Colonna
Grande famiglia baronale romana che tra il 15° e il 16° sec. si componeva dei cinque rami di Genazzano, Palestrina, Gallicano, Zagarolo e Riofreddo. Il più importante era il primo, che conquistò la guida della stirpe grazie ai favori dispensati dal suo maggiore esponente, papa Martino V (Oddone Colonna, pontefice dal 1417 al 1431). I C. disponevano di un amplissimo patrimonio di terre e di castra ubicati soprattutto a sud di Roma; essi erano dotati di notevole rilievo anche strategico, essendo dislocati lungo le vie che conducevano verso il Regno di Napoli. Inoltre, fin dall’epoca bassomedievale la famiglia aveva stretto saldi rapporti proprio con i sovrani napoletani, i quali concessero ai C. la giurisdizione su numerosi luoghi feudali nonché svariati incarichi politico-amministrativi e titoli nobiliari.
I C., analogamente agli Orsini, riconoscevano la superiorità formale del papa sulle loro terre laziali, ma non si consideravano vassalli della Chiesa. Muovendosi spesso in maniera autonoma l’uno dall’altro e accettando condotte militari, i membri della casata condussero proprie politiche indipendenti sulla scena italiana e internazionale, finalizzate al mantenimento e all’accrescimento del patrimonio familiare. D’altro canto, i potentati della penisola si servirono frequentemente dei C., e della rivalità che li opponeva agli Orsini, per tenere «il pontificato debole e infermo» (Principe xi 8). Il motivo del papato reso «infermo» dalla contrapposizione tra le due famiglie compare anche in Istorie fiorentine I xxv 3.
I C. disponevano di una solida – per quanto eterogenea – compagine, i cui effettivi potevano variare a seconda delle necessità. Data tale variabilità di composizione, M. parlò dei «Colonnesi» come di una ‘fazione’ o ‘parte’, senza fornire ulteriori specificazioni (cfr. Principe vii 18 e xi 8). Con queste definizioni, M. non si discostò dagli usi del tempo, attestati anche nelle opere di Francesco Guicciardini e di Paolo Giovio. Oltre che dagli esponenti della parentela, la consorteria dei C. era formata da alcune famiglie nobili romane, come i Savelli, da lignaggi e da piccoli centri dello Stato pontificio – per esempio i bolognesi Malvezzi, avversari dei Bentivoglio – e da personalità originarie di altre città italiane, quali i fratelli Soderini di Firenze, ossia Piero e il cardinale Francesco. Utilizzando denominazioni medievali, che risultano comunemente adoperate ancora in pieno 16° sec., la ‘parte’ colonnese era ritenuta di orientamento ghibellino, mentre la consorteria rivale degli Orsini veniva definita guelfa. Il ricorso a tale terminologia, inscritta nel passato comune all’intera Italia, rendeva agevole, per coloro che volessero aderire, la scelta tra i due schieramenti. In particolare, il richiamo alla tradizione ghibellina facilitò l’alleanza conclusa tra i C. e Carlo V, dopo che questi fu eletto imperatore (1519).
A partire da Sisto IV, i papi cercarono di ridimensionare il potere dei C. e di spezzare la solidarietà che li legava ai sovrani di Napoli (cfr. Istorie fiorentine VIII xxvii 5-7). Il principale avversario della famiglia fu soprattutto Alessandro VI, che scatenò una vera e propria offensiva, culminata nella fuga del cardinale Giovanni Colonna da Roma (1499) e nella bolla di scomunica e di confisca dei beni che colpì i principali esponenti della casata e i loro aderenti romani (20 ag. 1501). Il disegno del pontefice, che mirava a «fare grande il duca suo figliuolo», è riassunto in Principe vii 10-17 (la citazione è § 10). Dal canto suo, Cesare Borgia indebolì la fazione colonnese anche accattivandosi con favori molti dei suoi componenti (vii 18). Egli disse a M. di aver reso un servizio alla sede apostolica: «un Pontefice nuovo [era] per esserli obbligato, non si trovando servo delli Orsini o de’ Colonnesi, come sono sempre suti e’ Papi per lo addreto» (M. ai Dieci, 2 genn. 1503, LCSG, 2° t., p. 531).
In seguito, Giulio II continuò a erodere il potere dei baroni romani, ancorché in maniera meno bellicosa. In una lettera dell’11 novembre 1503, M. comunicò ai Dieci che «circa le cose de’ baroni [...] dura el Papa poca fatica ad intrattenerli», dato che «la parte colonnese» era ridotta al «Cardinale» Giovanni e a «certi spicciolati che non importano» (LCSG, 3° t., p. 346). Dopo la morte di Giovanni (1508), il pontefice non elevò alla porpora nessun membro dei C., considerando che «mai staranno quiete qualunque volta queste parti [orsina e colonnese] abbino cardinali» (Principe xi 17). M. aveva ben compreso il significato politico delle nomine cardinalizie, dosando le quali il pontefice mirava ad allentare la presa del baronato romano sulla sede apostolica.
Nel frattempo, i cugini Fabrizio e Prospero Colonna, capi del ramo familiare di Genazzano, avevano compiuto una decisiva scelta di campo. Per difendersi dalla repressione papale e per tutelare i loro possessi napoletani, i due condottieri, assieme a Marcantonio, nipote di Prospero, si misero al servizio di Gonzalo Fernández de Córdoba, il generale delle truppe spagnole in Italia, collaborando alla sua conquista del Regno napoletano. Quale ricompensa, Ferdinando il Cattolico e, in seguito, l’imperatore Carlo V confermarono i titoli e le giurisdizioni goduti dai C. nel Regno. Inoltre, tra 1504 e 1510, Marcantonio, Giulio e Muzio Colonna accettarono condotte militari offerte da Firenze (circa le numerose missive che li riguardano cfr. LCSG, tt. 4°-6°, passim). In particolare, Marcantonio prese parte all’impresa contro Pisa e, nel 1506, comandò il contingente fiorentino che aiutò il papa nella conquista di Bologna. L’arruolamento dei C. da parte della Repubblica soderiniana era in linea con le strategie politiche della consorteria colonnese, che in quegli anni si opponeva al fronte composto dai Medici e dagli Orsini. Costoro, infatti, erano legati da stretta parentela, giacché sia Lorenzo il Magnifico sia il di lui figlio Piero avevano sposato delle nobildonne Orsini. La complessità geopolitica di queste reti di alleanze e le loro ricadute sulla scena italiana furono così illustrate a M. da un avversario dei C., il condottiero Giampaolo Baglioni:
[Giampaolo] si distese assai detestando queste vostre condotte [...] colonnese e biasimandovi che voi lasciavi e’ guelfi e che quando voi vi fussi attenuti a loro e fatto un corpo di lui, Bartolomeo [d’Alviano] e’ Vitelli, ci andava la cosa bene per loro e per voi, perché e’ Colonnesi rimanevono bassi, che sono inimici loro, e Pandolfo [Petrucci] e’ Lucchesi stavano a’ termini, che sono nimici vostri; e Pisa cadeva per sé medesima (M. ai Dieci, 11 apr. 1505, LCSG, 4° t., p. 416).
Nel 1509 papa Giulio II si avvicinò alla corona francese aderendo alla lega di Cambrai; di conseguenza, i C. che militavano per Firenze passarono a combattere nelle file pontificie (cfr. ser Antonio della Valle a M., da Firenze, 30 ag. 1510, LCSG, 6° t., p. 526). Ma l’anno successivo la situazione cambiò repentinamente; il papato e la Francia ridiventarono nemici e Muzio Colonna tornò di nuovo al servizio dei fiorentini. Le preoccupazioni che tali circostanze sollevarono nelle autorità della Repubblica si colgono bene nel Ghiribizzo circa Iacopo Savello (datato 6 maggio 1511), nel quale, tra le altre cose, M. espresse un giudizio negativo su Muzio Colonna: «costui è bene che se ne vada» (§ 12, in SPM, p. 539). La duplice identità dei C., condottieri e baroni sia romani sia napoletani, poneva moltissimi problemi, efficacemente riassunti in una missiva inviata a M. da Francesco Vettori (da Roma, 16 maggio 1514, Lettere, p. 321). Vettori affermò che papa Leone X non riusciva a cacciare gli spagnoli dal Regno di Napoli poiché «non ha l’arme in mano da sé» e pertanto doveva adoperare «soldati condotti»; ma se questi «saranno Colonnesi, non gli terranno mai quello stato perché non vorranno» – vale a dire si opporranno pur di conservare i loro possessi regnicoli – e se invece «saranno Orsini», incapperanno nella dura «resistenzia» colonnese, che renderà impossibile la vittoria.
Il rapporto tra Leone X e i C. fu ambivalente. Da un lato, il papa nominò nuovamente un C. tra i cardinali, nella persona di Pompeo (1517). Ma dall’altro lato la politica nepotistica di papa Medici entrò in collisione con gli interessi territoriali dei C., i quali ambivano a divenire duchi di Urbino. Nel 1516, la nomina di Lorenzo de’ Medici quale nuovo duca urbinate fu vissuta dai C. come una sorta di dichiarazione di guerra. In questo clima, i C. si posero a capo dello schieramento antimediceo in Italia. Forse non a caso, nell’Arte della guerra, M. immaginò che il dialogo tra Fabrizio Colonna, il protagonista del testo, e gli esponenti degli Orti Oricellari si svolgesse proprio nell’anno 1516. Cinque anni più tardi, mentre perdurava ancora lo scontro tra i C. e il papa, Prospero Colonna propose a M. di diventare suo segretario – «uomo sufficiente da maneggiare le cose sue» –, con l’elevata provvisione di 200 ducati d’oro più le spese (lettera del 13 apr. 1521, Lettere, pp. 369-70). M. declinò l’offerta, che gli era stata inoltrata da Piero Soderini. L’ex gonfaloniere era fuggito da Firenze dopo la caduta della Repubblica e aveva trovato riparo a Roma, sotto la protezione dei ‘ghibellini’ Colonna.
Bibliografia: A. Rehberg, Alessandro VI e i Colonna: motivazioni e strategie nel conflitto fra il papa Borgia e il baronato romano, in Roma di fronte all’Europa al tempo di Alessandro VI, Atti del Convegno, Città del Vaticano-Roma 1999, a cura di M. Chiabò, S. Maddalo, M. Miglio et al., 1° vol., Roma 2001, pp. 345-86; C. Shaw, The Roman barons and the guelf and ghibelline factions in the papal states, in Guelfi e ghibellini nell’Italia del Rinascimento, a cura di M. Gentile, Roma 2005, pp. 475-94; A. Serio, Una gloriosa sconfitta. I Colonna tra papato e impero nella prima età moderna (1431-1530), Roma 2008.