Color d'amore e di pietà sembianti
. Sonetto della Vita Nuova (XXXVI 4-5), su schema ABBA, ABBA: CDE, DCE, presente nella tradizione manoscritta della Vita Nuova e accolto nella Giuntina del 1527. È il secondo della silloge dedicata alla Donna pietosa o gentile (capitoli XXXV - XXXVIII) e approfondisce il tema del precedente (Videro li occhi miei). Il motivo centrale è enucleato dalla prosa, dove pure appare il tono elegiaco e dolce del sonetto, là dove D. dice che dovunque la donna lo vedeva sì si facea d'una vista pietosa e d'un colore palido quasi come d'amore; onde molte fiate mi ricordava de la mia nobilissima donna, che di simile colore si mostrava tuttavia (XXXVI 1). Il nuovo amore, dunque, germina dalla memoria dell'antico, o piuttosto cerca nell'illusione della memoria del primo (ma al limite di un autoinganno consapevole) la propria autenticazione. Prosa e sonetto definiscono un'atmosfera psicologica sottile e vibratile, più realistica e quotidiana, rispetto allo ‛ stilo de la loda ', e più disposta a organizzarsi in una sequenza narrativa, sulla scorta dell'insegnamento di Ovidio e di Andrea Cappellano, del romanzo e della lirica cortese (anche il Cavalcanti s'innamora di Mandetta, perché simile, " ne' suoi dolci occhi ", alla sua donna). Così qui l'amoroso pallore e lo sguardo della ‛ Donna pietosa ', richiamando alla mente il color di perla di Beatrice e la dolcezza ineffabile dei suoi occhi, spingono D. a ricercarne la vista, per ritrovare il seme di quel pianto che è sentito come fedeltà suprema alla memoria del primo amore; ma gli occhi non sanno piangere davanti a lei. Per pudore? Per la virtù serenatrice di quella nuova bellezza e quindi per il nuovo amore incipiente? Il verso finale del sonetto giuoca consapevolmente su questa ambiguità, con svolgimento diverso, rispetto alla prosa, rivolta a tutelare la memoria di Beatrice contro la nuova avventura del sentimento, segno di colpevole dispersione spirituale, secondo l'ideale di amore perfetto configurato dal libro. Il Sapegno, propenso a riscontrare l'espressione migliore della nuova via della lirica dantesca (la " tenera e affettuosa contemplazione delle irrequietudini e delle stanchezze della propria anima ", un nuovo e più terrestre gusto psicologico) nella prosa di questi capitoli, nota nel sonetto, soprattutto nelle terzine, sottigliezze e artificiosità. Ma converrà vedervi piuttosto il segno di una nuova misura psicologica ed espressiva più problematica, che avrà il suo svolgimento nel canzoniere dantesco. Queste nuove rime si accostano alla dolcezza di Cino, mantenendo però l'esigenza di dominio intellettuale degli affetti e di approfondimento concettuale e gnoseologico che caratterizzano la lirica di Dante. Cfr. anche VIDERO LI OCCHI MIEI.
Bibl. - D.A., La Vita nuova, a c. di N. Sapegno, Firenze 19572, 17 e 110; Barbi-Maggini, Rime 138-140; D. De Robertis, Il libro della " Vita nuova ", Firenze 1961, 157-173; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, Oxford 1967, II, 146-147.