi 47 milioni di abitanti, essa è diventata una potenza demografica.
Sul piano sociale, la Colombia spicca storicamente per il divario tra ricchezza potenziale e povertà diffusa e per l’elevata concentrazione della ricchezza. La mancata affermazione di forti movimenti riformisti nel corso della storia politica colombiana, perlopiù dominata da ristrette élites, aiuta almeno in parte a spiegare i forti divari sociali che ancora caratterizzano questa società dai tratti particolarmente conservatori. Nell’ultimo decennio la crescita economica sostenuta ha però consentito una significativa riduzione di oltre dodici punti del tasso di povertà, sceso intorno al 37,2% (2010). A rendere particolarmente problematico il rapporto tra popolazione e territorio in Colombia, infine, è la dolente piaga degli oltre tre milioni di colombiani sfollati dalla guerra intestina e costretti a cercare riparo in altre regioni o città, dove la loro presenza aggrava inevitabilmente i già acuti problemi derivati dalla diffusa carenza di servizi sociali di base.
Luci e ombre caratterizzano il panorama economico colombiano. Tra le prime spiccano non solo le enormi potenzialità del paese, ricco di risorse strategiche del sottosuolo, ma anche la sua crescita costante nel corso degli anni e la disciplina macroeconomica cui i suoi governi si sono attenuti. Tra le seconde si impongono il contesto di violenza endemica, la dimensione pervasiva dell’economia illegale e le fasce ancora estese di marginalità sociale. Il fatto che questi ultimi fattori non abbiano fermato lo sviluppo può essere letto come sintomo di una economia solida, ma non vi è dubbio che ne abbiano limitato o distorto l’evoluzione, inibendo un maggiore ingresso di investimenti esteri e limitando gli effetti virtuosi prodotti dalla crescita. In materia energetica, la Colombia si affida al petrolio per coprire poco più del 40% del suo fabbisogno. I governi dell’ultimo decennio hanno in proposito adottato importanti riforme, compresa la parziale privatizzazione della compagnia petrolifera di stato, riuscendo così ad attrarre ingenti capitali esteri e ad accrescere la produzione, esportata in misura crescente. La Colombia ha ottenuto notevoli successi anche nella produzione di carbone, di cui possiede enormi riserve, seconde in America del Sud soltanto a quelle del Brasile, che contribuisce per il 34,7% dell’export. Nell’ultimo decennio la produzione è raddoppiata e l’esportazione di carbone, un bene il cui consumo interno è minimo, produce circa un quarto delle entrate che la Colombia ricava dagli scambi con l’estero. Sul fronte della politica ambientale, infine, la Colombia può vantare alcuni importanti successi. Benché l’impiego di fonti energetiche rinnovabili alternative sia pressoché nullo, l’esteso ricorso all’energia idroelettrica, che non genera emissioni nocive, e la protezione di circa il 10% del territorio nazionale attraverso la creazione di parchi naturali, fanno sì che la Colombia si trovi in ottima posizione nel ranking mondiale di performance ambientale.
Il buon andamento economico e il ritrovato peso politico regionale hanno consentito alla Colombia di muoversi verso una strada di maggiore cooperazione regionale. Questo è il caso dell’Alleanza del Pacifico (aprile 2011) tra Colombia, Cile, Messico e Perù. Questa nuova organizzazione oltre a promuovere un’integrazione maggiore tra gli stati firmatari in materia di libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone, si propone come una piattaforma strategica nuova proiettata verso le dinamiche realtà dell’Asia-Pacifico.
La lunga tradizione di governo civile e costituzionale non basta a fare della Colombia un paese all’avanguardia in America Latina per il rispetto delle libertà e dei diritti individuali. Infatti, nonostante i grandi passi avanti compiuti negli ultimi anni nel garantire la sicurezza pubblica, almeno nelle aree urbane, la Colombia rimane un paese dove i cittadini sono spesso soggetti alla violenza e all’arbitrarietà e dove i crimini rimangono nella maggior parte dei casi impuniti. Responsabili di tali violazioni sono diversi attori: le forze paramilitari sorte in molte regioni del paese e spesso con la connivenza delle autorità ufficiali per combattere la guerriglia, macchiatesi di orrendi crimini e la cui smobilitazione, negli anni scorsi, è avvenuta al costo di una estesa impunità; le formazioni guerrigliere, distintesi per il ricorso cronico al rapimento di cittadini e autorità come strumento di pressione politica e per il crescente intreccio con i trafficanti di droga; infine, le stesse forze di sicurezza dello stato sono spesso incorse in uccisioni sommarie, rappresaglie ai danni di innocenti, falsificazioni di prove e torture, causando le denunce delle organizzazioni di tutela dei diritti umani. Tale sfondo di violenza e illegalità non ha lasciato indenni le libertà politiche e civili sancite dalla costituzione. Le competizioni elettorali sono condizionate dai frequenti casi di legislatori legati al narcotraffico e la corruzione dei funzionari pubblici è una piaga ancora assai estesa. Anche i gruppi armati della guerriglia mirano a boicottare le elezioni con azioni violente o minacciando i candidati. Giornalisti e sindacalisti, infine, sono tra le categorie più colpite dalla violenza politica, a conferma della pericolosità che ancora comportano in Colombia l’esercizio dei diritti sindacali e della libertà di stampa.
La sommatoria di numerosi focolai conflitto fa della Colombia un paese dai cronici problemi di sicurezza che ne condizionano in ampia misura la vita politica e sociale. Alla guerra combattuta dalle forze armate contro i vari fronti della guerriglia disseminati in diverse aree del paese si intreccia infatti la lotta al narcotraffico. L’ingente aiuto economico e militare che gli Stati Uniti hanno fornito ai governi colombiani per combattere questi due fronti ha però acuito la tensione coi paesi vicini, specie Ecuador e Venezuela, i quali se ne sentono potenziali obiettivi. Preoccupati già in passato dal possibile ‘contagio’ dei conflitti colombiani, tali paesi hanno assunto posizioni assai ostili verso l’asse forgiato dalla Colombia con gli Stati Uniti da quando al loro governo sono saliti due leader ‘bolivariani’. Quest’insieme di fattori, unito agli elevati indici di criminalità che tengono impegnati la polizia colombiana, fa sì che le forze di sicurezza colombiane abbiano ottenuto dagli anni Novanta in poi quote crescenti del bilancio nazionale e siano nel complesso meglio equipaggiate e addestrate di quelle dei paesi vicini. Il rapporto tra le somme spese e i risultati ottenuti sono tuttavia oggetto di numerose critiche in Colombia, che denunciano la scarsa razionalità ed efficienza delle forze di sicurezza, così come l’insostenibilità della dinamica di crescita delle spese militari per le finanze nazionali.
Nel contesto geopolitico dell’America Latina odierna, dove la tradizionale egemonia statunitense è oggetto di duri attacchi o inedita concorrenza, la Colombia ha rappresentato più di ogni altro paese l’alleato più stretto degli Stati Uniti. Tale relazione per tanti aspetti ‘speciale’ maturò ai tempi della Guerra di Corea, quando la Colombia fu l’unico paese della regione a inviare truppe per combattere al fianco di quelle delle Nazioni Unite. Col tempo i rapporti tra i due paesi si sono sempre più consolidati, in quanto il conflitto intestino colombiano rimaneva una ferita aperta nella stabilità della regione, e la Colombia assurgeva a capitale del traffico di droga, perlopiù consumata negli Stati Uniti. Fu in tale contesto che nel 1999 il presidente Bill Clinton lanciò il ‘Plan Colombia’, un ambizioso piano volto a combattere il narcotraffico, la cui componente militare è andata col tempo imponendosi, ampliandosi sotto George W. Bush anche alla lotta contro la guerriglia. Da allora questo piano, cui col tempo è stata destinata l’enorme cifra di circa 7 miliardi di dollari, è divenuto da un lato il simbolo della stretta alleanza tra i due paesi, e dall’altro l’oggetto privilegiato degli strali delle correnti anti-Usa. Di recente, tuttavia, ossia dall’ascesa alla presidenza di Juan Manuel Santos, sembrano intravvedersi dei cambiamenti all’orizzonte, sia per effetto delle opposizioni interne agli Stati Uniti circa la ratifica di un trattato di libero commercio con la Colombia, sia per il desiderio del governo di Bogotà di alleviare le tensioni coi vicini e indurli alla cooperazione, sottraendo il paese all’isolamento cui l’ha sempre più costretto il rigido allineamento con Washington. Da ciò la ripresa di rapporti cordiali della Colombia con l’Ecuador, interrotti da quando le Forze armate colombiane avevano bombardato un accampamento della guerriglia in territorio ecuadoriano; e il miglioramento dei rapporti col Venezuela, spesso burrascosi al limite dello scontro armato negli anni della presidenza di Alvaro Uribe. Infine, a cinque anni dalla sua firma, il Congresso degli Stati Uniti ha ratificato nel novembre 2011 l’accordo bilaterale di libero commercio con la Colombia, il quale è entrato ufficialmente in vigore sei mesi dopo. La Us International Trade Commission ha stimato che le esportazioni statunitensi verso la Colombia potrebbero crescere su base annuale di oltre un miliardo di dollari, mentre quelle colombiane verso gli Stati Uniti di circa cinquecento milioni di dollari.
La guerra intestina che da decenni affligge la Colombia è un complicato puzzle. Per un verso è la solitaria coda delle guerriglie sorte in vari paesi dell’America Latina negli anni Sessanta del 20° secolo. Le Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e l’eln (Ejército de Liberación Nacional), infatti, ossia i due principali gruppi guerriglieri, si richiamano al mito guevarista della rivoluzione socialista. Per un altro verso, tuttavia, il conflitto armato si è cronicizzato, sviluppando logiche proprie e producendo nuove interazioni sia col narcotraffico, sia col contesto geopolitico locale, che contribuiscono a mantenerlo in vita e ad accrescerne il potenziale destabilizzante nella regione. Per quanto riguarda il narcotraffico, la guerriglia ha a lungo garantito protezione ai cartelli della droga nei vasti territori sotto il suo controllo, ottenendo in cambio lauti finanziamenti coi quali acquistare armi. A proposito, invece, del contesto regionale, i frequenti sconfinamenti delle Farc in Venezuela ed Ecuador e i rapporti talvolta ambigui che i governi di questi due paesi intrattengono con la guerriglia, uniti al coinvolgimento degli Stati Uniti e alla soluzione militare perseguita dalla Colombia nell’ultimo decennio, hanno più volte minacciato di estendere la guerriglia a tutta l’area. Nel 2009, il bombardamento colombiano di un accampamento delle Farc situato in territorio ecuadoriano scatenò per esempio una grave crisi tra la Colombia e i due vicini, che portò alla momentanea rottura dei rapporti diplomatici con l’Ecuador e alla mobilitazione dell’esercito in Venezuela. I governi colombiani hanno perlopiù oscillato negli ultimi decenni tra la ricerca di una soluzione politica al conflitto e quella di una soluzione militare. La prima prospettiva, perseguita negli anni Novanta, non ha dato risultati incoraggianti, sicché Alvaro Uribe, presidente dal 2002 al 2010, ha optato per la via militare, ottenendo notevoli successi e grande popolarità, senza però poter dire di avere gettato le basi per la fine del conflitto armato in Colombia. Nel settembre 2012, il presidente Juan Manuel Santos ha ufficialmente annunciato l’avvio di un nuovo processo di pace; parallelamente, però, ha respinto la richiesta di un cessate il fuoco avanzata dai ribelli. I negoziati – che si svolgeranno tra Oslo e l’Avana e vedranno il coinvolgimento di Cile e Venezuela come osservatori super partes –, si basano su una agenda costituita da cinque punti, che prevedono una riforma agraria, la partecipazione politica, la fine del conflitto armato, la restituzione delle armi, il reintegro dei membri delle Farc nella vita civile e la loro partecipazione futura nelle attività politiche, la sostituzione delle coltivazioni illegali e una legge sulle vittime di guerra. Tuttavia, nonostante l’ottimismo iniziale intorno ai negoziati, le parti rimangono ancora lontane da un accordo, soprattutto rispetto alla legge sulle vittime della guerra e alla restituzione delle terre abbandonate dai rifugiati che, secondo le Farc, favorirebbe gli imprenditori più che i danneggiati dalla guerra, mentre il governo interpreta questa critica come un tentativo di stallo nelle contrattazioni.