COLONNA
Affermano generalmente gli storici che le origini colonnesi sono avvolte dall'oscurità. Taluno narrò che i C. fossero venuti dalla Germania; e questa opinione fu anche attribuita universalmente a Francesco Petrarca. Il quale invece con molta precisione affermò che i C. trassero origine dalla Valle di Spoleto (cfr. ad es. l'epistola a Cola di Rienzo e al popolo romano, ed. Burdach, Briefwechsel des Cola di Rienzo, Berlino 1912, III, p. 65; v. anche l'ecloga Pietas pastoralis, ibid., p. 93; questi passi sono stati finora male interpretati). Non può esservi infatti dubbio che i Colonnesi discendano dai conti tuscolani, cioè dalla famiglia di Alberico I, marchese di Camerino e duca di Spoleto, che, disposandosi a Marozia, figliuola di Teofilatto e di Teodora, della potente casa che dominava Roma nei primi anni del sec. X, pose su salde basi la forza e la grandezza della sua famiglia, che diede pontefici alla chiesa e a Roma dominatori non dimentichi della gloria antica (P. Fedele, in Archivio d. R. Soc. Rom. di Storia Patria, XXXIII, 1910, p. 177 segg.). Tolomeo I ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus, e si diceva Iulia stirpe progenitus. Dal conte di Tuscolo, Gregorio II (o III secondo il Tomassetti, Tusculana, Roma 1912, p. 25), nascevano Tolomeo e Pietro che dopo la morte del padre, avvenuta prima del 1064, se ne dividevano la signoria, per modo che a Pietro spettò Monteporzio con le sue dipendenze, e tra queste il castello della C. sulle pendici dei colli Albani, che diede poi il nome ai suoi discendenti. Poiché è affatto inverosimile che la famiglia C. abbia derivato il cognome dalla colorma Traiana. Certo è che, fin dal principio del sec. XII, Pietro aveva assunto l'appellativo de Columna (Liber Pontif., ed. Duchesne, II, p. 307). Egli seguì le parti dell'antipapa Guiberto, e combatté vigorosamente contro papa Pasquale II; ma poi si riconciliò col pontefice. Onorio II (1124-1130) gli restituì Palestrina dalla quale era stato scacciato a furia di popolo, e dette in moglie al figlio di lui Oddone una sua nipote (Liber Pont., ed. March, p. 206).
Le grandi famiglie romane traevano ricchezza e potenza dal favore dei pontefici; la loro influenza si accresceva quando alcuni dei loro membri entravano nel collegio dei cardinali o assumevano l'ufficio di senatore di Roma, onori che i Colonnesi ebbero più volte. Quali fossero i loro possedimenti possiamo vedere da un atto di divisione fra Pietro e Ottone Colonna del 1252 (Petrini, Memorie Prenestine, p. 411 segg.). Tenevano i Colonnesi in Roma il Mausoleo d'Augusto, l'Agusta, come il popolo lo chiamava, e Monte Citorio (Mons Acceptori), l'uno e l'altro trasformati in arnese di guerra; fuori Roma, Palestrina, Zagarolo, La Colonna, Capranica, Pietra Porzia, Gallicano, San Giovanni e San Cesareo. Ma i loro possessi si estesero, per donazioni di re o per parentadi, ad altre terre dello Stato della Chiesa e dell'Italia meridionale.
Primo dei cardinali colonnesi fu Giovanni, abate di S. Paolo, nominato cardinale di S. Prisca da Celestino III nel 1193, che divenne poi cardinal vescovo di Sabina nel 1205. Celebrato da S. Bonaventura per le sue virtù, protesse particolarmente S. Francesco d'Assisi e il suo ordine, e si adoprò ad ottenerne l'approvazione da Innocenzo III. Gli furono affidate legazioni in Germania, Spagna, Sicilia, Francia. Celestino III lo aveva designato come suo successore; ma i cardinali gli preferirono Lotario di Segni. Morì nel 1216 (K. Wenck, Kardinal Johann von St. Paul, in Papsttum und Kaisertum. Festschrift für Paul Kehr, 1926, p. 456 segg.; B. Altaner, in Histor. Jahrbuch, 1929, p. 304 segg.).
Crebbe la potenza della famiglia con l'altro Giovanni C. che fu nominato nel 1212 cardinale di S. Prassede. Legato del pontefice nella quinta Crociata, egli portò dall'Oriente in Roma la colonna del Redentore, che si venera nella chiesa di S. Prassede. Nel 1239 Gregorio IX lo inviò nella Marca di Ancona a combattere Enzo, figlio di Federico II. Poi improvvisamente - e le ragioni non ne sono chiare - si volse alla parte imperiale. Fortificò formidabilmente il castello La Colonna, sul quale e sull'alta Palestrina si appoggiarono i Ghibellini e Ottone C., già senatore di Roma, per combattere le milizie papali. Si dice che l'iroso Gregorio IX gli avesse detto: nec ego de cetero habeo te pro cardinale; e il C. di rimando: nec ego te pro papa. Fu detto anche che il papa si proponesse di deporlo dal cardinalato; e forse lo avrebbe fatto, se la morte non glielo avesse impedito. Intanto Matteo Rosso Orsini, senatore di Roma, prendeva d'assalto il Mausoleo di Augusto, e il popolo devastava le case dei Colonnesi. Il cardinal C. era fatto prigioniero. Morì nel 1244 (Sütterlin, Die Politik Kaiser Friedrichs II. und die römischen Kardinäle, Heidelberg 1929).
Com'era naturale, la fede ghibellina e l'atteggiamerito ribelle al pontefice del card. Giovanni fecero sì che la casa C. rimanesse per luugo tempo nell'ombra. Dalla quale uscì quando salì al papato Niccolò III (1277-1280), il quale pensò di giovarsi dei C. per abbassare la potenza degli Annibaldi, implacabili nemici della famiglia Orsini, alla quale il pontefice apparteneva. Nel 1278 egli creò cardinale Giacomo C., figlio di Ottone, e per il 1279 nominò senatore di Roma il fratello Giovanni con Pandolfo Savelli. Un mosaico del palazzo C. rappresenta il senatore Giovanni con l'abito e le insegne senatoriali. Dieci anni dopo anche il figlio di Giovanni, Pietro, era da Niccolò IV nominato cardinale.
Con i cardinali Giacomo e Pietro C., la storia della famiglia acquista un interesse universale. Quando il 13 dicembre del 1294 Celestino V fece il gran rifiuto, Giacomo e Pietro C. diedero il loro voto al cardinal Benedetto Caetani il quale prese il nome di Bonifacio VIII. Ma presto tra il pontefice e i due cardinali scoppiò una fiera discordia, di cui varie sono le ragioni: da una parte il carattere del pontefice, dall'altra le relazioni dei due cardinali con Filippo il Bello e con Federico III di Sicilia, nemici di Bonifacio VIII, e anche con i Fraticelli o Spirituali, che vedevano in Bonifacio VIII l'intruso, introdottosi nella chiesa di Cristo con l'inganno e con la violenza. L'ira del pontefice traboccò, quando il 3 maggio del 1297 Stefano C., fratello del cardinal Pietro, postosi in agguato con i suoi satelliti nella via di Albano, s'impadronì del tesoro del papa che veniva trasportato da Anagni a Roma. Bonifacio, risoluto alla vendetta, il 4 maggio intimò ai due cardinali di presentarsi a lui quel giorno stesso audituri quid sibi placuerit dicere et mandare quod vult scire si papa est. Voleva dunque sapere se riconoscessero la legittimità del suo pontificato. Si presentarono il 6 maggio: e Bonifacio richiese che il tesoro fosse restituito, che Stefano C. si rendesse prigioniero, e gli si consegnassero Palestrina, Zagarolo e Colonna. Il tesoro fu restituito; ma alle altre richieste i C. rifiutarono di consentire. Il pontefice, allora, convocava il 10 maggio il concistoro per condannare i Colonnesi. Ma quel giorno stesso i C. radunatisi nel vicino castello di Lunghezza - era presente Iacopone da Todi - redigevano una protesta contro il papa, affermando non esser lui papa legittimo, poiché illegittima era stata la rinunzia di Celestino V; e dichiarando Bonifacio decaduto dalla sede apostolica, si appellavano al Concilio. Una copia della protesta, con incredibile audacia, veniva fatta deporre sull'altare di S. Pietro. Una nuova protesta veniva formulata in Palestrina il giorno 11 maggio (cfr. Denifle, Die Denkschriften der Colonna gegen Bonifaz VIII. und der Kardinäle gegen Colonna, in Archiv für Literatur und Kirchengeschichte des Mittelalters, V, pp. 493-529). Bonifacio condannava allora i Colonnesi, e non soltanto i due cardinali, ma anche Agapito, Stefano, Giacomo Sciarra, Giovanni di S. Vito e Oddone C. e i loro discendenti fino al quarto grado: spogliati di ogni loro sostanza, banditi dalle terre della Chiesa, esclusi da ogni pubblico uffizio, a tutti vietato di accoglierli. Ma ormai la parola era alle armi. Sulla lotta di papa Bonifacio contro i Colonnesi e sull'attentato di Anagni (P. Fedele, Per la storia dell'attentato di Anagni, in Bullettino dell'Istituto Storico Italiano, n. 41, 1921) vedi alla voce: Bonifacio VIII; qui basti ricordare come i Colonnesi fossero costretti nel settembre 1298 a consegnare al papa anche l'ultimo e più forte rifugio, Palestrina, che fu rasa al suolo. La famiglia fu dispersa: la sua potenza spezzata. Ma il 7 settembre 1303 Sciarra C. in Anagni s'impadronì del pontefice, il quale, sebbene liberato dagli Anagnini il 9, moriva affranto l'11 ottobre in Roma. Spariva così il grande nemico dei Colonnesi; ma con la morte di Bonifacio la questione colonnese non fu chiusa: essa domina per qualche anno la storia. Infaticabili nel processo che Filippo il Bello ordì contro la memoria di papa Bonifacio, i cardinali C. si adoprarono con tutti i mezzi a riprendere non solo la porpora, ma insieme tutti i diritti dei quali erano stati spogliati. Nel conclave di Perugia, dal quale dopo lunga attesa, fra intrighi e dissidî, doveva essere eletto pontefice il 5 giugno del 1305 Clemente V, la questione che più divideva gli animi era se i cardinali colonnesi dovevano essere restituiti interamente nei loro diritti. Il papa guasco, che faceva abradere dai regesti pontificali le grandi bolle promulgate da papa Bonifacio contro la casa di Francia, annullava tutti i processi intentati contro i Colonnesi, e restituiva i due cardinali pienamente nei loro diritti; ed a ricompensarli del loro appoggio per l'elezione al pontificato largheggiava con essi in favori e benefizî ecclesiastici. Giacomo C. morì in Avignone il 14 agosto del 1318: il corpo fu portato a Roma e seppellito nel coro di S. Maria Maggiore, la cui facciata egli, insieme con Niccolò IV, aveva fatta ornare di mosaici col suo ritratto. Egualmente in S. Maria Maggiore fu seppellito Pietro C., morto in Avignone riel 1326 (cfr. L. Mohler, Die Kardinäle Jacob und Peter Colonna, Paderborn 1914).
Fra i C. che acquistarono fama nel sec. XIII è da ricordare Giovanni C., nipote del cardinale di S. Prassede, che, entrato nell'ordine dei predicatori, fu nominato arcivescovo di Messina (1262-1264) e poi vicario di Roma e arcivescovo di Nicosia. Scrisse il Mare historiarum (Mon. Germ. Hist., Script., XXIV, 266-84) e De viris illustribus.
Ma fra tutti i membri della casa C. nei varî rami di Palestrina, di Genazzano e di Gallicano s'innalza, fra il '200 e il '300, Stefano C., rettore e conte di Romagna, dove egli si recò intitolandosi proconsole dei Romani. Senatore la prima volta nel 1292 con Matteo di Rinaldo Orsini, perseguitato dall'odio implacabile di Bonifacio VIII, ottenne, dopo la morte del pontefice, dal senato romano una sentenza con la quale i Caetani furono obbligati a risarcire la casa C. dei danni subiti. L'alterna vicenda degli avvenimenti riconduce i C. in prima fila nella vita politica di Roma. Nel 1306 Stefano sale il Campidoglio con Gentile Orsini, combatte spietatamente contro i Caetani in una guerra che si protrasse per oltre venti anni, partecipando nello stesso tempo con spirito battagliero alle vicende di Roma. L'antica rivalità dei C. con gli Orsini, che sembrava sopita, riscoppiò nel 1309, quando, in una zuffa fra Orsini e C., cadde il conte dell'Anguillara, e furono fatti prigionieri sei degli Orsini. Furono lotte selvagge alle quali partecipavano per gli uni o per gli altri tutti i membri della nobiltà romana. Roma era sconvolta dall'anarchia. Il popolo dolorante e oppresso elesse senatore il 1° agosto del 1310 Luigi di Savoia, mandato a Roma messaggero di pace in nome di Arrigo VII di Lussemburgo. Stefano C. è al fianco di Arrigo VII al quale dà fervidamente il suo aiuto nell'alta impresa, mentre in Roma gli Orsini, invano contrastati da Sciarra C., occupavano il Vaticano, Castel S. Angelo e il Trastevere. Arrigo entrò in Roma accompagnato da Stefano C. che, come dice Albertino Mussato, sé, le sue cose e quelle dei suoi, la sua vita stessa aveva offerto al re dei Romani. Si combatté aspramente per la conquista del Campidoglio tenuto dagli Orsini e dalle milizie angioine. Il 22 maggio le truppe ghibelline, incitate da Stefano e da Sciarra C., conquistarono la rocca Capitolina. Ma i Guelfi tornarono alla riscossa: Stefano fu gravemente ferito.
Mentre il sogno imperiale svaniva, Orsini e C. decisero di venire a una tregua; e il 20 luglio del 1312 furono eletti senatori Sciarra C. e Matteo Orsini: ma di lì a poco il popolo creò dittatore con poteri sovrani Giovanni Arlotti, che a ricondurre la tranquillità in Roma fece arrestare molti dei nobili, fra i quali Stefano. Ma il governo del dittatore durava appena pochi mesi, travolto da una insurrezione suscitata da Orsini e C., che con Sciarra e Francesco di Matteo Orsini ebbero l'ufficio di senatore. Giovanni XXII, salito al trono il 16 agosto del 1316, affidò il senatorato di Roma a Roberto d'Angiò, che nominò ripetutamente suo vicario Stefano C. Nel 1326 egli ebbe dal popolo romano il cingolo di cavaliere. Alla discesa di Ludovico il Bavaro un profondo dissidio separò Stefano e Sciarra C., l'uno contrario all'imperatore, l'altro fedele alle tradizioni della sua casa e ghibellino fervente. Quando il Bavaro pronunziò la condanna contro papa Giovanni XXII, dichiarandolo decaduto dal pontificato, Giacomo C., figliuolo di Stefano, osò entrare solo nella città ribelle al pontefice, occupata dalle milizie tedesche, e innanzi alla chiesa di S. Marcello lesse il processo e la condanna pronunziata da Giovanni XXII contro il Bavaro, ed uscì da Roma senza che i soldati, lanciati a inseguirlo, potessero averlo nelle mani. Partito il Bavaro, ebbero il sopravvento i Guelfi, e Stefano fu novamente senatore di Roma. Sciarra moriva poco dopo nell'esilio, dolendosi, secondo un'antica testimonianza (Cod. Vat. lat. 1927, f. 15), mentre era mortalmente infermo, di dover finire genza gloria, in un miserabile letto.
Invano il papa si adoprava a metter pace tra Orsini e C. anche con parentele. Agnese C., figliuola di Stefano, andava sposa ad Orso Orsini, conte dell'Anguillara. Ma l'agguato di S. Cesareo sulla via Prenestina del 6 maggio 1333, nel quale per mano dei C. caddero Bertoldo Orsini e Francesco dell'Anguillara, riaccese la lotta tra le due fazioni che divampò per parecchi anni, i più tristi della storia di Roma. Nel 1339 una sollevazione popolare porta al Campidoglio Stefano C. contro il consenso del papa. Il popolo romano vede in Stefano il solo che possa dominare l'anarchia della città. Si chiedono a Firenze gli ordinamenti di giustizia per adattarli a Roma. È un momento di grande aspettazione e di grandi speranze che sollevò l'animo di Francesco Petrarca, il quale compose allora la canzone Spirto Gentil, che fu più tardi adattata a Cola di Rienzo, quando nuove speranze gonfiarono l'animo del poeta. Al quale nella Pasqua del 1341 Giordano Orsini ed Orso dell'Anguillara, genero di Stefano C., conferivano la laurea sul Campidoglio. Già quasi ottantenne, questo mirabile uomo che, come disse il Petrarca, "mai non invecchia, mentre Roma invecchia di continuo", resistette con romana fermezza ai colpi della sventura; e, quando gli fu data notizia della strage dei Colonnesi per mano di Cola di Rienzo a porta S. Lorenzo, "non sparse una lagrima, non mise un lamento, non proferì un accento di dolore, ma chinati al fiero annunzio e per poco fissati a terra gli sguardi: sia fatta, esclamò, la volona di Dio; meglio è morire che non curvarsi sotto il giogo di un villano" (Petrarca, Sen., X, 4). Egli morì fra il 1348 e il 1350.
Tredici figli egli ebbe, dei quali alcuni salirono ai più alti gradi della vita civile e religiosa: Stefanuccio e Stefano il Giovane che, senatore di Roma nel 1332 e nel 1342, cadde nella battaglia di porta S. Lorenzo il 20 novembre del 1347; Giovanni, amico del Petrarca, nominato nel 1327, non ancora trentenne, cardinale da Giovanni XXII; Giacomo, legatissimo al Petrarca, che Giovanni XXII nominò vescovo di Lombez il 26 maggio del 1328, e morì nel 1341; Agapito e Giordano, successivamente vescovi di Luni.
Fra i membri della casa C. che acquistarono fama in questo periodo sono da ricordare la beata Margherita C., la mistica sorella del card. Iacopo, che fondò un monastero di Clarisse in Palestrina; Landolfo C., canonico di Chartres, che scrisse, dedicandolo a Giovanni XXII, un Breviarium historiarum (Mon. Germ. Hist., Script., XXIV, 268). Contro il suo Tractatus de translazione imperii a Graecis ad Latinos (M. Goldast, Monarchia, Francoforte 1614) polemizzò Marsilio da Padova. Stefano, nipote di Sciarra, fu da Urbano VI creato cardinale nel 1378. Agapito, vescovo di Ascoli Piceno, poi di Brescia, nunzio all'imperatore e in Spagna, cardinale nel 1378, fu partigiano di Urbano VI. Morì nel 1380.
A nuovo splendore venne la famiglia C. con Oddone che, nominato cardinale da Innocenzo VII il 12 giugno del 1405, fu nel 1417 eletto pontefice dal Concilio di Costanza, e prese il nome di Martino V (v.). Egli accrebbe la potenza dei C. facendo concedere dalla regina Giovanna ai suoi fratelli ricchi feudi nell'Italia meridionale. Giordano C. fu dalla regina nominato duca d'Amalfi e di Venosa e poi principe di Salerno. L'altro fratello, Lorenzo, ebbe la contea d'Amalfi. Ma i feudi napoletani erano soltanto una parte dei vasti possedimenti colonnesi, poiché essi ebbero da Martino V Ardea, Marsico, Nettuno, Astura, che fu già dei Frangipane, Bassanello nella valle del Tevere, Soriano, Paliano che domina la valle del Sacco, Frascati, Pietra Porzia e Rocca di Papa, oltre a un comune, indivisibile possedimento familiare che comprendeva Genazzano, Cave, Olevano, Capranica, Serrone ed altri luoghi. Dal matrimonio con Sveva Caetani Lorenzo ebbe tre figli: Antonio, principe di Salerno e conte d'Alba, Odoardo, al quale toccò la contea di Celano, e Prospero, nominato cardinale l'8 novembre del 1430. La nipote Caterina sposava Guid'Antonio del Montefeltro, mentre la sorella Paola era data in isposa a Gherardo Appiani, signore di Piombino. Il cardinale Prospero C., partecipe del movimento umanistico dei suoi tempi, adunò una notevole biblioteca. A lui il Poggio dedicò i discorsi conviviali sull'avarizia. Morì il 24 marzo del 1463.
Alla morte di Martino V, Eugenio IV ordinò ai C. la restituzione dei valori e delle gioie spettanti alla Santa Sede, ed anche pretese che gli si consegnassero le terre di Soriano, Genazzano, Rocca di Cave e Marino. Ma i C. si ribellarono: i castelli colonnesi furono assediati; ma poi si venne ad un accordo, e i ribelli furono liberati dalla scomunica con la quale il papa li aveva colpiti. Antonio C. sostenne Alfonso d'Aragona nella lotta contro Renato d'Angiò. Da Pio II ebbe l'ufficio di prefetto di Roma col diritto di successione al primogenito, Girolamo, che fu ucciso nella zuffa con i Santacroce nella notte del 3 aprile 1482. Antonio morì nel 1471, lasciando numerosi figliuoli, fra i quali Prospero, che riempì del suo nome la storia dei suoi tempi.
In Roma sotto il pontificato di Sisto IV riardevano le antiche lotte fra C. e Orsini: e a stento il pontefice poté ristabilire la quiete nell'aprile del 1481. Ma il dissidio si riaccese più aspro nel 1484. Mentre tutto il Lazio era pieno di ruberie e d'incendî, in Roma il palazzo dei C. fu spianato fino alle fondamenta, e il quartiere colonnese devastato. Lorenzo Oddone C., sottoposto alla tortura, fu poi decapitato in Castel S. Angelo. Ma la guerra fra Colonnesi, guidati da Prospero e Fabrizio C., ed Orsini partigiani del papa seguitò. A queste lotte partecipò Giovanni C., figlio di Antonio, nominato cardinale nel 1480, morto il 26 settembre 1508.
La storia dei C. è ora strettamente legata alla storia del regno di Napoli, specialmente per opera di Prospero e Fabrizio C. Ascanio, figlio di Fabrizio, prese parte con l'esercito imperiale all'assalto e al sacco di Roma del 1527: fu poi fatto prigioniero nella battaglia presso Capo d'Orso nella quale Filippino Doria annientava la flotta di Carlo V. Fu in lotta contro Paolo III che conquistò e distrusse Paliano, restituito poi da Giulio III.
Avverso ai papi Giulio II e Leone X, "grande e grosso" nemico di casa Medici, a detta di un contemporaneo, fu il cardinal Pompeo C. (v. sotto), e fin oltre la metà del sec. XVI i C. furono pericolosi avversarî dei papi. Sedato appena il conflitto tra Paolo III e Ascanio, figlio di Fabrizio, a cui fu già accennato, un più grave conflitto portò il figlio di Ascanio, Marcantonio II, il glorioso capitano di Lepanto, di parte imperiale, a lottare contro Paolo IV, avverso agli Asburgo (1555). Paolo IV scomunicò ancora una volta i C., e li privò dei dominî: Paliano, eretto in ducato, fu da lui concesso al nipote Giovanni Farnese. Solo dopo l'avvento di Pio IV ottenne Marcantonio II piena reintegrazione nei beni e nei diritti (1561-1562). Ma gl'impegni contratti in tante fortunose vicende, allora e poi, costrinsero i C. a vendere ad altre famiglie (i Massimo, i Cesarini, i Piccolomini, i Barberini, i Ludovisi, i Borghese) parecchi tra i loro maggiori dominî, ad alcuni dei quali era legato lo stesso nome della casata e dei suoi varî rami. Così Colonna e Zagarolo furono ceduti al card. Ludovico Ludovisi (1622), e Palestrina fu acquistata da Carlo Barberini (1630).
Il conflitto con Paolo IV fu l'ultimo sostenuto dai C. contro la Chiesa. Dal pontificato di Pio IV in poi, essi servono fedelmente la Santa Sede, pur conservandosi insieme fedeli a Spagna. E i papi li ebbero cari anche in considerazione dell'appoggio che loro dava la Spagna. Pio V eresse in principato Paliano (1570) e Palestrina (1571); e lo stesso fece per Sonnino Clemente VIII (1595). Paolo V eresse in ducato Marino (1606); e Urbano VIII trasferì a Carbognano il titolo principesco, quando i C. di Palestrina vendettero questa terra ai Barberini (1630). I C. ebbero inoltre confermato, con gli Orsini, il titolo di "principi assistenti al soglio", che nel 1834 Gregorio XVI decretò rimanesse privilegio esclusivo delle due illustri famiglie romane. Dal 1563 al 1785 ben dieci C. ebbero la porpora cardinalizia. Due di essi potranno essere particolarmente ricordati. Marcantonio, del ramo di Zagarolo (1523-1597), che fu prefetto della Congregazione del Sant'Uffizio, membro delle varie commissioni cardinalizie che da Pio V a Gregorio XIV lavorarono all'edizione della Volgata, bibliotecario della Vaticana, poeta, autore di uno scritto sul primato di Pietro. Ascanio, figlio di Marcantonio II (1559-1608), amante delle lettere, raccoglitore d'una biblioteca ricca di opere a stampa e manoscritte, autore di una dissertazione, composta per incarico di Filippo II contro un'altra del Baronio sulla monarchia di Sicilia, ma difensore delle ragioni della Santa Sede, quando Paolo V interdisse Venezia. Tra i C. che servirono la Chiesa nelle armi, primeggiò Marcantonio II (v.), copertosi di gloria a Lepanto. Pompeo, figlio di Camillo del ramo di Zagarolo, fu mandato da Pio IV a cooperare alla difesa di Malta contro i Turchi (1565). Nel 1573 Prospero comandava le galere papali quando l'armata di Don Giovanni d'Austria prese Tunisi e Biserta, e il figlio di Pompeo, Marzio, fu generale di Clemente VIII, nella guerra sostenuta per strappare Ferrara a Cesare d'Este (1598).
E fedelmente servirono i C. nelle armi e nelle cariche civili la Spagna. Ancora nella seconda metà del sec. XVI e nel sec. XVII essi diedero valenti uomini di guerra che ebbero importanti comandi negli eserciti e nelle armate spagnole operanti nella penisola iberica, in Francia, nei Paesi Bassi. Il già ricordato Prospero si distinse alla presa di Lisbona (1580), e Francesco, figlio di Giulio Cesare del ramo di Palestrina, combatté nelle Fiandre, in Germania e in Francia agli ordini di Alessandro Farnese e di Ambrogio Spinola. Alla scuola dello Spinola fu Filippo I (1578-1639), nipote di Marcantonio II; e valoiosi soldati si dimostrarono i suoi figli Federico, caduto da prode nella difesa di Tarragona contro i Francesi invasori della Catalogna (1641), Carlo, che prese parte alla guerra dei Trent'anni, Marcantonio V, che nelle Fiandre combatté con Ambrogio Spinola, e si trovò nelle campagne di Germania, di Francia e di Piemonte, e suo nipote, Marcantonio, che combatté contro i Francesi in Lombardia nel 1690, e fu ferito a Staffarda.
Dai re di Spagna ebbero i C. insigni onori e cariche. Per tacere di altro, furono viceré di Sicilia Marcantonio II (1577-1584) e Marcantonio del ramo di Stigliano (1775-1781); d'Aragona il card. Ascanio (1602-1604); di Valenza, Federico, principe di Butera (1640-1641). Ereditaria, a cominciare da Marcantonio II, fu ńel ramo di Paliano la dignità di gran conestabile del regno di Napoli, anche quando questo passò ai Borboni. E ripetutamente i C., in qualità di ambasciatori straordinarî, presentarono ai papi l'omaggio della chinea, finché esso non fu abolito nel 1788.
Altri C. sono in questi secoli meritevoli di ricordo. Girolamo (morto nel 1586), nipote del card. Pompeo, erudito raccoglitore e commentatore dei frammenti di Ennio, pubblicati postumi nel 1590: e il figlio Fabio (v.), dotto naturalista. Lorenzo Onofrio, più che per le sue nozze sfortunate con Maria Mancini (v.), va ricordato come fondatore della galleria Colonna.
Alla fine del sec. XVIII i C. di Paliano ebbero l'onore d'imparentarsi con i Savoia Carignano per le nozze di Filippo III con la principessa Caterina Luisa (1780). E Filippo III (m. nel 1818) ospitò nel suo palazzo di Roma il re di Sardegna Carlo Emanuele IV, esule dai suoi stati per l'occupazione francese. Con Filippo III cessa la giurisdizione feudale dei C. sui proprî dominî. Primo fra i grandi signori romani, egli vi rinunziò nel 1816. Dopo l'unificazione politica d'Italia, i C. copersero elevate cariche: Prospero fu più volte sindaco di Roma, e nel 1900 fu creato da Umberto I senatore come anche suo fratello Fabrizio nel 1899.
Dei varî rami della famiglia C., quello di Zagarolo si estinse nel 1661. Sopravvivono i C. di Paliano da cui si sono diramati nella seconda metà del sec. XVII i C. di Stigliano con Filippo, principe di Sonnino, secondogenito di Marcantonio V; e i C. di Palestrina che nel 1728 assunsero il nome di Barberini C. in seguito alle nozze di Giulio Cesare, principe di Carbognano, con Cornelia Barberini, unica erede dei Barberini che nel 1630 avevano acquistato Palestrina, onde questa terra ritornò al ramo che l'aveva perduta un secolo prima.
Bibl.: P. Litta, Famiglie nobili d'Italia; A. Coppi, Memorie Colonnesi, Roma 1855; P. Petrini, Memorie prenestine, Roma 1795; A. v. Reumont, Beiträge zur italienischen Geschichte, V, 1857; L. Ross, Die Colonna. Bilder aus Roms Vergangenheit, 1912; G. Tomassetti, La Campagna Romana, 1910-13; L. Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medioevo, trad. ital., nuova ed., Roma 1925 segg.; P. Colonna, Columnensium procerum icones et memoriae, Roma (s. a.); id., I Colonna dalle origini all'inizio del sec. XIX, Roma 1927.