MEMNON, Colossi di
Con questo nome usato dai Greci per un'errata interpretazione del nome egizio e un'errata identificazione con il mitico eroe etiope figlio di Tithonos e di Eos, sono note le due statue colossali (alte m 15,60, su zoccolo alto m 2,30) un tempo connesse con il tempio di Amenophis III del quale precedevano l'entrata. Esse si innalzano di fronte al Nilo, volte verso S-E nella zona coltivata al limite del deserto, nella regione di Tebe. Entrambe le statue rappresentano Amenophis III seduto in trono, nella posa della regalità, con le mani sulle ginocchia e con il tipico copricapo, il nèmes. Ai lati del trono, decorato con le figure che simboleggiano il corso N e S del Nilo, erano raffigurate, in proporzioni minori, la madre e la sposa del faraone.
Entrambe le sculture subirono danni per il terremoto del 27 a. C., che probabilmente causò anche la distruzione del tempio retrostante (del quale sussistono scarsissimi resti) e procurò ad uno dei due colossi, del quale si salvò solo la parte inferiore (Strab., xvii, 816), la particolarità di emettere un caratteristico suono quando veniva riscaldato dai raggi del sole. Da ciò si accrebbe in epoca antica la popolarità delle statue e si rinsaldò la leggenda sorta in epoca tolemaica che riconosceva in esse l'eroe omerico Memnon, il cui corpo, dopo l'uccisione da parte di Achille, avrebbe ripreso vita ogni mattina sotto le benefiche carezze dei raggi materni dell'Aurora.
Nei primi due secoli dell'èra volgare, a cominciare dal viaggio fatto da Germanico nel 19 d. C. (Tac., Ann., ii, 61), il recarsi a visitare i due colossi fu da parte di Greci e Romani un fatto di moda. Tali viaggi sono documentati dalle numerose iscrizioni incise dai visitatori sulle gambe e gli zoccoli delle due statue, specie di quella "sonante"; tra queste iscrizioni ricorderemo quella di Giulia Balbilla, poetessa che accompagnò nel loro viaggio Adriano e Sabina, e quella del poeta greco Asklepiodotos. Molto frequenti sono gli accenni al particolare fenomeno musicale, da parte delle fonti letterarie (Plin., Nat. hist., xxxvi, 6, 58; Kallistr., Imag., 5; Philostr., Her., iv, 6 ss.; Athen., xv, 68o). Pausania (i, 42, 3) descrivendo le statue riporta l'identificazione popolare che vedeva raffigurato Memnon, ma insieme anche accenna alla versione locale che riconosceva in esse Phamenoph e l'opinione per così dire dotta, che additava in Amenophis (Σέσωστρις per Pausania) il personaggio scolpito (si noti che Phamenoph è un'altra versione dello stesso nome del faraone). Pausania aggiunge anche la versione, forse nota al suo tempo, secondo la quale a Cambise si sarebbe dovuta attribuire la parziale distruzione di uno dei due colossi. Interessante è anche notare che nel passo di Pausania il termine κολοσσός è usato nel significato odierno di statua di grandi dimensioni. La statua" sonante" in seguito perdette la sua precipua caratteristica dopo i restauri che subì all'epoca di Settimio Severo.
Bibl.: R. Holland, in Roscher, II, 2, 1894-7, c. 2661 ss., s. v. Die Memnonkolosse, con elenco completo delle fonti letterarie; J. Pley, in Pauly-Wissowa, XV, 1931, c. 648 s., s. v. Memnon, n. i; Kees, ibid., c. 651 ss., s. v., n. 2. Per le iscrizioni si veda C. I. G., 4719-4761 e 4805; C. I. L., III, i, p. 30-66.