colore
. Per la dottrina dei c. D. si rifà principalmente al De Anima e al De Sensu et sensato aristotelici, oltre che al De Anima e al De Intellectu et intelligibili di Alberto Magno.
Il c. è la qualità dei corpi che per mezzo della luce si rende visibile all'occhio umano e rende quindi percepibili i corpi stessi ai quali inerisce: è da sapere che, propriamente, è visibile lo colore e la luce, sì come Aristotile vuole nel secondo de l'Anima (Cv III IX 6).
I luoghi aristotelici ai quali D. fa riferimento sono i seguenti: " Visibile autem est color: hic autem est, de quo visibile per se praedicatur, secundum se autem, non ratione, sed quoniam in se ipso habet causam essendi visibile... nihil est visibile sine lumine, sed omnino unusquisque color per lumen visibile est " (Anima II 7, 418a 29-31, 33-34); " Omnia corpora colore partecipant. Quare et communia magis per hunc sentiuntur. Dico autem communia magnitudinem, motum, quietem, figuram, numerum " (Sensu lect. 2). Dal secondo di questi luoghi si ricava la distinzione fra sensibili comuni, oggetto di più sensi, e sensibili propri, oggetto di un unico senso (ma cfr. anche Anima II 6, 418a 9-13 17-19, e Tomm. Exp. in De sensu lect. II), distinzione che D. fa sua ponendo il c. e la luce fra i sensibili propri: Ben è altra cosa visibile, ma non propriamente, però che [anche] altro senso sente quello, sì che non si può dire che sia propriamente visibile, né propriamente tangibile; sì come è la figura, la grandezza, lo numero, lo movimento e lo stare fermo, che sensibili [comuni] si chiamano: le quali cose con più sensi comprendiamo. Ma lo colore e la luce sono propriamente; perché solo col viso comprendiamo ciò, e non con altri sensi (§ 6).
A parte stanno i corpi diafani che non hanno c. proprio, sebbene possano accogliere in sé tutti i c. (cfr. Tomm. Comm. in De anima II lect. 14; Alb. Magno Intellect. I III 2; Isagoge in lib. de anima V 7), trasferendoli alla luce che li attraversa e agli oggetti da questa investiti: Certi [corpi]... per esser del tutto diafani, non solamente ricevono la luce, ma quella non impediscono, anzi rendono lei del loro colore colorata ne l'altre cose (III VII 4).
Di qui la necessità, perché l'atto del vedere non risulti impedito o alterato, che l'aria interposta tra oggetto e occhio sia limpida e incolore, e che puro e incolore sia l'umore acqueo della pupilla: Per che, acciò che la visione sia verace, cioè cotale qual è la cosa visibile in sé, conviene che lo mezzo per lo quale a l'occhio viene la forma sia sanza colore, e l'acqua de la pupilla similemente: altrimenti si macolerebbe la forma visibile del color del mezzo e di quello de la pupilla. E però coloro che vogliono far parere le cose ne lo specchio d'alcuno colore, interpongono di quello colore tra 'l vetro e 'l piombo, sì che 'l vetro ne rimane compreso (Cv III IX 9-10). In particolare la maggiore o minore umidità atmosferica, mutando la trasparenza e lo stato dell'aria, comporta un mutamento nel c. delle stelle: Transmutasi questo mezzo... di secco in umido, per li vapori de la terra che continuamente salgono: lo quale mezzo, così transmutato, transmuta la immagine de la stella che viene per esso ...per l'umido e per lo secco in colore (III IX 12). Ma il trascolorare delle stelle, come di altre cose, può dipendere anche da turbamento o malattia dell'organo visivo (§ 13; cfr. Alb. Magno Meteor. III IV 2).
Il più luminoso dei c. è il bianco: Bianchezza è uno colore pieno di luce corporale più che nullo altro (Cv IV XXII 17, ma in un'interpretazione simbolica del nome ‛ Galilea ' fatto derivare, sulle orme di Isidoro di Siviglia e di Uguccione, dal greco γάλα, latte; sul c. bianco cfr. VE I XVI 2 e 5). Degli altri c. D. non dà notizia diretta né indica la tonalità, meno che per il ‛ perso ': Lo perso è uno colore misto di purpureo e di nero, ma vince lo nero, e da lui si dinomina (Cv IV XX 2). Anche in questo caso però la precisazione è in funzione di un intervento esegetico, volto a illustrare il verso Dunque verrà, come dal nero il perso (IV Le dolci rime 109), in cui D. rende essemplo ne li colori, dicendo: sì come lo perso dal nero discende, così questa, cioè vertude, discende da nobilitade (XX 2).
Carattere se non scientifico, certo legato alla singolare attenzione con cui D. guardava anche ai fenomeni più comuni, ha l'uso del vocabolo nella similitudine di Cv IV XXIX 11 E sì come d'una massa bianca di grano si potrebbe levare a grano a grano lo formento, e a grano [a grano] restituire meliga rossa, e tutta la massa finalmente cangerebbe colore; così de la nobile progenie potrebbero li buoni morire a uno a uno e nascere in quella li malvagi, tanto che cangerebbe lo nome e non nobile ma vile da dire sarebbe.
La ricchissima gamma di c. di cui dispone la tavolozza dantesca al servizio di una prodigiosa fantasia figurativa (cfr. il significativo accenno di Pd XXIV 27, dedotto dall'esperienza pittorica) richiama spesso la parola nella sfera dei valori poetici, in nome di quel diletto di color e d'arte ascritto fra i piaceri estetici propri della pittura, in Rime XC 15, ma ovviamente non esclusivo di essa.
Appartiene alle scene più famose della Vita Nuova quella in cui appare per la prima volta Beatrice, vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno (II 3; da respingere la tesi che c. valga qui genericamente " abito " e non c. di un abito e quindi il c. in quanto è abito: cfr. la nota del Parodi, in " Bull. " XXI [1914] 68-69), dove l'indicazione coloristica arricchisce l'immagine di un contrassegno più spirituale che realisticamente denotativo, e prelude sul piano espressivo alla gloriosa epifania di Pg XXX 33 sovra candido vel cinta d'uliva / donna m'apparve, sotto verde manto / vestita di color di fiamma viva, in cui la donna con ciò che la circonda è del tutto trasfigurata in direzione simbolica.
Anche nella seconda apparizione, apparve a me vestita di colore bianchissimo (Vn III 1), la figura gentile acquista, anche in virtù di quel superlativo, una delicatezza vaga e rarefatta, di alta nobiltà stilnovistica. Altra forza suggestiva ha la nebula di colore di fuoco (III 3), analogico scenario, nel sogno dantesco, al presentarsi del segnore di pauroso aspetto, Amore, che tiene fra le braccia la donna de la salute, avvolta in uno drappo sanguigno (§ 4).
Non in un sogno, ma in una ‛ erronea fantasia ' d'infermo che anticipa profeticamente la dolorosa realtà s'iscrive il particolare del sole oscurato sì che le stelle si mostravano di colore ch'elle mi faceano giudicare che piangessero (Vn XXIII 5), appoggiato a memorie bibliche (Matt. 24, 29-30; Luc. 33, 44-45; Apoc. 6, 12-14) ma rinnovato con audace iniziativa poetica che estrae dal c. delle stelle l'idea del pianto: Poi mi parve vedere a poco a poco / turbar lo sole e apparir la stella, / e pianger elli ed ella (XXIII 24 49-51).
Un realismo addolcito di sensi pietosi e perciò non stridente col tono generale dell'operetta traspare dal passo di XXXIX 4, concomitante al pentimento dantesco per il peccato commesso contra la costanzia de la ragione (§ 2): Per questo raccendimento de' sospiri si raccese lo sollenato lagrimare in guisa che li miei occhi pareano due cose che disiderassero pur di piangere; e spesso avvenia che per lo lungo continuare del pianto, dintorno loro si facea uno colore purpureo, lo quale suole apparire per alcuno martirio che altri riceva.
Come è noto, il fenomeno della riflessione della luce è sfruttato in più luoghi delle opere dantesche, ma si allarga una volta a comprendere anche il c. dell'oggetto rispecchiato: così come color torna per vetro / lo qual di retro a sé piombo nasconde (Pd II 89). Altrove, per denotare l'immediata percepibilità di un sentimento o di uno stato d'animo attraverso l'espressione del volto, D. ricorre all'immagine di un c. trasparente per il vetro che lo copre: Dimostrasi [l'anima] ne la bocca, quasi come colore dopo vetro (Cv III VIII 11); avvegna ch'io fossi al dubbiar mio / lì quasi vetro a lo color ch'el veste (Pd XX 80).
Spesso c. si connette con l'aspetto cromatico di vari oggetti: è riferito all'erba (Rime CI 3, Pg XI 115); all'affocato Marte (Cv II XIII 21, e cfr. anche Pg II 14); alle fosche fronde degli alberi imprigionanti le anime dei suicidi (If XIII 4); ai drappi dei Tartari e dei Turchi (XVII 16); alle tasche pendenti dal collo degli usurai (XVII 56); alla ferrigna pietra delle Malebolge (XXIII 2); all'azzurro del cielo mattutino sulla montagna del Purgatorio, simile a oriental zaffiro (Pg I 13); all'oro, all'argento, al cocco, alla biacca, all'indaco, allo smeraldo, superati in luminosità e vivacità di tinte dall'erba e dai fiori della valletta dei principi (VII 77); ai tre gradini che immettono dall'Antipurgatorio in Purgatorio (IX 77), uno bianco come il marmo, uno nerastro più che perso (v. 97), uno purpureo qual sangue; al vestimento cinereo dell'angelo posto a custodia del Purgatorio (v. 116); alla livida petraia della cornice riservata agl'invidiosi (XIII 9) e ai manti non diversi degli stessi penitenti (v. 48); alle piante primaverili (XXXII 56) che per similitudine sono richiamate dallo spettacolo dell'albero del Paradiso terrestre innovatosi al contatto col carro divino, men che di rose e più che di vïole / colore aprendo (v. 59); alla neve (Pd II 108); a una nube arrossata dal sole (XXVII 28); all'aureo e radiante scaleo lungo il quale si muovono gli spiriti contemplanti (XXI 28); ai capelli (XXXII 70), in un passo di tono sentenzioso, con probabile influenza di Gen. 25, 25; infine, indirettamente, a un'anima beata che si distingue sullo sfondo lucente del cielo, non per color, ma per lume parvente (X 42).
Le persone della Trinità appaiono a D., nell'Empireo, in figura di tre giri / di tre colori e d'una contenenza (Pd XXXIII 117): il poeta non precisa quali siano tali c.; dice soltanto, a proposito del cerchio rappresentante il figlio: Quella circulazion che sì concetta / pareva in te come lume riflesso, / da li occhi miei alquanto circunspetta, / dentro da sé, del suo colore stesso, / mi parve pinta de la nostra effige (XXXIII 130), dove però pinta vale " figurata ", non aiuta cioè a determinare il c. della circulazion, bensì indica che nel c. di essa traspariva l'effige umana: si confrontino i vv. 137-138 veder voleva come si convenne / l'imago al cerchio e come vi s'indova; commenta il Fallani: " Il colore è immutato, è quello stesso del cerchio, poiché in Cristo due sono le nature, quella umana e quella divina, ma nell'unica persona del Verbo ", interpretazione del resto normale nella tradizione esegetica del passo (cfr., anche in rapporto ai c. della figurazione, G. Busnelli, Dalla luce del cielo della luna alla prima luce dell'Empireo, in " Studi d. " XXVII [1943] 95-116).
Ai c. dell'arcobaleno si allude in Pg XXV 93 E come l'aere, quand'è ben pïorno, / per l'altrui raggio che 'n sé si reflette, / di diversi color diventa addorno; a quelli dell'arcobaleno e, insieme, dell'alone lunare, in Pg XXIX 77 sette liste, tutte in quei colori / onde fa l'arco il Sole e Delia il cinto. Si è creduto che ai tempi di D. non fossero ancora individuati tutti e sette i c. dell'iride, e in effetti Isidoro si limita a dire che Iri possiede " plurimos colores " (XVIII, XLI 2). Ma il Lana nella chiosa all'ultimo luogo citato parla esplicitamente di " sette colori, simile all'Yris ".
In Pg XXVIII 68 trattando più color con le sue mani, la parola sta per " fiori ", dei quali coglie l'elemento più appariscente e caratteristico.
Nel Fiore ‛ roba o drappo di c. ' e simili, in contrapposizione con la veste umile e scura dei religiosi, è il multicolore vestito dei secolari (XCV 14, CLXIX 5), per cui ‛ vestire drappo, roba di c. ' equivale a " essere o divenire secolare " (XCIV 11, XCV 4, XCVI 3 e 7).
In un più ristretto circolo semantico il termine indica il colorito del volto o l'incarnato delle membra umane. I c. del viso sono normalmente visti da D. in funzione degli affetti. Così le vergini e... le donne buone e... li adolescenti... tanto sono pudici, che... tutti si dipingono ne la faccia di palido o di rosso colore (Cv IV XXV 7). Il ricorso a tale connotato fisico, fortemente impregnato di gentilezza e spiritualità, è frequente nelle pagine della Vita Nuova, talora al fine di offrire un delicato contributo figurativo alla rappresentazione della bellezza femminile: Color di perle ha quasi, in forma quale / convene a donna aver, non for misura (XIX 11 47); talora quale segno suggestivo della pietà: onde venite che 'l vostro colore / par divenuto de pietà simile? (XXII 9 3); più spesso come essenziale mezzo espressivo dei temi predominanti nel libro, l'amore e la morte: si facea d'una vista pietosa e d'un colore palido quasi come d'amore; onde molte fiate mi ricordava de la mia nobilissima donna, che di simile colore si mostrava tuttavia (XXXVI 1); Color d'amore e di pietà sembianti / non preser mai così mirabilmente / viso di donna (XXXVI 4 1; per color d'amore cfr. la precedente citazione, un colore palido quasi come d'amore; ma era motivo tradizionale: " Palleat omnis amans; hic est color aptus amanti " [Ovid. Ars am. 729]; " tinctus viola pallor amantium " [Orazio Carm. III X 14], donde il Petrarca: " S'un pallor di viola e d'amor tinto " [CCXXIV 8]; anche Lapo Gianni: " non fia suo viso colorato in grana, / ma fia negli occhi suoi umile e piana / e palidetta quasi nel colore " [Ballata poi che ti compuose amore 22-24]); e tu [il discorso è rivolto alla morte] lo vedi, ché io porto già lo tuo colore, cioè, ovviamente, un pallore cereo (XXIII 9); Elli era tale a veder mio colore, / che facea ragionar di morte altrui (XXIII 20 21); e spesse fiate pensando a la morte, / venemene un disio tanto soave, / che mi tramuta lo color nel viso, mi rende pallido (XXXI 13 48). Con un'efficace finzione analogica il poeta vede perfino riflesso nella pietra marmorea del sepolcro il c. della morte diffuso sul volto della donna amata e perduta: Ch'eri già bianca, e or se' nera e tetra, / de lo colore suo tutta distorta (Rime dubbie IV 6). V. anche Rime dubbie XIII 5.
Nella Commedia c. si correla al pallore di D., impaurito per le minacce dei diavoli e per l'apparente insuccesso del maestro (Quel color che viltà di fuor mi pinse, If IX 1), o al suo rossore per vergogna (alquanto del color consperso / che fa l'uom di perdon talvolta degno, Pg V 20), o al colorito naturale del suo volto, offuscato dalla caligine infernale e riscoperto dal lavacro di Virgilio (ivi mi fece tutto discoverto / quel color che l'inferno mi nascose, Pg I 129), o ancora al pallore di Virgilio innanzi all'angoscia dei dannati, interpretato erroneamente da D. come indizio di timore: E io, che del color mi fui accorto, dissi: " Come verrò, se tu paventi / che suoli al mio dubbiare esser conforto? " (If IV 16; cfr. i vv. 19-21 L'angoscia de le genti / che son qua giù, nel viso mi dipigne / quella pietà che tu per tema senti).
Il pallore può essere anche delle anime, come nel caso dei peccatori atterriti, sulle rive dell'Acheronte, dalle parole del nocchiero infernale: Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude, / cangiar colore e dibattero i denti, / ratto che 'nteser le parole crude (If III 101: il sintagma ‛ cangiar c. ' vale qui " impallidire "). Infine la ‛ femmina balba ' apparsa in sogno a D. nel Purgatorio, simbolo dei peccati di gola, avarizia e prodigalità, lussuria, è di colore scialba (Pg XIX 9): " Hoc verificatur in avaro, guloso et luxurioso qui habent bona tantum simulata: omnes isti communiter habent faciem pallidam et sine colore " (Benvenuto).
Per quanto riguarda le membra, la buona disposizione, cioè la sanitade, getta sopra quelle uno colore dolce a riguardare (Cv IV XXV 12). Forse un ricordo di questo c. della salute, piacevole a vedersi, agisce per contrasto nella contaminazione orrenda della figura umana con quella di un serpente a sei piedi, in If XXV 62 Poi s'appiccar, come di calda cera / fossero stati, e mischiar lor colore, / né l'un né l'altro già parea quel ch'era, contaminazione dalla quale si origina nel mostruoso impasto organico una tinta mista, a mezzo fra il nero e il bianco, suggerita mediante la similitudine con l'orlo brunastro che, bruciandosi il ‛ papiro ', procede immediatamente innanzi alla fiamma viva: come procede innanzi da l'ardore, / per lo papiro suso, un color bruno / che non è nero ancora e 'l bianco more (XXV 65).
Ancora su un'allucinante alterazione di c. si affisa la fantasia dantesca nel descrivere una seconda metamorfosi: il fumo che avvolge Buoso mutantesi in serpente e il supposto Francesco Cavalcanti di serpente ritornante a figura d'uomo, l'uno e l'altro vela / di color novo (If XXV 119), dà cioè a quel che era serpente il c. umano e a quel che era uomo il c. serpentino.
Fra gli usi metaforici del termine ve ne sono di connessi alla tematica amorosa e morale. In Vn XV 5 5 Lo viso mostra lo color del core, / che, tramortendo, ovunque po' s'appoia, anche per il sostegno di tramortendo, l'espressione suggerisce l'idea del pallore che, muovendo appunto dal cuore, si diffonde sul viso: ‛ c. del cuore ' ricorda quindi il c. d'amore di cui già s'è parlato. In Rime LVII 16 la rimembranza / del dolce loco e del soave fiore / che di novo colore / cerchiò la mente mia, sembra ci sia un riferimento al nome della donna amata, Fioretta o Violetta (soave fiore), la quale, sotto il traslato del c., occupa e allieta la mente di D.: infatti, come nota il Maggini, se il concetto di oscurità si accompagna nei poeti stilnovisti al rammarico di una vita senz'amore, il ricorso anche figurato a c. nuovi e vivaci indica stato gioioso. Perciò nell'esortazione alla canzone dell'esilio (Ma s'elli avvien che tu alcun mai truovi / amico di virtù, ed e' ti priega, / fatti di color novi, Rime CIV 98), l'ultimo verso citato sarà da intendere meglio che " di aspetto più allettante " (Contini): " rallegrati in te stessa " (Pernicone). Il verace colore che il poeta non riesce a chiarire con parole, in Rime dubbie XVI 21, sarà l'aspetto veritiero della sua donna, entrato e posatosi nella sua mente come membranza (cfr. i vv. 8-9, 15, 19-20).
Col diverso valore traslato di " ornamento poetico ", comune alla tradizione classica (Cicerone, Quintiliano, Tacito, Frontone, Gellio, Seneca), la parola è adoperata a proposito della libertà concessa ai poeti di ricorrere ad alcuna figura o colore rettorico (Vn XXV 7), purché sappiano, se richiesti, denudare le loro parole da codesta vesta di figura o di colore rettorico (§ 10).
Il parlar figurato di Cv I I 15 questo pane, cioè la presente disposizione, sarà la luce la quale ogni colore di loro sentenza farà parvente, avverte che le esposizioni (disposizioni) - il pane del convivio intellettuale - saranno la luce che dissiperà le ombre oscure (cfr. il § 14) gravanti sulle canzoni - la vera vivanda offerta ai lettori - rivelandone completamente i diversi sensi riposti.
L'espressione ‛ sotto c. ', presente in Cv III VIII 21 e IX 2, corrisponde a " sotto l'apparenza ", " sotto il pretesto ".
Qualche controversia esegetica hanno infine suscitato le parole di colore oscuro viste da D. al sommo della porta infernale (If III 10). Per la maggior parte dei commentatori il passo vale " parole scritte in tinta oscura ": " conforme alla qualità del luogo nel quale per quella porta s'andava " (Boccaccio); " idest enclaustro nigro. Et bene: quia erant in loco obscuro, tempore obscuro, et de materia obscura " (Benvenuto). Così più o meno il Buti, l'Anonimo, Venturi, Lombardi, Casini-Barbi, Scartazzini, Torraca, Rossi, Porena, Mattalia, Chimenz. In tal caso c. avrebbe valore proprio. Se però s'intende oscuro come " minaccioso " - e l'ipotesi è tutt'altro che da scartare (Momigliano, Fallani, e altri) - allora c. equivale figuratamente a " senso ", " significato ", accostandosi dal punto di vista semantico all'occorrenza prima citata di Cv I I 15. Per un completo panorama delle varie proposte d'interpretazione avanzata dall'esegetica antica e recente, cfr. F. Mazzoni, Saggio di un nuovo commento, Firenze 1967, 337-342.
Bibl. - H.D. Austin, Heavenly gold; a study of the use of color in D., in " Philological Quarterly " XII (1933) 44-53; L. Talamo, I colori della D.C., in Risonanze, Milano 1953, 129-150.