COLONATO
. Tale voce corrisponde alla latina colonatus (o ius colonatus) designante nel periodo del basso impero la condizione degli agricoltori vincolati al fondo che coltivavano, e che si trova usata Cod. Th., XII, 1, 33 (anno 342); Cod. Th., XIV, 18, i (anno 382 = Cod. Iust., XI, 26, 1); Cod. Th., XII, 19, 2 (anno 400 = Cod. Iust., XI, 66, 6); Cod. Th., V, 6, 3 (anno 409); Nov. Iust., App. IX (ed. Schöll-Kroll, p. 803).
Coloro che si trovano in genere nella predetta condizione sono indicati con appellativi varî, che hanno talora rapporto con qualche particolarità non ben chiara nella condizione giuridica o economica di alcuni di essi (coloni, inquilini, glebae o censibus adscripti, adscripticii, ἐξαποὑπευϑυνοι γεωργοίγραϕοι, originarii, tributarii, agricolae censiti, ὑπευϑυνοι γεωργοί, ecc.).
Origine e svolgimento dell'istituto. - Il numero e la varietà delle opinioni sull'origine e sullo sviluppo storico del colonato, di cui non accenneremo che le principali, bastano a dimostrare le difficoltà del problema. Alcune di queste teorie ravvisano l'elemento costitutivo del colonato nelle classi servili (Puchta, Rodbertus), altre lo traggono dalle classi dei liberi, piccoli proprietarî o fittabili o lavoratori vaganti (Cuiacio, Heisterbergk, Mommsen, Karlowa, Révillout, Wallon, Esmein), altre da queste e da quelle insieme (Giraud, Savigny, Fustel de Coulanges, Dareste). Secondo alcuni l'istituto è originario d'Italia (Rodbertus); per altri è esclusivamente provinciale (Savigny, Heisterbergk, Schultz, Rudorff, Guizot); secondo altri ancora - è sono i più - esso sorse a un tempo in Italia e nelle provincie. Quanto all'epoca della sua formazione, per alcuni è un istituto preromano delle provincie (Rudorff, Heisterbergk, Schultz, Guizot); secondo altri appartiene al tempo repubblicano (Giraud, Laferrière); secondo i più è del tempo imperiale. Alcuni ritengono che il colonato abbia avuto origine in un ceppo indigeno, libero o schiavo, italico o di altre parti dell'impero (Rodbertus, Rudorff, Schultz, Guizot, Laferrière, Heisterbergk, Fustel de Coulanges, Dareste); altri in un elemento straniero (Wenck, Zumpt, Savigny, Maynz, Baudi di Vesme, Fossati, Mommsen), introdottosi nell'impero romano. Una teoria eclettica, che tien conto dell'uno e dell'altro elemento, è quella del Huschke. Finalmente alcuni rannodano l'istituto a costumanze italo-greche (Giraud), altri all'organizzazione dell'antica famiglia celtica (Guizot), altri a istituzioni italo-galliche (Laferrière), altri al servaggio germanico (Mommsen, Maynz e altri).
Più particolarmente, secondo le varie opinioni, diverso è il fondamento di fatto e giuridico del colonato. a) Secondo alcuni, il fondamento consisterebbe in una manumissione limitata avente un fondamento legislativo (Puchta, Giraud) o in un patto di affittanza con servi (Rodbertus, Fustel de Coulanges per la servitù della gleba) seguito o accompagnato dalla sottomissione dei piccoli proprietarî o dei fittabili immiseriti. b) Altri ravvisano negli istituti agrarî delle provincie il substrato del colonato posteriore (Rudorff, Schultz, Guizot, Heisterbergk). c) Per altri ne sarebbe causa la violenza sanzionata poi dalle leggi (Wallon, Jung, Fustel de Coulanges, per il colonato dei liberi), o il vincolo perpetuo al suolo imposto dall'amministrazione romana e poi senz'altro dalle leggi, o il vincolo perpetuo al suolo imposto per motivi fiscali ai contadini per evitarne le fughe e mantenere i coloni sui fondi (Révillout, Hegel, Kuhn, Esmein, Karlowa, Wilcken) analogamente al vincolo corporativo imposto ai singoli esercenti mestieri. d) Si è voluto anche riferirne la causa all'influenza diretta della legislazione sui liberi agricoltori (Huschke, Marquardt), per qualcuno (Puchta) anche sugli schiavi. e) Molti ravvisano il primo o il successivo più forte contributo alla formazione del ceto dei coloni negli stabilimenti dei barbari nell'impero per opera degl'imperatori; secondo alcuni, in quelli dei soli dediticii, secondo altri, negli stanziamenti di questi e dei laeti e gentiles (Gotofredo, Wneck, Baudi di Vesme, Fossati, Zumpt, Savigny, Laboulaye, Marquardt); con essi poi in certo senso è messo da alcuni in rapporto il colonato, quanto alla derivazione germanica dell'istituto (Maynz, Mommsen); i più fanno rimontare i primi stabilimenti all'imperatore Marco, altri ad Augusto (Huschke, Marquardt). f) Non manca chi ripone il fondamento del colonato nella clientela romana e gallica (Laferrière), g) o nell'esercizio della piccola coltura sui latifondi in Italia (Rodbertus) o nelle provincie frumentarie (Heisterbergk). Però queste due teorie, e specialmente la seconda, si occupano di rintracciare più l'elemento sociale che diede occasione all'istituto che non il suo fondamento giuridico. h) Una dottrina eclettica è quella di G. Segrè. Egli, ponendo in rilievo come tutta l'antichità ci presenti istituti simili alla clientela, al servaggio della gleba e al colonato, ravvisa un primo elemento del colonato romano nei coltivatori indigeni vincolati al suolo per quelle provincie in cui continuarono a sussistere gli antichi istituti anche sotto la nuova dominazione; ritiene però che l'elemento precipuo si debba ricercare da una parte nel fatto che i piccoli coloni, sprovvisti di capitale proprio e bisognosi, una volta venuti sul fondo e stretto il patto di fitto senza determinazione di tempo, finivano col porsi in uno stato di dipendenza; dall'altra nella circostanza che il costume dapprima, la legge poi, per scopi fiscali permisero ai proprietarî di trattenere a forza i coloni sui fondi, o li costringevano al ritorno; un ulteriore elemento per il suo sviluppo sarebbe dato dagli stabilimenti dei barbari nell'impero; la legislazione dell'ultimo periodo non avrebbe creato l'istituto, ma l'avrebbe soltanto regolato e generalizzato. In gran parte analoghe sono le dottrine del Seeck e del Kromayer, i quali, pur riconoscendo un elemento importante in istituti analoghi dell'Oriente e germanici, vedono l'origine del colonato nella soggezione di fatto dei piccoli fittavoli verso i grandi proprietarî formatasi per necessità di cose già in antico, e mutatasi poi in un vincolo giuridico in causa della grande crisi del sec. III, quando vennero a mancare i lavoratori del suolo.
In molte di queste opinioni vi è indubbiamente del vero: soprattutto, per quanto riguarda l'influenza che ebbe sulla formazione e sullo sviluppo del colonato la non lieta condizione economica dei piccoli fittavoli e dei lavoratori agricoli sui latifondi imperiali e privati, l'abbandono della terra ed i provvedimenti che cercavano d'impedirlo, nonché l'esempio di rapporti analoghi già prima esistenti in alcune parti orientali e occidentali dell'impero. Ma si può forse raggiungere un maggior grado di concretezza tenendo conto delle più recenti scoperte di documenti e delle ricerche (Rostovzeff) che hanno recato nuova luce allo studio del problema.
Nell'insieme, il quadro pare si possa prospettare come segue: colono era originariamente un libero che coltivava il suo o il fondo rustico altrui (v. colonia; colono). Quando però la proprietà fondiaria venne a concentrarsi nelle mani di pochi ed i liberi non coltivarono più direttamente i fondi, colonus fu detto di solito il conduttore di una parcella d'un latifondo. Gli atti delle parcelle avevano di solito una durata quinquennale con riconduzione tacita qualora il colono, scaduto il termine, seguitasse a coltivare il fondo col consenso del locatore. Nei primi secoli dell'impero il colono aveva spesso a sua disposizione un certo numero di schiavi. Ma la diminuzione della mano d'opera servile e il generale impoverimento dell'impero, l'estensione della cittadinanza romana a categorie sempre più vaste di abitanti dell'impero, culminante nella costituzione antoniniana, portarono ad abbassare il livello delle classi borghesi più che ad innalzare quello delle classi soggette. Perciò il lavoro, che prima era prestato dalle classi servili o dai contadini asserviti alla gleba sia nei paesi ellenistici sia presso i popoli barbari e in specie i Germani, durante il basso impero fu a carico dei cittadini romani meno abbienti.
L'allargarsi della cerchia dei cittadini romani e la sostituzione delle classi militari alle vecchie classi dominanti si può dire che non abbiano fatto sorgere il colonato come fenomeno, ma che abbiano distrutto quelle barriere di nazionalità e di classe che limitavano il colonato a categorie speciali, quali, p. es., i βασιλικοί γεωργοί dei paesi ellenistici. La distruzione della borghesia costituita da cittadini romani abbienti, da Greci abbienti con istruzione ginnasiale, fece sì che si accentuasse sempre più il contrasto fra le classi dominanti latifondiste e le classi povere, basato sempre più su differenze puramente economiche. I latifondi diventarono sempre più estesi. I saltus vennero dati in affitto ad un conductor che li distribuiva in parcelle fra i coloni subaffittuarî tenuti a pagare il canone, a volte in denaro, a volte in natura, a volte come quota parte del raccolto. Quelli dei coloni che abitavano nel fondo erano tenuti a prestazioni personali verso il conductor o verso il latifondista, il quale coltivava direttamente una parte del fondo servendosi parzialmente della mano d'opera dei coloni affittuarî delle parcelle.
La mancanza di capitali e di mano d'opera che fece aumentare l'estensione di terreni incolti e rese difficile il pagamento delle imposte sui terreni, portò ad esentare da ogni peso per un periodo più o meno lungo, a seconda delle coltivazioni, i terreni abbandonati messi a coltura. Nel 193 d. C. infatti Pertinace (Herod., 2, 4, 6) accordò ai coloni che avessero messo a coltura terre abbandonate la piena proprietà dei terreni stessi con esenzione dalle imposte per 10 anni. Ma, nonostante i provvedimenti presi dallo stato a favore dei coloni, la mancanza sempre crescente di mano d'opera peggiorò progressivamente la loro condizione. Essi furono sempre più sfruttati per la coltivazione della parte del fondo non parcellata e i conductores si fecero forti dell'appoggio dei procuratores, presso i quali invano i coloni cercavano giustizia. Una serie di iscrizioni scoperte in Africa dal 1880 in poi, oltre a fornirci molte notizie intorno all'amministrazione dei dominî imperiali, ci prova come, forse dapprima e ad imitazione d'analoghi ceti nei paesi ellenici, si sia formato un ceto agricolo di condizione umile, che si diffuse anche più coi latifondi dei grandi proprietarî e che ha molti tratti simili coi coloni dell'epoca più tarda.
La lex Marciana e la lex Hadriana che si riferiscono alla provincia d'Africa ci dànno un'idea abbastanza esatta della condizione di questi coloni in larga parte delle provincie. Ai confini settentrionali dell'impero, sia per riempire i vuoti lasciati dalla peste, sia per rafforzare le frontiere, M. Aurelio stanziò i barbari entro i confini dell'impero, lasciandoli in una condizione giuridica, secondo il Seeck, analoga a quella che avevano i liti presso i Germani, cioè di liberi in condizione di clienti d'un signore.
Questi liti prenderebbero appunto il nome di inquilini; essi, come appare da un celebre e probabilmente genuino passo di Marciano (Dig., XXX, 1 de legatis, 112 fr.), sono liberi, ma considerati come una parte del fondo; il loro signore deve dichiararli nel censo (Dig., L, 15 de censibus, 4, 8) e, pur potendone disporre, non può alienarli staccandoli dai fondi che essi coltivano. Secondo il Seeck, si sarebbe distinto nell'era precostantiniana un inquilinato da un colonato costituito da liberi conduttori di fondi non legati alla gleba, in un secondo tempo il colonato avrebbe preso la forma dell'inquilinato in seguito alla capitatio introdotta da Diocleziano che rendeva responsabili i decurioni per il mancato pagamento del censo da parte dei contadini. Comunque, la più antica dichiarazione dell'aderenza al suolo si riferisce ad inquilini mentre nel cit. fr. 4, 8 Dig., L, 15 (vel colonum) è forse infitizio.
Diviso il territorio in unità fiscali con la iugatio (v. sotto iugum), per conservare ad esse la loro efficienza fiscale Costantino nel 332 (Cod. Theod., V, 17, 1), stabilì che i coloni non potessero abbandonare il fondo. Ora, sia stata questa o no la prima legge che costrinse materialmente i coloni alla zolla, sia essa la lex a maioribus constituta (Cod. Iust., XI, 51 [50]), certo è che in questi tempi i coloni diventarono glebae adscripti (adscripticii, ἐνα πόγραροι) e con i coloni furono adscripti censibus i servi, i casarii, probabilmente semplici braccianti, i contadini liberi piccoli possidenti. Accanto ai coloni servi della gleba esistevano anche coloni che non erano censibus adscripti. Nonostante gli effetti della legislazione fiscale sulla costituzione del colonato, il legame alla zolla non si costituì contemporaneamente nelle varie regioni dell'impero; in Palestin3, ad es., i coloni furono glebae adscripti solo dopo il 383-389
La capitatio humana e la iugatio hanno portato a disciplinare il colonato a scopi prevalentemente fiscali, ma una volta costituito esso rimase come istituto indipendente dalla capitatio, tanto che quando, ad es., Teodosio tolse la capitatio ai coloni in Tracia, poté tuttavia proibire loro d'abbandonare la zolla.
Il legame del colono alla zolla, costituito dapprima, come pare, a vantaggio del fisco, si trasformò in un legame a vantaggio dei grandi proprietarî. Questa trasformazione, generale in tutto il mondo romano, si segue, forse meglio che altrove, in Egitto per la ricchezza dei dati fornitici dai papiri.
In Egitto i latifondi si accrescono a detrimento dei fondi imperiali e dei privati. Ma è il fisco stesso che con la ἐπιβολή (iunctio) attribuisce i terreni demaniali non redditizî ai possessori vicini per assicurare il pagamento dell'imposta. In Egitto, dove i terreni pubblici avevano enorme estensione, i latifondi si accrescono prevalentemente a loro spese, mentre la concentrazione della proprietà dei privati nelle mani di pochi non appare altrettanto chiaramente dai testi. Sappiamo però che anche in Egitto il movimento dei patrocinia ha portato, non solo singoli possessori, ma intiere comunità sotto la protezione dei potenti ai quali quelli cedono i beni che sono loro rilasciati in locazione o a titolo di precario. Il proprietario del fondo (γεοῦχος) che è responsabile di fronte allo stato per le imposte lega al fondo il colono (cfr. Salv., De gubern. Dei, V, 8), e lo stato nel suo interesse riconosce la validità di questo vincolo. I potenti sotto il cui patrocinio si vengono a trovare i coloni, spesso sono alti funzionarî militari che difendono, magari con le armi, i contadini dalle esazioni dei decurioni della città (v. decurioni), per il che il legame dei coloni alla gleba si volse poi sempre a profitto dei potentiores. Occorre, del resto, tener presente che in nessun altro territorio, come in Egitto, si può seguire attraverso molti secoli il doloroso fenomeno dell'abbandono (αναχώρησις) della propria terra (ἰδία) per sottrarsi alle vessazioni, alle gravi imposte e alle liturgie (cfr. la minaccia dei coloni di un saltus imperiale in Africa, in Corp. Inscr. Lat., VIII, suppl. 14.428). Tanto più ciò dovette avvenire nel corso del sec. IV d. C., quando lo stato, per assicurarsi la riscossione delle imposte, di cui doveva rispondere il proprietario, impose definitivamente quel vincolo che prima era stato oggetto di provvedimento transitorio per impedire le fughe e costringere i fuggiaschi al ritorno: tale vincolo imposto dalla legge rientra nel quadro dei provvedimenti legislativi di questo tempo, che, sempre per motivi fiscali, vincolano alla curia, al mestiere, alla professione, alla corporazione. Accanto ai coloni adscripticii, ἐναπόγραϕοι, anche in Egitto rimangono i villaggi liberi (metrocomiae o vici publici) popolati da contadini indipendenti.
Nonostante tutti i provvedimenti presi dagl'imperatori per tenere i coloni vincolati alla gleba, è certo che essi emigravano sovente in massa, specie in caso d'invasioni barbariche, di carestie, ecc. Il regime del colonato, sorto da una forte diminuzione della popolazione e quindi da una mancanza sempre maggiore di mano d'opera, e da una mancanza di capitali che non permetteva di mantenere in efficienza le opere pubbliche che contribuivano alla prosperità dell'agricoltura, è stato una conseguenza del regresso dell'economia romana che ha riportato il mondo antico alla ricostituzione di forme economiche diffusissime presso i popoli barbari e nei paesi eilenistici.
Condizione giuridica dei coloni. - Il colono era un libero, il suo matrimonio di regola era valido, per quanto si tendesse a proibire il matrimonio di un adscripticius con una donna libera e a mettere come condizione l'appartenenza dei coniugi allo stesso fondo (Nov. Iustin., 22,17).
La condizione di colono era ereditaria. Quando uno solo dei genitori fosse colono, la condizione dei figli era regolata da numerose costituzioni imperiali spesso in contraddizione l'una con l'altra.
Nel caso di matrimonio fra persone di diversa condizione di cui una fosse il colono, i figli seguivano la condizione della madre; dopo Giustiniano però seguivano la condizione del padre se questo era colono. I coloni, a differenza degli altri liberi, potevano contrarre matrimonio valido con schiavi; sino a Giustiniano i figli seguivano la condizione del padre, dopo Giustiniano quella della madre. I coloni avevano un patrimonio proprio, potevano stare in giudizio, in taluni casi e con varie limitazioni anche contro il loro padrone. ll patrimonio del colono, che serviva a garantire al padrone l'adempimento delle sue obbligazioni, prendeva il nome di peculio, pur avendo una natura giuridica diversa da quella del peculio del figlio di famiglia o del servo.
La condizione del colono, peggiorando sempre più, si andò avvicinando a quella dello schiavo. Il patronus, anche chiamato dominus, aveva poteri correzionali e in certo modo anche di giurisdizione penale sul colono come sul servo. I coloni non si potevano allontanare dal fondo, né il padrone poteva toglierli dal fondo, dapprima senza averli sostituiti con vicarî, poi in nessun caso. Se fuggivano, ripresi, potevano essere messi in catena a lavorare i campi come servi fugitivi. Chi li nascondeva doveva pagare solo le loro imposte in un primo tempo, poi anche una pena pecuniaria. Se il colono era tenuto a continuare la locazione del fondo alle stesse condizioni, d'altra parte al padrone non era lecito di aggravare il canone.
La condizione di colono si acquistava: a) per nascita (v. sopra); b) mediante contratto ponendosi sotto il patrocinio d'un potente (v. sopra); c) conducendo per 30 anni un fondo secondo la costituzione di Giustiniano; d) per denunzia, poiché si attribuivano come coloni i mendicanti validi a colui che li denunziava.
Cessava la condizione di colono: a) con l'entrata nella milizia, solo quando il padrone del fondo presentasse il colono come recluta, ma anche questo modo di liberarsi non era più consentito ai coloni in una novella di Valentiniano e nel codice Giustinianeo; b) con l'entrata del colono nel clero col consenso del padrone del fondo, ma anche questo con varie limitazioni; c) per prescrizione, quando il colono venisse ad appartenere a una corporazione d'interesse pubblico alla quale poi era legato come prima alla zolla; d) se il suo padrone non lo aveva più ricercato per 30 anni nella stessa provincia, per 40 in un'altra provincia; e) nel caso in cui il colono per 30 anni, la colona per 20 anni, fossero vissuti fuori del fondo, secondo una legge di Onorio del 419. Nel diritto giustinianeo non era ammesso altro modo di estinzione che il conferimento della dignità episcopale e l'acquisto del fondo. È disputato se fosse ammessa la cessazione per mutuo consenso del padrone e del colono; si è anche supposto che l'affrancazione consensuale fosse entrata nell'uso in Occidente.
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